Dal 2009 mostrano un trend in aumento, dal 2022 una vertiginosa crescita. Gli incendi sono diventati la principale causa di deforestazione. Solo nel 2024 ne hanno distrutto quasi 14 milioni di ettari, più del doppio di quelli divorati dall’agricoltura permanente, il secondo più potente fattore di deforestazione globale. I dati dell'organizzazione Global Forest Watch parlano chiaro, la crisi mondiale delle foreste sta assumendo nuove forme, ridisegnando le geografie di interi continenti e di singoli Paesi.
Di pari passo urge adeguare anche le strategie di intervento, i leader mondiali ne stanno discutendo a Cop30, la trentesima Conferenza del clima delle Nazioni unite a Belém (Brasile), in questi giorni. Partono da una distruzione forestale attualmente del 63% superiore a quanto necessario per raggiungere gli impegni globali di fermare e invertire la deforestazione entro il 2030. Dove arriveranno?
L’ascesa inesorabile del fuoco
L’analisi temporale delle cause di deforestazione globale da inizio secolo a oggi mostra un panorama in trasformazione, gradualmente ma inesorabilmente. A crescere sono solo gli incendi e la loro recente accelerazione ribalta le priorità di prevenzione e intervento. “Negli ultimi anni il fenomeno è diventato allarmante - osserva Sheam Satkuru, direttore esecutivo dell’Organizzazione internazionale per il legname tropicale -. Il cambiamento climatico sta indubbiamente amplificando il problema: temperature più elevate, stagioni secche prolungate e modelli di precipitazioni inediti stanno creando condizioni in cui anche piccole fonti di fiamme possono degenerare rapidamente e in modo incontrollabile.”
Ma le cause non sono esclusivamente climatiche. La convergenza di diversi fattori sta creando una tempesta perfetta. In alcune regioni, le pressioni socio-economiche stanno contribuendo ad aumentare il rischio. Le pratiche di disboscamento non regolamentate continuano a fare affidamento sull’uso del fuoco, spesso senza adeguate misure di sicurezza. L’invasione di paesaggi boschivi e l’espansione agricola, combinati con una pianificazione inadeguata dell’uso del suolo, stanno mettendo comunità ed ecosistemi in posizioni sempre più vulnerabili.
Particolarmente critica è la carenza di capacità istituzionale. Molti paesi mancano di risorse sufficienti per il rilevamento precoce, il monitoraggio e la risposta rapida, permettendo agli incendi di diffondersi su aree vastissime. L’anno scorso, le immagini satellitari hanno catturato incendi che si sono propagati dal Brasile alla Bolivia e oltre, creando un’emergenza ambientale regionale di proporzioni senza precedenti.
Anatomia globale della crisi
Le diverse cause di sofferenza delle principali nazioni forestali del mondo illustrano la complessità delle sfide in corso. La Russia, con i suoi 833 milioni di ettari (secondo i dati Fao ha la più vasta estensione forestale al pianeta ) sta affrontando una crisi nelle sue foreste boreali. Incendi senza precedenti, infestazioni di parassiti guidate dal riscaldamento climatico e il disgelo del permafrost stanno destabilizzando ecosistemi che sono rimasti relativamente intatti per millenni.
Il Canada, con 369 milioni di ettari, sta vivendo una trasformazione drammatica delle sue foreste boreali. Le stagioni degli incendi si sono intensificate in modo allarmante negli ultimi anni, con vasti territori che bruciano simultaneamente da costa a costa. Il riscaldamento delle regioni settentrionali sta procedendo a un ritmo doppio rispetto alla media globale, creando condizioni che favoriscono incendi più frequenti e devastanti. Inoltre, le infestazioni di parassiti come il coleottero del pino stanno uccidendo milioni di ettari di foresta, lasciando dietro di sé materiale altamente infiammabile che alimenta ulteriori incendi.
