Archivi tag: Flamine

Furrinalia (25 luglio)

Il 25 luglio si celebrava ogni anno la festa dei Furrinalia, in onore di Furrina, un’antica divinità italica legata alla vita dei campi e alla vegetazione. Probabilmente, Furrina era patrona delle acque sotterranee e dei pozzi, come indurrebbe a pensare il fatto che le festività della seconda metà di Luglio – come i Lucaria del 19-21 luglio e i Neptunalia del 23 – avevano la funzione di scongiurare la siccità – un pericolo sempre incombente in un periodo torrido come l’estate – e a propiziare le acque necessarie per le semine. A Furrina erano dedicati una sorgente e un bosco sacro ai piedi del Gianicolo, sulla riva destra del Tevere, denominato Lucus Furrinae, dove Gaio Gracco trovò la morte nel 121 a.C.

Paolo_Monti_-_Servizio_fotografico_(Napoli,_1969)_-_BEIC_6356051
Statuetta di ninfa, Museo Archeologico Nazionale di Napoli

L’importanza di Furrina in età arcaica è testimoniata dal fatto che al suo culto era preposto un flamine minore, il Flamen Furrinalis. Tuttavia, la mancata assimilazione ad una divinità greca portò ad un progressivo abbandono del suo culto e allo sfumare della sua identità, tanto che al tempo di Cicerone e Varrone la sua figura era già oscura. Cicerone stesso ¹, pur di fornire qualche spiegazione, era costretto a ricollegare etimologicamente il nome di Furrina alle Furie, dee della vendetta, corrispondenti alle Erinni della mitologia greca.

In età imperiale, infatti, il nome di Furrina viene citato al plurale (Forinae), come le Furie, in alcune epigrafi, oppure è degradato al ruolo di ninfa (Nymphae Forrinae), dopo che Nettuno – forte della sua identificazione con Poseidone – ne ebbe evidentemente assorbito tutte le prerogative in fatto di signoria sulle acque marine e interne. La festa dei Furrinalia cadde in disuso già in età augustea, quando Varrone scriveva che:

“al giorno d’oggi, soltanto il nome è a malapena noto a qualcuno”. ²

A partire dal I secolo d.C., il lucus dedicato alla dea Furrina sul Gianicolo iniziò ad ospitare anche il culto di alcune divinità originarie della Siria, pur mantenendo nell’uso comune il nome di Ara Forinarum (Altare delle Furrine).

NOTE

¹ Cicerone (De natura deorum, III, 18, 46)

² Varrone (De lingua latina, IV, 19)

(Articolo aggiornato il 24 luglio 2020)

14 Maggio: seconda processione degli Argei

1024px-Lawrence_Alma-Tadema_-_The_vintage_festival_-_Google_Art_Project

Il 14 maggio si svolgeva a Roma un cerimonia antichissima, una processione alla quale partecipavano le Vestali, i Pontefici, il Flamine Diale con la moglie, la Flaminica Dialis, i magistrati e tutti i membri della comunità. Al termine della processione, che partiva dal Celio, le Vestali gettavano nella corrente del Tevere dal ponte Sublicio i cosiddetti Argei, ventisette fantocci fatti di giunchi a forma di uomini, con le mani e i piedi legati. Questo macabro rito veniva preceduto il 16 e il 17 marzo da una identica processione, con partenza dal Celio e conclusione invece sul Palatium, le cui stazioni erano i ventisette sacelli dei cosiddetti Argei (Argeorum sacraria) distribuiti in altrettanti rioni. La prima processione, in cui i sacerdoti depositavano i ventisette simulacri degli Argei nei sacelli, gettava i presupposti per quella del 14 maggio, che concludeva il rituale. La Flaminica assisteva a questi cerimonie in abito da lutto. I simulacri degli Argei rimanevano nei sacelli per due mesi, fino alla processione del 14 maggio, in cui i fantocci venivano tolti e gettati dalle Vestali nel Tevere dal ponte Sublicio.

