Vai al contenuto

Abbigliamento sasanide

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Voce principale: Impero sasanide.
Abbigliamento sasanide
Abiti sasanidi nei rilievi rupestri di Taq-e Bostan[1]

L'abbigliamento sasanide (in medio persiano ǰāmag o paymōg), cioè l'abbigliamento utilizzato in Persia al tempo della dinastia sasanide (224-651), non si discostò dai consueti modelli che gli Iranici avevano utilizzato per secoli.[2] La maggior parte delle fonti primarie esistenti per il suo studio deriva dalle arti visive, anzitutto i rilievi rupestri a Taq-e Bostan, Naqsh-e Rostam e Naqsh-e Rajab.[3]

Precise leggi suntuarie regolavano l'uso sasanide dei vestiti. L'abito indicava il rango sociale, così come i gioielli, i tessuti e i loro motivi ed ai soli nobili, i wuzurgan, era concesso il diritto d'indossare seta e gioielli. Gli abiti erano inoltre un elemento importante nei doni reali. Il Re dei Re conferiva abiti e gioielli come segno di distinzione a coloro che desiderava onorare e donava le proprie vesti a familiari e cortigiani particolarmente favoriti.[2]

Premessa: problemi archeologici nello studio dell'abbigliamento sasanide

[modifica | modifica wikitesto]
Lo stesso argomento in dettaglio: Arte sasanide § Tessitura.
Seta iraniana in stile sasanide con i motivi dell'albero della vita e del leone alato (VII secolo, Rey) – INM.

I tessuti, finissima espressione dell'artigianato sasanide, furono elogiati tanto dai Romani quanto dai Cinesi.[4] Ammiano Marcellino, che accompagnò l'esercito romano nelle campagne contro Sapore II, rimase colpito dalla magnificenza degli abiti sasanidi, «brillanti di molti colori scintillanti» e ricoperti d'oro, gemme e perle.[5]

Purtroppo, gli abiti, i tessuti in generale, sono una delle categorie di reperti della dinastia sasanide più difficili da catalogare cronologicamente.[N 1][6] Dei circa 25 tessuti sasanidi oggi repertati ed a disposizione degli studiosi, la maggior parte provengono dalla necropoli egizia di Antinopoli, forse prodotti durante l'occupazione sasanide dell'Egitto. Altra importante fonte per lo studio dei tessuti sono appunto gli abiti raffigurati nei rilievi rupestri dinastici a Taq-e Bostan, Naqsh-e Rostam e Naqsh-e Rajab.[3][4][7] Risulta anche molto utile il confronto incrociato con i dati archeologici relativi alla popolazione iranica che precedette i sasanidi alla guida della Persia, i Parti, e con l'unica popolazione indoeuropea il cui dominio si attestava più ad oriente della Persia, l'Impero Kusana degli Yuezhi.[8][9] Importante anche l'incrocio di dati con il materiale iconografico prodotto dalla colonia romana di Palmira (nell'attuale Siria) che proprio al principio dell'era sasanide fu interessata da un'effimera esperienza secessionista passata alla storia come Regno di Palmira e che allacciò importanti scambi politico-culturali in chiave anti-romana con la dinastia fondata da Ardashir I.

Moda maschile

[modifica | modifica wikitesto]

L'abbagliamento maschiale è quello meglio testimoniatoci dalle fonti artistiche sasanidi. In linea con la tradizione iranica, era un vestiario appropriato ed applicabile alla pratica dell'equitazione: pantaloni larghi, stivali, tunica al ginocchio legata con una cintura (in medio persiano kamar) e un pesante caffettano con cintura.[2] Il dato è fondamentale soprattutto se ricordiamo che la spina dorsale dell'esercito sasanide era composto dalle forze di cavalleria e che, quindi, per estensione, ogni uomo libero sasanide era un cavaliere.[10]

Gentiluomo Yuezhi (sx) con caffettano, tunica, brache e stivali (I secolo a.C.-I secolo, Noin-Ula).[11] Il vestiario degli Yuezhi dell'Impero Kusana non differiva molto da quello dei Sasanidi di Persia.[9]

