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Ieri a Roma in occasione dello Startup Day organizzato dall’AGI abbiamo presentato i dati sull’Italia delle scaleup, ossia sui risultati visibili (leggasi imprese) che ad oggi l’ecosistema delle startup è stato in grado di produrre.

I dati prodotti nell’ambito di Startup Europe Partnership restituiscono una immagine impietosa del Bel Paese, che mostra un ritardo temo incolmabile nei confronti dei principali paesi europei e che è a rischio di sorpasso anche da parte di paesi più piccoli e con minore tradizione industriale del nostro. Corriamo un chiaro rischio di fuga degli imprenditori e delle startup, dopo aver subito per anni quella dei cervelli.

Vi lascio l’approfondimento dei dati e mi concentro su quanto emerso dal dibattito, moderato da Riccardo Luna, che ha seguito la presentazione del rapporto.

Al Tempio Adriano a Roma c’erano difatti tanti protagonisti di questo sistema startup, tanti amici e compagni di tante battaglie nel nome delle startup.

Tutti, come il sottoscritto, in qualche misura tanto frustrati quanto corresponsabili di questo fallimento.

Sì, come ha ben detto Massimiliano Magrini, non è stata una riunione sindacale del movimento startup perché non avrebbe avuto senso.

È stata una analisi collettiva di quanto di giusto non è stato fatto e di quanto si potrebbe ancora fare per far decollare un aereo affossato sulla pista.

È stato il riconoscimento del fallimento di anni di duro lavoro.

Fallimento nel non essere riusciti a spiegare, come ha ammesso Marco Bicocchi Pichi, che le startup non sono importanti per se stesse, ma per il paese.

E la prova di ciò è stata che il mondo della politica, invitato a questo incontro, era largamente assente.

Sorge il dubbio che tale assenza certifichi, come ha sottolineato Fausto Boni, l’evidente disinteresse del mondo della politica nei confronti di startup e innovazione. Probabile.

La realtà, meno digeribile da un mondo che ha costruito il proprio manifesto nella capacità di “pitchare” in modo chiaro cosa si vuole fare, è  la nostra incapacità di comunicare alla gente perché le startup sono importanti e a cosa servano. “Se manca una domanda dal paese per le startup, manca la sanzione politica per chi non se ne occupa”, ha detto, senza diplomazia, Antonio Palmieri – “E perché quindi sorprendersi se il mondo della politica non se ne occupa? Fate sentire la vostra voce in modo chiaro, se volete avere una opportunità che qualcuno vi ascolti”. Touché.

Che serve allora?

Una cosa: capitali dal pubblico. Qualche miliardo, come ha proposto Salvo Mizzi, non spiccioli. In questi anni abbiamo migliorato la cornice regolamentare ma manca il quadro. Non si può pensare di giocare con i bastoncini dello Shangai quando gli altri muovono una clave. E non c’è da vergognarsi nel chiederli, ha detto Mauro Del Rio.  Soldi sì, “ma non investiti a pioggia in una logica simil-democristiana, soldi puntati su pochi cavalli vincenti”, ha chiesto Davide Dattoli. Soldi da cui tutti quelli intorno al tavolo non devono trarre benefici. Chiedere investimenti pubblici e farsi pagare management fee per investirli o caricare fee per servizi è semplicemente non corretto e distrugge la fiducia, che è l’altro pezzo che è probabilmente venuto a mancare nel nostro ecosistema, come ha ricordato Gianluca Dettori. E la cosa suona strana visto che il mercato delle startup è costruito sulla fiducia.

Quindi ora o mai più. Perché il tempo, più che i capitali, è la vera risorsa scarsa. Solo così startup e innovazione da emergenza nazionale possono diventare una opportunità nazionale, come ha ricordato Marco Gay.

Altrimenti resteranno solo le buone intenzioni in un paese avviato sulla strada del declino.

È un po’ che siamo silenti e i nostri 24 lettori (uno in meno del Manzoni, giusto per rispetto) potrebbero essersi chiesti dove fossimo finiti.

Siamo stati sotto traccia anche perché stavamo lavorando a qualcosa che consideriamo importante.

“Chi innova non può rimanere uguale a se stesso”, siamo soliti ripetere. E questa è una regola che prendiamo seriamente.

