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LinkedInred.pngLo scorso maggio avevamo commentato la IPO di LinkedIn e quello che era stato definito il suo “banner debut” con una impennata ad oltre $94 nel primo giorno di negoziazione (oltre il doppio del suo un prezzo di offerta fissato pari a $45). Il post cui rimando era stata l’occasione per ritornare sul tema delle bolle web e soprattutto sulla complessità di valutare le aziende tecnologiche.
Ieri, sono scaduti i primi sei mesi. Intervallo tecnico interessante visto che i 180 giorni rappresentano il periodo tipico di lock-up per gli inside investors (quali i fondatori, manager e gli investitori). E non se lo sono lasciati sfuggire: Bain Capital ha liquidato il suo intero pacchetto, mentre hanno allegerito la propria posizione il co-founder Allen Blue, Arvind Rajan, head dell’international business, ed altri investitori. Il prezzo ne ha ovviamente risentito, con un calo superiore al 7%.
Nulla di particolarmente strano se non fosse che è in arrivo una “secondary offering” (o “secondary sale” per chiamarla con il suo nome). Quest’ultima invece segnala il fatto che la società non sta muovendosi in linea con le attese e ha bisogno di maggiore benzina (leggasi cash).
Questa è la vera notizia del giorno (un “ominous sign” nel gergo dei mercati) che fornisce un pò di argomenti a supporto della difficoltà di valutare le aziende high-tech.
E il 12 dicembre  termina il lock-up di Pandora , Internet radio, mentre il 2 maggio quello di Groupon, sulla cui valutazione avevamo manifestato qualche dubbio già in fase di quotazione (qui l’articolo).
More to come…

braindrain.pngIn questi giorni negli Stati Uniti è molto intenso il dibattito sulla capacità dell’America di rimanere la locomotiva mondiale dell’innovazione. “Will US be origin of the next big thing?” è la domanda cui si cerca di dare una risposta.
In Silicon Valley la discussione si è accesa a seguito dell’intensificarsi delle recruiting mission che molte aziende estere (in particolare indiane e cinesi) stanno facendo nella Bay Area per arruolare talenti da impiegare in patria. Per citare alcuni esempi, Snapdeal  (la Groupon indiana, che è in fortissima crescita) ha visitato le quattro principali università americane  per cercare 20/30 ingegneri e product manager. Ironia della sorte il suo fondatore (Kunal Bahl) ha studiato alla Penn’s Wharton School of Business ed è dovuto rientrare in patria per l’impossibilità di ottenere il visto H1-B.
E proprio il rigido approccio americano nei confronti dell’immigrazione è sotto accusa, insieme ai tagli alla ricerca. “While we shut our doors and keep entrepreneurs, engineers and scientists out, other countries are welcoming them” aveva commentato Vivek Wadhwa (colonnista di Business Week e Techcrunch) meno di due settimane fa al  Mind the Bridge Venture Camp 2011. E la storia insegna come molte delle grandi innovazioni americane sono tradizionalmente venute da fuori (Albert Einstein, Alexander Graham Bell, Edward Teller, solo per citarne quelli storici, ma anche i fondatori di Google, Yahoo e Tesla, per richiamare alcuni casi più recenti).
Urge un cambiamento di approccio se si vuole evitare una fuga di cervelli (“brain drain”) e le conseguenti perdite di imprese (“corporate drain”) e di capacità di crescere ed innovare.
There is a global brain race out there… nessuno è escluso…