Il Brasile, con 486 milioni di ettari di foresta, ha sperimentato picchi di incendi record nell’Amazzonia lo scorso anno. La scala della distruzione ha superato tutto ciò che si era visto nella storia recente, con fuochi che hanno bruciato simultaneamente in molteplici stati, oscurando il cielo di città distanti centinaia di chilometri dagli incendi stessi. La Repubblica Democratica del Congo, custode di 152 milioni di ettari, confronta pressioni diverse ma ugualmente devastanti: espansione agricola, sviluppo infrastrutturale e estrazione mineraria che frammentano continuamente il secondo bacino di foresta tropicale più grande al mondo.
L’insostituibile valore delle foreste primarie tropicali
Allargando lo sguardo al mondo ma restringendo l’analisi solo sulle foreste tropicali primarie, si registrano perdite annuali drammatiche e inedite. Nel 2024 gli ettari andati distrutti sono quasi 7 milioni, molti erano in Sud America, soprattutto in Bolivia e in Brasile, e la loro scomparsa è particolarmente preoccupante perché in quanto foreste primarie, rappresentano ambienti che non possono essere replicate attraverso la riforestazione.
Sono ecosistemi antichi, sviluppati nel corso di secoli, ospitano una biodiversità senza pari rispetto alle foreste secondarie o alle piantagioni. “Nonostante tutti i biomi forestali svolgano un ruolo vitale nel mantenimento dell’equilibrio ecologico e nella regolazione del clima globale - sottolinea Satkuru - le foreste tropicali rimangono le più insostituibili in termini di stoccaggio del carbonio, ricchezza di specie e servizi che forniscono alle comunità globali e locali.”
Oltre agli incendi, queste foreste affrontano minacce interconnesse: disboscamento non regolamentato, conversione agricola, esplorazione mineraria e sviluppo infrastrutturale. Il cambiamento climatico amplifica ulteriormente questi rischi, rendendo gli ecosistemi più suscettibili a parassiti, malattie e degrado. Osservando la loro variazione percentuale si scoprono altre situazioni drammatiche, minori in scala ma non in importanza. Quella del Paraguay, per esempio, o di Nicaragua, Cambogia e Costa d’Avorio.
“Alla base della maggior parte di queste criticità c’è il fatto che molte comunità dipendenti dalle foreste mancano ancora di diritti di proprietà e/o di utilizzo sicuri e di opzioni di sussistenza praticabili - sottolinea Satkuru -. Tutto ciò fa sì che le foreste diventino ancora più vulnerabili allo sfruttamento.” Questo vale per le tropicali primarie, “ma anche per altre regioni forestali sempre più a rischio - avverte poi Satkuru -. Nelle foreste boreali, per esempio, il cambiamento climatico sta causando incendi senza precedenti, infestazioni di parassiti e degrado del permafrost, portando a vaste aree di perdita e degrado forestale.”
Cop30: nuovi meccanismi di finanziamento
Per contrastare vecchi e nuovi trend di deforestazione globale, alla Cop30 è stato lanciato il Tropical Forests Forever Facility (Tfff), un meccanismo innovativo che offre 4 dollari per ettaro annualmente ai paesi che mantengono le foreste in piedi. A seguito del discorso del presidente del Brasile Luis Inàzio Lula, gli impegni iniziali hanno raggiunto livelli significativi: Brasile e Indonesia con 1 miliardo di dollari ciascuno, Norvegia con 3 miliardi nell’arco di un decennio, Colombia con 250 milioni. A questi Paesi, durante la seconda settimana di Cop30 si è aggiunta anche la Germania, con 1 miliardo di euro.
Il Tfff si distingue per tre caratteristiche innovative. Primo, sfrutta sia capitali privati che pubblici attraverso il Tropical Forest Investment Fund, che investe in obbligazioni dei mercati emergenti escludendo esplicitamente combustibili fossili e settori legati alla deforestazione. I rendimenti rimborseranno integralmente gli investitori originali, creando un modello di finanza mista sostenibile. Secondo, almeno il 20% dei fondi andrà direttamente alle comunità indigene abitanti delle foreste, correggendo un problema storico: dei precedenti 1,7 miliardi di dollari stanziati per i diritti forestali, solo il 10% ha raggiunto direttamente queste comunità. Terzo, il modello non impone politiche dall’esterno. Consente ai paesi con foreste tropicali e alle comunità indigene di implementare le proprie strategie di conservazione, riconoscendo che le soluzioni efficaci devono essere adattate ai contesti locali.
