Introduzione
Perché mai Castelmonte è diventato un celebre Santuario della Vergine Santa, noto non solo nel Veneto ed in Italia, ma - si può ben dire - in tutte le parti del mondo?
Vi si ricorda, forse, una Apparizione della Madonna come a Lourdes od a Fàtima od in altri Santuari minori? Oppure la Divina Provvidenza ha consentito che quassù si ottenessero, per intercessione di Maria, delle Grazie straordinarie, così
da farne un trono regale della potenza mediatrice della Madonna ed un luogo sacro alla pietà mariana dei fedeli?
Queste sono, probabilmente, le prime domande che si pone ogni pellegrino, con una legittima curiosità.
Ebbene, sì: qui la Madonna ha ottenuto ed ottiene ai suoi devoti segnalati prodigi, sia materiali che spirituali, tanto che codesto monte già cinque secoli or sono veniva chiamato « MONTE DELLE GRAZIE ».
Ma, all’inizio, vi è forse apparsa la Madonna? Ecco una domanda a cui non si potrà mai rispondere. Perché il Santuario di Castelmonte è antichissimo: il più antico del Veneto ed uno dei più
antichi di tutta la cristianità.
Bisogna risalire a circa mille cinquecento anni fa per trovarne le origini,
che si affondano nel crepuscolo del Cristianesimo primitivo.
Una tenace tradizione lo faceva risalire al secolo V, cioè al periodo immediatamente successivo al Concilio di Efeso del 431, nel quale venne
solennemente definita la Divina Maternità di Maria. Sino a ieri si poteva pensare che una tale tradizione non avesse fondamento, e derivasse da un pio vanto dei Cividalesi, e non da una probabile realtà. Ma nel 1962,
mentre si scavava per costruire la chiesa inferiore di sotto al Santuario,
vennero scoperti due pavimenti in cocciopesto, risalenti almeno al secolo VI:
indubbia prova che sino d’allora sulla vetta di Castelmonte c’era « qualcosa ».
Che cosa? Che cosa, a questa altezza e ad oltre sette chilometri da Cividale? Certamente la sede di una guarnigione romana, un posto di avvistamento e di difesa, nel periodo delle invasioni, incominciato in queste regioni nel secolo V, con quella gotica di Alarico del 402 e con
quella unna di Attila del 452, proseguito poi nel 568 con quella longobarda di Alboino e, poco dopo, con le incursioni e le infiltrazioni slave, che dal secolo VII al secolo IX vennero a spegnersi proprio a ridosso di Castelmonte. Ed a mezza strada fra Cividale ed il Santuario, si eleva il cocuzzolo del Monte Guardia, il cui nome richiama subito anch’esso alla mente un posto di sentinella sulle vallate del Natisone.
Fu, dunque, in quegli anni di terrore che a Castelmonte sorse un avamposto a difesa della città di Cividale e del Friuli; ed i soldati di guardia univano naturalmente alla vigilia in armi l’implorazione alla Vergine, mentre le orde barbare scorrazzavano per le valli e nella pianura. Fu da allora che Cividale ed il Friuli cominciarono a vedere in Castelmonte una rocca sicura e vittoriosa,
circonfusa da segni manifesti della protezione della Vergine. Fu da allora che la Madonna di Castelmonte si rivelò, di faccia alle cime delle Alpi Giulie, quale scudo e conforto alle soglie orientali della Patria del Friuli e dell’Italia. Sin dai tempi dei Longobardi e dei Franchi, cioè dal 568 al secolo IX, i devoti accorrevano a folle quassù, tanto che nelle immediate vicinanze del Santuario c’era un « Malbergium » - corrotto ora in Moldiaria -, ossia un luogo di solenni convegni popolari per l’amministrazione della giustizia.
Così si spiega molto bene perché mai la Madonna di Castelmonte sia stata poi chiamata « la Madonna Antica » ; e perché gli Slavi, arrivati sin qui a quell’epoca, abbiano chiamato Castelmonte « Staragora », cioè «Monte Antico», appunto perché lo trovarono già abitato da tempi remoti.
Abitato da chi? Non era certo luogo adatto per abitazioni private, in tanta solitudine e sopra un’arida roccia. Chi vi abitava, chi vi regnava, chi chiamava a sé le folle sin quassù, non poteva essere che la Madonna.
