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Giuseppe Cinà, L’àrbulu nostru
Posted on: 10/09/2022

Giuseppe Cinà, L’àrbulu nostru. Il nostro albero.
La Vita Felice, Milano 2022
di Pasquale Vitagliano
Li carrubi spunàvanu cchiossà sularini/ nna la màcchia, a la campìa luntanu/ unni avìa carutu la simenza/ l’alivi no (I carrubi crescevano per lo più solitari/ nella macchia, nei pianori lontani/ ov’era caduto il seme/ gli ulivi no). Scrivendo di questa raccolta di poesie in siciliano di Giuseppe Cinà, vorrei soffermarmi sulla funzione, più che sulla struttura, della lingua scelta. Che il dialetto sia la lingua materna, come Pier Paolo Pasolini precisò nella sua esordiente analisi poetica, ovvero sia espressione dell’Heimat dell’autore, contrapposta alla Vaterland, che sia cioè la parola del luogo-dell’infanzia più che della terra-del-padre, quale dimensione collettiva e sovraordinata, se ne è discusso e scritto molto. Poco, azzarderei, si potrebbe aggiungere di nuovo e davvero interessante. Più stimolante, invece, potrebbe derivarne una riflessione che scaturisca da un altro punto di vista e da una inedita (per la poesia) domanda. Perché scrivere in dialetto, con quale funzione (ammettendo che la poesia, ontologicamente inutile, possa anche non intenzionalmente assolvere ad un qualche bisogno)? Leggi il seguito di questo post »
