Le noterelle che seguono rappresentano l’ultimo scritto di una certa
consistenza di Gian Franco Ciaurro, di recente scomparso, già segretario
generale della Camera dei deputati e per molto tempo addetto ai servizi di
resocontazione di Assemblea. Esse sono dedicate alla burocrazia parlamentare, ma
riguardano in gran parte problematiche e ricostruzioni legate alla
resocontazione dei lavori parlamentari, e per questo motivo vengono qui
riprodotte.
Del resto, in passato, durante un convegno alla LUISS di Roma il
compianto amico Paolo Ungari definì Ciaurro “il miglior resocontista (sommarista,
ndr) vivente”. Gian Franco Ciaurro ne fu lusingato, non tanto per sé quanto
per rispetto di una antica
professione, proprio perché era convinto che solo chi avesse avuto quelle doti
(freddezza, sinteticità, rapidità, immediatezza intellettuale, capacità di
decidere e di assumersi responsabilità) tipiche del sommarista potesse poi
aspirare a dirigere una struttura complessa come quella parlamentare.
Sulla stessa scia sostanzialmente Beniamino Placido, di recente, ha
affermato che “nei venti anni trascorsi alla Camera ho imparato a riassumere
… Se ti mandavano in Aula a fare il resoconto
dovevi essere capace di capire immediatamente qual era il centro, il nocciolo
del discorso… Capire, intuire il baricentro del discorso e saperlo riassumere
senza falsarlo in poche righe”.
Noterelle
sulla burocrazia parlamentare
Scrivevo
nel 1969, in un articolo sull'apparato tecnico-burocratico delle Camere
parlamentari (1), che la trattazione di questo argomento era abbastanza
inconsueta, pur nella fioritura di studi sul Parlamento e sul diritto
parlamentare. Qualche anno più tardi Enzo Cheli, intervenendo nel 1981 ad un
Convegno su funzioni, responsabilità e limiti della burocrazia parlamentare
(2), registrava anch'egli che "non esistono, sulle strutture serventi delle
Assemblee parlamentari, studi organici e neppure rilevazioni complete ed
aggiornate, mentre i manuali e le opere generali di diritto parlamentare si
limitano, per lo più, sul punto, ad osservazioni fugaci" (3). Ancora
recentemente, nel 1997, Paolo Barile faceva una constatazione sostanzialmente
non diversa per la più ampia tematica delle amministrazioni degli organi
costituzionali, scrivendo nella Presentazione del volume collettaneo: Le
amministrazioni degli organi costituzionali (4), che quest'opera affronta i
relativi problemi "per la prima volta in Italia". C'è dunque una
sorta di filo comune che collega, si può dire da sempre, la riservatezza
connaturata alla professionalità degli apparati degli organi costituzionali con
una persistente ritrosia a trattare pubblicamente gli argomenti che li
concernono, neppure in sede di elaborazione scientifica o trattatistica.
Per
quanto riguarda specificamente la burocrazia parlamentare, c'è da pensare
allora che non sia infondata l'opinione espressa da Donato Marra (5), secondo
cui non siamo ancora completamente usciti da un modello di funzionario
parlamentare dai contorni indefiniti, a mezza strada tra il consigliere
autorevole e l'eminenza grigia, che affida larga parte della sua influenza e del
suo prestigio più alle sue capacità personali che alle cariche ricoperte: un
modello che forse si perpetua in quanto gratificante e soprattutto
"comodo" per i diretti interessati, cumulando il massimo di potere con
il minimo di responsabilità. Ma, se così è, debbo dire francamente che mi
sembra gran tempo di superare quel modello ed ogni suo eventuale residuo in
vista dei principi di razionalizzazione e di trasparenza cui deve informarsi
l'organizzazione del Parlamento, come delle altre pubbliche istituzioni, in una
moderna società democratica. Occorre per questo completare il lavoro già da
tempo avviato per ridefinire con chiarezza (ormai, direi, anche a livello dei
regolamenti delle Camere) il ruolo e le responsabilità dell'apparato
tecnico-burocratico come struttura di garanzia e come necessario supporto alle
nuove esigenze che si pongono per il Parlamento in un paese che si va
rapidamente trasformando.
Ciò
anche nella prospettiva di una probabile ristrutturazione complessiva del nostro
Stato in senso federale, nell'ambito della quale il Parlamento (e con esso il
suo apparato tecnico-burocratico) non potrà che rappresentare uno snodo
essenziale, in quanto chiamato a collegare, sul terreno della valutazione
dell'interesse generale, l'intero sistema delle autonomie territoriali con
l'apparato centrale dello Stato, con l'ordinamento dell'Unione europea e con
quello internazionale (6). In questo contesto, l'attività conoscitiva e
d'informazione dell'apparato parlamentare finirà per assumere una funzione
anch'essa "centrale", specie se riuscirà a costituirsi non come
struttura autarchica e autosufficiente, ma come strumento di raccordo
istituzionale della società politica con soggetti esterni che si presentano
come i maggiori accumulatori pubblici di conoscenze (dalla Banca d'Italia
all'ISTAT, dal Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro al Consiglio
nazionale delle ricerche, dalla Scuola superiore della pubblica amministrazione
alle università), recuperando nel contempo un rapporto funzionale con la
Ragioneria generale dello Stato, con l' Avvocatura dello Stato e soprattutto con
la Corte dei conti, che da tempo nella pratica non costituisce più il
"braccio del Parlamento" di cui parla la definizione tradizionale.
