Si dice che l'uomo che non sente il cinguettio degli uccelli sia un uomo triste. Sarà per questo, per il concerto che accompagna questo tramonto, che l'aria all'ecovillaggio Torri Superiore è piena di felicità. La valle del fiume Bevera dove nasce e rinasce questo antico villaggio è chiusa tra le montagne come un luogo tenuto nascosto dalle pieghe dei boschi. Se la si percorresse tutta si arriverebbe dal mare di Ventimiglia, che è pochi chilometri in giù, fino alle Alpi e a Cuneo. Il sole sta scendendo, il camino della sala da pranzo è già acceso e ogni persona che entra abbraccia Lucilla che festeggia gli anni. Ne sono passati 35 da quando da Torino è arrivata qui per unirsi al gruppo di persone che ha voluto - con tutto il cuore e la determinazione possibili - che questo antico borgo medioevale, abbandonato nei primi anni del secolo, non crollasse. Che ha voluto riedificarlo, letteralmente con le proprie mani, e trasformarlo in un progetto di vita.
È nato così l'eco-villaggio Torri Superiore, uno dei primi della rete di comunità che in Italia e in tutta Europa sognano un nuovo modo di vivere insieme. Alle pareti della sala da pranzo sono appese le foto del paese così come era quando tutto è iniziato, nel 1989: ci sono le immagini di questi ragazzi giovanissimi al lavoro nelle stradine impervie. Il senso delle loro scelta traspare dai colori sbiaditi delle stampe, dalla loro tenacia e durata. Forse quel senso si può riassumere in una frase di Fritjof Capra che leggo come didascalia: «La sfida principale del nostro secolo sarà quella di costruire delle comunità ecologicamente sostenibili, progettate in modo tale che le loro tecnologie e istituzioni sociali non vengono a minare la capacità di sostenere la vita, proprietà intrinseca del mondo naturale».
«Penso sempre sia stato questo posto a cercare noi», racconta Massimo. Per quello che lo riguarda è sicuramente vero: era poco più che ventenne a Genova quando ricevette a casa con la posta un volantino che raccontava il progetto di Torri Superiore che però, non si ricorda come, finì nel cestino. Notò il volantino il fratello entrando in camera sua: tirandolo fuori dalla spazzatura, disse «L'ho ricevuto anch'io». Fu così che Massimo lo lesse, che decise di andare a fare un giro in quel villaggio dell'interno e fu così che incontrò la storia della sua vita, e anche l'amore della vita, Lucilla. Furono tra i fondatori del progetto, e ancora oggi sono loro il cuore carismatico di questa comunità che consta di circa una ventina di abitanti stabili e che può accogliere circa 25 ospiti, con una parte di abitazioni private, una zona comunitaria dove mangiare tutti insieme - residenti, turisti e volontari - e incontrarsi (con una stanza per bambini dove c'è sempre qualcuno che gioca), e la parte nord del villaggio dove sono state ricavate le camere per gli ospiti. «Da subito abbiamo voluto aprire Torri all'ospitalità, all'inizio come potevamo, anche usando il baratto - racconta Massimo - Ristrutturare questo villaggio è stato un lavoro incredibile, Torri ha un totale di 162 vani, che abbiamo comprato pian pian, quasi uno alla volta, e rimesso a posto, senza mutui o presiti delle banche, ma grazie a una cordata di sostegno creata dall’Associazione Culturale Torri Superiore, perché non sapevamo se saremmo stati in grado di ripagarli. Ci abbiamo messo 20 anni a completare tutto, siamo diventati muratori e carpentieri, abbiamo imparato la bioedilizia, abbiamo messo pannelli solari e pannelli termici», racconta Massimo. «Il nostro è uno spazio di progettazione e di costruzione di una comunità che parte dal basso. Credo che in una società che tenta di superare la crisi aumentando il controllo, necessariamente si aprono degli spazi fuori controllo. È come nella fisica, più dai regole fisse da una parte, più spazi di sperimentazione avrai dall'altra. Noi siamo uno di quegli spazi».
Nel frattempo, mentre parliamo, abbiamo attraversato le strade del paese che si arrampica sulla dorsale delle montagna con archi sovrapposti e scale ripidissime. Tutti i terreni attorno sono terrazzati, alcuni terrazzamenti sono larghi un paio di metri al massimo, giusto lo spazio per metterci una pianta, una mimosa - fiorita ora - o degli agrumi. Prendo un'arancia direttamente dal ramo e la mangio come dice Massimo, addentandola con la buccia, il cui sapore speziato fa da contrasto con il dolce della polpa.