Segni.pngDopo qualche settimana di pausa, riprendiamo la nostra rubrica La nuova Italia che avanza e a raccontare storie di impresa
Questa settimana spazio a Porcovino, innovativa piattaforma e-commerce operante nel settore vini e gourmet che è stato tra i finalisti della Mind the Bridge Business Plan Competition 2010.
Porcovino ha una storia piuttosto originale al pari quella del suo fondatore Giovanni Segni, 38enne di Cagliari. Porcovino rappresenta un caso di inversione della cosidetta “fuga dei cervelli”. Giovanni ha infatti deciso di rientrare in Italia per fondare una startup dopo circa 16 anni passati all’estero. Dopo un periodo passato in Silicon Valley, nel quale ha ottenuto una laurea in Relazioni internazionali alla University of San Francisco e un master a Stanford in economia politica e studi orientali, ha lavorato per ben dieci anni fuori dai confini nazionali dividendosi tra Taiwan, Hong Kong, Cina e Giappone. Il settore di interesse è sempre stato quello del Web e dell’ITC. Prima lavora in Logitech in California, per poi spostarsi in Cina, essere assunto da Olivetti come Chief Representative per Asia Pacific. Le sue competenze si sviluppano anche nel campo della logistica, ove arriva a gestire un grande gruppo di logistica italiano a Hong Kong e Shanghai.
Giovanni, dopo tutti gli anni che hai passato oltreconfine, cosa ti ha spinto a rientrare nel Belpaese ed a lasciare un posto da dirigente? Pura nostalgia di casa o sei stato spinto da altre motivazioni?
La nostalgia è innegabile che esista, ma non si può dire sia stata un fattore influente nella mia decisione. Il movente principale è stato la voglia di realizzare una idea, il progetto un’azienda che dalla Sardegna porti il meglio dell’enogastronomia italiana nel mondo raccontandone le storie. Un’altra causa determinante è stata la voglia di mettermi in gioco con qualcosa di mio che mi appassionasse sia come imprenditore che come potenziale utente. Lavoro il doppio, guadagno molto molto meno e vivo tra due continenti: non è facile, sono però infinitamente più stimolato e vivo di prima. Quando questo progetto partirà come mi auguro che parta credo che la soddisfazione sarà immensa.
Ora andiamo al sodo, vuoi spiegarci su cosa è basato il tuo business e i piani di sviluppo nei prossimi mesi?
È risaputo come lo stile e la moda italiani, la cucina, il gusto per l’arredo e l’arte siano ampiamente riconosciuti all’estero. Ne è testimonianza il successo di Yoox con cui peraltro ho collaborato come consulente in Cina e Giappone. Yoox ha un buon modello che ho pensato di riproporre per il vino e il gourmet. L’Italia ha la fortuna di avere vino e prodotti gourmet di assoluta qualità e unicità e molto spesso la potenzialità di questo fattore non è sfruttata. Non lo è soprattutto online, dove non esiste un vero ponte tra l’enogastronomia e l’e-commerce di nuova generazione.
Da qui il desiderio di offrire una piattaforma e-commerce innovativa che possa portare i tesori del vino italiano e del Gourmet a livello globale. Per permettere all’acquirente di vivere il sogno e la passione del vino e del gourmet italiani, il principale strumento è la narrativa. Ecco che abbiamo creato contenuti multimediali che possano coinvolgere un potenziale compratore nel processo di produzione di un certo prodotto. Ciò ci permette, da un lato, di creare un legame tra acquirente e prodotto sfruttando le peculiarità delle piccole produzioni di vino sparse per l’Italia e, dall’altro, di dare a contadini e piccole aziende agricole un canale privilegiato per sponsorizzare i propri prodotti.
Ho visto la vostra beta e sembra di entrare in un cartone animato. Però dietro al villaggio virtuale c’è molta economia reale da gestire. Penso al magazzino e a tutta la logistica.
Sì, Porcovino è strutturato come un villaggio virtuale ove il vignaiolo o il produttore condividono la loro passione con il cliente. Naturalmente, come giustamente anticipavi, per mantenere l’assortimento di prodotti unici e di qualità è necessario mantenere un ampio magazzino (abbiamo al momento uno stock di 50,000 prodotti) e gestire con efficienza maniacale la logistica. In Porcovino ho cercato di capitalizzare le conoscenze acquisite nei tanti anni di esperienza all’estero. Ovviamente poi ho dovuto cercare anche dei soci che mi completassero nelle skills a me mancanti. Eugenio e Claudio Velitti vengono da più di 15 anni di esperienza dirigenziali nei più grandi importatori di vino e retailer sia in Regno Unito che in Giappone. Giulio Concas, oltre ad essere stato nel team di Tiscali, è docente di Applicazioni Web all’Università di Cagliari. Ilan Tito ha 12 anni di esperienza focalizzata sull’ E-commerce sia su Italia che US, dove ha ricoperto importanti posizioni per Yoox.
La questione del magazzino comunque ha inizialmente intimorito (oltre a te, mi ricordo che è stata la prima cosa che mi hai chiesto quando ci siamo incontrati per la prima volta due anni or sono) anche i nostri investitori, così che abbiamo ovviato al problema con un prestito bancario che potesse agire da leva e rassicurare chi in noi aveva investito o vorrà farlo in futuro.
Porcologo JPEG.jpegAl di là delle banche, come vai invece la raccolta di capitali?
Ad oggi, ci hanno aiutato ben 11 angel investors tra cui 3 ex manager di Yoox. Più precisamente abbiamo fatto un primo Friends & Family Round da 200,000 euro, cui sono seguiti due angel round per circa 350,000. Ora siamo in discussione per un round A con un fondo italiano di venture capital, vi farò sapere come va.
Per chiudere una domanda di rito: da dove viene il nome Porcovino?
Sono convinto che esistano due tipologie di nome per una azienda, quelli scelti attentamente a tavolino per piacere a tutti e quelli che vengono dalle viscere, irriverenti ma strettamente legati al prodotto. Nel nostro caso ovviamente è prevalsa la seconda opzione e per il momento ha riscosso ampio gradimento in Giappone e altrove. Sicuramente rimane impresso in testa…