Al tempo del fondatore della dinastia, Ardashir I, gli uomini vestivano pesanti tuniche manicate lisce al ginocchio, simili a cappotti, sopra i pantaloni. Questo tipo di tunica pesante accompagnò gli uomini sasanidi durante tutta la dinastia ed ebbe una lunga tradizione in Persia e nell'Asia occidentale, per esempio nel vestiario maschile del predetto Impero Kusana.[9] Discendeva dal kandys, il mantello dei Medi mutuato nella moda maschile degli Achemenidi (VI-IV secolo a.C.) e descrittoci da Senofonte nella Ciropedia: un lungo mantello drappeggiato sulle spalle con maniche pendenti[12] e, se abbinato a una tunica più corta e a pantaloni, allacciato al petto con cordoni o lembi.[13][14] Una variante più leggera del mantello, indossata aperta sopra una lunga tunica e gambali e allacciata al petto con fermagli circolari e talvolta legata con nastri, fu in uso a cortigiani e principi al tempo di Sapore I e Bahram II ma passò di moda al principio del IV secolo.[15][16]

Come tutti gli iranici sin dai tempi degli Achemenidi, gli uomini sasanidi portavano pantaloni e gambali.[17] I gambali dei Parti erano ampi tubi di cuoio o tessuto, aperti sulla parte superiore della coscia (ai lati o sul retro) e fissati sul davanti a una cintura interna, ornati di drappeggi.[18][19] Il loro uso raggiunse la colonia romana di Palmira entro il II secolo, senza però imporvisi come moda duratura.[20] Essi furono invece in uso in Persia per tutto il periodo sasanide, sia in occasioni cerimoniali sia non ufficiali, seppur sia chiaramente difficile distinguerli dai pantaloni veri e propri nei rilievi rupestri. Secondo un uso nuovamente iranico-achemenidi[21] ben evidente nella moda partica,[22] gambali e pantaloni erano chiusi alla caviglia da cinghie, legate intorno al collo del piede con fiocchi con lunghe estremità di nastri svolazzanti e allacciate alle caviglie con fermagli circolari. Sebbene indossati sia dai nobili sia dai sovrani, erano più caratteristici della famiglia reale. La disposizione di cinghie e nastri è visibile sui rilievi ma non è chiaramente rappresentata nelle raffigurazioni di caccia.[23][24]

I copricapi più comuni per i nobili sasanidi erano un alto cappello a cupola, il kulāf, con o senza paranuca e sommità a volte ornata da una testa d'uccello o d'animale, mutuato dalla moda reale partica, e il morbido berretto frigio, con la punta che ricade in avanti, entrambi talvolta legati con lunghe fasce o decorati con emblemi di rango e simboli araldici (in medio persiano nīšān).[25][26] Entrambi figurano nei rilievi reali sino al tempo di Sapore II[27] tanto quanto nelle battute di caccia raffigurate fin nella tarda toreutica sasanide.[28][29] Il soprabito più in uso era invece un mantello leggero, fermato sul davanti da nastri e fermagli, probabilmente derivato dal himation greco per mediazione dei Parti e di Palmira.[30] Solo in epoca tarda, come testimoniato dai rilievi della caccia al cinghiale e della caccia al cervo a Taq-e Bostan, compare un nuovo copricapo, più basso e quadrato (decorato con perline e legato con una corta fettuccia anche nel caso lo indossi il sovrano), forse derivato dalla corona di Cosroe II.[31][32]

Nei primi anni della dinastia sasanide, il mantello reale era indossato con un ampio collare tempestato di gioielli,[24] piatti o a disco, che ricordano gli ornamenti per il collo partici indossati dalle figure maschili a Dura Europos nel II e III secolo.[33] In generale, gli uomini sasanidi d'alto rango indossano collari simil-partici almeno sino ad Ardashir II, progressivamente sostituiti da una collana di perline che, introdotta da Sapore I, diventa nei secoli simbolo unisex del ceto dominante imperiale,[34] eventualmente affiancato, a partire dal V secolo, da un pesante collare con due file di perline e pendenti centrali.[35][36][37]

