Le noterelle che seguono rappresentano l’ultimo scritto di una certa consistenza di Gian Franco Ciaurro, di recente scomparso, già segretario generale della Camera dei deputati e per molto tempo addetto ai servizi di resocontazione di Assemblea. Esse sono dedicate alla burocrazia parlamentare, ma riguardano in gran parte problematiche e ricostruzioni legate alla resocontazione dei lavori parlamentari, e per questo motivo vengono qui riprodotte.

Del resto, in passato, durante un convegno alla LUISS di Roma il compianto amico Paolo Ungari definì Ciaurro “il miglior resocontista (sommarista, ndr) vivente”. Gian Franco Ciaurro ne fu lusingato, non tanto per sé quanto per  rispetto di una antica professione, proprio perché era convinto che solo chi avesse avuto quelle doti (freddezza, sinteticità, rapidità, immediatezza intellettuale, capacità di decidere e di assumersi responsabilità) tipiche del sommarista potesse poi aspirare a dirigere una struttura complessa come quella parlamentare.

Sulla stessa scia sostanzialmente Beniamino Placido, di recente, ha affermato che “nei venti anni trascorsi alla Camera ho imparato a riassumere … Se ti mandavano in Aula a fare il resoconto dovevi essere capace di capire immediatamente qual era il centro, il nocciolo del discorso… Capire, intuire il baricentro del discorso e saperlo riassumere senza falsarlo in poche righe”.

 

 

Noterelle sulla burocrazia parlamentare

 

 

Scrivevo nel 1969, in un articolo sull'apparato tecnico-burocratico delle Camere parlamentari (1), che la trattazione di questo argomento era abbastanza inconsueta, pur nella fioritura di studi sul Parlamento e sul diritto parlamentare. Qualche anno più tardi Enzo Cheli, intervenendo nel 1981 ad un Convegno su funzioni, responsabilità e limiti della burocrazia parlamentare (2), registrava anch'egli che "non esistono, sulle strutture serventi delle Assemblee parlamentari, studi organici e neppure rilevazioni complete ed aggiornate, mentre i manuali e le opere generali di diritto parlamentare si limitano, per lo più, sul punto, ad osservazioni fugaci" (3). Ancora recentemente, nel 1997, Paolo Barile faceva una constatazione sostanzialmente non diversa per la più ampia tematica delle amministrazioni degli organi costituzionali, scrivendo nella Presentazione del volume collettaneo: Le amministrazioni degli organi costituzionali (4), che quest'opera affronta i relativi problemi "per la prima volta in Italia". C'è dunque una sorta di filo comune che collega, si può dire da sempre, la riservatezza connaturata alla professionalità degli apparati degli organi costituzionali con una persistente ritrosia a trattare pubblicamente gli argomenti che li concernono, neppure in sede di elaborazione scientifica o trattatistica.

Per quanto riguarda specificamente la burocrazia parlamentare, c'è da pensare allora che non sia infondata l'opinione espressa da Donato Marra (5), secondo cui non siamo ancora completamente usciti da un modello di funzionario parlamentare dai contorni indefiniti, a mezza strada tra il consigliere autorevole e l'eminenza grigia, che affida larga parte della sua influenza e del suo prestigio più alle sue capacità personali che alle cariche ricoperte: un modello che forse si perpetua in quanto gratificante e soprattutto "comodo" per i diretti interessati, cumulando il massimo di potere con il minimo di responsabilità. Ma, se così è, debbo dire francamente che mi sembra gran tempo di superare quel modello ed ogni suo eventuale residuo in vista dei principi di razionalizzazione e di trasparenza cui deve informarsi l'organizzazione del Parlamento, come delle altre pubbliche istituzioni, in una moderna società democratica. Occorre per questo completare il lavoro già da tempo avviato per ridefinire con chiarezza (ormai, direi, anche a livello dei regolamenti delle Camere) il ruolo e le responsabilità dell'apparato tecnico-burocratico come struttura di garanzia e come necessario supporto alle nuove esigenze che si pongono per il Parlamento in un paese che si va rapidamente trasformando.

Ciò anche nella prospettiva di una probabile ristrutturazione complessiva del nostro Stato in senso federale, nell'ambito della quale il Parlamento (e con esso il suo apparato tecnico-burocratico) non potrà che rappresentare uno snodo essenziale, in quanto chiamato a collegare, sul terreno della valutazione dell'interesse generale, l'intero sistema delle autonomie territoriali con l'apparato centrale dello Stato, con l'ordinamento dell'Unione europea e con quello internazionale (6). In questo contesto, l'attività conoscitiva e d'informazione dell'apparato parlamentare finirà per assumere una funzione anch'essa "centrale", specie se riuscirà a costituirsi non come struttura autarchica e autosufficiente, ma come strumento di raccordo istituzionale della società politica con soggetti esterni che si presentano come i maggiori accumulatori pubblici di conoscenze (dalla Banca d'Italia all'ISTAT, dal Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro al Consiglio nazionale delle ricerche, dalla Scuola superiore della pubblica amministrazione alle università), recuperando nel contempo un rapporto funzionale con la Ragioneria generale dello Stato, con l' Avvocatura dello Stato e soprattutto con la Corte dei conti, che da tempo nella pratica non costituisce più il "braccio del Parlamento" di cui parla la definizione tradizionale.