Nei
confronti di questi soggetti esterni l'attività degli apparati delle Camere
dovrà allora porsi soprattutto come intelligente committenza e come obiettivo
riordinamento degli elementi acquisiti (Affinita) per consentirne una razionale
utilizzazione da parte dei parlamentari e del sistema politico nel suo
complesso.
In
queste Noterelle ho cercato di
richiamare alla memoria situazioni e impressioni del lungo periodo (quasi
trent'anni) che ho trascorso nell'Amministrazione della Camera dei deputati, e
di ricavarne anche qualche spunto di riflessione sulle linee portanti del
processo evolutivo che in quel periodo si è aperto e che ha conseguito anche
risultati di notevole rilievo. Senza alcuna pretesa, ovviamente, di trattazione
organica ed esaustiva dell'argomento, ma con l'intento di fissare sulla carta
alcuni elementi forse poco o mal noti che ritengo possano contribuire alla
ricostruzione delle vicende della transizione, dalla burocrazia parlamentare
"servente" del tempo che fu, ad una moderna tecnostruttura con una
propria identità e con autonomi poteri e funzioni; ricostruzione che penso non
inutile, posto che quella transizione non mi sembra tuttora conclusa.
Quando
nel 1961 entrai alla Camera dei deputati come "revisore", l'apparato
tecnico-burocratico dei due rami del Parlamento aveva ancora funzioni
prevalentemente resocontistiche e notarili, con l'aggiunta di qualche modesta
funzione più propriamente amministrativa. Qualitativamente, insomma, non
differiva molto dai moduli tradizionali del Parlamento subalpino, recepiti poi
nel Parlamento italiano e perfezionati alla Camera nel ventennio dal 1907 al
1927 in cui ne era stato Segretario generale Camillo Montalcini.
Quantitativamente
la struttura si era però accresciuta nel tempo, fino a determinare un vero e
proprio intasamento nei quadri direttivi.
Nel
ricevere noi giovani funzionari per l'assunzione in servizio dopo un difficile
concorso, il Segretario generale Coraldo Piermani ci chiarì che il lavoro alla
Camera era interessante, il trattamento economico buono - particolarmente, ci
tenne a precisare, il trattamento pensionistico - ma che dovevamo toglierci
dalla testa eventuali propositi di progressione in carriera. Era un discorso in
qualche modo scoraggiante, che i fatti non hanno confermato, come dirò poi, ma
che corrispondeva alla situazione parlamentare di quel periodo, in cui
all'apparato si chiedeva soltanto di assicurare al meglio il funzionamento
materiale del "palazzo", il trattamento dei deputati, le attività di
cerimoniale e soprattutto la fedele registrazione, certificazione e diffusione
dei lavori dell'Assemblea e delle Commissioni.
La
professionalità più specifica del funzionario parlamentare era appunto quella
del "revisore", che doveva provvedere alla resocontazione dei
dibattiti dell'Assemblea con due distinti strumenti, oggetto di separate
pubblicazioni: il "resoconto sommario" e il "resoconto
stenografico".
Il
resoconto sommario, nella forma introdotta alla Camera dal 1879 e al Senato dal
1882, era una libera sintesi politica (non un riassunto) di quanto si faceva e
diceva nell'Aula parlamentare. Non aveva carattere ufficiale, e quindi non era
suscettibile di determinare contestazioni o rettifiche. Aveva però una forte
valenza informativa di tipo giornalistico, offrendo alla stampa e a chiunque vi
fosse interessato una fonte agile e attendibile cui attingere per conoscere
quanto avveniva in Parlamento, quasi in tempo reale (il "sommario"
veniva redatto mentre l'oratore parlava, ed era disponibile in
"strisce" stampate meno di mezz'ora dopo), senza che fosse necessario
seguire direttamente i lavori o leggere nei giorni successivi le centinaia di
pagine dei resoconti integrali.
Del
resoconto sommario delle sedute d'Assemblea si redigeva pure un'ulteriore ed
ancora più ridotta sintesi, denominata "bisunto" nel lessico
scherzoso di noi funzionari parlamentari, che ogni sera veniva diramata
telegraficamente a tutte le prefetture.
Con
una tecnica abbastanza simile a quella del resoconto sommario d'Aula si
procedeva alla redazione dei "comunicati" delle sedute di Commissione
da parte dei funzionari addetti ai rispettivi uffici di segreteria.