Subito dopo il lancio della piattaforma Startup Europe Partnership al World Economic Forum di Davos (nel lontano gennaio 2014, qui il link al post di annuncio) ci siamo chiesti quale fosse il passo successivo.

E, trascorsi quasi tre anni,  abbiamo capito che per avere un reale impatto è necessario fare un ulteriore salto di rilevanza e di scala.

 

Rilevanza

Se qualche anno fa lavorare con le startup era considerato dalle aziende qualcosa di nuovo, oggi è diventato prassi comune. Un nostro recente studio mostra come la quasi totalità delle principali aziende europee abbiano programmi che coinvolgono startup. Ma non basta. La stessa ricerca evidenzia come siano veramente poche le aziende che concretamente lavorano con le startup (dove per “concretamente” intendiamo accordi commerciali e partnership strategiche, non iniziative con finalità principalmente di marketing). In altre parole:

Sempre più aziende parlano di startup, ma poche ci lavorano concretamente.

Nella nostra esperienza di lavoro con alcune delle ultime abbiamo verificato come i risultati arrivino quando c’è un commitment serio dal vertice. Solo in questo modo lavorare con le startup diventa “everyday job” per l’organizzazione.

Per questo motivo abbiamo lavorato per aumentare la visibilità sul tema startup ai vertici delle aziende. I “SEP Europe’s Corporate Startup Stars Awards”, di cui abbiamo organizzato la seconda edizione lo scorso 18 dicembre a Brussels, sono un esempio al riguardo. Al di là dell’obiettivo di premiare e dare un giusto riconoscimento a chi sta facendo bene, è stata l’occasione per riunire per mezza giornata i vertici di 36 aziende e discutere circa priorità e linee di azione. Ai massimi livelli, che sono poi quelli che contano per fare succedere le cose.

Scala

Il lavoro fatto con i Matching Event di Startup Europe Partnership in questi tre anni ha permesso di “sporcarci le mani” e sperimentare vari format. Avere organizzato oltre 20 matching event internazionali, coinvolgendo oltre 500 startup e 50 aziende da tutta Europa, ci ha consentito di capire ne profondo cosa funzioni e soprattutto cosa non funzioni. Ma soprattutto abbiamo accumulato una quantità importante di dati sui reali tassi di successo nell’interazione tra imprese e startup – che si attestano tra il 2 e il 5% – e sui tempi richiesti per realizzarli – tra i 6 e i 18 mesi, mediamente.

I dati dicono che degli incontri tra startup e impresa meno di uno su venti si traduce in risultati.
E, quando succede, ci vuole oltre un anno per trovare un accordo.

Perciò, oltre a lavorare sulle “best practice” per produrre più risultati (qui una analisi), ci siamo resi conto che dovevamo aumentare i volumi. Di qui, il format rinnovato di Startup Europe Partnership per il 2018 e 2019 (lo abbiamo chiamato 2.0 per marcare il cambiamento) che, tra le altre cose, ruoterà intorno a momenti di aggregazione più ampi e intensi. 4 grandi Scaleup Summit durante i quali riunire, rigorosamente a porte chiuse, il meglio del mondo delle scaleup (le startup early stage non sono generalmente un buon match per le imprese), delle imprese e della finanza (circa 150 entità in tutto).

I Summit avranno due caratteristiche:

  • Saranno ospitati presso le grandi borse europee che sono l’altro grande anello mancante (i dati ci dicono che solo il 2% delle scaleup europee ha accesso al canale di borsa e che le grandi IPO avvengono oltre oceano).
  • Avranno dimensione internazionale, coinvolgendo scaleup, imprese e investitori da tutta Europa. Perché uno dei limiti principali di molte iniziative per startup è il loro carattere locale o nazionale, all’interno di un mondo molto più vasto.

La dimensione naturale del mondo delle startup è quella internazionale.
Iniziative di respiro locale non hanno molto senso.

Questo è quanto ci ha tenuto impegnati nell’ultimo periodo. Questo è quanto abbiamo annunciato a Brussels il 18 dicembre alla presenza del mondo delle imprese e della Commissione Europea. Alla fine i risultati – e solo quelli – ci diranno se stiamo procedendo nella giusta direzione.

