L’accordo tra Apple e Google
Di fatto, ciò di cui si sta parlando è la svolta definitiva – anche se non permanente – verso il progetto noto internamente come Glenwood, una piattaforma di AI fondata su tecnologie esterne invece che su modelli sviluppati dal team interno.
La decisione di collaborare con Google nasce dalle difficoltà incontrate negli ultimi anni nello sviluppo di un modello proprietario competitivo. La divisione AI di Apple ha subito rallentamenti, cambi di leadership e un’emorragia di talenti, tra cui l’accantonamento di John Giannandrea e il passaggio a Meta dell’architetto dei modelli Ruoming Pang.
A prendere in mano il progetto sono stati Craig Federighi, responsabile del software, e Mike Rockwell, già a capo dello sviluppo di Vision Pro, con l’obiettivo di accelerare il rilascio della nuova Siri entro il 2026.
Sono stati questi due manager, nel ballottaggio tra ChatGPT di OpenAI, Claude di Anthropic e Gemini, a scegliere Google per la qualità del modello e per la possibilità di integrarlo nel proprio ecosistema in modo controllato. Il modello Gemini, con i suoi 1,2 trilioni di parametri, rappresenta una potenza di calcolo quasi dieci volte superiore rispetto ai sistemi attualmente utilizzati nei servizi Apple Intelligence.
L’accordo, come spiega Bloomberg, non arriva gratis ma al prezzo di circa un miliardo di dollari l’anno. Per questa cifra Google consentirà che le basi di Gemini vengano eseguite direttamente sui server Private Cloud Compute di Apple, senza che i dati degli utenti lascino l’infrastruttura della Mela.
Gemini fornirà a Siri le funzioni di sintesi e pianificazione, cioè la capacità di comprendere contesto e collegare diverse azioni in sequenza, e non sarà minimamente visibile all’utente finale. Sarà Siri a sfruttare Gemini per gestire le richieste più complesse ed eseguite in remoto.
Con l’arrivo di Gemini, la nuova Siri (nome in codice Linwood), prevista al debutto con iOS 26.4, potrà comprendere richieste più articolate, combinare informazioni da diverse app e adattarsi meglio al linguaggio naturale dell’utente. Apple continuerà invece a usare i propri modelli interni per alcune funzioni di base e per le elaborazioni in locale su iPhone, iPad e Mac.
La scelta di Gemini non è comunque definitiva: Apple considera questa collaborazione una soluzione transitoria, utile per accelerare lo sviluppo e garantire il lancio nei tempi previsti. Quando i propri modelli cloud saranno abbastanza maturi, Cupertino punta a sostituire completamente la tecnologia di Google con soluzioni sviluppate internamente.
Prospettive e limiti della nuova Siri
Per Google, l’intesa rappresenta una vittoria strategica: dopo Samsung, anche Apple adotterà i suoi modelli, portando Gemini su centinaia di milioni di dispositivi e consolidandolo come nuovo standard di riferimento nel campo dell’intelligenza artificiale.
Restano alcune incognite: nei mercati come la Cina, dove i servizi Google sono vietati, la nuova Siri userà esclusivamente modelli Apple e un sistema di filtraggio sviluppato da Alibaba. Ma nel resto del mondo, la collaborazione tra i due colossi potrebbe segnare l’inizio di una nuova fase per gli assistenti vocali, in cui le alleanze tecnologiche contano più della rivalità storica.
Se tutto procederà secondo i piani, la nuova Siri debutterà nel 2026 insieme alla seconda generazione di Apple Intelligence. Per Apple sarà la prova del nove nel campo dell’intelligenza artificiale e il primo vero passo per recuperare il terreno perso rispetto a Google, OpenAI e Meta.
L’intesa, però, potrebbe attirare l’attenzione delle autorità antitrust, già concentrate sul rapporto economico che lega Apple e Google per la ricerca su Safari. Un ulteriore elemento di complessità in una partnership che, per entrambe, unisce opportunità e rischio.

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