La "Compagna Communis"

I notabili cittadini organizzarono nel X secolo alcune libere associazioni: le compagnae, le coniurationes, le rassae.

La Compagna, che poi prevalse, era un consorzio commerciale privato in accomandita semplice, giurato da nobili, mercanti o semplici persone atte alle armi abitanti in determinate circoscrizioni urbane ed aventi medesimi interessi economici e politici. In origine si costituivano solo per una determinata impresa economica o more piratico al termine della quale la Compagna si scioglieva ma poi divennero a tempo determinato e infine permanenti.

L’appartenenza non era al principio un obbligo ed allo scadere poteva anche non essere rinnovata.

Il contratto di Commenda (prestito di capitale legato ad un rapporto societario), derivò nella sua struttura dall’izqâ ebraica e prevalse in tutti i contratti, a cominciare da quelli della Compagna, dopo la prima metà del XII secolo.

La Compagna, il cui nome fa riferimento ad un’impresa comune e navale (comunanza di mensa su una nave), si ampliò con l’avvento della libertà di movimento e personali (le consuetudini) mantenendo sempre il suo carattere imprenditoriale navale. Ognuna delle Compagne poteva compiere il reclutamento navale ed armare sue galee.

Eleggeva, solitamente dai ranghi delle famiglie viscontili o avvocatizie, dei capi (i Consoli) che avevano la possibilità sia di comandare l’impresa sia di giudicare eventuali vertenze tra i soci.

Unici requisiti per entrare nella Compagna era l’essere "cittadino" cioè risiedere a Genova e il vivere secondo consuetudine. Tutti i soci dovettero giurare uno statuto detto breve e s’impegnavano a eseguire gli incarichi affidatigli pena la perdita dei diritti civili. Il fatto di dover abitare in città rimase a lungo un obbligo tanto che anche i feudatari delle riviere e dell’oltregiogo dovettero impegnarsi, quando giuravano, a risiedere, di fatto almeno per un breve periodo dell’anno, in città.

Le Compagne in origine erano tre (Castrum, Civitas e Burgus) con sede nelle chiese di S. Maria di Castello, S. Lorenzo e S. Siro. Nel 1130 erano quattro e dopo il 1134 divennero prima sette ed infine otto.

L’adesione del Vescovo alla Compagna, pur senza altro privilegio che rappresentare la città all’estero, ne favorì l’emancipazione politica a tal punto che nel 1097 le Compagne deposero manu militare il Vescovo scismatico (schierato con l’antipapa Clemente III, nominato dall’Imperatore tedesco Enrico IV).

Con il Vescovo Airaldo nacque la Compagna Comunis struttura politica ufficiale della città con sede nella chiesa di S. Giorgio ove si conservava il vexillum magnum, lo "stendardo comune".

Una prima reazione marchionale venne arginata dalla Compagna di Castello capitanata dai Visconti di Manesseno (i fratelli Amico Brusco, Guido Spinola, Guglielmo Embriaco e Primo di Castello) e dai loro cognati i Della Volta. La Compagna Comunis rimase sine consulatu per un anno e mezzo dal 1098.

I Consoli, che detenevano il potere esecutivo, erano inizialmente eletti ogni quattro anni ma poi annualmente e, dopo un primo periodo in cui le cariche erano unificate, si divisero in Consoli del Comune (governatori politici e militari) e Consoli dei Placiti (amministratori di giustizia). Il potere deliberativo era prerogativa del parlamento della Compagna o delle Compagne riunite; in quest’occasione il Vescovo assisteva alle discussioni.

Per evitare l’accentrarsi del potere in mano a poche famiglie, nel 1122 si ridusse la durata del consolato da quattro anni ad un anno e nel 1130 si aumentò il numero dei Consoli e vi fu una separazione netta tra le varie cariche che assumevano. Nel 1122 si delegò l’amministrazione finanziaria ad otto Clavigeri (in possesso delle chiavi dell’erario).

I Consoli erano eletti dal parlamento ed entravano in carica il 2 di febbraio. Una volta terminata la carica, dopo aver giustificato le loro scelte a chi li aveva eletti entravano nel Consilium o Senato, al fianco d’altri cittadini illustri. Il Consilium doveva approvare le dichiarazioni di guerra, le nuove tasse e le cessioni in pegno delle proprietà del Comune.