La buona notizia per l’Italia è che il primo Summit sarà organizzato presso la Borsa Italiana il 15 e 16 marzo prossimi. Questo è il nostro piccolo regalo di inizio anno per il nostro Paese in cui continuiamo a credere, come dieci anni fa quando il ponte di Mind the Bridge ha visto la luce.

Alberto Onetti e Marco Marinucci

Per una settimana l’Europa farà base in Silicon Valley. Per capire, confrontarsi, discutere.

Lo farà con una delegazione – quella di Startup Europe Comes to Silicon Valley (SEC2SV) – composta da 100 persone da oltre 20 paesi.

Una delegazione improntata alla diversità e con una forte anima italiana (oltre a quella di Mind the Bridge che organizza SEC2SV su mandato della Commissione Europea con il supporto di EIT Digital).

Ne faranno parte 15 scaleup (ossia startup già “cresciute” e in rapida espansione, in media cinque milioni di fatturato e oltre cinquanta addetti) selezionate attraverso una call europea (Beintoo e Buzzoole, le due italiane scelte quest’anno, cui si aggiunge la britannica Primo fondata dall’italiano Filippo Yacob).

Ma anche aziende più strutturate (dal Bel Paese si contano FacilityLive, Creactives, Domec, Nearit e Checkout Technologies, la nuova creatura di Enrico Pandian, fondatore di Supermercato24) e investitori.

E soprattutto il mondo della politica, perché è fondamentale che chi è chiamato a regolare comprenda come stanno evolvendo tecnologie e mercati: la Commissione Europea (la missione è quest’anno guidata dal Commissario Věra Jourová), il Parlamento Europeo (tra cui gli italiani Brando Benifei e Flavio Zanonato),  tre segretari di stato, regioni (Bavaria, ma anche Sardegna ed Emilia Romagna).

Ad attenderli una settimana intensa di confronto e di incontri ad altissimo livello.

Si parte oggi con un Policy Hack: lo spirito di innovazione creativa proprio degli hackathon verrà applicato per trovare soluzioni regolamentari in ambiti quali Open Data, Fintech, Enterprise Data Transfers, Smart Cities. I risultati verranno ridiscussi a novembre a Tallinn in Estonia durante lo Startup Nations Summit (SNS).

In serata tavola rotonda con Věra Jourová, Commissario Europeo alla Giustizia, Tutela dei Consumatori e Pari Opportunità.

Martedì workshop presso Google e LinkedIn per discutere i rischi associati alle nuove tecnologie (“fake news”), ma anche per comprendere come le stesse possano aumentare il “civic engagement”. Nel pomeriggio analisi dello stato ed evoluzione delle relazioni politiche e barriere regolamentari tra Stati Uniti ed Europa presso K&L Gates.

Mercoledì è il giorno dell’European Innovation Day, la conferenza che si è affermata negli ultimi anni come il momento di confronto tra Europa e Stati Uniti in Silicon Valley. Attese oltre 500 persone nella cornice del Computer History Museum di Mountain View: sul palco si alterneranno speaker del calibro di Steve Westly (già direttore finanziario della California e in corsa per la poltrona di governatore) e Oona King (baronessa inglese oggi chiamata da YouTube  per gestire il tema spinoso della parità di genere). Verrà anche presentato il recentissimo rapporto sulle acquisizioni di startup, prodotto da Mind the Bridge e Crunchbase con il supporto dello studio legale Orrick.

In parallelo per le 15 scaleup una tre giorni di “cura steroidea”: nella cornice del Mind the Bridge Innovation Center, da domenica a martedì, verranno infatti sottoposte a un intenso mentoring da parte di imprenditori e investitori della Silicon Valley (del livello di Sukhinder Singh Cassidy, una delle prime GM di Google e tra le donne più influenti della valle) oltre che supporto 1:1 su tematiche legali (IP, visa, apertura di una sede negli Stati Uniti, …). Per loro mercoledì mattina ci sarà un “Investor Summit” dedicato e a porte chiuse, all’interno del quale incontreranno venture capital della Bay Area.
Giovedì e venerdì ulteriori incontri presso imprese (quali Microsoft, VMware, …) e investitori (come Andreessen Horowitz), ma anche outpost di aziende europee (Orange, Capgemini…) e università (Berkeley).