Oltre al mantello e alla collana predetti, l'abito del re – e degli dèi – sin dal regno di Ardashir I, tanto nei rilievi rupestri quanto nelle scene di caccia sulla toreutica, si distingueva per una corta tunica di un tessuto leggero e aderente, simile ad una camicia, con nastri plissettati, stretta in vita sopra pantaloni da una cintura a nastro con fermagli rotondi,[24][38][39] nuovamente derivata dalla tuniche partiche/palmirene ispirate dai modelli ellenistici.[40][41] Anche le varianti note di questa tunica e cioè la tunica con chiusura diagonale bordata di perline che veste Sapore I nel rilievo Naqsh-e Rajab è parimenti derivata da un modello partico[42] ispirato da antichi modelli iranici ricondotti agli Sciti.[43] I pantaloni del re erano gambali infilati sopra pantaloni più stretti e fissati sulla parte superiore della coscia con un bottone e una cinghia che passava sotto la tunica fino a una cintura interna.[24][44] Più interessante ed innovativa invece la variante del mantello reale, drappeggiato come una giacca sotto la chiusura, di Bahram II a Tanq-e Qandil.[45]

Se l'abito regale maschile poco si discostava da quello del nobile o del popolano, erano le sontuose decorazioni tessutali a marcare una netta differenza: decori a medaglioni circolari bordati contenenti cerchi punteggiati, raggi, smerli, punti e rosette a stella (fino al IV secolo, poi solo nella moda femminile);[46][47] e, fondamentali, le spalline diagonali attaccate a una cinghia orizzontale che circonda la parte superiore del torace, con giuntura anteriore segnata da una borchia centrale o rosetta (dalla metà del IV secolo).[48] Queste spalline compaiono nella loro forma più elaborata nei rilievi di Taq-e Bostan dell'investitura di Ardashir II, Sapore II, Sapore III e Cosroe II.

Più o meno in concomitanza con l'apparizione delle predette spalline, la moda maschile sasanide prende a mutare. L'orlo della tunica si raccoglie ai lati tramite anelli e nastri, formando un panneggio arrotondato simile a un grembiule sul davanti,[49][50] ed il suo bordo viene conseguentemente così tagliato. Si tratta nuovamente della ripresa di un modello partico[51] che non viene però adottato per le divinità, rappresentate sempre con la tunica antica. Sempre tardo sasanide fu il gusto per caffettani riccamente decorati in tessuto pesante, con orli che scendevano ai lati a doppia punta o a curva[52][53] (il modello più fantasioso ha un orlo a smerli arrotondati),[54] sempre riconducibili a modelli partici o kusani,[55] abbinati ad alti stivali che si chiudono sul ginocchio con una caratteristica punta,[56] un esemplare dei quali, già a Berlino ma scomparso dopo la Seconda guerra mondiale, era stato rinvenuto ad Antinopoli,[57] parimenti riconducibili a modelli partici o kusani.[57][58] La presenza dei caffettani, soprattutto quelli molto rigidi e presumibilmente imbottiti che Cosroe II ed i suoi cacciatori indossano nel predetto rilievo della caccia al cinghiale di Tanq-e Bustan, ci permette di fare ipotesi circa l'abito invernale dei sasanidi, ipotizzato di seta o lana imbottita con seta grezza per il calore:[59] nello specifico, il caffettano di Cosroe II, aperto sul davanti, rassomiglia molto al cappotto di Kaniṣka di Kusana ed a successivi modelli kusana raffigurati nei siti afgani ancora nel VII secolo,[60] mentre quelli a chiusura classica del suo seguito (presumibilmente fermati alla spalla tramite le predette spalline come nei modelli parti/palmireni)[61] trovano rassomiglianze in altri pezzi centroasiatici.[43][56] Un pezzo simile, oggi al Ägyptologische Museum di Berlino, fu rinvenuto in Egitto e datato al VI-VII secolo.[62]