La
difficile arte della resocontazione sommaria era molto apprezzata anche
all'esterno del Parlamento, e si affidava spesso a funzionari parlamentari il
compito professionale di sintetizzare con immediatezza i lavori di altri organi
istituzionali, di convegni, assemblee, congressi di partito e simili. Di
quest'arte mi fu maestro un collega più anziano, Vittorio Falzone, nominato in
seguito Estensore del processo verbale della Camera, che della sinteticità e
dell'eleganza stilistica dei resoconti era un cultore intransigente e quasi
fanatico. Falzone diceva che un buon resocontista non è quello che riesce a
riassumere tutte le idee esposte dall'oratore, ma lo è quello che riesce ad
enucleare e a riferire in breve l'unica tesi o le poche tesi per sostenere le
quali l'oratore si era indotto a prendere la parola, omettendo le altre; mentre
pessimo resocontista è quello che riferisce magari le argomentazioni minori e
di contorno, ma non sa identificare il punto focale, la ragione di fondo del
discorso resocontato. A questa stregua, il miglior riconoscimento "sul
campo" delle capacità del revisore era I' elogio dell'oratore che,
rileggendo il resoconto sommario del suo intervento, finiva spesso per
commentare che il compilatore del "sommario" gli aveva fatto dire bene
quello che avrebbe voluto dire, ma non era riuscito a dire in forma chiara e
comprensibile.
Diversa
era invece la professionalità del revisore incaricato di rivedere i resoconti
stenografici integrali dei lavori dell'Aula (e anche delle Commissioni, nei casi
in cui venivano redatti), al fine di dare loro una veste definitiva adeguata,
per dignità e correttezza, alla pubblicazione negli Atti parlamentari e al
carattere "ufficiale" attribuito fin dal 1907 a questi resoconti.
Beninteso, i resoconti integrali venivano tradotti dalla forma orale alla forma
scritta e convenientemente "limati" dagli stessi stenografi che li
riprendevano, i quali erano funzionari selezionati con un apposito concorso
pubblico ed altamente specializzati. Perché allora l'ulteriore intervento del
funzionario revisore?
La
risposta a questa domanda si ricollega alla polemica tra due scuole di pensiero
che si erano sviluppate nel tempo tra i funzionari parlamentari, alcuni dei
quali ritenevano preminente la funzione "storica" degli atti
parlamentari, che dovrebbero pertanto registrare fedelmente tutto quanto viene
detto in Parlamento, comprese le cadute di stile, le inesattezze, le improprietà
grammaticali e sintattiche in cui eventualmente fossero incorsi gli oratori,
mentre altri sostenevano la necessità di assicurare soprattutto la dignità
stilistica e sostanziale di quanto viene pubblicato nell'atto parlamentare,
anche modificando all'occorrenza le espressioni testuali usate
Equilibrate
mi sembrano, a questo riguardo, le regole dettate al Senato, verso la fine
dell'Ottocento, per la revisione dei resoconti stenografici: "non fare che
i cambiamenti strettamente necessari per ricondurre la frase a quella regolarità
e proprietà da cui si fosse allontanata nella foga dell'improvvisazione,
mantenendo peraltro fedele non solo l'idea, ma anche, per quanto si può,
l'espressione dell'oratore". Sulla stessa linea, alla Camera c'era
l'esplicito divieto di apportare, nella revisione dei testi, correzioni
"voluttuarie", cioè non indispensabili (e noi funzionari ci
chiedevamo, con qualche malizia, quali "voluttà" si potessero trarre
dalla revisione di un resoconto). Ma non tutti e non sempre si attenevano a
queste regole.
Ricordo,
tanto per fare un esempio, una correzione apportata dal collega Paolo Ungari,
che era anche un eccellente scrittore, alla frase: "come corre voce alla
Camera", che sostituì con la seguente: "come si va buccinando nei
corridoi di Montecitorio"; frase forse più elegante; anche se di gusto un
po' arcaicheggiante, ma che comunque l'oratore non si era sognato di
pronunciare.
Anche
il già ricordato Falzone era di tendenza "interventista"; e ancora mi
domando, avendo egli ricoperto le funzioni di segretario del Comitato di
coordinamento degli articoli e degli emendamenti della Costituzione del 1948, se
e quanto questo suo "interventismo" abbia influenzato la redazione
definitiva del testo costituzionale - che è un testo, si noti, particolarmente
bene scritto ed elegante - e non solo nel senso di un drafting formale: come potrebbe fare supporre la vicenda dell'omesso
riferimento alle leggi elettorali nell'elenco delle norme legislative non
suscettibili di referendum popolare abrogativo di cui al secondo comma
dell'articolo 75 della Costituzione, omissione non decisa dalla Costituente, ma
dal Comitato di coordinamento, che, con ragionamento che potrebbe essere di
stampo falzoniano, ritenne quella esclusione ovvia ed implicita; mentre poi non
è stata considerata tale dalla Corte costituzionale quando si è trattato di
decidere sull'ammissibilità di taluni referendum su leggi elettorali, che sono
stati ritenuti dalla Corte ammissibili proprio in mancanza di una esplicita
norma costituzionale di esclusione.