Per una totale immersione nelle diverse componenti dell’ecosistema della “Valle del Silicio”.

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SEC2SV Welcome Cocktail presso l’Americano di San Francisco

Il 12 settembre con l’European Innovation Day si aprirà la missione 2016 di Startup Europe Comes to Silicon Valley (SEC2SV), il momento annuale di incontro ufficiale voluto dalla Commissione Europea tra l’ecosistema europeo delle startup e dell’innovazione e la Silicon Valley.

L’anno scorso la missione era stata guidata dal Commissario al digitale Guenther Oettinger (qui il video con i punti salienti). Quest’anno sarà la volta di Elżbieta Bieńkowska, Commissario all’industria e imprenditorialità. Un passaggio di testimone che sembra sdoganare le startup dalla nicchia del digitale (che poi nicchia non è n.d.r.) e attribuire loro un ruolo centrale del rinnovamento del sistema industriale europeo.

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Non a caso, tra i keynote dell’European Innovation Day ci sarà proprio Henry Chesbrough, il padre dell’open innovation. E come integrare il mondo delle startup con quello delle medie e grandi imprese sarà uno dei temi centrali dei dieci giorni di attività organizzati da Mind the Bridge insieme a EIT sotto l’egida di Startup Europe Partnership. Un dialogo supportato da dati: CrunchBase presenterà un nuovo studio di comparazione tra le acquisizioni di startup negli Stati Uniti e Europa, Mind the Bridge una ricerca sugli “outpost” (le antenne innovative) delle imprese europee in Silicon Valley, il Bay Area Council Economic Institute una analisi sugli investimenti a cavallo dell’Atlant12015208_10153552945455552_7745195741822909936_oico.

Altro grande tema sarà come e dove intervenire a livello normativo per rendere l’ecosistema dell’innovazione molto più efficiente. Durante i dieci giorni sarà continuo il confronto tra i policy maker e l’ecosistema dell’innovazione. Il tutto culminerà in un policy hackathon organizzato da Dell al Mind the Bridge Innovation Center a San Francisco all’interno del quale cinque gruppi misti di policy maker, imprenditori e investitori cercheranno di individuare soluzioni  per attenuare le barriere normative per startup e innovazione.

Ma non solo dibattito e confronto. Ci sarà spazio per mostrare che l’Europa è capace di produrre innovazione di livello. Sono state selezionate una dozzina di “scaleup” ossia di startup europee che stanno crescendo ad alti ritmi. Per loro incontri a porte chiuse con investitori, università (Berkeley, Stanford), imprese (Microsoft, Google, Uber, Pinterest, Dell, GE, …) e mentorship con i guru della Silicon Valley. L’anno scorso le quattordici scaleup selezionate hanno destato grande interesse sul palcoscenico dai gusti iperraffinati della Bay Area: da Jobandtalent e Mosaicoon – che hanno chiuso round di finanziamento a due cifre – a Entrade – nominata impresa tedesca più innovativa per il 2016 – fino a Shopgate – che ha messo l’IPO nel mirino…

I nomi dei “campioni” scelti per SEC2SV 2016 verranno rivelata a giorni. Per questo – e per tutte le altre novità sul programma (i cui primi nomi e appuntamenti sono stati svelati oggi) – rimandiamo al sito: www.sec2sv.com

Per chi volesse partecipare, l’appuntamento è dal 12 al 20 settembre. Dove?  In Silicon Valley, ovviamente. See ya.

 

È stato pubblicato oggi l’ultimo SEP Monitor che analizza l’ecosistema portoghese delle startup: come di consuetudine per Startup Europe Partnership, l’analisi si concentra sulla parte più strutturata e matura del mondo startup, le cosiddette “scaleup“, ossia le aziende innovative che producono reddito e occupazione. Inoltre vengono analizzate anche le “exit” prodotte dal sistema portoghese, ossia le startup che sono state acquisite da aziende più grandi.

