Il 28 settembre 351 d.C., nella pianura che si estendeva davanti alla città di Mursa, in Pannonia, ebbe luogo una delle più sanguinose battaglie della storia romana e la più cruenta dell’intero IV secolo, che vide opposti l’esercito di Costanzo II a quello dell’usurpatore Magnenzio. Si trattò ancora una volta di uno dei tanti episodi di guerra civile che da secoli costellavano la storia di Roma e che costò un prezzo altissimo in vite umane, con pesanti ripercussioni nei successivi decenni.

Dopo la morte di Costantino nel 337, la stabilità dell’impero diviso tra i suoi tre figli ebbe vita breve. I contrasti tra Costantino II, che regnava su Gallie, Spagna e Britannia, e il giovane Costante, sovrano d’Italia, Africa e Illirico, si risolsero nel 340 con la morte di quest’ultimo in un agguato presso Aquileia, mentre tentava di contrastare un tentativo di invasione dell’Italia da parte del fratello maggiore. Costante, non ancora ventenne, si ritrovò così padrone dell’intero Occidente, mentre Costanzo, il terzo figlio di Costantino, che dominava sull’Oriente, con Ponto, Asia ed Egitto, era impegnato in una estenuante guerra con la Persia dei Sassanidi. Costante si dimostrò un valente generale e nei successivi dieci anni di regno collezionò una serie di vittorie contro i barbari che premevano sulle frontiere lungo il Reno e in Britannia ma fu anche un pessimo amministratore e soprattutto insofferente nei confronti delle rivendicazioni dell’esercito.
Approfittando dell’assenza di Costante che si trovava in Gallia per una battuta di caccia, un complotto promosso dal comes rei privatae ¹ Marcellino, e portato a termine il 18 gennaio del 350 durante un banchetto per festeggiare il compleanno del figlio, portò all’acclamazione nel palazzo di Augustodunum (l’odierna Autun) del quarantasettenne Flavio Magno Magnenzio, di padre bretone e di madre franca ². Magnenzio, che era forse pagano e comandava i corpi scelti degli Erculiani e dei Gioviani ³, non ebbe difficoltà a portare l’esercito dalla sua parte.

Quando Costante venne a conoscenza dell’accaduto, tentò di fuggire ma fu raggiunto in una piccola città nei pressi dei Pirenei chiamata Elena (odierna Elne, vicino a Perpignano) e trucidato, in una chiesa dove si era rifugiato, da Gaisone e dai suoi uomini, inviati all’inseguimento da Magnenzio.
Costanzo, ancora impegnato con i Sassanidi, non poté far altro che assistere impotente all’estensione della sovranità di Magnenzio sulla parte occidentale, mentre nell’Illirico, il magister militum Vetranione, forse per prevenire un attacco di Magnenzio, venne proclamato imperatore dalle sue truppe il 1° marzo 350 a Mursa, entrando anche lui nel novero degli usurpatori. In realtà, Magnenzio non aveva intenzione di invadere l’Illirico, per non entrare in conflitto con Costanzo, dal quale cercò invece di ottenere il riconoscimento, offrendogli sua figlia in sposa e proponendosi di sposarne la sorella. Al rifiuto di Costanzo, e alla ricerca di una legittimazione, Magnenzio sposò Giustina, una pronipote di Costantino e trasferì la sua sede ad Aquileia, una città che era stata più volte residenza imperiale; quindi, nominò Cesare suo fratello Magno Decenzio, incaricandolo di difendere la frontiera del Reno dalle incursioni di Franchi e Alamanni.

Risolti momentaneamente i problemi con i Persiani, Costanzo poté dedicarsi ad affrontare il problema costituito da Magnenzio. Il 25 dicembre del 350, a Naisso, Costanzo convinse l’usurpatore Vetranione ad abdicare e a consegnargli le legioni illiriche, concedendogli di ritirarsi a vita privata a Prusa, in Bitinia; quindi, consapevole di non poter lasciare l’Oriente senza un rappresentante imperiale, il 15 marzo 337 a Sirmio nominò Cesare suo cugino Gallo, col nome di Flavio Claudio Costanzo Gallo, e lo inviò ad Antiochia.
Magnenzio aveva rinforzato il proprio esercito arruolando Franchi e Sassoni, ma aveva comunque a disposizione un numero di forze inferiori a quelle di Costanzo, incrementate anche dagli uomini di Vetranione. Nella primavera del 351 Magnenzio decise di oltrepassare le Alpi Giulie, mentre l’esercito di Costanzo gli muoveva incontro verso l’Italia. Nel primo scontro, le truppe di Magnenzio intercettarono presso Atrans un’avanguardia di esploratori di Costanzo e la annientarono. Costanzo, a questo punto, per evitare una guerra civile che avrebbe indebolito l’impero, inviò da Magnenzio il suo prefetto del pretorio Filippo, proponendogli di riconoscerlo come collega, purché avesse rinunciato all’Italia e all’Africa. Purtroppo Magnenzio, galvanizzato dall’esito del primo scontro, rispose con disprezzo chiedendo addirittura a Costanzo di abdicare. La rottura fu totale e si passò alla guerra aperta. Costanzo si attestò a Cibalis, dove anni prima suo padre Costantino aveva sconfitto Licinio, mentre Magnenzio prese la città di Siscia (odierna Sisak) e la saccheggiò; rivolse poi la sua attenzione a Sirmio dove fu respinto dalla guarnigione posta a difesa della città.