All’interno del nostro spazio dedicato alle imprese innovative italiane (che abbiamo chiamato “La nuova Italia che avanza” per dare testimonianza della parte del nostro paese che, nonostante tutto e tutti, sa innovare e crescere o almeno ci prova) intervistiamo oggi Andrea Giannangelo. Iubenda il suo cavallo di battaglia.
iubenda_logo.jpgLa storia di Andrea è quella di un “enfant prodige” visto che a soli 10 anni ha iniziato a sviluppare siti web per poi fare di tutto: gestione di forum affollatissimi, grafica di tutti i tipi, avere un blog, lavorare in una web agency, tenere un webserver in casa… i geni dell’imprenditore li aveva già tutti. A 22 anni (laureato da poco a pieni voti in Economia all’Università di Bologna!) si ritrova oggi CEO e mente di “Iubenda”, startup fondata insieme a Domenico Vele (38 anni)- Software Engineer – e Carlo Rossi Chauvenet (29 anni) un avvocato e docente in Bocconi. Un team forte e diversificato che ha convinto investitori come il fondo Digital Investment SCA SICAR (di cui dPixel è advisor), Andrea Di Camillo (Vitaminic, Banzai, Quantica) e Marco Magnocavalllo (Blogo). E che ha portato Iubenda ad essere scelta tra le 20 startup selezionate per il Mini Seedcamp che si svolge a Londra proprio in questi giorni.
Con il prezioso supporto della nostra Simona Bielli siamo andati a trovarlo.

Andrea, cos’è “Iubenda” e perché ha fatto parlare così tanto di sé in questi ultimi mesi?
Iubenda è un’applicazione web che consente a chiunque possieda un sito web di dotarlo di una Privacy Policy (informativa sulla Privacy) tramite un processo di generazione automatica che consta di soli tre passaggi.
In poche parole Iubenda consente di generare un documento d’informativa sulla privacy senza essere degli esperti di diritto, permettendo a chi possiede un sito web di descrivere i servizi che utilizza sullo stesso (es. Google Analytics). La Privacy Policy viene poi integrata nel sito tramite un codice di inserimento, che fa comparire un’icona che contiene un collegamento alla privacy policy.
È proprio questo il carattere rivoluzionario di Iubenda: non solo non esiste al mondo uno strumento che permetta a chiunque di generare una Privacy Policy, ma non esiste nessuno strumento che permetta di generare qualunque documento giuridico grazie alla tecnologia!

Andrea2.jpegUn web designer come te sicuramente conosce queste problematiche molto da vicino, ma quale è la molla che ti ha spinto a pensare di creare Iubenda?
In realtà Iubenda non è il primo progetto in cui mi sono lanciato. Oltre ad aver emulato la Play Station da piccolo, a partire dai 10 anni in poi ho fatto molto altro. Negli ultimi anni ho seguito due progetti ambiziosi che poi non si sono rivelati decisivi. Le esperienze precedenti sono però servite per imparare.
A 17 anni ho tentato insieme ad un amico di fondare un web hosting provider gratuito sul modello di Altervista. A 19 ci ho riprovato con una nuova idea: un e-commerce innovativo di t-shirt, prodotte da designer di alto livello, basato sul concetto di scarsità. In sostanza chi arrivava primo pagava di meno. Tutto era pensato e predisposto alla perfezione, ma designer e fumettisti volevano essere pagati in anticipo e io non avevo un soldo.
Infine, a gennaio 2009, in una settimana creo webtelevideo.com, che reimpagina il palinsesto TV e lo mostra in un modo leggibile. Fantastico, webtelevideo conta oggi quasi 200mila pageviews al mese! In quel periodo stavo sostenendo i primi esami all’università (Economia), compresi quelli di diritto che mi hanno dato un’impostazione piuttosto seria nel portare avanti il progetto webtelevideo. La scrittura della Privacy Policy era uno dei grattacapi da risolvere. È stato questo episodio che mi ha ispirato: ho sentito questo bisogno in prima persona, il mercato sembrava pronto (il trattamento dei dati personali era molto omogeneo, servizi come Google Analytics avevano monopolizzato il mercato in senso verticale), così mi sono dato da fare per creare uno strumento che potesse generare una Privacy Policy. Ed ecco Iubenda!

