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Droga
Di Stefano Esposito, pubblicato su visto 1991 N° 44 vai alla pagina iniziale
Le incredibili imprese criminali d'un sacerdote preso a Bogotà: nascondeva 3 chili di droga in una valigia
COSI DON ABBACCHIO
È DIVENTATO DON COCA
Nel paese marsicano, in cui sino a tre anni fa era parroco, si ricordano ancora di Franco Monde/lini per le molte truffe e una curiosa abitudine: «Amava fare grandi abbuffate di agnello e non pagava i fornitori». Maneggiava grosse somme di denaro, spesso si faceva chiamare monsignore, girava con l'autista. Sospeso a divinis, scomparve misteriosamente
Don Franco Mondellini, 62 anni (foto grande), e nato a Parabiago, in provincia di Milano, dove vivono ancora alcuni suoi parenti, con i quali però aveva rotto i rapporti. Tornava ogni tanto per visitare la madre, ora deceduta. Nel '63 si era trasferito nell'alto Varesotto, poi in Brasile, dove fu
ordinato sacerdote, quindi in Calabria e poi in Abruzzo. Dopo essere sparito per tre anni è ricomparso all'aeroporto di Bogotà, in Colombia (qui a destra): è stato sorpreso con tre chili di coca nella valigia (sotto).
di STEFANO ESPOSITO
L'Aquila, ottobre.
D on Abbacchio era sparito. Lo avevano visto l'ultima volta nella primavera del 1988 mentre usciva, cupo e silenzioso, dalla stanza del vescovo, monsignor Terrinoni. Il prelato aveva deciso di parlar chiaro a quel parroco chiacchierato: «Don Franco», gli aveva detto, «tutti sanno che maneggi grosse somme di denaro e che nei tuoi traffici ha coinvolto anche altre persone. Devo sospenderti a divinis».

Il giorno dopo don Franco Mondellini, 62 anni, meglio noto come don Abbacchio, faceva i bagagli e abbandonava per sempre la sua parrocchia di Aielli Stazione.

È ricomparso ne giorni scorsi a Bogotà. Tunica nera, collette bianco inamidato, stava per imbarcarsi per Parigi. Un poliziotto lo ha fermato per un normale controllo: «Apra la valigia prego». Don Abbacchio è impallidito quando dal sottofondo di quella borsa nera sono saltati fuori tre chili di cocaina. Un prete corriere della droga?

Per molti non è proprio stata una sorpresa. Che nella vita di quello strano sacerdote ci fossero molte ombre se lo ricordano in tanti, sopratutto ad Aielli.

«Don Franco? Un gran mangiatore, gli piace soprattutto l'agnello e se lo faceva cucinare in svariati modi, ma poi non pagava i fornitori», dice Augusto Di Natale, commensale del sacerdote e tra i pochi a non aver subito truffe dal prete. La storia di questo reverendo è confusa. Le sue frequentazioni, il suo stesso sacerdozio sono coperti da un alone di mistero.

Nato a Parabiago, vicino a Milano, venne ordinato sacerdote in Brasile e, dopo una parentesi in un paesino della Locride in Calabria, giunse ad Aielli nel 1988. Lì lo accolsero a braccia aperte, con una gran festa a cui parteciparono un po' tutti i paesani.

«Sembrava un prete di quelli colti, aveva girato parecchio e la stessa presenza di don Angelo, un prete colombiano che lui presentava come viceparroco, dimostrava che questo sacerdote era un cosmopolita, quindi uno ammanicato», racconta Ivo Callocchia, sorridendo al ricordo di come il «fascino» di don Franco abbia poi funzionato per le piccole e grandi truffe messe in atto e che, una volta scoperte, lo hanno costretto a fuggire facendo perdere le proprie tracce.
Don Abbacchio, come lo chiamavano ad Aielli, si spacciava spesso per monsignore e Abramo Di Nicola (qui a canto) che sgomberò la canonica dopo la improvvisa partenza del parroco, mostra divertito il cappello che si tenne per ricordo (e perché non era stato pagato). Qui sotto, il macellaio del paese, Venanzio Iacóbucci: «Pagò parte dei debiti con un assegno risultato poi scoperto», dice. A sinistra, l'amico colombiano di don Abbacchio, don Angelo, che forse ha introdotto l'intraprendente prete in un nuovo giro d'affari.