Iniziamo dai numeri:

  • sono state identificate 40 scaleup (startups che hanno raccolto oltre un milione di dollari dal concepimento e hanno completato almeno un round di finanziamento negli ultimi 5 anni) attive in ambito ICT. Per fare di raffronti (i dati sono quelli del SEP Monitor “From Unicorns To Reality”  pubblicato a luglio) nel Regno Unito ce ne sono 10 volte tante, in Germania e Francia il rapporto è di 5x. Meno marcato il gap nei confronti di Spagna – dove ce ne sono 106 – e Italia – dove sono censite 72 scaleup.
  • Hanno complessivamente raccolto $166M di finanziamenti da venture capital. Un sessantacinquesimo di quanto a disposizione delle scaleup di Sua Maestà, 39 volte meno delle scaleup tedesche, 18 di quelle francesi, un decimo di quelle spaganole. Nel “Bel Paese” i fondi investiti in scaleup sono due volte e mezzo di più.
  • Sono state identificate solo 9 exit, tutte acquisizioni e nessun  IPO. Questo numero è un decimo della media europea (75) e resta lontano anche dai due paesi mediterranei censiti (l’Italia ha 30 exit, la Spagna 39).
  • Una prevalenza di piccole scaleup (con meno di 10 milioni di capitale raccolto), nessuna “scaler” (ossia grandi scaleup capaci di raccogliere oltre 100 milioni di dollari). Nessun Unicorno, salvo si voglia contare Farfetch, azienda inglese  fondata nel 2008 dal portoghese Josè Neves (ma con oltre un migliaio di sviluppatori a Porto).
  • Il capitale medio raccolto da una scaleup portoghese è di 4.2 milioni di dollari. In Germania e UK  la media è $30M, in Francia e Spagna è intorno a $15M, in Italia ci fermiamo a $5.5M.

Come leggerli? In primo luogo bisogna considerare la recente storia dell’ecosistema portoghese delle startup: il 65% delle scaleup ha raccolto capitali negli ultimi due anni e di queste la gran parte quest’anno. Il 75% è stato costituito dopo il 2010 (e il 48% successivamente al 2012). Quindi un sistema sviluppatosi da poco e che ha bisogno di tempo per produrre risultati. Situazione non dissimile dall’Italia, che paga un ritardo nell’avere affrontato con sistematicità il tema delle startup.

In secondo luogo bisogna considerare la dimensione relativa dell’economia portoghese: il PIL lusitano ammonta a 230 miliardi di dollari, un valore 16 volte più piccolo della Germania, 12 di Regno Unito e Francia, un nono di quello italiano e un sesto di quello spagnolo. Quindi, facendo i conti della serva, se in Portogallo ci sono 40 scaleup con 166 milioni di dollari investiti, In Italia dovremmo averne 360 con 1,5 miliardi di capitali raccolti. Invece siamo fermi a una settantina e a 400 milioni investiti.

Dobbiamo mettere a terra la nostra potenza industriale. Il gap con l’Europa è già ampio. Ma è la distanza tra il mondo delle startup e l’universo produttivo e il sistema del risparmio che veramente ci frena.

Urge accelerazione se non vogliamo che i grandi di Europa diventino definitivamente irraggiungibili e i paesi più piccoli ci sorpassino.

 

SEP Monitors

SEP Monitors

 

Qualche settimana fa Startup Europe Partnership (SEP) ha pubblicato il primo quadro di comparazione dell’ecosistema europeo delle startup visto da una prospettiva un po’ diversa dal solito. Non quella delle partenze (numero di startup, incubatori, acceleratori, …) ma quella degli arrivi (le cosidette “exit”) e di chi sta effettivamente viaggiando e facendosi strada (le “scaleup” e gli “scalers”, ossia le startup che crescono dimensionalmente).
Analisi – va detto – ancora parziale (difficile avere dati esaustivi su un universo in così forte evoluzione) e limitata sia geograficamente (solo cinque paesi per ora mappati, Francia, Germania, Italia, Regno Unito, Spagna) che settorialmente (si concentra per ora sull’ICT, ossia le nuove tecnologie della informazione e comunicazione.

Cosa emerge dai dati? Come di consueto mi limito ad alcuni rapidi commenti, rimandando al report – SEP Monitor è scaricabile qui – per un’analisi più completa.

Il Regno Unito fa gara a parte. Delle 990 scaleups mappate nei cinque paesi 399 vengono da lì. Il doppio di Germania (208) e Francia (205), oltre quattro volte Spagna (106) e Italia (72).