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La storia in una conchiglia di una leggenda
Una preziosa leggenda racchiude, nella sua poetica fantasia, il mistero di quei tempi. Subito fuori del centro di Cividale, di sopra al fiume Natisone; si protende robusto e severo un ponte, chiamato « il ponte del Diavolo ».
Qui, si narra, vennero a trovarsi di fronte la Madonna e Satana, che si contendevano il dominio della Città. E si lanciarono una sfida.
La Città sarebbe stata di chi avrebbe per primo raggiunto la vetta di Castelmonte. La Vergine Santa volò rapida verso l’alto, poggiandolo una sola volta il piede sul cocuzzolo del Monte
Guardia, e sostando quindi vittoriosa sulla sommità del Castello. Il Demonio, scornato, andò un trecento metri più a nord, sulla cima del Monte Spich, e di lì risprofondò negli abissi attraverso una voragine che si vede tuttora.
E' una leggenda; ma non si poteva riassumere meglio, da Cividale al Guardia ed a Castelmonte, la difesa vittoriosa della Città contro le forze oscure della barbarie, nel nome e sotto il patrocinio di Maria.
La vicenda di lotta e di vittoria, a cui allude la leggenda è confermata dal culto antichissimo a San Michele Arcangelo, il vincitore di Lucifero, che fu vivo a Castelmonte almeno sino dall’epoca longobarda: culto che certamente fu sempre associato a quello verso la Madonna, chiamata dalla liturgia « terribile come esercito schierato in campo ».
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Prime vicende storiche del Santuario
A Castelmonte, dunque, o meglio alla Regina vittoriosa di lassù, si volgevano fidenti gli occhi ed i cuori dei Cividalesi e dei Friulani; e verso Castelmonte si muovevano a frotte i pellegrini. Pellegrinaggio ininterrotto, ma con alti e bassi, secondo le condizioni dei tempi.
Un’epoca di rilassamento si ebbe, ad esempio, durante il secolo X, detto « il secolo di ferro » per le sue fosche vicissitudini, aggravate in questa regione da tremende incursioni degli Ungheri e dal crollo della dinastia dei Berengari.
Fu il patriarca d’Aquileia Giovanni, che nel 1015, con un decreto riboccante di devozione alla Vergine, ridiede vigore religioso alla prepositura di S. Stefano di Cividale, alla quale il Santuario di Castelmonte era strettamente unito.
Verso la metà del duecento la chiesa di S. Maria del Monte era una delle più importanti e delle più ricche di tutto l’immenso patriarcato d’Aquileia. Nel 1253 il Santuario venne fuso col Capitolo Collegiato di S. Maria di Cividale, presso il Duomo attuale; fusione, che venne confermata
dal patriarca Beato Bertrando nel 1338. Già nel 1253 era in costruzione un portico dinanzi al Santuario; nel 1296 altri ingenti lavori diedero una
migliore sistemazione al castello e alla chiesa; ed altre notevoli costruzioni furono erette sul finire del trecento e nei primi decenni del quattrocento.
| Allora, ad indicare la strada che portava a Castelmonte, c’eran delle «Madonne odigitrie », scolpite su pietre e scaglionate in quattro punti del percorso. Più tardi l’itinerario venne contrassegnato da capitelli, di cui si ha memoria nei documenti sino dai primi del seicento; quelli ancora esistenti furono eretti nel 1864, mediante un legato del canonico cividalese mons. Antonio Planis, coi misteri del Rosario dipinti su lastre di rame dal pittore udinese Lorenzo Bianchini. |
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Un tempo il pellegrinaggio a Castelmonte veniva fatto con vero spirito di fede e di penitenza, che si esprimeva anche col singolare costume di formare delle croci dinanzi ai capitelli incrociando stecchi o rami divelti dai vicini cespugli. C’era una strada accessibile ai cavalli e ai cariaggi, alla cui manutenzione si prestavano gratuitamente gli abitanti dei paesi limitrofi; la maggior parte dei pellegrini saliva a piedi, e sovente a piedi scalzi,
inerpicandosi per sassose scorciatoie. I sette chilometri e più di ascesa ed il notevole pendio di certi tratti mozzavano naturalmente il fiato persino ai pellegrini più vigorosi; e d’altra parte, nella stagione estiva, frequenti ed improvvisi piovaschi si rovesciavano sui devoti, accaldati dalla salita, non senza pericolo per la loro salute.