Negli
anni delle mie prime esperienze a Montecitorio si andava peraltro sviluppando
una grossa svolta nella concezione stessa delle funzioni e dell'organizzazione
della burocrazia parlamentare, in corrispondenza con le nuove domande della
società politica e della stessa società civile sul ruolo del Parlamento nel
sistema costituzionale, ruolo che sempre più appariva condizionato dalla qualità
e quantità delle informazioni in suo possesso, per il passato ricavate soltanto
dalle iniziative dei parlamentari e dagli apparati del Governo.
Il
testo di riferimento di questa svolta fu il cosiddetto "libro azzurro"
redatto da tre funzionari entrati alla Camera qualche anno prima di me e
destinati in seguito a brillantissime carriere: Francesco Cosentino (7), Antonio
Maccanico (8) e Mario D'Antonio (9).
Secondo
questa nuova ottica, che fu alla base dell'incisiva riforma del Regolamento dei
servizi e del personale portata avanti nel 1964 dallo stesso Cosentino quando
divenne Segretario generale della Camera, l'apparato tecnico-burocratico doveva
trasformarsi da strumento di mera registrazione in protagonista attivo del
processo di formazione della volontà legislativa e dell'attività parlamentare
di controllo, apportandovi il contributo di studi, ricerche, indagini, hearings,
raccolte di documentazioni, di dati conoscitivi e di consulenze, informazioni
sull'attuazione delle leggi e delle procedure d'indirizzo adottate dal
Parlamento, persino pareri sulla fattibilità degli atti legislativi. Le
tradizionali attività burocratico-notarili e di resocontazione dei lavori per
le quali quell'apparato era nato passavano così in secondo piano (10), o
venivano addirittura considerate "frenanti" (Macchitella) rispetto al
ruolo di supporto che l'apparato stesso doveva assumere, soprattutto nel settore
dell'informazione, nei confronti di un Parlamento di cui nel dibattito
costituzionale si sosteneva la "centralità" nel sistema.
Nella
concezione di Cosentino, l'apparato della Camera doveva consistere in un corpus
di funzionari organicamente dipendenti dal Segretario generale che ne rispondeva
direttamente e soltanto al Presidente come espressione democratica
dell'Assemblea. Nessun altro rapporto di dipendenza, quindi, della burocrazia
parlamentare dai Presidenti delle Commissioni o dei Gruppi, dai Questori o da
altri organi interni od esterni alla Camera (11).
Questa
struttura, in seguito definita "a clessidra" (Bontadini), presentava
certo grossi vantaggi sotto il profilo dell'efficienza operativa e del
controllo, ma rischiava anche di costituire una strozzatura, al livello del
Segretario generale, per la funzione di continuo filtraggio che l'apparato
parlamentare deve assicurare tra le esigenze del mondo politico e quelle della
struttura gestionale.
Personalmente,
divenuto Presidente dell'Associazione funzionari della Camera e avendo avuto
qualche parte nella riforma del 1964, cercai di fare il punto sul processo di
revisione delle funzioni e delle strutture dell'apparato della Camera
nell'articolo citato all'inizio di questo scritto, nel quale sostenni che la
riforma prefigurava nelle soluzioni funzionali adottate - sostituzione
dell'ordinamento a piramide gerarchica con un ordinamento funzionale
"aperto" sul modello dei grandi corpi consultivi dello Stato
(Consiglio di Stato e Corte dei conti), riprendendone anche le qualifiche
("consiglieri", "referendari", "vice-referendari")
- una trasformazione, sia pure lenta e graduale, dell'apparato della Camera in
una magistratura del Parlamento", con funzioni autonome e giuridicamente
garantite nell'ordinamento generale, dirette a perseguire l'obiettività,
l'imparzialità e la legalità dei procedimenti parlamentari.
Com'è
noto, nella sua famosa sentenza n. 9 del 1959 la Corte costituzionale aveva
escluso dal sindacato di costituzionalità della Corte sul procedimento
parlamentare per l'approvazione delle leggi il controllo del rispetto delle
regole che le stesse Camere si sono date nei rispettivi regolamenti, fatta
eccezione per quelle collegate specificamente a statuizioni costituzionali.
L'avvenuto rispetto delle disposizioni regolamentari - che gli utenti delle
leggi, ossia i cittadini, hanno certamente diritto di vedersi garantito (12) -
è dunque asseverato soltanto dal "messaggio" con cui il Presidente
invia il testo approvato all'altro ramo del Parlamento per la lettura di sua
competenza, o, se questa è già avvenuta, al Governo per la trasmissione al
Presidente della Repubblica ai fini della promulgazione.