Nei confronti di questi soggetti esterni l'attività degli apparati delle Camere dovrà allora porsi soprattutto come intelligente committenza e come obiettivo riordinamento degli elementi acquisiti (Affinita) per consentirne una razionale utilizzazione da parte dei parlamentari e del sistema politico nel suo complesso.

In queste Noterelle ho cercato di richiamare alla memoria situazioni e impressioni del lungo periodo (quasi trent'anni) che ho trascorso nell'Amministrazione della Camera dei deputati, e di ricavarne anche qualche spunto di riflessione sulle linee portanti del processo evolutivo che in quel periodo si è aperto e che ha conseguito anche risultati di notevole rilievo. Senza alcuna pretesa, ovviamente, di trattazione organica ed esaustiva dell'argomento, ma con l'intento di fissare sulla carta alcuni elementi forse poco o mal noti che ritengo possano contribuire alla ricostruzione delle vicende della transizione, dalla burocrazia parlamentare "servente" del tempo che fu, ad una moderna tecnostruttura con una propria identità e con autonomi poteri e funzioni; ricostruzione che penso non inutile, posto che quella transizione non mi sembra tuttora conclusa.

Quando nel 1961 entrai alla Camera dei deputati come "revisore", l'apparato tecnico-burocratico dei due rami del Parlamento aveva ancora funzioni prevalentemente resocontistiche e notarili, con l'aggiunta di qualche modesta funzione più propriamente amministrativa. Qualitativamente, insomma, non differiva molto dai moduli tradizionali del Parlamento subalpino, recepiti poi nel Parlamento italiano e perfezionati alla Camera nel ventennio dal 1907 al 1927 in cui ne era stato Segretario generale Camillo Montalcini.

Quantitativamente la struttura si era però accresciuta nel tempo, fino a determinare un vero e proprio intasamento nei quadri direttivi.

Nel ricevere noi giovani funzionari per l'assunzione in servizio dopo un difficile concorso, il Segretario generale Coraldo Piermani ci chiarì che il lavoro alla Camera era interessante, il trattamento economico buono - particolarmente, ci tenne a precisare, il trattamento pensionistico - ma che dovevamo toglierci dalla testa eventuali propositi di progressione in carriera. Era un discorso in qualche modo scoraggiante, che i fatti non hanno confermato, come dirò poi, ma che corrispondeva alla situazione parlamentare di quel periodo, in cui all'apparato si chiedeva soltanto di assicurare al meglio il funzionamento materiale del "palazzo", il trattamento dei deputati, le attività di cerimoniale e soprattutto la fedele registrazione, certificazione e diffusione dei lavori dell'Assemblea e delle Commissioni.

La professionalità più specifica del funzionario parlamentare era appunto quella del "revisore", che doveva provvedere alla resocontazione dei dibattiti dell'Assemblea con due distinti strumenti, oggetto di separate pubblicazioni: il "resoconto sommario" e il "resoconto stenografico".

Il resoconto sommario, nella forma introdotta alla Camera dal 1879 e al Senato dal 1882, era una libera sintesi politica (non un riassunto) di quanto si faceva e diceva nell'Aula parlamentare. Non aveva carattere ufficiale, e quindi non era suscettibile di determinare contestazioni o rettifiche. Aveva però una forte valenza informativa di tipo giornalistico, offrendo alla stampa e a chiunque vi fosse interessato una fonte agile e attendibile cui attingere per conoscere quanto avveniva in Parlamento, quasi in tempo reale (il "sommario" veniva redatto mentre l'oratore parlava, ed era disponibile in "strisce" stampate meno di mezz'ora dopo), senza che fosse necessario seguire direttamente i lavori o leggere nei giorni successivi le centinaia di pagine dei resoconti integrali.

Del resoconto sommario delle sedute d'Assemblea si redigeva pure un'ulteriore ed ancora più ridotta sintesi, denominata "bisunto" nel lessico scherzoso di noi funzionari parlamentari, che ogni sera veniva diramata telegraficamente a tutte le prefetture.

Con una tecnica abbastanza simile a quella del resoconto sommario d'Aula si procedeva alla redazione dei "comunicati" delle sedute di Commissione da parte dei funzionari addetti ai rispettivi uffici di segreteria.