20190316_021024
Statua di una Vestale, dalla Casa delle Vestali nel Foro Romano

Queste cerimonie era tanto antiche che se ne erano perse le origini. Il nome “Argei” richiama alla mente gli Argivi, cioè i Greci, ma il significato del rito non era chiaro neppure agli antichi eruditi. Secondo Varrone ¹, gli Argei erano i principi giunti nella penisola italica al seguito di Ercole, che si erano stabiliti nel villaggio fondato dal dio Saturno sul Campidoglio. Ovidio ² racconta che in epoca antichissima quando sul Lazio regnava Saturno, Giove Fatidico avrebbe ordinato ai primi abitanti del luogo, di offrire a tale dio tanti corpi consacrati di vecchi quante erano le loro gentes. Così avvenne, finché Ercole avrebbe fatto gettare in loro vece dei fantocci di giunchi, dando così origine al rito presente degli Argei al posto dell’uccisione rituale degli anziani.
Altra interpretazione sempre fornita da Ovidio ³ è quella che Ercole, giunto coi suoi compagni nel Lazio ospite del re Evandro, sconfisse ed uccise il gigante Caco dedito alla rapina ed al saccheggio di quelle terre; i compagni di Ercole, stanchi di peregrinare, rimasero poi a vivere nel Lazio e, quando arrivarono alla vecchiaia, chiesero ai loro discendenti che i propri corpi dopo la morte venissero gettati nel Tevere per essere trasportati dalle sue onde nel mare e da qui giungere in Grecia ad Argo, loro città natale. Ma i loro discendenti non ritennero naturale la cosa per cui seppellirono in terra laziale i propri cari e gettarono nel Tevere al loro posto dei fantocci di giunchi affinché raggiungessero via mare la patria greca. Secondo Macrobio ⁴, fu invece lo stesso Ercole a gettare nel fiume tanti simulacri quanti erano stati i compagni che aveva perduto durante il viaggio, affinché le acque li restituissero ai loro luoghi originari, al posto dei cadaveri. Festo riteneva che le cappelle degli Argei fossero il luogo di sepoltura di questi illustri uomini argivi ⁵.

copi ruspi 6
Ricostruzione dell’affresco della tomba François di Vulci (IV sec. a.C.) con la scena del sacrificio dei prigionieri troiani ad opera di Achille

Non si può neppure escludere che i simulacri degli Argei – con mani e piedi legati e gettati nel Tevere – nascondano il ricordo della tragica fine toccata a una spedizione di greci, catturati e sacrificati dagli indigeni, incuranti delle leggi dell’ospitalità, prima del mitico intervento civilizzatore di Ercole, che avrebbe proibito tali pratiche. Il rito degli Argei rappresentava comunque per i Romani la più importante cerimonia di purificazione delle curie, come i Lemuria, le feste in cui si placavano i morti anzitempo, che si svolgevano il 9, 11 e 13 maggio, rappresentavano la più importante cerimonia di purificazione delle dimore private. In fondo, anche gli stessi Argei potevano essere considerati come morti anzitempo.

Allo stato attuale della documentazione, non è purtroppo possibile stabilire se i fantocci fossero usati in sostituzione di vittime umane, oppure un residuo storico di uccisioni rituali, se non propriamente di sacrifici umani, attestati sicuramente in epoca storica presso i Romani, come avvenne ai danni di una coppia di Galli e di una di Greci, per esempio nel 228 a.C., durante la minaccia degli Insubri ⁶, e nel 216 a.C. dopo Canne ⁷; oppure se si trattasse di un rito purificatorio, compiuto sin dalle origini con simulacri umani. Il rito degli Argei continuerà a restare uno dei punti più oscuri ed affascinanti della religione romana arcaica.