Ma
sta di fatto che il Presidente non presiede personalmente tutte le sedute e non
è affatto presente alle sedute delle Commissioni in sede legislativa o
deliberante in cui vengono pure approvati testi legislativi. L'asseverazione di
cui sopra, della quale il Presidente assume la responsabilità politica, è
allora fondata - sostanzialmente anche se non formalmente - sulla assistenza ai
lavori dei funzionari parlamentari, che l'on. Pertini, come Presidente della
Camera, definì in una sua lettera-circolare del 20 dicembre 1971 come
"l'occhio del Presidente" in ordine alla regolarità delle procedure
seguite nelle diverse sedi dell'attività parlamentare: sicché lo stesso
Pertini riteneva necessaria, ai fini della validità dei lavori, la presenza del
funzionario nell'Assemblea e nelle Commissioni, con un ruolo oggettivamente
garantista del rispetto delle regole del gioco parlamentare (13).
Aggiungevo
in quell'articolo, per rispondere anticipatamente all'eventuale critica (poi
puntualmente sopravvenuta) che con ciò si finirebbe per limitare in qualche
misura le prerogative sovrane del Parlamento nella sua composizione elettiva,
che questo ruolo garantista della burocrazia parlamentare nell'ordinamento
generale merita invece di essere ulteriormente formalizzato ed
istituzionalizzato, con carattere magistratuale, per rimediare ad una
smagliatura nel procedimento legislativo che difficilmente potrebbe essere
supplita in altro modo. Anche sotto questo profilo, del resto, il riconoscimento
istituzionale di certe funzioni che la burocrazia parlamentare svolge comunque
di fatto, anche se non sono regolamentate o comunque disciplinate, corrisponde
alla necessità di una certezza del diritto e delle procedure che non danneggia
il Parlamento elettivo, ma al contrario lo rafforza nell'esercizio delle sue
funzioni costituzionali con la garanzia obiettiva di un idoneo supporto
tecnico-burocratico. Più in generale, senza questo supporto le prerogative
costituzionali del Parlamento elettivo, nella dialettica delle istituzioni in
una società tendenzialmente tecnocratica, rischiano di essere puramente
teoriche, o soltanto rituali e di parata.
Il
processo di evoluzione di cui ho parlato fin qui non fu né poteva essere
pacifico né indolore. Chi lo perseguì dovette affrontare anzitutto una diuturna
polemica nei confronti di quella che chiamammo "la lunga linea
grigia", cioè la parte dell'apparato parlamentare che apprezzava il lavoro
burocratico dei funzionari più che quello di studio e di ricerca, e li esortava
a "non giocare a fare i deputati", a "studiare di meno e lavorare
di più" (14). L'articolo sopra citato si proponeva di aprire un dibattito
con questa parte dell'apparato e, più in generale, con uomini politici ed
esperti, anche in vista dell'organizzazione di un Convegno sulle possibili
trasformazioni della tecnostruttura parlamentare in funzione di più ampie
trasformazioni che si prospettavano per il Parlamento nel suo complesso.
Il
Convegno su questa complessa materia, a cavallo tra diritto parlamentare e
tecnica dell'organizzazione, tra politica e sociologia, si svolse in realtà
qualche anno dopo, nel giugno 1981, nella solennità del Salone della Lupa del
Palazzo di Montecitorio, organizzato dal Sindacato unitario funzionari
parlamentari (che aveva nel frattempo assorbito la già ricordata Associazione
funzionari, e di cui era Segretario Ugo Zampetti, attualmente Segretario
generale della Camera), con l'adesione del Sindacato tra i funzionari del Senato
della Repubblica, di cui era Segretario Tommaso Affinita. In questa occasione si
tentò, forse per la prima volta, e comunque con argomenti che meritano di
essere ricordati, di approfondire gli studi e le ricerche sulla burocrazia
parlamentare e quindi sulle sue funzioni, garanzie e limiti.
Al
dibattito furono chiamati a partecipare deputati e senatori (tra cui Nilde
lotti, Tommaso Morlino, Gerardo Bianco, Salvatore Valitutti), come interlocutori
naturali e necessari di ogni discorso che tratti comunque la vita e l'attività
delle Camere di cui essi sono i protagonisti; esperti della riflessione e
dell'elaborazione scientifica (tra cui Massimo Severo Giannini, il citato Enzo
Cheli, Pier Luigi Bontadini); esponenti del mondo dell'informazione (tra cui il
Segretario dell'Associazione della stampa parlamentare Giuseppe Morello); e
soprattutto gli stessi funzionari parlamentari, chiamati - come disse Zampetti
nel discorso d'apertura -"a dare testimonianza della loro realtà
professionale, vissuta ed interpretata come servizio volto ad assicurare sempre
e comunque la piena funzionalità dell'istituto parlamentare e che proprio per
questo necessita tuttavia di chiarezza nei ruoli e nelle responsabilità,
dovendo essi rappresentare un essenziale momento di garanzia ai fini del
corretto svolgimento dei procedimenti parlamentari e del confronto politico che
in essi si realizza" (15).
