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Full text of "Il marchese di Rocca-verdina: romanzo"

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Il Marchese di Roccaverdina 



EBE di LUIGI CAPUANA 





Cera una volta.... lun- 




strato da Montalti, 




Il Ract^ntafiabt, 3é- 


e. 


Kiiito al C'era una volta.... 


aaionate. 


Schiaccianoci. 


ne. 


Il Drago. 


e Paegane.„ 


Nuove fiabe. 


ragia. 


8emiritmi. 


ialétto. 


Homo, \uova fldiz. con l'ag- 


Siunta di due nuovi racconti. 


nudo. 


Il Marchese di Roeeaverdina. 



letteratura contemporanea, l' e -i" aerio. 
-te. ; Qli Inni contemporanei. 

Teatro. \Cronache letterarie. 

1 Aèsenie. -^ Q. (PAnmtmio, atodio critico (in prep.). 

ìel sole. — Spiritismo? — Il Mondo occulto. 



TC^ - I-i—*- ^ , 



Luigi Capuana 




Marchese 



DI 



Roccaverdina 



ROMANZO 



J ^ ^ ' ^ -> ^ ^ J - - ^ ^ ^ ^ 



MILANO 
Fratelli Treves, Editori 

1901. 



A 



PRIETÀ LETTERARIA 



zione e di traduzione sono riservati per tutti 
preso il regno di Svezia e Norvegia. 



Tip. Fratelli Trev«a. 



'-1 



i 

I 



• ••*•••• ••!• 

• ••••••• •• 



.. •!•. •••• 

II Marchese di froccavertìiffà'"" 



i. 



— C'è r avvocato — annunziò mamma Grazia 
affacciandosi ali uscio. 

E siccome il marchese non si voltò né rispose, 
la vecchia nutrice, fatti pochi passi nella stanza, 
esclamò: 

— Marchese, figlio mio, sei contento? Avremo 
finalmente la pioggia! 

Infatti lampeggiava e tuonava da far credere che 
tra poco sarebbe piovuto a dirotto, e già rari goccio- 
loni schizzavano dentro dall'aperta vetrata del ter- 
razzino. Il marchese di Roccaverdina, con le mani 
dietro la schiena, sembrava assorto nel contemplare 
lo spettacolo dei fitti lampi che si accendevano nel- 
l'oscurità della serata, seguiti dal quasi non inter- 
rotto reoboai*e dei tuoni. 

— C'è r avvocato — replicò la vecchia acco- 
standosi. 

Capuana, Il larehese di Roccaverdina. 1 



éK^^f^^'^/Oj 



•?•• •••••••• 

• • •• •••••»» 

••• • ••*• .•• • • ••• • ••• - • 



3 



Egli si riscosse, guardò la nutrico e parve perce- 
pisse soltanto dopo alcuni istanti il suono della voce 
di lei e il senso delle parole. 

— Fallo entrare — rispose. 

Poi, all'atto della vecchia che accennava di voler 
chiudere la vetrata, soggiunse: 

— Chiudo io. 

Si udì sùbito lo sbattere di pochi goccioloni su i 
vetri che tremavano scossi dair aria agitata dalla 
ondulazione dei tuoni. 

La tavola era sparec<jhiata. Un lume di ottone, a 
quattro becchi, illuminava scarsamente la stanza, 
n marchese non poteva soffrire il petrolio, e conti- 
nuava a servirsi degli antichi lumi a olio per Tuso 
d'ogni sera. Soltanto nel salotto, e perchè gli erano 
stati regalati dalla baronessa di Lagomorto, sua zia 
paterna, si vedevano due bei lumi di porcellana, a 
petrolio; ma non venivano accesi quasi mai. Egli 
preferiva le grosse candele di cera dei candelabri di 
argento a otto bracci, che ornavano colà le consolli 
dorate, nelle rarissime circostanze in cui doveva ri- 
cevere qualche persona di conto. 

Con l'avvocato Guzzardi non occorreva. Era di 
casa, veniva a tutte le ore ; entrava fino in camera, 
se il marchese si trovava ancora a letto. 