Il crescente protagonismo delle comunità indigene inserito nel Tfff trova eco anche in altre recenti scelte compiute dai Paesi riuniti in Brasile. Sempre per sostenere popoli indigeni, afrodiscendenti e comunità locali durante la Cop30 1,8 miliardi di dollari sarebbero infatti stati rinnovati per foreste e diritti sulla terra fino al 2030 e 160 milioni di ettari sarebbero stati a loro formalmente riconosciuti attraverso l’Impegno intergovernativo sui diritti sulla Terra.
Queste scelte potrebbero avere un impatto positivo anche sulla deforestazione: secondo gli esperti, infatti, quando le comunità hanno diritti sicuri sulla terra, i tassi di deforestazione sono fino al 26% inferiori rispetto alle medie globali. Oggi nelle loro mani ci sono oltre il 54% delle foreste intatte del mondo, ma mancano di riconoscimento legale per oltre 1,3 miliardi di ettari delle loro terre tradizionali. C’è ancora molto lavoro da fare per garantire loro accesso al capitale e al potere decisionale, ma le scelte compiute finora a COP30 fanno ben sperare.
Verso un’economia di resilienza forestale
Anche sul fronte degli incendi, il Brasile non sembra voler restare indifferente. Durante la conferenza delle parti ha infatti promosso un Appello all’azione sulla gestione integrata degli incendi mettendo nuovamente al centro le comunità indigene e locali in veste di “custodi forestali più efficaci”. L’approccio suggerito dall’appello brasiliano suggerisce una forte necessità di collaborazione, anche con i privati. Non è un caso, infatti, che negli stessi giorni, Google abbia annunciato il suo più grande acquisto di crediti di rimozione del carbonio: 200.000 tonnellate dal progetto di riforestazione amazzonica della startup brasiliana Mombak.
La vera buona notizia è che questo potrebbe essere il primo di molti altri investimenti da parte di altri giganti tecnologici, per lo meno di Meta, Salesforce, Microsoft, Bain & Company e REI Co-op e gli altri membri della Symbiosis Coalition di cui Google stessa fa parte. Tutte assieme, queste aziende si sono infatti impegnate per oltre 20 milioni di tonnellate entro il 2030 segnando un cambio di rotta nel mercato delle foreste. Il progetto di Mombak mostra infatti che esiste un’alternativa valida a progetti deludenti visti in precedenza (come i Redd+), misurabile in modo rigoroso e che rende perfino 10 volte di più (meno di 10 dollari per tonnellata vs 50-100 dollari per tonnellata).
Nonostante i passi avanti registrati durante Cop30, Satkuru chiede “impegni molto più forti e mirati. Nonostante queste foreste offrano straordinari benefici globali, le risorse disponibili per salvaguardarle continuano a restare sproporzionatamente esigue.” A suo avviso la sfida si deve spingere oltre i finanziamenti, “riconoscendo che conservazione e uso sostenibile vanno di pari passo”. Ai leader riuniti a Cop30 Satkuru chiede infatti di “favorire l’implementazione della gestione forestale sostenibile, migliorare i sistemi di monitoraggio e applicazione, e passare a catene del valore che premino la legalità, la sostenibilità, le migliori pratiche, la trasparenza e la produzione responsabile”. Con la deforestazione e il cambiamento dell’uso del suolo che rappresentano l’11% delle emissioni globali, la posta in gioco alla Cop30 non potrebbe essere più alta. Se gli impegni annunciati a Belém si tradurranno in azioni concrete, questo appuntamento determinerà non solo il destino delle foreste, ma la stessa fattibilità degli obiettivi climatici globali.