Carlo
Chimenti, all'epoca direttore della Biblioteca del Senato, volendo schematizzare
e semplificare l'analisi della tematica oggetto del Convegno, sostenne che sono
ipotizzabili due fondamentali modelli di Amministrazione parlamentare, i quali
hanno caratteri e conseguenze molto diversi: un'Amministrazione di
registrazione-esecuzione, che si risolve nei resoconti delle sedute e in una
attività in senso lato amministrativa (dalla convocazione delle sedute alla
contabilità delle indennità ai parlamentari e degli stipendi al personale,
alla manutenzione dei palazzi, e così via), modello che meglio si attaglia ad
un Parlamento sostanzialmente ratificatorio, come la britannica Camera dei
Comuni; e un'Amministrazione di consulenza, che a quei compiti ne aggiunge altri
di certificazione, di documentazione, di elaborazione preparatoria, modello
quest'ultimo funzionale ad un Parlamento "decisionale", il quale
eserciti funzioni effettive di decisione oltre che di dibattito, come il
Congresso U.S.A. La scelta tra questi due modelli è squisitamente politica e, a
parere di Chimenti, non potrà intervenire in tempi ragionevolmente brevi;
nell'attesa, egli auspicava che le strutture delle Amministrazioni parlamentari
divengano più elastiche e duttili (16). In senso analogo si pronunciò, tra gli
altri, il già citato Paolo Ungari, il quale vedeva la burocrazia parlamentare
come una burocrazia "mobile", che spesso si modifica e si reinventa,
paragonandola alle burocrazie aziendali, che continuamente si riorganizzano,
badando più agli obiettivi (cioè ai risultati) piuttosto che alle funzioni
(17). Al riguardo Silvio Traversa, divenuto in seguito Segretario generale
aggiunto della Camera, sostenne la necessità che gli apparati amministrativi
delle Camere si caratterizzino per il massimo possibile di antiburocraticità
(18); mentre il prof. Guglielmo Negri, all'epoca Vice-segretario generale della
Camera, sostenne per questo fine la necessità di una formazione
"manageriale" dei funzionari parlamentari (19).
Chimenti
richiamò anche l'attenzione sul carattere sostanzialmente fiduciario di cui i
parlamentari, con tutta verosimiglianza, gradirebbero che fosse nutrito il
rapporto funzionale con coloro che sono i collaboratori più diretti delle loro
attività. Vorrei un momento soffermarmi su questo punto, che tocca
delicatissimi problemi come quelli dell'imparzialità della burocrazia
parlamentare e dei suoi rapporti con i gruppi parlamentari e con i relativi
apparati. Al riguardo mi sembra interessante ricordare i risultati di una
ricerca di un organismo inglese di livello universitario, svolta in otto
Parlamenti e riferita al Convegno da Giovanni Bertolini, allora direttore del
Servizio Commissioni parlamentari del Senato. Secondo questa ricerca i
parlamentari, se posti in condizione di scegliere, preferirebbero un apporto di
personale del loro stesso campo ideologico, posto alle loro dirette dipendenze,
anche se ridotto di numero, piuttosto che un personale inquadrato in
organizzazioni ufficiali, pur se largamente dotato, efficiente e caratterizzato
da imparzialità e indipendenza.
Bertolini
riteneva che i due sistemi possano convivere, come in effetti convivono in
Italia. Ma sottolineava la necessità di tenere conto che le Assemblee
parlamentari sono teatro di lotta tra i rappresentanti popolari, di incessante
battaglia tra governo e opposizione: una battaglia, certo, razionalizzata e
proceduralizzata, e quindi civile; ma nondimeno battaglia. Ogni fase o atto di
procedura, e a maggior ragione ogni argomento che riguardi il merito, sono
altrettanti momenti di questa battaglia, nella quale il funzionario parlamentare
si trova necessariamente inserito, anche se deve evitare di esserne coinvolto,
proprio per assicurare che essa resti civile, razionale e procedurale,
nell'interesse esclusivo della Nazione (v. l'articolo 98 della
Costituzione)(20). Mi sembra che questa impostazione abbia avuto positivo
riscontro negli anni più recenti, in cui si può rilevare una maggiore
compenetrazione tra la burocrazia parlamentare e il mondo politico, che, pur
senza intaccare la posizione super partes dei funzionari e senza arrivare a
fenomeni di lottizzazione o di spoil
system, tuttavia configura rapporti più stretti e coesi che per il passato
con le forze politiche, con i gruppi parlamentari, con le stesse Amministrazioni
dello Stato.