Nei terreni di Torri Superiore la comunità coltiva ulivi (ne hanno 700, da cui quest'anno hanno ottenuto 2.000 litri di un olio morbido e saporito), limoni, hanno un gregge di capre e degli orti vicino al fiume. Al campo ci andiamo con Simon, che da Sidney (con tappe intermedie) è arrivato fino qui e ci abita da tre anni: «Per me è fondamentale vivere una vita rurale, essere vicino alla terra, e poi questo luogo è bellissimo, così io non ne conosco, con il fiume e le montagne, isolato ma vicino a tutto». È lui che sovraintende alla parte agricola del villaggio, «Nelle nostre coltivazioni - dice - rispettiamo la terra, usiamo il sovescio per arricchirla, non usiamo pesticidi, prendiamo quello che si può. Non siamo autosufficienti, ma questa è una terra difficile e impone un'agricoltura “eroica”, sui terrazzamenti il lavoro è tutto a mano. Questa è sempre stata una zona di scambio».
Con Simon al campo c'è il gruppo di volontari europei che passano sei mesi al villaggio grazie al programma European Solidarity Corps, dedicandosi a tutti i lavori necessari, dall'agricoltura alle pulizie ai turni in cucina alla manutenzione dei sentieri e degli edifici. «Qui si vive con meno distrazioni, ho imparato a stare nel momento, a concentrarmi sulle cose che contano», racconta Florine, francese, mentre li accompagno a fare il bagno alle piscine d'acqua che il fiume forma poco più in là. Si buttano, anche se la primavera è solo nell'aria.
Torri è tanto remoto quanto cosmopolita: ogni sera si parlano contemporaneamente almeno 3 lingue. Oltre ai volontari europei, ospita corsi di aggiornamento Erasmus+, turisti di ogni dove, tra chi viene per passarci qualche settimana, in un'ottica di incontro, a chi viene solo a cena, per stare al fresco tra i grilli che cantano e passare una serata lenta. Ma è la stessa comunità di residenti ad essere più eterogenea che mai, dall'origine coreana di Nina al suo compagno tedesco Daniel, fino a Mamadou, che frequenta da più di un anno la comunità, anche se non è residente, e viene dalla Guinea. Lui è un esempio dell'integrazione che funziona: arrivato a Lampedusa, si è fermato a Ventimiglia provando ad andare in Francia, ha studiato italiano, ora fa le consegne alle mense scolastiche e l’educatore per rifugiati minorenni non accompagnati per la diaconia Valdese. Ed è un bravissimo artista.
A Torri c'è un mondo di ogni età e nazione, ci sono storie che si incontrano e si ritrovano, da chi cercava un nuovo modo di stare insieme a chi pensa di esserci capitato per caso ma poi non se ne è più andato. Torri è questo: è la creazione di una comunità che c'è, è il villaggio ritrovato. «In una società disgregata come quella moderna - spiega Lucilla - la nostra è la ricerca di un modo di vivere che sappia ridare un senso a ciò che si fa. Credo che oggi in tanti si sentano pedine manovrate dall'alto e la scelta di vivere in una zona marginale e periferica come questa nasce anche dall'esigenza di allontanarsi dalle dinamiche in cui il progresso, invece che fare il benessere delle persone, segue le logiche del profitto. Siamo un gruppo eterogeneo, non spartiamo un'ideologia precisa di tipo politico o spirituale, ma credo di poter dire che tra di noi c'è un generico orientamento verso una società più laica, più libertaria, più inclusiva, più tollerante, più dialogica e più partecipata, una comunità ecologica nel senso più ampio del termine».
La comunità di Torri è riuscita con il suo impegno ad essere un nuovo esempio di società, che si tramanda alle generazioni future e a chi lo raccoglierà, con tutte le difficoltà di chi vive in gruppo, di chi prende decisioni collegiali («È come la palestra - dice Lucilla - questa è una ginnastica sociale 24 ore al giorno sette giorni a settimana»), di chi si impegna per fare la propria differenza. Ma è una collettività che ha tutta la gioia di non sentirsi soli, di spartire speranze e sogni, di condividere la vita. In tante parti del mondo questa condivisione si chiama felicità.









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