La difficile arte della resocontazione sommaria era molto apprezzata anche all'esterno del Parlamento, e si affidava spesso a funzionari parlamentari il compito professionale di sintetizzare con immediatezza i lavori di altri organi istituzionali, di convegni, assemblee, congressi di partito e simili. Di quest'arte mi fu maestro un collega più anziano, Vittorio Falzone, nominato in seguito Estensore del processo verbale della Camera, che della sinteticità e dell'eleganza stilistica dei resoconti era un cultore intransigente e quasi fanatico. Falzone diceva che un buon resocontista non è quello che riesce a riassumere tutte le idee esposte dall'oratore, ma lo è quello che riesce ad enucleare e a riferire in breve l'unica tesi o le poche tesi per sostenere le quali l'oratore si era indotto a prendere la parola, omettendo le altre; mentre pessimo resocontista è quello che riferisce magari le argomentazioni minori e di contorno, ma non sa identificare il punto focale, la ragione di fondo del discorso resocontato. A questa stregua, il miglior riconoscimento "sul campo" delle capacità del revisore era I' elogio dell'oratore che, rileggendo il resoconto sommario del suo intervento, finiva spesso per commentare che il compilatore del "sommario" gli aveva fatto dire bene quello che avrebbe voluto dire, ma non era riuscito a dire in forma chiara e comprensibile.

Diversa era invece la professionalità del revisore incaricato di rivedere i resoconti stenografici integrali dei lavori dell'Aula (e anche delle Commissioni, nei casi in cui venivano redatti), al fine di dare loro una veste definitiva adeguata, per dignità e correttezza, alla pubblicazione negli Atti parlamentari e al carattere "ufficiale" attribuito fin dal 1907 a questi resoconti. Beninteso, i resoconti integrali venivano tradotti dalla forma orale alla forma scritta e convenientemente "limati" dagli stessi stenografi che li riprendevano, i quali erano funzionari selezionati con un apposito concorso pubblico ed altamente specializzati. Perché allora l'ulteriore intervento del funzionario revisore?

La risposta a questa domanda si ricollega alla polemica tra due scuole di pensiero che si erano sviluppate nel tempo tra i funzionari parlamentari, alcuni dei quali ritenevano preminente la funzione "storica" degli atti parlamentari, che dovrebbero pertanto registrare fedelmente tutto quanto viene detto in Parlamento, comprese le cadute di stile, le inesattezze, le improprietà grammaticali e sintattiche in cui eventualmente fossero incorsi gli oratori, mentre altri sostenevano la necessità di assicurare soprattutto la dignità stilistica e sostanziale di quanto viene pubblicato nell'atto parlamentare, anche modificando all'occorrenza le espressioni testuali usate dall'oratore, e persino riscrivendole in toto, purché ne fossero sempre rispettati i concetti e la linea di pensiero.

Equilibrate mi sembrano, a questo riguardo, le regole dettate al Senato, verso la fine dell'Ottocento, per la revisione dei resoconti stenografici: "non fare che i cambiamenti strettamente necessari per ricondurre la frase a quella regolarità e proprietà da cui si fosse allontanata nella foga dell'improvvisazione, mantenendo peraltro fedele non solo l'idea, ma anche, per quanto si può, l'espressione dell'oratore". Sulla stessa linea, alla Camera c'era l'esplicito divieto di apportare, nella revisione dei testi, correzioni "voluttuarie", cioè non indispensabili (e noi funzionari ci chiedevamo, con qualche malizia, quali "voluttà" si potessero trarre dalla revisione di un resoconto). Ma non tutti e non sempre si attenevano a queste regole.

Ricordo, tanto per fare un esempio, una correzione apportata dal collega Paolo Ungari, che era anche un eccellente scrittore, alla frase: "come corre voce alla Camera", che sostituì con la seguente: "come si va buccinando nei corridoi di Montecitorio"; frase forse più elegante; anche se di gusto un po' arcaicheggiante, ma che comunque l'oratore non si era sognato di pronunciare.

Anche il già ricordato Falzone era di tendenza "interventista"; e ancora mi domando, avendo egli ricoperto le funzioni di segretario del Comitato di coordinamento degli articoli e degli emendamenti della Costituzione del 1948, se e quanto questo suo "interventismo" abbia influenzato la redazione definitiva del testo costituzionale - che è un testo, si noti, particolarmente bene scritto ed elegante - e non solo nel senso di un drafting formale: come potrebbe fare supporre la vicenda dell'omesso riferimento alle leggi elettorali nell'elenco delle norme legislative non suscettibili di referendum popolare abrogativo di cui al secondo comma dell'articolo 75 della Costituzione, omissione non decisa dalla Costituente, ma dal Comitato di coordinamento, che, con ragionamento che potrebbe essere di stampo falzoniano, ritenne quella esclusione ovvia ed implicita; mentre poi non è stata considerata tale dalla Corte costituzionale quando si è trattato di decidere sull'ammissibilità di taluni referendum su leggi elettorali, che sono stati ritenuti dalla Corte ammissibili proprio in mancanza di una esplicita norma costituzionale di esclusione.