Ricordo
una riunione conviviale che si tenne negli anni '70 alle Stanze dell'Eliseo e
alla quale presi parte insieme con l'allora Segretario generale Cosentino e con
i colleghi Dario Cassanello, Andrea Manzella e Paolo Ungari (21). Chiedevamo a
Cosentino di favorire un interscambio più intenso, anche a livello di
funzionari, con l'apparato del Governo e con quelli del Consiglio di Stato e
della Corte dei conti.
In
seguito questo interscambio tra gli organi di specifica progettazione politica
si è effettivamente verificato, in misura forse maggiore di quanto inizialmente
si potesse prevedere e con effetti che ritengo assai positivi per tutte le
Amministrazioni interessate.
Anche
per questo si è man mano attenuato, o è venuto meno, l"'effetto
acquario", per cui tradizionalmente l'apparato parlamentare si considerava
autosufficiente e sostanzialmente si disinteressava, o considerava comunque non
degno di particolare attenzione, tutto ciò che avveniva al di fuori delle mura
delle Camere. Così, se in passato l'attribuzione di incarichi esterni a
funzionari parlamentari era mal vista o osteggiata dalle Amministrazioni delle
Camere, attualmente il "distacco" è frequente e persino
normativizzato, come confermano recenti disposizioni adottate in proposito a
Montecitorio. Numerosi funzionari della Camera e del Senato, in servizio o in
quiescenza, sono stati chiamati a ricoprire le funzioni di Capi di gabinetto di
vari ministri, ma anche le funzioni di Segretario generale e Vicesegretario
generale della Presidenza della Repubblica, di Segretario generale della
Presidenza del Consiglio, di Consigliere di Stato e di Consigliere della Corte
dei conti; alcuni sono transitati nei ruoli dei professori universitari, altri
sono entrati nel Governo, anche in qualità di ministri (com'è avvenuto per il
sottoscritto), o di sottosegretari.
Credo
sia oggi abbastanza diffusa l'opinione espressa al più sopra ricordato Convegno
da un uomo di grande esperienza e saggezza come l'on. Salvatore Valitutti, a
parere del quale la burocrazia parlamentare è "la migliore burocrazia che
abbiamo in Italia"(22). Ripeto però che il ruolo giuridico e politico di
questa burocrazia va meglio definito e aggiornato ai tempi nuovi.
Condivido
al riguardo l'opinione espressa in un rapporto sul personale dei parlamenti a
suo tempo presentato all'Unione interparlamentare dal Clerk aggiunto della
Camera dei Comuni Lidderdale, e citato da Cheli (23), che definisce
"appassionanti" i problemi della gestione moderna del personale
parlamentare, anche per quanto concerne quel vero e proprio ius
singulare che si è costituito intorno a loro, per esempio in tema di
autonomia regolamentare, amministrativa e contabile, di gerarchia interna e di
giurisdizione domestica (la cosiddetta "autodichia", così discussa in
dottrina). Uno ius singulare rispetto al quale non appare poi così paradossale
l'opinione espressa dall'on. Terracini all'Assemblea Costituente (II
Sottocommissione, seduta del 19 settembre 1946) secondo la quale il Parlamento
ha caratteristiche simili a quelle di un'area extraterritoriale, con una
amministrazione sua e persino con un suo piccolo governo (l'Ufficio di
Presidenza).
Il
discorso che era stato aperto nel periodo che ho ricordato è dunque continuato,
e dovrà ancora continuare. Lo conferma la constatazione che le ricerche e gli
studi sulla burocrazia parlamentare non siano più tanto rari ed episodici come
per il passato. Al Convegno del 1981, di cui ho più ampiamente riferito,
considerandolo una sorta di pietra miliare in quel discorso, fece poi seguito
una Conferenza promossa dalla Presidente della Camera on. lotti nel luglio 1984
(24). In campo universitario, i temi concernenti l'apparato burocratico delle
Camere sono stati e sono trattati e studiati nel Seminario di studi e ricerche
parlamentari che si tiene ogni anno presso la facoltà di scienze politiche
"Cesare Alfieri" di Firenze (in cui si sono formati tanti funzionari
delle Camere) e nei corsi di diritto parlamentare che si svolgono in molte
università italiane. Sono stati pubblicati vari articoli e saggi sulla stessa
materia, alcuni dei quali sono opera di funzionari parlamentari.
Ma,
al di là degli studi e delle ricerche, che comunque tendono ad approfondire i
termini del problema in misura certo maggiore che nel passato, credo che dovrà
soprattutto continuare sul terreno concreto l'evoluzione della tecnostruttura
parlamentare, nei tempi e nei modi correlati allo sviluppo qualitativo e
quantitativo del Parlamento negli anni 2000. Un tema, ripeto,
"appassionante" per i funzionari parlamentari e per chiunque abbia a
cuore il ruolo della nostra massima istituzione rappresentativa nella società
italiana di oggi e di domani.
NOTE
1.