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Appunto per fornire soste e ristoro e luoghi di ricovero vennero quindi costruite quattro « casette », due delle quali rimangono ancora in piedi, seppure cadenti, perché ormai al Santuario si sale per lo più con automezzi. Quelle «casette» sono ricordate fin dal secolo XV; e furono via via abbellite con immagini religiose, perché i fedeli ne fossero richiamati a raccoglimento. In una di esse, presso il promontorio di Monte Guardia, si conservava entro una nicchia scavata nella roccia e di sotto ad una immagine della « Madonna odigitria », quella pietra su cui, secondo la leggenda, la Madonna avrebbe posto il piede, nella sua sfida con Satana. Ora tale pietra è conservava in una cappellina di recente fattura, inserita nell’arcosolio di sopra ad una specie di mensa d’altare. |
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La solenne celebrazione del 1479
Un momento di grande importanza nella storia del Santuario si ebbe dal 1469 al 1479. Era il secolo XV: il secolo delle grandi pestilenze, chefacevano strage in tutta l’Europa: il secolo nel quale iTurchi, dopo avere travolto l’Impero d’Oriente, avanzavano baldanzosi lungo i Balcani alla conquista dello stesso Occidente: il secolo della decadenza della Cristianità,
con lo scisma d’Occidente, la confusione delle idee ed un ritorno paganeggiante nei costumi.
Ed ecco che il 19 settembre 1469, quasi segno celeste ammonitore, una saetta diroccò ed arse quasi interamente il Santuario. I Canonici di Cividale ne decisero, il giorno dopo, la ricostruzione e fecero appello alla generosità
delle popolazioni circonvicine, dal Friuli alla Carinzia, all’Istria. Si lavorò dieci anni. E finalmente l’8 settembre 1479 il Santuario era rifatto, più ampio e più bello di prima. In quella stagione salirono lassù ben cinquantamila pellegrini; cifra veramente sbalorditiva per quei tempi.
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Fu allora, senza dubbio, che venne intronizzata la statua della Madonna col Bambino, quale si venera attualmente al Santuario.E’ in pietra massiccia e pesa oltre quattro quintali. Essa sostituisce probabilmente una precedente statua in legno. L’immagine antica riproduceva la Madonna col Bambino nell’atteggiamento « regale », di cui si hanno esempi nella Chiesa d’Aquileia sino dal secolo VI. L’immagine inaugurata nel 1479, pur conservando l’impostazione generale della precedente, sottolineò il valore « materno » della Vergine col particolare del Bambino Lattante, secondo le tendenze di quel secolo; particolare che venne ridotto assai nel 1904, sino ad assumere la forma attuale.
La statua, benché non riveli la mano di un artista di grido, si è meritata dai devoti l’appellativo di « Madonna viva » per l’immediatezza popolana e la soavità che ne traspira. E’ davvero la « Mamma »!
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| Il Castello e la sua organizzazione Castelmonte fu sino dall’inizio una piccola fortezza militare, oltre che un luogo di pietà. Ma le incursioni turche e la guerra del 1510 fra l’Impero di Germania e la Repubblica Veneta mossero i Cividalesi a curarne la sistemazione a vero castello, guarnito da quattro torri e da mura di cui il Santuario era il cuore. Adesso, l’aspetto castellano rimane ancora abbastanza evidente. Lo è soprattutto nel torrione d’ingresso, al sommo della scalinata; torrione che tuttavia è stato ricostruito interamente nel 1955. |
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Ad est c’è un ingresso secondario attraverso una porta che fu notevolmente allargata circa tre secoli fa. Un tempo questa porta veniva chiamata della « Poklecita », parola slava che significa « inginocchiatoio ». C’era infatti, poco più giù, una pietra a forma di inginocchiatoio, con un Crocefisso, dove si fermavano a pregare i devoti che salivano al Santuario dalle borgate slave vicine, prima di entrare nel borgo castellano.
Poiché era un castello, veniva pure custodito al modo dei castelli. Quando c’era pericolo di guerra, la città di Cividale od il Capitolo vi mandavano dei soldati a presidiarlo: e si vedono ancora alcune feritoie, da cui sporgevano i moschetti o le spingarde. Ma anche nei tempi di pace, Castelmonte veniva chiuso ogni sera dal guardiaportone, per impedire l’accesso agli sbandati o malintenzionati.