All'infoschirsi del viso, si sarebbe dotto che quella 
visita, a quell'ora, con quel tempaccio, non riuscisse 
molto gradita al marchese. 



— 3 — 

Rimasto in piedi, accigliato, mordendosi le labbra, 
affondando le dita tra i folti capelli neri, egli si era 
voltato verso l'uscio, attendendo. L'avvocato gl'in- 
i cut6va una specie di paura da che si era dato agli 
esperimenti spiritici. Un giorno o l'altro, quei dia- 
bolici esperimenti, povero avvocato, lo avrebbero 
fatto ammattire ! Fortunatamente, fin allora, la sua 
intelligenza si era conservata benissimo, per ciò il 
marchese continuava ad afiSdargli tutte le sue liti 
e tutti i suoi affari. 

A Ràbbato, dove trovarlo un altro avvocato più 
esperto e più onesto di don Aquilante Guzzardi? 
Bisognava prenderlo così com' era , con quelle sue 
stravaganze, che infine provenivano da troppa dot- 
trina. Latinista, grecista, filosofo, teologo, giurecon- 
sulto, egli era tenuto meritatamente in grandissima 
stima anche nei paesi vicini. — Peccato che sia 
ammattito per gli Spiriti ! — dicevano tutti. Il mar- 
chese non era giunto ancora ad esclamare cosi; ma 
quelle magherie, come le chiamava, lo impensierivano 
per l'avvenire. E quantunque egli fosse incerto se si 
trattasse di operazioni diaboliche o di fantasticag- 
gini © allucinazioni, non poteva difendersi dal senso 
di paura che in quel momento lo turbava più forte, 
forse perchè il vento, i lampi e i tuoni imperversanti 
fuori influivano su i suoi nervi e accrescevano l'ef- 
fetto della solita e invincibile impressione. 

Quando l'alta e magra figura dell'avvocato com- 



iìi la soglia dell'uscio, quasi ribagiiata aul 
lell'altra atauza rischiarata dal lume portato 
) da mamma Grazia, il marchese si sentì cor- 
1 lieve brivido ghiaccio da capo a piedi. 
) a quel modo, gli parve più alto, più magro, 
ano, con la scialba faccia interamente rasa, 
go collo fasciato dal nero fazzoletto di seta, 
punte formavano un piccolo nodo davanti, 
falde dell'abito nero che gli scendevano oltre 
:chio, coi calzoni neri quasi aderenti alle 
e interminabili gambe, con quelle stecchite 
che si agitavano in ossequioso saluto: 
uona sera, marchese! 

le la voce, che sembrava uscisse dalle pro- 
cavità dello stomaco, parvo più cupa dell'or- 
ai marchese, che rispose con un cenno del 
un gesto della mano invitante a sedere. 
areva dovessimo avere chi sa che tempe- 
? E invece...! — esclamò don AquiJante. — 
esto non ho voluto rimettere a domani la 
notizia che posso recarvi, 
pena il marchese si era seduto dal lato op- 
ella tavola, don Aquilante riprendeva; 
inalmente ci siamo! 

ìrchose spalancò gli occhi, inteiTogando. 
eli Casaccio sarà arrestato questa notte, 
la!... — fece quegli, 
oce gli moriva improvvisamente nella gola. 



— 5 - 

— La deposizione della moglie di Neli ha finito 
di convincere il giudice istruttore. Il mandato di 
arresto è stato firmato quattr'ore fa e consegnato al 
brigadiere dei carabinieri. Vedete, marchese, se io 
m'ingannavo nelle mie induzioni! 

— Che cosa ha detto quella donna? 