Ero allora Presidente dell'Associazione funzionari parlamentari, di cui
era Vicepresidente il collega Oberdan FRADDOSIO, cofirmatario dell'articolo
richiamato nel testo. L'articolo comparve sul primo numero (settembre 1969, pp.
101 ss.) della rivista Responsabilità e
dialogo, diretta da un altro collega, Federico Morof. Morof era un singolare
personaggio, fertile di idee e di iniziative, che da funzionario stenografo,
seguendo una prassi allora abbastanza frequente, era asceso agli alti gradi
della burocrazia camerale. Apparteneva ad una famiglia - credo - d'origine
maltese, che ha dato alla Camera numerosi funzionari, spesso nel settore della
stenografia parlamentare. L'esatto cognome era "MOHRHOFF", ma Federico lo
fece semplificare in "MOROF"; il resto della famiglia continuò peraltro
ad usare il cognome nella forma originaria.
2.
Cfr. La burocrazia parlamentare.
Funzioni, garanzie e limiti. Atti del Convegno organizzato dal Sindacato unitario funzionari parlamentari della Camera dei deputati
- Roma, 5-6 giugno 1981 (Ed. Camera dei deputati, Roma 1983).
3.
Ivi, p. 17.
4.
Le amministrazioni degli organi
costituzionali. Ordinamento italiano e profili comparati,
a cura di Carlo D'ORTA e Fabio GARELLA, Laterza, Bari 1997. Entrambi i curatori
dell'opera sono funzionari parlamentari.
5.
Donato Marra, già Segretario generale della Camera dei deputati, è
attualmente Consigliere di Stato. Il brano qui richiamato è ripreso da La burocrazia parlamentare, cit., p. 47.
6.
V. Enzo CHELI, La burocrazia
parlamentare, cit., p. 27.
7.
Francesco Cosentino, divenuto poi Segretario generale, ricoprì per
alcuni anni "alla grande" il ruolo di Superstar della tecnostruttura
camerale, che deve per buona parte a lui il suo attuale assetto. All'attività
professionale Cosentino congiungeva i successi sportivi: fu campione del mondo
di motonautica off shore.
8.
Antonio Maccanico, successore di Cosentino come Segretario generale della
Camera, è stato poi Segretario generale della Presidenza della Repubblica,
Consigliere di Stato e più volte Ministro.
9.
Mario D'Antonio, uscito anticipatamente dalla burocrazia della Camera, è
stato per molti anni Segretario generale dell'ISLE (Istituto per gli studi e la
documentazione legislativa).
10.
Non va peraltro dimenticato che durante la gestione Cosentino fu
introdotto alla Camera, con notevole sforzo organizzativo, il resoconto
stenografico immediato, che veniva pubblicato il giorno dopo della seduta (in
precedenza bisognava attendere almeno 15-20 giorni).
11.
La soluzione alternativa - come riferisce Claudio De Cesare, che peraltro
dichiara di non condividerla (La
burocrazia parlamentare, cit., p. 18) - poteva essere quella di creare forme
di responsabilità settoriali delle varie componenti amministrative nei
confronti dei diversi organi politici monocratici o collegiali.
12.
Non mi sembrano infatti fondate le tesi che attribuiscono alle norme dei
regolamenti parlamentari una giuridicità "attenuata", vincolante
soltanto per i membri del collegio che le ha emanate. Dette norme,
costituzionalmente rilevanti in riferimento al primo comma dell'articolo 64
della Costituzione, hanno anzi una giuridicità rafforzata, non potendo essere
modificate con legge, ai sensi della medesima disposizione costituzionale. La
loro rilevanza dunque nell'ordinamento generale, e non solo negli ordinamenti
delle Camere, appare a mio parere incontestabile.
13.
V. sull'argomento, in senso critico, Le
amministrazioni degli organi costituzionali, cit., p. 146, n. 42.
14.
Cfr. Vincenzo LONGI, Segretario generale della Camera all'epoca del
Convegno del 1981, in La burocrazia
parlamentare, cit., p. 168.
15.
Cfr. La burocrazia parlamentare,
cit., p. 5.
16.
Ivi, pp. 231-232.
17.
Ivi, pp. 56-57.
18.
Ivi,p193.
19.
Ivi, p. 80.
20.
Ivi, pp. 88-89.
21.
A proposito del sodalizio che ebbi in quegli anni con i colleghi
Cassanello, Manzella e Ungari, mi sia consentito rinviare a quanto ne ho scritto
nel ricordo che ho dedicato alla cara memoria di Paolo Ungari sulla rivista Nuovi
studi politici (n. 3-4 del 1999, p.4).
22.
Cfr. La burocrazia parlamentare,
cit., p. 100. Del resto, nella burocrazia parlamentare hanno operato, nel tempo,
uomini come Ugo Foscolo, Melchiorre Gioia, Gaetano Mosca, per citare soltanto
alcuni dei più illustri.
23.
Cfr. La burocrazia parlamentare,
cit., p. 17.