Negli anni delle mie prime esperienze a Montecitorio si andava peraltro sviluppando una grossa svolta nella concezione stessa delle funzioni e dell'organizzazione della burocrazia parlamentare, in corrispondenza con le nuove domande della società politica e della stessa società civile sul ruolo del Parlamento nel sistema costituzionale, ruolo che sempre più appariva condizionato dalla qualità e quantità delle informazioni in suo possesso, per il passato ricavate soltanto dalle iniziative dei parlamentari e dagli apparati del Governo.

Il testo di riferimento di questa svolta fu il cosiddetto "libro azzurro" redatto da tre funzionari entrati alla Camera qualche anno prima di me e destinati in seguito a brillantissime carriere: Francesco Cosentino (7), Antonio Maccanico (8) e Mario D'Antonio (9).

Secondo questa nuova ottica, che fu alla base dell'incisiva riforma del Regolamento dei servizi e del personale portata avanti nel 1964 dallo stesso Cosentino quando divenne Segretario generale della Camera, l'apparato tecnico-burocratico doveva trasformarsi da strumento di mera registrazione in protagonista attivo del processo di formazione della volontà legislativa e dell'attività parlamentare di controllo, apportandovi il contributo di studi, ricerche, indagini, hearings, raccolte di documentazioni, di dati conoscitivi e di consulenze, informazioni sull'attuazione delle leggi e delle procedure d'indirizzo adottate dal Parlamento, persino pareri sulla fattibilità degli atti legislativi. Le tradizionali attività burocratico-notarili e di resocontazione dei lavori per le quali quell'apparato era nato passavano così in secondo piano (10), o venivano addirittura considerate "frenanti" (Macchitella) rispetto al ruolo di supporto che l'apparato stesso doveva assumere, soprattutto nel settore dell'informazione, nei confronti di un Parlamento di cui nel dibattito costituzionale si sosteneva la "centralità" nel sistema.

Nella concezione di Cosentino, l'apparato della Camera doveva consistere in un corpus di funzionari organicamente dipendenti dal Segretario generale che ne rispondeva direttamente e soltanto al Presidente come espressione democratica dell'Assemblea. Nessun altro rapporto di dipendenza, quindi, della burocrazia parlamentare dai Presidenti delle Commissioni o dei Gruppi, dai Questori o da altri organi interni od esterni alla Camera (11).

Questa struttura, in seguito definita "a clessidra" (Bontadini), presentava certo grossi vantaggi sotto il profilo dell'efficienza operativa e del controllo, ma rischiava anche di costituire una strozzatura, al livello del Segretario generale, per la funzione di continuo filtraggio che l'apparato parlamentare deve assicurare tra le esigenze del mondo politico e quelle della struttura gestionale.

Personalmente, divenuto Presidente dell'Associazione funzionari della Camera e avendo avuto qualche parte nella riforma del 1964, cercai di fare il punto sul processo di revisione delle funzioni e delle strutture dell'apparato della Camera nell'articolo citato all'inizio di questo scritto, nel quale sostenni che la riforma prefigurava nelle soluzioni funzionali adottate - sostituzione dell'ordinamento a piramide gerarchica con un ordinamento funzionale "aperto" sul modello dei grandi corpi consultivi dello Stato (Consiglio di Stato e Corte dei conti), riprendendone anche le qualifiche ("consiglieri", "referendari", "vice-referendari") - una trasformazione, sia pure lenta e graduale, dell'apparato della Camera in una magistratura del Parlamento", con funzioni autonome e giuridicamente garantite nell'ordinamento generale, dirette a perseguire l'obiettività, l'imparzialità e la legalità dei procedimenti parlamentari.

Com'è noto, nella sua famosa sentenza n. 9 del 1959 la Corte costituzionale aveva escluso dal sindacato di costituzionalità della Corte sul procedimento parlamentare per l'approvazione delle leggi il controllo del rispetto delle regole che le stesse Camere si sono date nei rispettivi regolamenti, fatta eccezione per quelle collegate specificamente a statuizioni costituzionali. L'avvenuto rispetto delle disposizioni regolamentari - che gli utenti delle leggi, ossia i cittadini, hanno certamente diritto di vedersi garantito (12) - è dunque asseverato soltanto dal "messaggio" con cui il Presidente invia il testo approvato all'altro ramo del Parlamento per la lettura di sua competenza, o, se questa è già avvenuta, al Governo per la trasmissione al Presidente della Repubblica ai fini della promulgazione.