Assegni a vuoto, acquisti senza pagamento, prestiti in denaro mai restituiti, millantato credito, abuso di carica (si faceva passare anche per cardinale e, appeso nell'armadio, aveva un bell'abito porpora) sono le accuse per le quali il pretore di Celano, Marco Lipari, lo dovrebbe processare il 25 ottobre. Ma l'arresto a Bogotà probabilmente farà rinviare tutto.

Un comportamento oltre che truffaldino, anche strano, quello di don Franco: c'era quotidianamente un gran viavai di auto targate Milano, Varese, Reggio Calabria; quasi sempre la sera lui spariva e tornava la mattina successiva.

Ma ciò che indispettì maggiormente i fedeli, fu vedere il furgone di un negozio d'arte sacra di Roma parcheggiato davanti alla chiesa e nel quale fu caricata la statua di san Giuseppe acquistata da don Franco per un milione e pagata con il solito assegno fasullo.

Un altro aspetto poco chiaro era la tendenza ad evitare sistematicamente qualunque cerimonia che non fosse la messa: «Non ha lasciato neppure uno scritto, né un atto con la sua firma. Né un battesimo, né un matrimonio. Solo un funerale nel corso del quale dimenticò anche di benedire la salma. Era un furbacchione quello lì», commenta amaramente don Francesco Di Girolamo, nuovo parroco di Aielli Stazione.
«Non sapeva celebrare nemmeno
i funerali»

«Per la verità quando recitava il rosario», racconta Anna Di Pietro, «io mi accorgevo che sbagliava i misteri. Confondeva il doloroso con il glorioso, insomma una gran confusione, tanto che i primi tempi sospettammo che non fosse prete. Pensi che quando si trattò di celebrare il battesimo di mio nipote, dopo averci detto ciò che dovevamo fare, scomparve e al suo posto si presentò don Angelo, il colombiano».

Tuttora in paese è vivo un certo timore nei confronti di don Abbacchio che, stando ai si dice, girava pure armato, aveva l'autista e una perpetua a sua disposizione e affliggeva le suore dell'asilo con continue richieste di pranzi per cinque, dieci persone.

La sensazione di aver avuto a che fare con un personaggio losco è forte ad Aielli e da ciò deriva la resistenza a parlare e a raccontare tutte le malefatte che in tre mesi hanno consentito al sacerdote di raggranellare qualcosa come 43 milioni ai danni dei suoi fedeli. Non tutti hanno voglia di riconoscere di essere stati gabbati e qualcuno può ben dire di essere stato fortunato.

«Io per fortuna l'ho scampata bella», racconta Fernando Piccone, proprietario di un ristorante, «perché mia moglie, che è tedesca, ha subodorato qualcosa e mi ha impedito di consegnargli i 70 milioni che mi aveva chiesto per ottenere una convenzione con il Vaticano. Certo a raccontarla oggi sembra ridicola, ma don Abbacchio ci sapeva fare. Aveva già steso la bozza di un contratto regolare con il quale mi garantiva pasti quotidiani per una somma enorme. Ne parlai con mia moglie e fu lei a dissuadermi».

Un tantino peggio è andata ad Angela, la parrucchiera del paese che, allettata dalle promesse di don Franco, gli ha regalato 10 milioni, più un set nuovissimo di valigie e pasti luculliani e dietetici.

«Eh sì, sosteneva di avere un po' di diabete, per cui le pietanze dovevano essere anche delicate», ricorda la donna, «e durante quei pasti mi disse che era in grado di far assumere mio figlio o alla Nato o all'Onu, ma ovviamente occorreva ungere alcune ruote. Ci sono cascata, tutto qui».

Chi invece si è accontentato è Abramo Di Nicola, che mostra divertito il cappello felpato da cardinale trattenuto durante lo sgombero della canonica.

L'attività truffaldina del sacerdote ad Aielli è durata per fortuna solo tre mesi, finché l'allora vescovo dei Marsi, monsignor Biagio Terrinoni, lo ha sospeso a divinis. Dal 16 maggio 1988 è scomparso senza lasciare traccia. Rituffatosi nelle sue attività illecite in più grande stile è finito (chissà se con don Angelo il colombiano) a Bogotà dove all'aeroporto gli hanno trovato la coca. Per questo ex sacerdote sconsacrato ora le cose diventano molto, ma molto più serie e difficili di quanto non lo potevano essere con il pretore di Celano e, parafrasando il Manzoni, è proprio il caso di dire che don Franco è finito dall'altare alla polvere... bianca.

Stefano Esposto
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