Al di là del numero delle scaleups, il Regno Unito è soprattutto avanti per la quantità di capitali che è riuscita a mettere a loro disposizione. Oltre 11 miliardi di dollari ($11.1B), quasi due volte quanto investito in Germania ($6.6B), quattro volte la Francia ($3.1B), sei volte la Spagna ($1.8B) e quasi trenta volte l’Italia ($0.4B).

È in particolare sull’accesso delle startup al mercato di borsa che il Regno Unito stacca tutti. 12 startup quotate e soprattutto quattro miliardi raccolti attraverso il canale borsistico, il doppio di quanto tutti gli altri paesi hanno fatto messi insieme.

Dati simili, con differenze ancora più marcate, se restringiamo la analisi agli scalers, ossia le startup che hanno raccolto oltre 100 milioni di dollari. Dei 38 mappati, la metà (19) vengono dal Regno Unito, la Germania si ferma a 9, la Francia a 6, la Spagna a 3, l’Italia non è pervenuta.

Come leggere questi dati? Sembrerebbe che Italia ne esca con le ossa rotte. Quinta su cinque paesi. E temo che nel prossimo report, quando mapperemo anche i paesi nordici, scalerà di altre posizioni.

Rendiamocene conto: l’Italia non è più (da tempo) una delle locomotive dell’innovazione europea. I treni sono partiti tempo fa e noi eravamo in altre vicende affaccendati. Eravamo impegnati a discutere su come cambiare tutto senza però cambiare nulla. Discussioni che ahimè non mi sembrano ancora concluse.

Però vedo una luce in fondo al tunnel. Mentre, a livello di sistema paese, eravamo presi in interminabili discussioni, dal basso c’è chi ha iniziato a fare.E ha prodotto risultati significativi. È il popolo delle startup, degli innovatori, degli investitori. È il popolo di chi fa e non passa le giornate a dibattere su cosa gli altri dovrebbero fare. È un popolo silenzioso e operoso che collabora e crede in chi prova a fare. È un popolo che sta in silenzio raccogliendo sempre più adepti. È il popolo che cambierà l’Italia e ci riporterà lentamente in alto nelle classifiche che oggi ci vedono impietosamente nella parte destra del tabellone.

Quindi come leggere i dati?

Siamo indietro perché siamo partiti in ritardo rispetto agli altri paesi e senza supporto istituzionale. Mi sarei stupito del contrario.

Nonostante tutto stiamo giocando la partita. Con il tempo e, magari, con un po’ più di supporto istituzionale – il lavoro che stanno facendo i vari Luna, Firpo, Corbetta, Fusacchia è encomiabile – recuperemo le posizioni perdute. Il lavoro è l’unica strada percorribile.

C’è una luce in fondo al tunnel. E non è un treno che ci sta venendo incontro.

 

Abbiamo più volte discusso di come le startup stiano mettendo in crisi molti settori e imprese, introducendo nuove tecnologie, nuove modalità di fruizione dei beni e servizi o nuovi business model. Uber, Airbnb, Spotify sono solo alcuni esempi. Il fenomeno – chiamato “disruption“, qui un articolo per chi volesse saperne di più – è semplicemente inarrestabile.

Come si comportano le imprese di fronte a questo “tsunami” di cambiamento?

Siamo sul mercato da molti anni, sappiamo cosa il cliente vuole e cosa serve per servirlo. È difficile che qualche startup possa dal niente entrare sul nostro mercato“. Questa è una obiezione che mi sento fare molto di frequente, soprattutto da parte di imprese di medie dimensioni. Negazione della realtà dettata da ignoranza (nel senso di non conoscenza) e dalla consuetudine (“abbiamo fatto sempre così, perché cambiare?“). Ricetta certa per il disastro.

Sì, le startup sono veicoli importanti di innovazione. È nostra intenzione valutare modalità per lavorare con loro“. Approccio molto frequente. Quasi tutte le grandi aziende parlano oggi di open innovation e di startup, ma di fatto in poche si stanno concretamente muovendo. Tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare, si dice. E, se non ci si muove rapidamente, in quel mare si può fare una brutta fine. Buone  intenzioni, ma nessuna azione. Lodevole, ma insufficiente.