Ma sta di fatto che il Presidente non presiede personalmente tutte le sedute e non è affatto presente alle sedute delle Commissioni in sede legislativa o deliberante in cui vengono pure approvati testi legislativi. L'asseverazione di cui sopra, della quale il Presidente assume la responsabilità politica, è allora fondata - sostanzialmente anche se non formalmente - sulla assistenza ai lavori dei funzionari parlamentari, che l'on. Pertini, come Presidente della Camera, definì in una sua lettera-circolare del 20 dicembre 1971 come "l'occhio del Presidente" in ordine alla regolarità delle procedure seguite nelle diverse sedi dell'attività parlamentare: sicché lo stesso Pertini riteneva necessaria, ai fini della validità dei lavori, la presenza del funzionario nell'Assemblea e nelle Commissioni, con un ruolo oggettivamente garantista del rispetto delle regole del gioco parlamentare (13).

Aggiungevo in quell'articolo, per rispondere anticipatamente all'eventuale critica (poi puntualmente sopravvenuta) che con ciò si finirebbe per limitare in qualche misura le prerogative sovrane del Parlamento nella sua composizione elettiva, che questo ruolo garantista della burocrazia parlamentare nell'ordinamento generale merita invece di essere ulteriormente formalizzato ed istituzionalizzato, con carattere magistratuale, per rimediare ad una smagliatura nel procedimento legislativo che difficilmente potrebbe essere supplita in altro modo. Anche sotto questo profilo, del resto, il riconoscimento istituzionale di certe funzioni che la burocrazia parlamentare svolge comunque di fatto, anche se non sono regolamentate o comunque disciplinate, corrisponde alla necessità di una certezza del diritto e delle procedure che non danneggia il Parlamento elettivo, ma al contrario lo rafforza nell'esercizio delle sue funzioni costituzionali con la garanzia obiettiva di un idoneo supporto tecnico-burocratico. Più in generale, senza questo supporto le prerogative costituzionali del Parlamento elettivo, nella dialettica delle istituzioni in una società tendenzialmente tecnocratica, rischiano di essere puramente teoriche, o soltanto rituali e di parata.

Il processo di evoluzione di cui ho parlato fin qui non fu né poteva essere pacifico né indolore. Chi lo perseguì dovette affrontare anzitutto una diuturna polemica nei confronti di quella che chiamammo "la lunga linea grigia", cioè la parte dell'apparato parlamentare che apprezzava il lavoro burocratico dei funzionari più che quello di studio e di ricerca, e li esortava a "non giocare a fare i deputati", a "studiare di meno e lavorare di più" (14). L'articolo sopra citato si proponeva di aprire un dibattito con questa parte dell'apparato e, più in generale, con uomini politici ed esperti, anche in vista dell'organizzazione di un Convegno sulle possibili trasformazioni della tecnostruttura parlamentare in funzione di più ampie trasformazioni che si prospettavano per il Parlamento nel suo complesso.

Il Convegno su questa complessa materia, a cavallo tra diritto parlamentare e tecnica dell'organizzazione, tra politica e sociologia, si svolse in realtà qualche anno dopo, nel giugno 1981, nella solennità del Salone della Lupa del Palazzo di Montecitorio, organizzato dal Sindacato unitario funzionari parlamentari (che aveva nel frattempo assorbito la già ricordata Associazione funzionari, e di cui era Segretario Ugo Zampetti, attualmente Segretario generale della Camera), con l'adesione del Sindacato tra i funzionari del Senato della Repubblica, di cui era Segretario Tommaso Affinita. In questa occasione si tentò, forse per la prima volta, e comunque con argomenti che meritano di essere ricordati, di approfondire gli studi e le ricerche sulla burocrazia parlamentare e quindi sulle sue funzioni, garanzie e limiti.

Al dibattito furono chiamati a partecipare deputati e senatori (tra cui Nilde lotti, Tommaso Morlino, Gerardo Bianco, Salvatore Valitutti), come interlocutori naturali e necessari di ogni discorso che tratti comunque la vita e l'attività delle Camere di cui essi sono i protagonisti; esperti della riflessione e dell'elaborazione scientifica (tra cui Massimo Severo Giannini, il citato Enzo Cheli, Pier Luigi Bontadini); esponenti del mondo dell'informazione (tra cui il Segretario dell'Associazione della stampa parlamentare Giuseppe Morello); e soprattutto gli stessi funzionari parlamentari, chiamati - come disse Zampetti nel discorso d'apertura -"a dare testimonianza della loro realtà professionale, vissuta ed interpretata come servizio volto ad assicurare sempre e comunque la piena funzionalità dell'istituto parlamentare e che proprio per questo necessita tuttavia di chiarezza nei ruoli e nelle responsabilità, dovendo essi rappresentare un essenziale momento di garanzia ai fini del corretto svolgimento dei procedimenti parlamentari e del confronto politico che in essi si realizza" (15).