— Ha confermato le testimonianze di Rosa Stanga, 
di Paolo Giorgi, di Michele Stizza. Neli aveva escla- 
mato più volte: — Se Rocco Oriscione non smette, 
gli faccio fare una fiammata ! — E quando si convinse 
che non smetteva d'insidiargli la moglie.... Tutto si 
spiega, tutto è chiaro ora; e possiamo ricostruirci 
la scena. Egli lo ha atteso su la strada di Margi- 
tello, nascosto dietro la siepe di fichi dlndia, dove 
la strada fa gomito. Era passato da Margitello la 
mattina, fingendo di cacciare da quelle parti. — 
Salute, compare Neli. — Salute, compare Rocco. — 
C'è la testimonianza del bovaro; — Se stasera tor- 
nate a casa, potrò ripassare da qui; faremo la strada 
assieme. — Non vi scomodate, compare; tornerò 
molto tardi. — Abbiamo pure la testimonianza del 
garzone di Santi Dimaura, che udì queste parole 
e intervenne nel discorso, dicendo: — La vostra 
mula sa la strada meglio di voi, e non ha paura 
dei fanghi di Margitello. — Con la mia mula andrei 
anche alFinferno ! — rispose Rocco. — E dicono che 
la strada sia peggio. — In paradiso dobbiamo an- 
dare, con la grazia di Dio! — Risposto così, Neli 



ciò si allontanò, chiamandosi dietro il cane, 
stesso ha deposto che il garzone di Santi Di- 
a ha detto la verità. Il garzone non ha saputo 
•e se l' intonazione di quelle parole sia stata 
ice, naturale o con qualche accento d'ironia: 
ironia ha dovuto esservi. Rocco, scherzando, 
fa della strada dell' inferno, e Neli parlava..,. 
Eiradiso, per non dire apertamente: — Ti man- 
all'inferno io, questa notte! 
Nessuno però ha visto Neli Casaccio. 
Capisco: voi, marchese, vorreste la certezza 
Ita. In questo caso non ci sarebbe stato bisogno 
Ludioe istruttore, né di tanti testimoni per rao- 
tre un indizio qua, un altro là, e aggrupparli, 
intarli, svilupparli. Neli Casaccio è furbo. Cac- 
■e di mestiere; figuriamoci! Ma è spaccone, ha 
a lunga. — Gli faccio fare una fiammata! — 
do alla minaccia segue il fatto, che cosa si può 
ere di più? 

'landò, don Aquìlante aggrottava le soprao- 
, storceva le labbra, sgranava gli occhi, agitava 
.ccia, tenendo combaciati l'indice e il pollice delle 
lani e allargando le altre dita con gesto dimostra- 
la uomo che vuole aggiungere evidenza alle sue 
ai. E incupita la voce nel pronunziare queste ul- 
parole, si era arrestato, fissando in viso il mar- 
che lo guardava con occhi smarriti, pallidia- 
umettandosi con la lingua le labbra inaridite. 



— 7 ~ 

— È venuta da me, l'altra mattina, la povera 
vedova di Rocco — ripreso don Aquilante, vedendo 
che il marchese stava zitto. — Sembrava la Ma- 
donna Addolorata: — Non avrò pace fino a che gli 
assassini di mio marito non saranno in galera! 

— Perchè dice: assassini? — domandò il marchese. 

— Perchè lei crede che siano stati più di uno. 

— D colpo di fucile è stato uno solo. 

— Che ne sappiamo? Uno quello ohe ha ucciso. 
E nessuno ha udito, nella notte, neppure quel colpo. 

Don Aquilante socchiuse gli occhi, scosse la testa 
e fece una lunga pausa. 

Di tratto in tratto, quasi spruzzati per forza, pochi 
goccioloni sbattevano sui vetri simili a chicchi di 
grandine; ma i tuoni rimbombavano con lunghi 
echeggiamenti , tra le grida di gioia della povera 
gente smaniante per la pioggia'relle scoscese viuzze ^ 
attorno alla vasta casa dei Roccaverdina, isolata da 
ogni lato e quasi arrampicata a quell'angolo della 
collina di Ràbbato che aveva in cima le torri del- 
l'antico castello rovesciate dal terremoto del 1693. 

Dalla parto del viale che conduceva lassù, la casa 
dei Roccaverdina aveva l' entrata a pianterreno , 
mentre dal lato opposto la facciata di pietra inta- 
gliata si elevava con tre alteri piani su le povere 
casette di gesso dalle quali era circondata. Gli altri 
lati, a mezzogiorno e a tramontana, seguivano la 
ripida elevazione del terreno, e davano a chi guar- 



proasione che l'edificio si fosse sprofondato 
vai lamento della collina. Il tei-niaiiino dolla . 
[■anzo rispondeva a ponente, e il vento im- 
) investiva di faccia. 