Quindi è un progetto partito più di due anni fa..
Sì, Giugno 2009, ma sono successe diverse vicende nel frattempo. Inizialmente ci avevo lavorato con tre coetanei; un team che a febbraio 2010 già si era sfaldato, producendo poco e nulla.
Credevo troppo in Iubenda per mollare. Motivo per cui ho provato a visitare qualche Web Agency di Bologna per cercare persone interessate a co-sviluppare il progetto. Anche qui nulla. Ecco che allora ho deciso di intraprendere la strada del Venture Capital e dopo essermi informato accuratamente su tutto quello che potesse riguardare pitching, VC, Startups & Co, ho contattato Gianluca Dettori (fondatore di dPixel). Evidentemente la mia idea è piaciuta, tant’è che a partire dal mese di maggio 2010, anche grazie a quell’incontro, il progetto di impresa ha iniziato a prender forma. Ho avuto la pazienza di saper aspettare il momento giusto e mi sono focalizzato sulla costruzione di una relazione con i futuri investitori. Nel frattempo ho composto il team e messo a punto l’idea.

Ci stai dicendo che in queste prime fasi è molto importante costruire una relazione con un investitore che può aiutarti a sviluppare la tua idea di business.. Quanto è importante questo supporto rispetto a quello economico?
Sono entrambi fondamentali. Tutti i nostri investitori – il fondo Digital Investment SCA SICAR (di cui dPixel è l’advisor), Andrea Di Camillo, Marco Magnocavallo, oltre a Stefano Bernardi che ha investito una piccola quota nella nostra impresa – forniscono preziosi apporti in termini di feedback e consigli, contatti e credibilità. Tutti elementi determinanti che, insieme ai capitali, sono essenziali per lanciare un business.

Secondo te qual è stato il punto di forza che ti ha permesso di entrare in contatto e suscitare l’interesse di questi investitori?
Sicuramente gioca un ruolo importante avere un buon prodotto con un ottimo potenziale di mercato. Nel mio caso è bastata ad incuriosire Gianluca Dettori una mail, studiata e ben scritta, semplice. A quel tempo non avevo ancora un team, quindi gli unici elementi su cui potevo puntare ero io con la mia idea.
Con Marco Magnocavallo, invece, sono entrato in contatto tramite Facebook. Ho sempre cercato di far percepire il mio valore in ogni commento, in ogni intervento e questo ha dato i suoi frutti.
Una cosa che consiglio è quella di coltivare la relazione con l’investitore e dargli elementi per scommettere su di te. Io, dopo il primo incontro con Gianluca Dettori, non mi sono mai fermato (nemmeno prima in realtà…). Ho girato l’Italia per alcuni mesi per capire se il problema era percepito, ho fatto una survey sull’interesse dei potenziali clienti e sulla loro disponibilità a pagare, ho usato Balsamiq per fare i primi test su esigenza ed interfaccia. Nel mentre ho sostenuto 11 esami all’università tenendo una media di 29/30…
A tale sforzo si aggiungeva la ricerca di un team valido che potesse portare avanti questo progetto. Il team si è costituito e la mia tenacia ha vinto. Dopo alcuni mesi gli investitori hanno iniziato a darmi fiducia, hanno capito che facevo sul serio.

Quindi alla fine ha premiato la tenacia…
Probabilmente quello che ha colpito, oltre al progetto naturalmente, è stata la serietà che ho da sempre dimostrato in questo progetto. Iubenda mi impone una disciplina che plasma le mie giornate; è un impegno quasi totalizzante, che ti porti nel letto, che turba il sonno…

Andrea, c’è qualcos’altro che vorresti aggiungere?
L’ho probabilmente detto tra le righe, ma il team è fondamentale. Per quanto uno possa essere bravo, portare avanti un progetto ambizioso richiede il lavoro e la collaborazione di più soggetti. Sono le persone a fare la differenza e l’ho imparato anche dal fallimento di alcuni progetti precedenti. Il team attuale è formato da persone straordinarie, Domenico Vele e Carlo Rossi Chauvenet, con competenze diverse e luoghi di provenienza altrettanto diversi. Eppure siamo affiatati, c’è intesa e questo sarà sicuramente una chiave di successo.

Dall’esperienza di Andrea emergono almeno tre messaggi importanti:
1) l’importanza delle esperienze precedenti, fallimento incluso.
Prima di Iubenda Andrea ha sperimentato e collezionato esperienze diverse, raccogliendo buoni e cattivi risultati, facendo errori e imparando cose nuove. Tutto questo gli è certamente servito per partire col piede giusto nel suo progetto di Iubenda.
2) non ci si improvvisa imprenditori e non si improvvisa un pitch.
Prima di bussare alla porta di un VC si è informato, ha costruito una relazione con pazienza, ha cercato di entrare nel radar dei potenziali investitori. E non si è fermato alle prime difficoltà, mostrando tenacia e dando agli investitori buone ragioni per credere in lui.
3) L’età anagrafica non sempre conta: si può essere bravi e maturi anche a 22 anni.
Però va supportata con l’esperienza (i suoi compagni di ventura hanno rispettivamente 30 e 40 anni).