Carlo Chimenti, all'epoca direttore della Biblioteca del Senato, volendo schematizzare e semplificare l'analisi della tematica oggetto del Convegno, sostenne che sono ipotizzabili due fondamentali modelli di Amministrazione parlamentare, i quali hanno caratteri e conseguenze molto diversi: un'Amministrazione di registrazione-esecuzione, che si risolve nei resoconti delle sedute e in una attività in senso lato amministrativa (dalla convocazione delle sedute alla contabilità delle indennità ai parlamentari e degli stipendi al personale, alla manutenzione dei palazzi, e così via), modello che meglio si attaglia ad un Parlamento sostanzialmente ratificatorio, come la britannica Camera dei Comuni; e un'Amministrazione di consulenza, che a quei compiti ne aggiunge altri di certificazione, di documentazione, di elaborazione preparatoria, modello quest'ultimo funzionale ad un Parlamento "decisionale", il quale eserciti funzioni effettive di decisione oltre che di dibattito, come il Congresso U.S.A. La scelta tra questi due modelli è squisitamente politica e, a parere di Chimenti, non potrà intervenire in tempi ragionevolmente brevi; nell'attesa, egli auspicava che le strutture delle Amministrazioni parlamentari divengano più elastiche e duttili (16). In senso analogo si pronunciò, tra gli altri, il già citato Paolo Ungari, il quale vedeva la burocrazia parlamentare come una burocrazia "mobile", che spesso si modifica e si reinventa, paragonandola alle burocrazie aziendali, che continuamente si riorganizzano, badando più agli obiettivi (cioè ai risultati) piuttosto che alle funzioni (17). Al riguardo Silvio Traversa, divenuto in seguito Segretario generale aggiunto della Camera, sostenne la necessità che gli apparati amministrativi delle Camere si caratterizzino per il massimo possibile di antiburocraticità (18); mentre il prof. Guglielmo Negri, all'epoca Vice-segretario generale della Camera, sostenne per questo fine la necessità di una formazione "manageriale" dei funzionari parlamentari (19).

Chimenti richiamò anche l'attenzione sul carattere sostanzialmente fiduciario di cui i parlamentari, con tutta verosimiglianza, gradirebbero che fosse nutrito il rapporto funzionale con coloro che sono i collaboratori più diretti delle loro attività. Vorrei un momento soffermarmi su questo punto, che tocca delicatissimi problemi come quelli dell'imparzialità della burocrazia parlamentare e dei suoi rapporti con i gruppi parlamentari e con i relativi apparati. Al riguardo mi sembra interessante ricordare i risultati di una ricerca di un organismo inglese di livello universitario, svolta in otto Parlamenti e riferita al Convegno da Giovanni Bertolini, allora direttore del Servizio Commissioni parlamentari del Senato. Secondo questa ricerca i parlamentari, se posti in condizione di scegliere, preferirebbero un apporto di personale del loro stesso campo ideologico, posto alle loro dirette dipendenze, anche se ridotto di numero, piuttosto che un personale inquadrato in organizzazioni ufficiali, pur se largamente dotato, efficiente e caratterizzato da imparzialità e indipendenza.

Bertolini riteneva che i due sistemi possano convivere, come in effetti convivono in Italia. Ma sottolineava la necessità di tenere conto che le Assemblee parlamentari sono teatro di lotta tra i rappresentanti popolari, di incessante battaglia tra governo e opposizione: una battaglia, certo, razionalizzata e proceduralizzata, e quindi civile; ma nondimeno battaglia. Ogni fase o atto di procedura, e a maggior ragione ogni argomento che riguardi il merito, sono altrettanti momenti di questa battaglia, nella quale il funzionario parlamentare si trova necessariamente inserito, anche se deve evitare di esserne coinvolto, proprio per assicurare che essa resti civile, razionale e procedurale, nell'interesse esclusivo della Nazione (v. l'articolo 98 della Costituzione)(20). Mi sembra che questa impostazione abbia avuto positivo riscontro negli anni più recenti, in cui si può rilevare una maggiore compenetrazione tra la burocrazia parlamentare e il mondo politico, che, pur senza intaccare la posizione super partes dei funzionari e senza arrivare a fenomeni di lottizzazione o di spoil system, tuttavia configura rapporti più stretti e coesi che per il passato con le forze politiche, con i gruppi parlamentari, con le stesse Amministrazioni dello Stato.

Ricordo una riunione conviviale che si tenne negli anni '70 alle Stanze dell'Eliseo e alla quale presi parte insieme con l'allora Segretario generale Cosentino e con i colleghi Dario Cassanello, Andrea Manzella e Paolo Ungari (21). Chiedevamo a Cosentino di favorire un interscambio più intenso, anche a livello di funzionari, con l'apparato del Governo e con quelli del Consiglio di Stato e della Corte dei conti.