Le startup stanno smontando pezzo a pezzo la nostra catena del valore. Dobbiamo lavorare con loro perché sono per noi un’opportunità per cambiare e continuare ad avere successo“. Questo è il modo con cui le aziende leader al mondo si stanno muovendo, da tempo. Un approccio che non nega la realtà, riconosce l’inevitabile cambiamento e cerca di individuare modalità per farlo proprio. “Winning together” è l’approccio che come Startup Europe Partnership (SEP) proponiamo da tempo e che oggi si è tradotto in una guida, realizzata da Nesta (in collaborazione con SEP e Founders Forum).

Lo scorso mercoledì a Londra, in occasione della CEO Breakfast del Founders Forum, la guida “Winning together – A guide to successful corporate-startup collaboration” è stata presentata a 90 CEO di tutto il mondo. Raccoglie i risultati del lavoro di ricerca durato alcuni mesi e mostra come aziende di diversa dimensione e operanti in ambiti differenti possano beneficiare della collaborazione con il mondo delle startup.

Non paura, non negazione della realtà, non procrastinazione delle decisioni ma individuazione di azioni concrete per lavorare insieme (e vincere insieme) con le startup: “The most important thing to remember is that young digital companies are not necessarily a threat – the right collaboration can present enormous opportunities where both win.

Qui il link per il download (gratuito) del Report. Buona lettura.

Da quando la Commissione Europea ci ha posti alla guida di Startup Europe Partnership (SEP) stiamo guardando all’ecosistema delle startup da una prospettiva diversa: quella delle scaleup, ossia quel sottoinsieme di startup che sono state capaci di strutturarsi e sono pronte a fare il salto dimensionale (rimando a un post precedente per chi fosse interessato ad avere più dettagli sulla loro definizione).

Il motivo è semplice: un ecosistema di startup non può progredire se non è in grado di produrre imprese che crescono. Senza quelle (le scaleup, appunto), l’ecosistema è destinato a implodere e con esso a essere vanificati tutti gli sforzi e i risultati raggiunti in questi anni di lavoro. E sarebbe un grande peccato, perché tanto buon lavoro è stato fatto da parte di tanti.

È quindi giunto il momento di provare a testare il polso all’ecosistema italiano delle startup e a capire quante startup italiane sono state capaci di fare il salto di qualità per diventare scaleup. A ottobre, a Roma, in occasione del Matching Event di Startup Europe Partnership, presenteremo l’ultimo SEP Monitor (che riassume i risultati delle attività di Mapping di SEP, ne abbiamo pubblicato uno simile a giugno sulla Spagna, qui il link per il download).

Obiettivo: quantificare la parte maggiormente strutturata che sta emergendo dall’ecosistema italiano delle startup, identificando:

1) le scaleup, ossia quelle startup che producono fatturato o che hanno raccolto capitali da investitori. In via preliminare abbiamo identificato la soglia a mezzo milione di dollari (per chi fosse interessato qui un recente articolo che raccoglie il dibattito in corso sulle metriche);

2) le exit, ossia quelle startup che hanno completato la quotazione in borsa (IPO) o che sono state acquisite da altre aziende.

I dati che presenteremo non hanno l’ambizione di essere esaustivi (in quanto lo sforzo di mappatura che stiamo complendo a livello europeo è tuttora in corso). Tuttavia il contributo di tutti nell’indicarci nomi di startup che rispondono ai criteri indicati sopra è fondamentale per fornire un primo quadro ragionevolmente accurato. Attendiamo segnalazioni (non oltre il 15 settembre), il più possibile circostanziate (ossia supportate da dati).

Le startup non bastano. La realtà è che occupazione, innovazione e crescita passano attraverso un sottoinsieme delle startup, numericamente limitato, rappresentato dalle startup che riescono a crescere (il termine in uso è “scaleup“) e a diventare grandi imprese. Sono quelle che generano reddito (pil) e posti di lavoro. Senza quelle, gli ecosistemi (anche quelli più vivaci e dinamici) implodono, perché le risorse investite dagli investitori rimangono bloccate e non vanno a finanziare nuovi cicli di innovazione. Il risultato è che la ruota dell’innovazione si ferma. Il segreto della Silicon Valley è proprio in questo ciclo continuo fatto di investimenti in startup, scaleup con exit (acquisizioni e IPO) e reinvestimenti in startup.