E durante la stagione dei pellegrinaggi, specie nei giorni di maggiore affluenza, c’era un corpo di guardie, armate di alabarde, che sorvegliavano
sulla disciplina e sul buon ordine, sotto la guida del gastaldo. Quando capitava il caso, si procedeva all’arresto dei colpevoli per i quali c’era una piccola prigione nel torrione. Poi il gastaldo del Capitolo - il quale era il « Signore
feudale » del castello - teneva tribunale sotto un tiglio presso la chiesa o nell’auditorio dinanzi ad essa. Nel 1797, con la venuta dei Francesi, questi
costumi feudali vennero aboliti; e le poche vecchie armi, usate di solito per lustro o per spari festivi nelle occasioni più importanti, vennero
definitivamente sequestrate dalla polizia austriaca immediatamente dopo la rivoluzione del 1848: umile contributo del Santuario alla causa del Risorgimento Nazionale!
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Il Santuario nel secolo XVI
Ma ritorniamo indietro nel tempo e riprendiamo la storia da quello
sconvolto secolo XIV, a cui abbiamo accennato più sopra.
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Il grande rifacimento del Santuario negli anni 1469-1479 - testimoniato da una lapide del 1475, infissa sulla parete ovest del campanile - fu accompagnato dalla istituzione di una Confraternita di Santa Maria, alla quale si iscrissero molti devoti. Entrambi i fatti determinarono una fervida ripresa della pietà mariana.
Ce n’era veramente bisogno! E non fu certo la più piccola grazia largita allora dalla Madonna, perché la devozione a Maria divenne la più valida salvaguardia contro i disordini del tempestoso Cinquecento. |
Il 1° agosto 1510 Cividale sostenne vittoriosamente un fiero assedio di numerose
truppe tedesche; ed a ricordo della vittoria, attribuita alla protezione della
Vergine, la città fece da allora un votivo pellegrinaggio a Castelmonte la prima
domenica di settembre.
Il 27 febbraio 1511 scoppiò in Udine una sanguinosa guerra civile, che dilagò in
tutto il Friuli, portando ovunque morte, incendi e rovine. Quasi non bastasse,
un terremoto atterrò il castello di Udine e molti altri nella Patria; e subito
dopo scoppiò la peste. Nel maggio la Confraternita dei Battuti di Udine saliva
penitente ad implorare la Madonna del Monte.
Nel 1513 un altro terremoto danneggiò gravemente il castello ed il Santuario.
Toccò mettere mano a nuovi ingenti lavori, che durarono sino al 1544. Fu in
questo periodo che, in soddisfacimento di un suo voto personale, lavorò nel
Santuario anche il celebre Giovanni da Udine, amico e collaboratore del grande
Raffaello, facendovi il volto a stucchi nella cappella della Madonna - perduti
alla fine di quel secolo - ed altre cose, fra le quali gli viene attribuita la
decorazione della cripta di S. Michele.
Altre gravi epidemie afflissero il Friuli lungo il Cinquecento. Gravissima
fu la pestilenza del 1576, dalla quale la città di Gemona riconobbe di
essere stata salvata per intercessione di Maria; perciò il 20 giugno un
importante pellegrinaggio di Gemonesi salì a rendere grazie a Castelmonte,
portandovi un plastico in argento della loro città, opera dell'artefice
bellunese G. B. Paduan. Intanto, nel 1521, Lutero aveva scatenata la
rivolta religiosa del Protestantesimo, che lungo il secolo si diffuse
largamente sino alla Carinzia, al Goriziano ed all’Istria. Il grande
patriarca d’Aquileia Francesco Barbaro (1593-1616) attribuì alla Vergine
la salvezza del Friuli dall’eresia. Ed il Santuario di Castelmonte vi ebbe
una sua parte, perché lassù, prima che in molti altri luoghi, fiorì la
Confraternita del SS. Sacramento, che fu uno dei mezzi più potenti della
riscossa cattolica.
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Dai primi del Seicento al 1913
Un’ultima ventata di guerra sfiorò il Santuario dal 1615 al 1618, quando delle
scorrerie tedesche - in lotta con la Repubblica di Venezia - misero a fuoco i
villaggi vicini; ma anche stavolta Castelmonte fu salvo.