In seguito questo interscambio tra gli organi di specifica progettazione politica si è effettivamente verificato, in misura forse maggiore di quanto inizialmente si potesse prevedere e con effetti che ritengo assai positivi per tutte le Amministrazioni interessate.

Anche per questo si è man mano attenuato, o è venuto meno, l"'effetto acquario", per cui tradizionalmente l'apparato parlamentare si considerava autosufficiente e sostanzialmente si disinteressava, o considerava comunque non degno di particolare attenzione, tutto ciò che avveniva al di fuori delle mura delle Camere. Così, se in passato l'attribuzione di incarichi esterni a funzionari parlamentari era mal vista o osteggiata dalle Amministrazioni delle Camere, attualmente il "distacco" è frequente e persino normativizzato, come confermano recenti disposizioni adottate in proposito a Montecitorio. Numerosi funzionari della Camera e del Senato, in servizio o in quiescenza, sono stati chiamati a ricoprire le funzioni di Capi di gabinetto di vari ministri, ma anche le funzioni di Segretario generale e Vicesegretario generale della Presidenza della Repubblica, di Segretario generale della Presidenza del Consiglio, di Consigliere di Stato e di Consigliere della Corte dei conti; alcuni sono transitati nei ruoli dei professori universitari, altri sono entrati nel Governo, anche in qualità di ministri (com'è avvenuto per il sottoscritto), o di sottosegretari.

Credo sia oggi abbastanza diffusa l'opinione espressa al più sopra ricordato Convegno da un uomo di grande esperienza e saggezza come l'on. Salvatore Valitutti, a parere del quale la burocrazia parlamentare è "la migliore burocrazia che abbiamo in Italia"(22). Ripeto però che il ruolo giuridico e politico di questa burocrazia va meglio definito e aggiornato ai tempi nuovi.

Condivido al riguardo l'opinione espressa in un rapporto sul personale dei parlamenti a suo tempo presentato all'Unione interparlamentare dal Clerk aggiunto della Camera dei Comuni Lidderdale, e citato da Cheli (23), che definisce "appassionanti" i problemi della gestione moderna del personale parlamentare, anche per quanto concerne quel vero e proprio ius singulare che si è costituito intorno a loro, per esempio in tema di autonomia regolamentare, amministrativa e contabile, di gerarchia interna e di giurisdizione domestica (la cosiddetta "autodichia", così discussa in dottrina). Uno ius singulare rispetto al quale non appare poi così paradossale l'opinione espressa dall'on. Terracini all'Assemblea Costituente (II Sottocommissione, seduta del 19 settembre 1946) secondo la quale il Parlamento ha caratteristiche simili a quelle di un'area extraterritoriale, con una amministrazione sua e persino con un suo piccolo governo (l'Ufficio di Presidenza).

Il discorso che era stato aperto nel periodo che ho ricordato è dunque continuato, e dovrà ancora continuare. Lo conferma la constatazione che le ricerche e gli studi sulla burocrazia parlamentare non siano più tanto rari ed episodici come per il passato. Al Convegno del 1981, di cui ho più ampiamente riferito, considerandolo una sorta di pietra miliare in quel discorso, fece poi seguito una Conferenza promossa dalla Presidente della Camera on. lotti nel luglio 1984 (24). In campo universitario, i temi concernenti l'apparato burocratico delle Camere sono stati e sono trattati e studiati nel Seminario di studi e ricerche parlamentari che si tiene ogni anno presso la facoltà di scienze politiche "Cesare Alfieri" di Firenze (in cui si sono formati tanti funzionari delle Camere) e nei corsi di diritto parlamentare che si svolgono in molte università italiane. Sono stati pubblicati vari articoli e saggi sulla stessa materia, alcuni dei quali sono opera di funzionari parlamentari.

Ma, al di là degli studi e delle ricerche, che comunque tendono ad approfondire i termini del problema in misura certo maggiore che nel passato, credo che dovrà soprattutto continuare sul terreno concreto l'evoluzione della tecnostruttura parlamentare, nei tempi e nei modi correlati allo sviluppo qualitativo e quantitativo del Parlamento negli anni 2000. Un tema, ripeto, "appassionante" per i funzionari parlamentari e per chiunque abbia a cuore il ruolo della nostra massima istituzione rappresentativa nella società italiana di oggi e di domani.