Come siamo messi a livello europeo in termini di scaleup? Non bene,  se è vero che solo 3 startup europee fanno parte dell’Unicorn Club, ossia delle startup che hanno superato la valutazione di un miliardo di dollari. Classifica presidiata dalle stelle emergenti di Uber e Airbnb, ma che ci vede ormai anche alle spalle dei cinesi.

Bisogna pertanto oggi concentrarsi nel sostenere la crescita delle migliori startup. Serve un processo selettivo, riservato ai migliori, finalizzato a creare campioni. Perché i campioni, avendo successo, aumentano le risorse a disposizione per i progetti nelle prime fasi (early stage e seed). Concentrarsi su pochi casi di successo significa allargare la base della piramide dell’innovazione.

Lo spazio di recupero c’è perché negli ultimi anni tutti i paesi europei hanno saputo produrre una grande e crescente quantità di startup. Per non vedere vanificare questo sforzo, bisogna cambiare passo in termini di qualità.

Uno studio (SEP Monitor) che abbiamo presentato a Brussels in occasione del lancio ufficiale di Startup Europe Partnership segnala come ci siano oltre mille startup in Europa che hanno raccolto oltre un milione di dollari. Il che non significa che necessariamente avranno successo, ma che sono nelle condizioni di poter spiccare il volo e seguire la strada tracciata dai nuovi campioni europei à la Spotify, Soundcloud, King.com.

Startup, è tempo di scalare!

Negli ultimi anni il mondo delle startup in Europa ha fatto passi da gigante. Ormai, in quasi tutti i paesi del Vecchio Continente, ci sono ecosistemi vitali di startup. Cosa ci manca per fare il definitivo salto di qualità? Abbiamo creato la base, ora si tratta di lavorare sulla punta della piramide. Ossia dobbiamo avere startup capaci di emergere e diventare grandi imprese, direttamente (crescendo a livello internazionale e quotandosi) o indirettamente (venendo acquisite da imprese più strutturate). Come dice Ben Horowitz (nel suo The Hard Thing About Hard Things: Building a Business When There Are No Easy Answers, di cui stra-consiglio la lettura): “if you want to build an important company, then at some point you have to scale“. Le imprese che rimangono piccole non lasciano purtroppo traccia.

Scale-up” è, non a caso, l’obiettivo che la Commissione Europea ci ha assegnato nell’affidarci la guida di “Startup Europe Partnership“. La via che abbiamo individuato per fare “scalare” l’ecosistema europeo delle startup passa attraverso le grandi imprese. In Europa purtroppo non abbiamo quelli che vengono definiti “New Tech Giants“, ma abbiamo tante imprese anche di dimensione rilevante che hanno necessità di aprirsi/contaminarsi con il mondo delle startup. Dall’incontro (selezionato) con le grandi imprese europee crediamo possano generarsi opportunità di crescita per le startup europee. Abbiamo disegnato Startup Europe Partnership come una piattaforma pan-europea ove le migliori startup europee possano avere occasioni di contatto qualificato con manager di grandi imprese realmente interessate a comprare/distribuire prodotti/servizi da startup, investire in startup ed, eventualmente, acquisire startup.

In questa direzione si stanno muovendo anche i grandi fondi di investimento in Silicon Valley. Come segnala Steve Blank, in un post pubblicato questa settimana, i principali fondi stanno focalizzandosi sul matching tra startup e imprese: “venture capital firms like Sequoia and Andreessen/Horowitz are hiring new partners just to work with their portfolio companies and match them to corporations. They are actively organizing annual and quarterly activities to bring the portfolio and Fortune 500 decision makers together– in both large events and one-on-one visits. The goal is to get a corporate investment or an outright acquisition of the startup“.

La direzione è quindi tracciata. Si tratta di incamminarsi e produrre risultati. Startup Europe Partnership partirà dall’Italia: il 13 maggio porteremo a Napoli, a Castel dell’Ovo (qui i dettagli) manager di Telefónica, Orange, BBVA, Enel ed altri grandi imprese per incontrare una selezione di startup europee. Obiettivo: matching. Madrid, Londra, Parigi, Berlino a seguire nei prossimi mesi.