Si ebbero inoltre nuovi focolai o pericoli di peste, sia nel Seicento come ai
primi del Settecento, ma non della gravità dei precedenti. In complesso i due
secoli trascorsero abbastanza tranquilli, funestati soltanto da ricorrenti anni
di carestia.
In questo lungo periodo di pace si poté procedere a una notevole
trasformazione edilizia del castello e del Santuario. Nel 1643-1645 venne
costruito, ad esempio, il pozzo che ancora sussiste: fu un tentativo per
risolvere il secolare problema del rifornimento d’acqua, che però diede
scarsi risultati. E nel 1674 fu eretta la Loggia che sta dinanzi al pozzo
con la grande trifora delle porte.
Anche il borgo castellano cambiò volto. Prima era formato da casupole
coperte per lo più da lastre di pietra. Il Capitolo di Cividale acquistò
poco a poco le casette sulla destra, salendo la viuzza, e le sostituì con
dormitori per pellegrini; solo in basso - dove c’è ancora un negozio di
oggetti religiosi - rimase una scuderia o stallo, a commodo di coloro che
salivano al Santuario con giumenti o carri.
| Sulla sinistra, invece, c’erano in alto le due case delle Confraternite di Santa Maria e del Santissimo, che, distrutte da un incendio il 17 gennaio 1785, vennero subito dopo ricostruite nella forma attuale, e nel 1825 passarono in proprietà del Santuario, come indicano le due tabelle in pietra « Casa di Santa Maria » che furono allora collocate. |
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Nello stesso Santuario si fecero molti ampliamenti, dopo due crolli della parte
anteriore nel 1666 e nel 1733; mentre agli altari in legno venivano sostituiti
nel 1685-87 gli attuali in marmo, costruiti da Paolino Tremignon di Venezia.
Il 15 maggio 1744 l’ultimo patriarca di Aquileia, Daniele Delfino, consacrava il
Santuario rinnovato, ed a ricordo di quella celebrazione rimase un paramento
sacro, nella cui pianeta si vede il suo stemma coi « tre delfini ».
Passata la bufera napoleonica, con la confisca degli oggetti preziosi e
l’incameramento dei beni, la vita del Santuario trascorse tranquilla lungo il
secolo XIX, turbata soltanto dopo il 1866 da un secondo incameramento e da
alcuni provvedimenti di disturbo, persino contro i pellegrinaggi, provocati
dall’anticlericalismo allora imperante.
Ma il problema più grave si rivelò l’inadeguatezza del servizio religioso,
a cui non poteva bastare il curato, assistito da cooperatori occasionali
nella stagione di maggior frequenza: problema che si fece acutissimo verso
la fine del secolo, per l’aumentare della popolazione e soprattutto per il
rifiorire del sentimento religioso, suscitato dalla nascente Azione
Cattolica e dalla maggiore frequenza ai SS. Sacramenti.
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Fu così che l’arcivescovo di Udine, mons. Antonio Anastasio Rossi, col consenso del Capitolo di Cividale, decise nel 1913 di affidare il Santuario ai Cappuccini della Provincia Veneta. Ed il 5 settembre di quell’anno i Cappuccini ne presero felicemente possesso. |
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Padre Eleuterio a Castelmonte
Felicemente, davvero! Specie perché alla guida del primo manipolo
cappuccino si trovò l’anima grande di P. Eleuterio da Rovigo, che per
ventidue anni profuse il suo zelo entusiasta ed entusiasmante allo scopo
di dare al Santuario un migliore aspetto materiale, dotandolo di tutti i
servizi utili alla sua funzionalità, e particolarmente di elevarne al
massimo la vitalità spirituale.
Dopo il primo anno del necessario assestamento, già sul finire del 1914 P.
Eleuterio iniziava la pubblicazione del bollettino mensile « La Madonna di
Castelmonte ». E nella sua mente si affollavano progetti su progetti,
quando anche l’Italia fu travolta, il 24 maggio 1915, nella bufera della
prima guerra mondiale.
Il confine con l’Austria correva, in questa zona, a circa un’ora di
cammino da Castelmonte, lungo il fiume Judrio, che scorre incassato nella
vallata ad est, oltre Oborza - il paese che si scorge dal Santuario - ed n
il monte Plagnava.