Il caffettano reale nel rilievo dell'investitura di Cosroe II a Tanq-e Bustan si ricollega agli abiti nei rilievi della caccia: rigido, ornato di perline e gemme quadrate e cosparso di gemme ovoidali che pendono da perline e dischi più piccoli. I gambali del re sono tempestati di gioielli, i cinturini alla caviglia con bordi perlati e scarpe completano questo magnifico costume. Il dio, invece, indossa la tradizionale tunica morbida, cinta in vita da una cintura a nastro, sotto un mantello trattenuto da due fermagli rotondi. I caffettani del re e dei suoi nobili sono ricoperti di gioielli e di una miriade di motivi floreali, uccelli e animali. Alcuni di questi disegni sembrano ricamati, altri applicati. Al volgere della dinastia sasanide, l'abito del Re dei Re e della sua corte era divenuto ancor più sfarzoso di quanto Ammiano Marcellino non ci abbia testimoniato per gli abiti di Sapore II e del suo seguito,[5] apparentemente combinando ricche decorazioni con mode esotiche giunte dall'Oriente.[3]

Moda femminile

[modifica | modifica wikitesto]

Lo studio dell'abbigliamento femminile sasanide è ancor più complicato di quello maschile per il più ridotto quantitativo di materiale iconografico. Come già osservato al principio degli anni 1990 dalla studiosa Elsie H. Peck, l'assenza, nell'arte sasanide, di raffigurazioni di figure femminili vestite, oltre al modello persiano ricorrente della "dama del banchetto" dal vestiario molto succinto, nel generale contesto degli scarsissimi reperti archeologici di abiti sasanidi, ne è poi ulteriore aggravio.[3]

Danzatrici da una coppa sasanide (V-VI secolo).[63]

L'abito delle donne di basso ceto sociale, ancora al tempo di Cosroe II, perpetuava il modello partico,[64] riscontrabile anche nella moda femminile kusana,[9] della lunga tunica derivata dal chitone greco, senza cintura e con maniche lunghe, oppure smanicato e chiuso sotto il seno da una cinta, abbinata ad un velo drappeggiato intorno alla parte inferiore del corpo e passato sopra la spalla sinistra, di nuovo apparente derivato dal himation greco in uso anche alle matrone romane, indossato o allacciato alle spalle o tirato sopra la testa.[65] Una variante della tunica velata è presente su pezzi di toreutica del V-VI secolo raffiguranti danzatrici:[63] il velo è drappeggiato sotto i fianchi, con le estremità avvolte intorno alle braccia, a rivelare una tunica aderente e diafana, con cintura e maniche lunghe, a volte decorata con cerchi o punti tripli,[66] eventualmente decorata sulle spalle da un motivo di gusto levantino con tondi che racchiudono rosette punteggiate.[67] Come anticipato, le popolane come le danzatrici o le altre donne di rango inferiore, non potevano indossare gioielli e ricorrevano così a pesanti collari con pendenti singoli, doppi o tripli.[66] I copricapi, testimoniati solo dalle figure delle arpiste nei rilievi di Taq-e Bostam, erano di tipo rettangolare.[68]

L'investitura di Narsete I a Naqsh-e Rostam – la dèa Anahita veste come una regina sasanide.[69]

Il vestiario delle donne della famiglia reale – e delle dèe – nella Persia sasanide era certamente diverso da quello delle popolane ma le limitate fonti rendono difficile la generalizzazione.[3]

Al tempo di Ardashir I, il vestiario della regina non era molto dissimile da quello del Re dei Re ma si raffinò nel seguito. Già al tempo di Bahram II, la regina è raffigurata con vesti fluttuanti rese nello stile del cosiddetto "drappeggio bagnato": una veste diafana a maniche lunghe è cinta in vita da una cintura con nastro; un mantello leggero fluttua dalle spalle alle ginocchia, a volte fissato al petto da una chiusura composta da due cerchi con nastri pendenti plissettati; una collana di perline circonda il collo.[70] Il mantello e la collana, non solo di perle ma anche un collare di grandi pietre rotonde, erano, come anticipato, precipue della famiglia reale dal tempo di Sapore I[71] e proseguono, pertanto, nell'iconografia delle regine successive.[72] Il mantello e la lunga tunica, in ultima analisi, potrebbero derivare da prototipi ellenistici mediati dalla moda partica e palmirena ma le loro forma e chiusura sono comunque caratteristiche.[73]