 

  GIAN FRANCO CIAURRO

 

NOTE

 

1.      Ero allora Presidente dell'Associazione funzionari parlamentari, di cui era Vicepresidente il collega Oberdan FRADDOSIO, cofirmatario dell'articolo richiamato nel testo. L'articolo comparve sul primo numero (settembre 1969, pp. 101 ss.) della rivista Responsabilità e dialogo, diretta da un altro collega, Federico Morof. Morof era un singolare personaggio, fertile di idee e di iniziative, che da funzionario stenografo, seguendo una prassi allora abbastanza frequente, era asceso agli alti gradi della burocrazia camerale. Apparteneva ad una famiglia - credo - d'origine maltese, che ha dato alla Camera numerosi funzionari, spesso nel settore della stenografia parlamentare. L'esatto cognome era "MOHRHOFF", ma Federico lo fece semplificare in "MOROF"; il resto della famiglia continuò peraltro ad usare il cognome nella forma originaria.

2.      Cfr. La burocrazia parlamentare. Funzioni, garanzie e limiti. Atti del Convegno organizzato dal Sindacato unitario funzionari parlamentari della Camera dei deputati - Roma, 5-6 giugno 1981 (Ed. Camera dei deputati, Roma 1983).

3.      Ivi, p. 17.

4.      Le amministrazioni degli organi costituzionali. Ordinamento italiano e profili comparati, a cura di Carlo D'ORTA e Fabio GARELLA, Laterza, Bari 1997. Entrambi i curatori dell'opera sono funzionari parlamentari.

5.      Donato Marra, già Segretario generale della Camera dei deputati, è attualmente Consigliere di Stato. Il brano qui richiamato è ripreso da La burocrazia parlamentare, cit., p. 47.

6.      V. Enzo CHELI, La burocrazia parlamentare, cit., p. 27.

7.      Francesco Cosentino, divenuto poi Segretario generale, ricoprì per alcuni anni "alla grande" il ruolo di Superstar della tecnostruttura camerale, che deve per buona parte a lui il suo attuale assetto. All'attività professionale Cosentino congiungeva i successi sportivi: fu campione del mondo di motonautica off shore.

8.      Antonio Maccanico, successore di Cosentino come Segretario generale della Camera, è stato poi Segretario generale della Presidenza della Repubblica, Consigliere di Stato e più volte Ministro.

9.      Mario D'Antonio, uscito anticipatamente dalla burocrazia della Camera, è stato per molti anni Segretario generale dell'ISLE (Istituto per gli studi e la documentazione legislativa).

10.  Non va peraltro dimenticato che durante la gestione Cosentino fu introdotto alla Camera, con notevole sforzo organizzativo, il resoconto stenografico immediato, che veniva pubblicato il giorno dopo della seduta (in precedenza bisognava attendere almeno 15-20 giorni).

11.  La soluzione alternativa - come riferisce Claudio De Cesare, che peraltro dichiara di non condividerla (La burocrazia parlamentare, cit., p. 18) - poteva essere quella di creare forme di responsabilità settoriali delle varie componenti amministrative nei confronti dei diversi organi politici monocratici o collegiali.

12.  Non mi sembrano infatti fondate le tesi che attribuiscono alle norme dei regolamenti parlamentari una giuridicità "attenuata", vincolante soltanto per i membri del collegio che le ha emanate. Dette norme, costituzionalmente rilevanti in riferimento al primo comma dell'articolo 64 della Costituzione, hanno anzi una giuridicità rafforzata, non potendo essere modificate con legge, ai sensi della medesima disposizione costituzionale. La loro rilevanza dunque nell'ordinamento generale, e non solo negli ordinamenti delle Camere, appare a mio parere incontestabile.

13.  V. sull'argomento, in senso critico, Le amministrazioni degli organi costituzionali, cit., p. 146, n. 42.

14.  Cfr. Vincenzo LONGI, Segretario generale della Camera all'epoca del Convegno del 1981, in La burocrazia parlamentare, cit., p. 168.

15.  Cfr. La burocrazia parlamentare, cit., p. 5.

16.  Ivi, pp. 231-232.

17.  Ivi, pp. 56-57.

18.  Ivi,p193.

19.  Ivi, p. 80.

20.  Ivi, pp. 88-89.

21.  A proposito del sodalizio che ebbi in quegli anni con i colleghi Cassanello, Manzella e Ungari, mi sia consentito rinviare a quanto ne ho scritto nel ricordo che ho dedicato alla cara memoria di Paolo Ungari sulla rivista Nuovi studi politici (n. 3-4 del 1999, p.4).

22.  Cfr. La burocrazia parlamentare, cit., p. 100. Del resto, nella burocrazia parlamentare hanno operato, nel tempo, uomini come Ugo Foscolo, Melchiorre Gioia, Gaetano Mosca, per citare soltanto alcuni dei più illustri.

23.  Cfr. La burocrazia parlamentare, cit., p. 17.

24. V. L 'amministrazione della Camera dei deputati. Atti della conferenza promossa dal Presidente della Camera, Roma, 2-3 luglio 1984 (Ed. Camera dei deputati, Roma 1985).