La successiva tappa fu Mursa, in Pannonia, ma la città era ben fortificata e Magnenzio non possedeva macchine da assedio ⁴; il tentativo di incendiare le porte, per fondere il ferro che ricopriva la parte lignea, fallì con gravi perdite per la pronta reazione degli assediati. A questo punto, Costanzo fece avanzare il suo esercito verso Mursa; Magnenzio ebbe l’idea di preparare un’imboscata, utilizzando uno stadio, circondato da boschi, dove fece nascondere quattro contingenti di Galli, col compito di attaccare a sorpresa i soldati di Costanzo al loro passaggio e prenderli tra due fuochi. Purtroppo per Magnenzio, qualcuno avvertì dell’agguato Costanzo, che inviò due tribuni, chiamati Scudilone e Manado, con i migliori soldati e arcieri di cui disponeva. Costoro chiusero le porte dello stadio e, arrampicatisi sulle gradinate, bersagliarono dall’alto i Galli fino ad ucciderli tutti ⁵. A indebolire ulteriormente le forze di Magnenzio, sopraggiunse la defezione di Claudio Silvano, un Franco che comandava un contingente di cavalleria.

Era il 28 settembre del 351 quando si arrivò alla battaglia campale nella pianura davanti alla città; Costanzo, che disponeva di circa sessantamila uomini, schierò il proprio esercito disponendo sulle ali gli arcieri a cavallo, al centro la fanteria pesante preceduta dai cavalieri catafratti e clibanarii e seguita da arcieri e frombolieri. Sulla destra, il suo schieramento era protetto dal fiume Drava mentre dalla parte opposta superava in estensione quello di Magnenzio, che poteva contare solo su circa trentaseimila uomini.
Mentre i due eserciti si fronteggiavano, Costanzo abbandonò il campo di battaglia per ritirarsi a pregare insieme al vescovo ariano di Mursa dentro la basilica dei martiri ⁶, e lasciando ai suoi generali il compito di condurre le operazioni.

La battaglia iniziò solo nel tardo pomeriggio, quando le truppe di Costanzo, avvalendosi della superiorità numerica, investirono con tutto il loro impeto il fronte destro dello schieramento di Magnenzio. La carica dei catafratti, seguiti dalla cavalleria leggera, ruppe le linee di Magnenzio. Lo scontro fu immediatamente sanguinoso; Costanzo, consapevole che la morte di tanti soldati da entrambe le parti avrebbe indebolito l’impero, minacciato da barbari e Persiani, tentò ancora di negoziare un accordo, ma la furia dei sostenitori di Magnenzio inasprì ulteriormente lo scontro; poi, si lasciò la parola solo alle armi e alla violenza. Soldati romani e mercenari barbari si scatenarono in una carneficina senza precedenti, una gara al massacro che non si attenuò neppure con il calare delle tenebre, anzi proseguì con rinnovato vigore. Nella carneficina generale, rimase impresso nella memoria dei presenti il valore di Menelao, il comandante degli arcieri a cavallo Armeni, la cui tecnica di tiro gli consentiva di scagliare contemporaneamente tre frecce e abbattere altrettanti avversari; alla fine, anche lui cadde, ucciso dagli uomini di Magnenzio ⁷.

Marcellino, il promotore dell’usurpazione, divenuto nel frattempo magister officiorum, morì combattendo eroicamente fino alla fine, mentre Magnenzio, quando si rese conto che le sue truppe erano in rotta, si diede alla fuga prima di essere catturato e lasciò la Pannonia con i resti del suo esercito, ponendo il suo quartier generale ad Aquileia. Il campo di battaglia era coperto dai corpi senza vita di uomini e cavalli. Le uniche cifre di cui disponiamo per la battaglia parlano di 54.000 morti in totale tra i quali 30.000 per il solo esercito di Costanzo e 24.000 per quello Magnenzio ⁸.
“In quel combattimento furono sterminate grandi forze armate dell’Impero Romano, adatte a qualsiasi guerra contro nemici stranieri che avrebbe apportato molto in termini di trionfi e di sicurezza” ⁹.
La vittoria di Mursa non fu risolutiva per il corso della guerra a causa delle pesantissime perdite subite dal vincitore. Furono necessari altri due anni per consentire a Costanzo di ricostruire un esercito e avere la meglio su Magnenzio che, secondo il costume romano, persa ogni speranza si trafisse con una spada a Lugdunum, l’odierna Lione, l’11 agosto 353, dopo aver ucciso anche la madre e i suoi amici più stretti, per risparmiargli ulteriori umiliazioni. Venuto a sapere della morte di Magnenzio, anche suo fratello Decenzio si suicidò impiccandosi a Sens il 18 agosto 353. Costanzo II restava unico padrone anche dell’Occidente.
NOTE
¹ Il comes rei privatae era un funzionario che aveva il compito di riscuotere e amministrare le rendite dei terreni e dei beni immobili che appartenevano allo Stato
² Zosimo (Storia Nuova, II, 42, 4)
³ Zosimo (Storia Nuova, II, 42, 2)
⁴ Zosimo (Storia Nuova, II, 49, 3)
⁵ Zosimo (Storia Nuova, II, 50, 2-3)
⁶ Sulpicio Severo (Cronaca Universale, II, 38, 3)
⁷ Zosimo (Storia Nuova, II, 52)
⁸ Zonara (Epitome, XIII, 8)
⁹ Eutropio (Breviarium, X, 12, 1)