Ma gli Austriaci non vi opposero resistenza. E l’esercito italiano l’oltrepassò subito, superando anche il monte Corada, che si erge tondeggiante di fronte, e
raggiungendo il fiume Isonzo, sino a fare una testa di ponte sulla sua riva
sinistra, che venne mantenuta dopo una dura battaglia, detta di Plava, ai primi
di luglio.
Il Santuario rimase però in « zona di guerra », ed i pellegrini vi potevano
filtrare poco e di rado. Lo visitarono invece lo stesso re e numerose autorità
militari; e vi sostarono in preghiera numerosi combattenti nell’andata e nel
ritorno dal fronte.
| Il 28 ottobre 1917 gli Austriaci riuscirono a forzare lo schieramento italiano a Caporetto e dilagarono in breve sulla pianura friulana. Non saranno arrestati che sulle rive del Piave. In quella circostanza si ebbe un glorioso episodio di resistenza presso la chiesina di S. Nicolò di Jainich, che da Castelmonte si vede biancheggiare a nord, sul dorsale del monte Spigh. Purtroppo gli invasori profanarono allora il Tabernacolo del Santuario, disperdendone al suolo le Sacre Specie; rispettarono invece l’immagine della Madonna. |
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Cessata la guerra il 4 novembre 1918, il Santuario divenne subito meta di
pellegrinaggi sempre più numerosi, specialmente da parte degli ex-combattenti.
Nella primavera del 1921 venne ripresa la pubblicazione del bollettino. E
lo stesso anno P. Eleuterio, dopo una breve assenza a Trieste, ritornava a
Castelmonte per realizzarvi un progetto, vagheggiato già da un secolo, e
che egli aveva fatto proprio: la solenne incoronazione della Madonna e del
Bambino.
A compiere il rito sarebbe dovuto venire il card. Ratti, arcivescovo di
Milano, che aveva già dato la sua adesione; ma il 6 febbraio fu eletto
Sommo Pontefice col nome di Pio XI. Preparata da una intensa serie di
pellegrinaggi, la cerimonia venne compiuta dall’arcivescovo di Udine mons.
Rossi il 3 settembre 1922, non nel Santuario, ma nella vasta conca del
Plagnava, in mezzo a ben 35.000 pellegrini. Le due preziose corone,
formate da 7.800 minutissimi pezzi di metalli preziosi e di gioie furono
eseguite su disegno del triestino Giuseppe Janesich.
Purtroppo la notte del 13 agosto 1932 audaci ladri sacrileghi riuscirono a
penetrare nel Santuario, involandone le corone con altri oggetti di valore.
Tutto il Friuli ne fu sgomento; ma tale e tanta fu la generosità dei devoti
della Madonna di Castelmonte, che in un anno erano pronte altre due corone,
identiche alle prime. Questa volta la cerimonia della Incoronazione venne
rinnovata, nello stesso luogo della prima ed in eguale cornice di folla, il 15
agosto 1933, dal patriarca di Venezia, card. Pietro La Fontaine.
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Nel frattempo P. Eleuterio aveva provvisto il Santuario di un nuovo organo, della Ditta Kacin di Gorizia, nel 1925. E nel 1927 era riuscito a dotare Castelmonte della illuminazione elettrica, di un ufficio postale e di una scuola per i fanciulli del borgo castellano e dei paesi vicini. Lo stesso anno aveva demolito un edificio che si addossava alla facciata della chiesa per tre quarti, e vi aveva aperto l’attuale portale al centro. Nel 1930 l’intera facciata del Santuario in pietra viva era completata su disegno del cividalese Leo Morandini, e nella lunetta del portale era stato collocato il mosaico, proveniente dalla Scuola Mosaicisti del Vaticano. |
P. Eleuterio si era inoltre preoccupato di offrire una migliore ospitalità ai
pellegrini. Sino allora, infatti, molti di coloro che arrivavano a Castelmonte
la vigilia delle feste erano costretti a passare la notte nella stessa chiesa,
oppure accoccolati alla meglio su per le gradinate e persino lungo la scalinata
di accesso al castello. Kiel 1929 venne aperto un camerone con cento posti letto
accanto alla chiesa. E P. Eleuterio aprì inoltre ben tre grandi vasche,
raccoglitrici dell’acqua piovana, per rimediare, come meglio si poteva, ai
bisogni dei pellegrini.