ì la lunga pausa, il marchese aveva osser- 
crescente inquietudine l'atteggiamento del- 

che, tenendo socchiusi gli oc-chi e sco- 
;e8ta, sembrava ragionasse da sé, sotto 
he di tratto in tratto agitava le labbra 
ne non ne facesse uscire nessun suono, 
xjnto mio, — disse don Aquilante, destan- 
jvvisamento dalla concentrazione che lo 
3 ammutire, — io sto tentando un'inchiesta 
idente dell' istruttoria del processo ; ma 
Cora troppo presto. 

parliamo di queste soiocohozze..,. scusate, 
se dico cosi, — lo interruppe il marchese, 
■ete torto 1 

uilante, col viso rischiarato da un orgo- 
'iso di compatimento, appoggiava i gomiti 
la, incrociava le dita delle mani e ne fa- 
gno al mento, intanto che con voce cupa 
prendeva : 

veduto ieri, per la prima volta. Non ha 
icienza di essere morto. Accade così por 
omini materiali. Erra per le vie del paese, 
alle persone, interroga, s'indispettisce dì 
<re risposta da nessuno.... 



~ f) — 

♦— Sì.... va bene; ma io non amo ragionare di 
queste cose — tornò a interromperlo il marchese, 
che però non riusciva a nascondere il suo turba- 
mento. — Lasciamo in pace i morti. 

— Invece i morti soffrono di vedersi dimenticati. 
Io lo attirerò verso di me, lo interrogherò per sapere 
proprio da lui 

— E quando sarete arrivato a sapere?... Ohe va- 
lore avrà la vostra testimonianza? 

— Non voglio testimoniare, ma sapere, unicamente 
sapere. Ecco: io avevo già appreso, per altre vie, 
che l'assassino è stato uno solo;, appiattato dietro 
la siepe di fichi d'India. — Il nome ! — ho chiesto. 
Non me lo hanno potuto rivelare, per leggi invio- 
labili del mondo di là di cui noi ignoriamo la ra- 
gione. 

— Ah! — fece il marchese. — Ma se quel che 
voi volete darmi a intendere fosse vero, non ri- 
marrebbe più nessun delitto impunito e il governo 
potrebbe abolire la polizia. 

— E un'altra quistiono! — rispose don Aquilante* 

— Lasciamo andare; non mi convincerete mai, 
mai, mai! E poi, la Chiesa proibisce queste opera- 
zioni diaboliche. E provato che si tratta di inganni 
del diavolo. Vi siete lasciato invischiare, cosi dotto 
come siete. Ma già voi altri dotti incappate negli 
errori più di noi ignoranti.... 

— Non direte così tra qualche mese! 



— 10 - 

— Oh, vi prego di lasciarlo in pace.... cioè, tdi 
ioiarmiinpace! — sicorresRO il marchoso. — Ponsò 
'arresto di Noli Casaccio. Se il giudice istruttore 
è deciso a ordinarlo.... 

— La giiastizia umana fa quel cho può. prove 
identi, o indizi che conducano a una prova mo- 
lej non ha altri mezzi. 

-- B cosi, spesso, condanna qualche innocente! 

— Non lo fa a posta; errare kumanum est! Ma 
1 caso nostro è difficile che sbagli. Rocco era un 
av'omo; non aveva nemici. Chiassone, sì; don- 
iolo, anche! Da che aveva preso moglie però,,., 
i piaceva di scherzare ciò non ostante. La stessa 
Dglie di Casaccio ha detto al giudice istruttore; 

Tempo fa, è vero, mi si era messo attorno, non 
, dava requie. Mandava imbasciate, quando non 
èva occasione di parlarmi lui stesso. Ed io: — 
ite pazzo, santo cristiano! Non faccio un torto a 
o marito. Povera, ma onesta! — Poi si erache- 
M. E mio marito Io sapeva, e non lo minacciava 
i.... Erano tornati amici. 