La dèa Anahita, nel rilievo dell'investitura di Narsete I a Naq-e Rostam, è vestita come una regina:[69] una leggera tunica manicata, stretta da una cintura a nastro; un mantello fissato da una chiusura a due cerchi e nastri plissettati; una collana di gemme rotonde. In un'altra raffigurazione, la collana è il pesante collare con pendenti simile a quello delle popolane.[74]
Alla fine del periodo sasanide, il vestiario femminile varia tanto quanto quello maschile. Così, nel predetto rilievo dell'investitura di Cosroe II a Ṭaq-e Bostan: la dea indossa un velo drappeggiato sulla spalla sinistra, come le arpiste; doppi fili di perle le circondano il collo e i polsi della veste; al posto del mantello reale con fermagli, un pesante e liscio mantello con lunghe maniche è drappeggiato sulle spalle come un mantello, alla maniera delle figure maschili achemenidi nei rilievi di Persepoli.[3] Nel rilievo di Taq-e Bostan, la veste della dèa lascia scoperti i piedi che risultano così calzare delle morbide pantofole, decorate sul collo del piede con doppi gioielli ovoidali: un esempio di calzature molto più ricche di quelle partiche o palmirene.[75][76]

  1. ^ Lo studio dell'arte sasanide, in generale, è archeologicamente complesso poiché mancano criteri affidabili di datazione basati su iscrizioni, monete o, in generale, stratigrafia. Questo perché la provenienza originale di molti reperti è sconosciuta. Mentre i rilievi rupestri dinastici sono in situ (a Taq-e Bostan, Naqsh-e Rostam, Naqsh-e Rajab, ecc.) e altre decorazioni architettoniche sono state rinvenute nel corso di scavi archeologici scientifici, una più ampia varietà di opere d'arte (toreutica, sigilli, ecc.) è priva di contesto archeologico significativo. Alla metà degli anni 1980 non era ancora mai stato condotto lo scavo completo di un sito persiano che avesse rivelato una vasta serie di strutture risalenti al solo periodo sasanide o avesse stabilito una sequenza ininterrotta su un lungo arco di tempo né tale inadeguato approfondimento archeologico si risolse entro il termine degli anni 1990. Come risultato, le ricerche si sono ad oggi focalizzate principalmente sulle fasi iniziali (post-Parti) e finali (pre-Islam) dell'arte sasanide, a discapito della parentesi IV-V secolo, perché facilitate dalla presenza di prossimi orizzonti di datazione, post o ante, cui appoggiarsi – Huff 1986 e B. Genito, SASANIDI, in Enciclopedia dell'arte medievale, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1999.