NOTE

¹ Varrone (De lingua latina, V, 45)

² Ovidio (Fasti, V, 625-632)

³ Ovidio (Fasti, V, 643-662)

⁴ Macrobio (Saturnalia, I, 2, 47)

⁵ Festo (p. 18 Lindsay)

⁶ Plutarco (Marcello, 3, 6)

⁷ Livio (Ab urbe condita, XXII, 57, 4)

Quirinalia: 17 febbraio

Il 17 febbraio, anniversario dell’ascesa in cielo di Romolo, è anche il giorno dei Quirinalia, la festa dedicata al dio Quirino, che si officiava nel suo tempio sul colle Quirinale, alla presenza del suo Flamine. Il nuovo tempio di Quirino, che sostituiva un più antico santuario risalente al V secolo a.C., presso la Porta Quirinalis, era stato dedicato nel 293 a.C. dal console Lucio Papirio Cursore.
Quirino era il dio delle attività basilari della vita umana e degli uomini come collettività organizzata e produttiva in tempo di pace. L’antichità di questa divinità è testimoniata dal fatto che Quirino, insieme con Giove e Marte, faceva parte della originaria triade precapitolina, ricevuta in eredità dagli antenati indoeuropei dei romani e che esisteva un sacerdote, il Flamen Quirinalis, preposto al suo culto.

20190217_001749
Ritratto di Flamine, Museo del Louvre, Parigi

Quirino, il cui nome si ricollega ai Quiriti (i cittadini) e alle Curie (le più piccole suddivisioni delle tribù istituite da Romolo), veniva considerato di origine sabina ed era inoltre il dio che presiedeva alle attività produttive umane, simbolicamente riassunte nei tre momenti cruciali della vita del grano: la maturazione, l’immagazzinamento e la tostatura. Il Flamine Quirinale, oltre ai riti delle festività dei Quirinalia, celebrava anche i Consualia estivi (21 agosto), i Robigalia (25 aprile) e i Larentalia (23 dicembre). In particolare, la partecipazione del Flamine Quirinale ai Consualia e ai Robigalia, presuppone ed evidenzia il preciso legame di Quirino con il grano. Già in epoca assai remota, Quirino finì per essere assimilato e confuso con Romolo e quindi associato a Marte, di cui rappresentava la versione pacifica.

Head_priest_Glyptothek_Munich_341
Flamine con caratteristico copricapo denominato “galerus”

L’unico rituale che le fonti ricollegano ai Quirinalia si chiama Stultorum Feriae, la festa degli stolti. I Quirinalia erano infatti il momento culminante di un’altra antica festività, i Fornacalia, la festa della tostatura del grano, che durava nove giorni, dal 9 al 17 febbraio.
La tradizione faceva risalire l’istituzione della festa, che trae il nome da fornax, il forno, a Numa Pompilio. Fornace (Fornax), la dea latina protettrice dei forni, era il nume tutelare della festa. I Fornacalia erano celebrati separatamente da ciascuna delle trenta curie romane. Ogni anno, il sacerdote che aveva l’autorità su tutte le curie, il Curio Maximus, stabiliva i giorni in cui ogni curia avrebbe celebrato i Fornacalia e ne affiggeva il calendario nel Foro.

wpid-screenshot_2015-11-13-08-44-24-1.png
Rilievo con scena di cottura del pane, dalla Tomba del fornaio Eurisace a Porta Maggiore, Roma

Durante i Fornacalia, quindi, ciascuna curia si riuniva in uno spazio apposito del Foro, nel giorno indicato nelle tabellae dal Curio Maximus. L’ultimo giorno dei Fornacalia era chiamato “Stultorum Feriae“. Venivano considerati “stolti”‘ tutti quei cittadini ritardatari che per negligenza o trascuratezza avevano dimenticato di compiere i riti prescritti per la tostatura del farro nel giorno designato per la loro curia. Essi potevano quindi adempiere ai propri doveri religiosi, consistenti nel venerare le fornaci e la loro dea, il 17 febbraio, durante i Quirinalia, nel giorno appunto denominato la festa degli stolti. Non era infatti certo rara la presenza di cittadini che non sapessero quale fosse la curia di loro appartenenza o che fossero assenti nel giorno previsto per la cerimonia.

quirino (1)
Rilievo con raffigurazione di Flamine e del tempio di Quirino. Marmo pentelico. Museo Nazionale Romano, Roma