Non è a dire, poi, quanto il buon Padre si preoccupasse perché il Santuario
fosse un focolaio di vivace e solida pietà. Coadiuvato dagli altri Padri, fra i
quali sino dal 1920 fu al suo fianco P. Arcangelo da Rivai di santa memoria,
curò che i pellegrini trovassero nel Santuario un servizio perfetto
nell’amministrazione dei santi sacramenti e nelle sacre funzioni; mentre il
bollettino, attraverso una sapiente organizzazione di zelatrici, portava
dovunque una eco del dolce colloquio iniziato quassù con la Madonna di
Castelmonte.
Così P. Eleuterio era maturo per il premio dei Cieli. E si può ben dire che la
Madonna stessa venne a prendere il suo apostolo fedele. Era la mattina dell’8
settembre 1935, giorno sacro alla Natività della Vergine, nel quale l’affluenza
al Santuario tocca la punta più alta. P. Eleuterio aveva celebrato la Messa e
s’era messo, benché stanco, nel confessionale; poco dopo ne uscì dicendo: - Mi
sento male; non ne posso più! - Ci si avvide subito della gravità; gli vennero
amministrati i sacramenti; e nella stessa mattinata si spegneva nel Signore.
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Sulle orme di Padre Eleuterio
Emuli del venerato primo Custode del Santuario, i Rettori che seguirono a P. Eleuterio diedero via via sempre più bella forma all’aspetto materiale del
castello e della chiesa, ed un ritmo sempre più intenso alla sua spiritualità.
Ma ecco sopravvenire la seconda guerra mondiale ad imporre una sosta dolorosa.
Questa volta pareva che il teatro di battaglia fosse ben lontano. Invece, dopo
l’armistizio dell’8 settembre 1943, cominciarono a risentirsi anche qui gli
effetti dell’occupazione tedesca.
Poiché arrivarono fino a Castelmonte, o vi sostarono alquanto, gruppi di
partigiani, il Comando Germanico sottopose il castello a cannoneggiamento il 6,
il 12 ed il 18 novembre 1943. Il più grave fu quello del 18, quando in 45 minuti
ben 300 obici scrosciarono sulla chiesa, sul convento, sulle mura e nei
dintorni. Per fortuna non si ebbero vittime.
La statua della Madonna era stata opportunamente trasferita nella cripta
sotterranea, donde non sarà tolta che il 15 luglio 1945, per essere
ricollocata, dopo una solenne funzione sul piazzale, nella nicchia di
sopra all’altar maggiore.
I primi anni del dopoguerra non consentirono, anche per la crisi
economica, lavori di rilievo. Del resto c’era già abbastanza da fare nella
riparazione dei danni causati dai bombardamenti e nel riattare la strada
di accesso al Santuario, rimasta per anni abbandonata.
E nel 1948, quasi a chiudere un periodo di vita del Santuario o piuttosto ad
aprirne un altro nuovo, venne inaugurata nel sagrato dinanzi alla chiesa il
busto bronzeo di P. Eleuterio, opera dello scultore Geminiano Cibau da Milano; e
sul colle di fronte venne innalzata la croce luminosa, che verrà poi rinnovata
in materiale più resistente alle violente raffiche di vento, che sono di casa su
queste cime.
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Gli ultimi anni
Appena le condizioni economiche accennarono a migliorare, i Padri Cappuccini si
preoccuparono di dare una più disciplinata sistemazione al ricovero dei
pellegrini, assumendo nel 1949 sotto il loro controllo la « Casa di S. Maria ».
E subito dopo rivolsero tutte le cure per rendere più devoto l’interno del
Santuario.
| Dal 1950-54 le pareti tutt’intorno vennero rivestite di travertino, poi sostituito con un tessellato marmoreo, volutamente scabro, per impedire che l’indiscreta pietà di certi devoti le deturpassero con scritte inopportune. |
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Nello stesso tempo fu fatta una rigorosa cernita degli ex-voto, ai quali vennero
riservate apposite bacheche di sopra il tessellato stesso, mentre i più ingombranti erano trasferiti nella cripta.