Bibliografiche

[modifica | modifica wikitesto]
  1. ^ illustrazione in (FR) Voyage en Perse de mm. Eugène Flandin, peintre, et Pascal Coste, architecte: entrepris par ordre de m. le ministre des affaires étrangères, d'après les instructions dressées par l'Institut. Publié sous les auspices de m. le ministre de l'intérieur, Parigi, Gide et J. Baudry, 1851-1854.
  2. ^ a b c Canepa 2018
  3. ^ a b c d e f Peck 1992.
  4. ^ a b (EN) Matteo Compareti, SASANIAN TEXTILES, in Encyclopædia Iranica, 2009.
  5. ^ a b Ammiano Marcellino, XXIII, 6, 84.
  6. ^ (EN) Dietrich Huff, ARCHEOLOGY iv. Sasanian, in Encyclopædia Iranica, 1986.
  7. ^ U. Scerrato, Stoffe sasanidi, in M.T. Lucidi (a cura di), La seta e la sua via, Roma, 1994, pp. 75-82.
  8. ^ (FR) Jean-Paul Roux, L'Asie Centrale, Histoire et Civilization, Fayard, 1997, ISBN 978-2-213-59894-9.
  9. ^ a b c d J.M. Rosenfield, The Dynastic Arts of the Kushans, Los Angeles, 1967.
  10. ^ (EN) Kaveh Farrokh, Sassanian Elite Cavalry AD 224-642, Bloomsbury Publishing, 2012, ISBN 978-1-78200-848-4.
  11. ^ (EN) Sergey A. Yatsenko, Yuezhi on Bactrian Embroidery from Textiles Found at Noyon uul, Mongolia (PDF), in The Silk Road, vol. 10, 2012.
  12. ^ (GRC) Senofonte, I, 3, 2; VIII, 1, 40 e 3, 10, in Ciropedia, IV secolo a.C..
  13. ^ Ghirshman 1964, pp. 157-158 fig. 209.
  14. ^ (EN) Rüdiger Schmitt, CANDYS, in Encyclopædia Iranica, 1990.
  15. ^ Ghirshman 1962, pp. 153-54 fig. 196, 169-70 fig. 212.
  16. ^ Harper 1978, tav. 88.
  17. ^ Ghirshman 1964, pp. 189 fig. 236, 197 fig. 245, 235 fig. 283.
  18. ^ Colledge 1977, tav. 12, 12b, 22.
  19. ^ Ghirshman 1962, pp. 88 fig. 99, 89 fig. 100, 99 fig. 110.
  20. ^ (FR) A. Godard, Les statues parthes de Shami, in Athār-é Īrān, 2(1), 1937, pp. 285-305.
  21. ^ Ghirshman 1964, pp. 185 fig. 232, 196 fig. 244, 205-206 fig. 255.
  22. ^ Ghirshman 1962, p. 86 fig. 98, p. 94 fig. 105.
  23. ^ Harper 1981, tav. 9, 10, 13-32, 38, p. 51 n. 62.
  24. ^ a b c d (EN) G. Herrmann, The Dārābgird Relief—Ardashīr or Shāhpūr? A Discussion in the Context of Early Sasanian Sculpture, in Iran, vol. 7, 1969, pp. 63-88.
  25. ^ Colledge 1977, tav. 13/a, 29, 38/k, 38/u, 38/w, 47/a.
  26. ^ Ghirshman 1962, p. 90 fig. 102.
  27. ^ Ghirshman 1962, pp. 131 fig. 167, 132 fig. 168, 153-54 fig. 196, 158 fig. 200, 161 fig. 205, 169-70 fig. 212, 172 fig. 214, 173 fig. 215, 176 fig. 218, 184 fig. 225.
  28. ^ Harper 1981, pp. 50, 51, tav. 9.
  29. ^ Frye 1973, D.a, D.2, D.91, D.93, D.101, D.103.
  30. ^ Colledge 1976, tav. 61 e 66.
  31. ^ Peck 1969, p. 121.
  32. ^ (FR) D.A. Smirnoff, Argenterie orientale, San Pietroburgo, 1909.
  33. ^ (EN) M. Rostovtzeff, Dura-Europos and Its Art, Oxford, 1938.
  34. ^ Ghirshman 1962, pp. 126 fig. 164, 127-30 fig. 165, 132 fig. 168, 153-54 fig. 196, 169-70 fig. 212, 176 fig. 218, 184 fig. 225, 190 fig. 233.
  35. ^ Ghirshman 1962, pp. 224 fig. 267, 225 fig. 269, 251 fig. 329.
  36. ^ Harper 1978, tav. 41.
  37. ^ Harper 1981, tav. 22, 27, 38.
  38. ^ Ghirshman 1962, pp. 155-56 fig. 197, 161 fig. 205, 167 fig. 211, 169-70 fig. 212, 172 fig. 214, 173 fig. 215, 176 fig. 218, 184 fig. 225, 262 fig. 339.
  39. ^ Harper 1981, tav. 9, 10, 13-15, 17, 18, 23, 28 e 38.
  40. ^ Colledge 1977, tav. 22, 28a, 47.
  41. ^ Ghirshman 1962, pp. 53 fig. 66, 104 fig. 119.
  42. ^ Ghirshman 1962, pp. 163-64 fig. 208, 65 fig. 209.
  43. ^ a b (EN) T.T. Rice, The Scythians, New York, 1957.
  44. ^ Ghirshman 1962, p. 156 fig. 197.
  45. ^ (EN) Richard N. Frye, The Sasanian Bas-Relief at Tang-i Qandil, in Iran, vol. 12, 1974, pp. 188-190.
  46. ^ Harper 1981, tav. 3, 4, 6, 10, 11a, 13 e 23-24.
  47. ^ Harper 1978, p. 89 fig. 30a.
  48. ^ Harper 1981, p. 39.
  49. ^ Harper 1981, p. 83, tavv. 16, 24 e 29; p. 120, tav. 36
  50. ^ Ghirshman 1962, p. 218 fig. 259.
  51. ^ Colledge 1977, tav. 28b.
  52. ^ Harper 1981, pp. 114-15, 120, 130, 132, tav. 19, 27, 33 e 36.
  53. ^ Harper 1978,  pp. 74-76, tav. 25.
  54. ^ Harper 1981, tav. 19.
  55. ^ Ghirshman 1962, pp. 78 fig. 90, 79 fig. 91, 86 fig. 98, 99 fig. 110.
  56. ^ a b (RU) V. Shishkin, Novye pamyatniki iskusstva Sogda, in Iskusstvo, vol. 1, 1966, pp. 62-66.
  57. ^ a b (EN) G. Widengren, Some Remarks on Riding Costume and Articles of Dress among Iranian People in Antiquity, in Studia Ethnographica Upsaliensia, vol. 11, 1956, pp. 228-276.
  58. ^ (DE) A. von Le Coq, Chotscho, Berlino, 1913.
  59. ^ Huart 1927, p. 165.
  60. ^ Peck 1969, tav. XIII, XIV e XIX.
  61. ^ Peck 1969, pp. 116-119.
  62. ^ (EN) E.R. Knauer, Toward a History of the Sleeved Coat. A Study of the Impact of an Ancient Near Eastern Garment on the West, in Expedition, vol. 21, 1978, pp. 18-36.
  63. ^ a b (FR) Roman Ghirshman, Notes iraniennes. V. Scènes de banquet sur l’argenterie sassanide, in Artibus Asiae, vol. 16, 1953, pp. 51-76.
  64. ^ Ghirshman 1962, pp. 95 e 106.
  65. ^ Ghirshman 1962, p. 142, fig. 181.
  66. ^ a b Ghirshman 1962, p. 215 fig. 256.
  67. ^ (EN) Prudence Oliver Harper, Sources of Certain Female Representations in Sasanian Art, in La Persia nel Medioevo, Accademia Nazionale dei Lincei, Roma, 1971, pp. 503-515.
  68. ^ Peck 1969, fig. 2 e tav. IX e XI.
  69. ^ a b Ghirshman 1962, p. 176 fig. 218.
  70. ^ Ghirshman 1962, p. 175.
  71. ^ Ghirshman 1962, p. 241 fig. 294.
  72. ^ Harper 1981, pp. 37-39, tav. 5-7.
  73. ^ Colledge 1976, tav. 63, 68, 91 e 93.
  74. ^ Harper 1978, tav. 42.
  75. ^ Colledge 1977, tav. 13b e 47.
  76. ^ Ghirshman 1962, pp. 78, fig. 90 e 95 fig. 106.
  • (EN) Malcolm A.P. Colledge, The Art of Palmyra, Thames & Hudson, Londra, 1976.
  • (EN) Richard N. Frye (a cura di), Sasanian Remains from Qasr-i Abu Nasr. Seals, Sealings and Coins, Harvard University Press, Cambridge, 1973.
  • (EN) Roman Ghirshman, The Arts of Ancient Iran, New York, 1964.
  • (DE) Roman Ghirshman, Iran, Parther und Sasaniden, C.H. Beck, 1962.
  • (EN) Prudence Oliver Harper, Silver Vessels of the Sasanian Period I. Royal Imagery, New York, 1981.
  • (EN) Prudence Oliver Harper (a cura di), The Royal Hunter: Art of the Sasanian Empire, New York, Asia Society, 1978.
  • (EN) Clément Huart, Ancient Persian and Iranian Civilization, New York, 1927 [1925].
  • (EN) Elsie H. Peck, The Representation of Costumes in the Reliefs of Taq-i Bustan, in Artibus Asiae, vol. 31, 1969, pp. 101-124.

Voci correlate

[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni

[modifica | modifica wikitesto]