Si provvide a rialzare di un metro e mezzo il tetto del Santuario, nelle
cui pareti vennero praticate delle finestre lunghe con vetri istoriati
rappresentanti i misteri della vita della Vergine, eseguiti su disegno del
pittore Mariotti da Milano; la Via Crucis in bronzo venne benedetta nel
1956 ed è opera del prof. Giuseppe Scalvini, pure da Milano. Anche il
campanile venne elevato nel 1954 di circa 6 metri e dotato di
sonorizzazione elettrica, con un carillon che riproduce il motivo
dell’inno del Santuario (Ditta Brodi di Udine). Tutte queste opere di
rinnovamento furono condotte sotto la direzione dell’architetto dott. A.
Alpago - Novello di Milano.
Nel 1956 la Ditta Ruffatti di Padova forniva inoltre un nuovo organo, in
sostituzione di quello del 1925, che passò al SS. Redentore di Venezia.
L’iniziativa, sotto un certo aspetto più importante di questo periodo, fu quella
dell’acquedotto. Si ricorse alle ricerche di parecchi rabdomanti, nella speranza
di trovare una sorgiva vicina al Santuario. Ma alla fine si decise
coraggiosamente di costruire quel grande collettore d’acque, che s’intravvede
lontano, a sud, nel primo bosco del monte Plagnava. I lavori imponenti, iniziati
nel febbraio 1953, erano portati a compimento un anno e mezzo dopo. Ed il 4
settembre 1954 il suono festoso delle campane salutava l’arrivo dell’acqua al
Castello.
Altra grande opera fu quella della asfaltatura della strada, iniziata nel
1957, col contributo della Provincia di Udine e dei Comuni di Cividale e
di Prepotto. Portata a termine nel 1959, nel 1963 venne in più punti
allargata e corretta, in modo da consentire un più sicuro accesso ai
numerosi pullman che, specie nella stagione estiva, si arrampicano per i
tornanti sino a Castelmonte. In pochi anni l’affluenza dei pellegrini si moltiplicò talmente che fu
necessario aprire nel 1959 il largo piazzale, tagliando parte della collina
della Croce. Nel 1960 venne pure costruito l’edificio seminterrato verso il rio
della Madonna, a sud, col modernissimo bar che affiora sul piazzale stesso. Ma
dove accogliere tanti pellegrini?
Il Santuario non bastava più. E la ressa non era senza inconvenienti, sia perché
ne veniva compromesso il raccoglimento, sia perché era reso difficile lo stesso
servizio religioso.
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Ed ecco allora i Padri Cappuccini accingersi alla grossa impresa di scavare nella viva roccia una chiesa inferiore, di uguale capienza del Santuario: opera compiuta in due riprese, nel 1956 e nel 1962-63, su disegno e sotto la direzione dell’arch. A. Alpago - Novello. Fu durante questi scavi che emersero i pavimenti in cocciopesto dell’epoca romana: come premio della Madonna alla coraggiosa iniziativa, come una prova luminosa stampata nelle pietre dell’augusta antichità del Santuario! |
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Pellegrini a Castelmonte
Non sono mancati a Castelmonte, lungo i secoli, pellegrini di una qualche
celebrità: re e principi o cardinali o letterati od artisti. E vale la pena di
ricordare che persino i personaggi più solenni, usi ad andare a cavallo od in
carrozza, un tempo scendevano dal destriero o dal cocchio alla casetta della
Moldiaria, cioè a tre quarti del monte, per fare a piedi la restante salita.
Meritano ricordo la Beata Benvenuta Bojani da Cividale, del secolo XIII,
che da giovinetta saliva sovente quassù; più tardi, quando la severità del
raccoglimento e delle penitenze non le permetteva più di pellegrinare, si
gettava in ginocchio nel suo orticello, donde poteva vedere Castelmonte, e
di laggiù tendeva le braccia ed il cuore verso la Madonna santa, la cara «
Madonna del Monte ». E il francese S. Benedetto Giuseppe Labre, del
secolo XVIII, celebre per il suo pellegrinare in estrema povertà di
santuario in santuario, che secondo la tradizione salì a Castelmonte
intorno al 1773; fu il grande musicista cividalese, mons. Jacopo Tomadini
(1820-1883 ), che ne raccolse la memoria ed offri al Santuario il quadro
che lo raffigura.
Questi due santi ci siano di modello; ognuno di noi ne abbia lo spirito,
per raccogliere dal pellegrinaggio un qualche frutto di santità.
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