— Ha detto; Si era chetato? 

— Sarà stato vero? La donna ha interesse di scu- 
re sé e il marito. 

— Si era chetato! — mormorò il marchese. 
E strizzò gli occhi, levandosi da sedere. 
Respirava foi'temente, quasi sentisse mancar l'aria 
Ila stanza. Aperti prima gli scuri dell'imposta. 



- 11 — 

spalancò poi la vetrata e si affacciò al terrazzino. 
Don Aquilante lo raggiunse. 

Dietro le nuvole diradate e sospinte dal vento^ 
sembrava che la luna corresse rapidamente pel cielo. 
Al velato chiarore lunare i campanili, le cupole 
delle chiese di Ràbbato si scorgevano nettamente 
tra la bruna massa delle case affollate nell'insenatura 
della collina. 

Tutt'a un tratto, il vasto silenzio fu rotto da una 
roca voce che gridava quasi imprecando: 

— Cento mila diavoli al palazzo dei Roccaverdina ! 
Oh ! oh ! — Cento mila diavoli alla casa dei Pignataro ! 
Oh! ohi — Cento mila diavoli alla casa dei Crisanti! 
Oh! oh! 

— È la zia Mariangela, la pazza! — disse il mar* 
chese. — Ogni notte così. 

E il grido riprendeva, reco, con una specie di can- 
tilena feroce. 

— Suo marito la tiene incatenata come una be- 
stia — rispose don Aquilante. — Dovrebbe immi- 
schiarsene l'autorità; farla rinchiudere in un ma- 
nicomio. 

La pazza tacque. 

Il vento aveva già spazzato le nuvole. H tempo- 
rale si era già allontanato, con gli spessi lampi che 
incendiavano un largo spazio di cielo, verso Aidone, 
dietro le colline di Barzino. 

— Sempre così! Sarà un gran guaio anche que- 



dissa don Aquilante. — Buona notte, 

se ataya per rispondei-e, quando un alti'o 
I, straziante, g'ì arrostò le parole in gola: 
!... figlio mio! 

noglie di Neli Casaocio! — esclamò l'av- 
tandosi verso il punto da cui il grido 
'. carabinieri sono andati ad arrestarlo, 
i, nella Piazzetta delle Orfane! le.... 
re della luna, essi poterono scorgere il 
irab interi che conducevano via l'arrostato, 
loso grido della moglie di Neli Casaccio 
avo, dolorosamente, nell'oscurità, tra il 
vento che riprendeva violentisaiino : 
... Piglio mio! 



~ 13 - 



n. 



Due giorni dopo, il marchese di Roccaverdina ve- 
deva ricomparire l'avvocato che questa volta non 
veniva solo. 

L'anticamera era piena di contadini e di operai, 
tutti in piedi attorno al tavolino dove il marchese, 
seduto, esaminava liste di conti scarabocchiate con 
grossa scrittura. 

— Scusate, marchese, — disse l'avvocato inoltran- 
dosi tra le persone che si scostavano per lasciarlo 
passare. — Dobbiamo parlare di cosa urgente. C'è 
qui compare Santi Dimaura.... 

— Voscenza mi benedica! — soggiunse questi, 
sporgendo la testa dietro le spalle di don Aquilante. 

— Andate di là; mi spiccio sùbito. 

Don Aquilante abbozzò un gesto per significare: 
— Fate pure con comodo ! — e accennò al vecchio 
contadino di seguirlo. 



— 14 — 
Dalla stanza dov'erano entrati essi udirono, poco 
dopo, la robusta voce del marchese ohe pareva liti- 
gasse con parecchi. 

Timide risposte interrompevano, a intervalli, la 
sfuriate, i rabufQ, le parolacce, lo bestemmie che gli 
lavano dalla bocca simili a un barrente. E durò 
, buona mezz'ora. 

»on Aquilante, con una gamba accavalciata al- 
;ra, una mano davanti agli occhi e il mento chi- 
3 sul petto, assorto in profonda meditazione, non 
va risposto a due o tre domande ddl vecchio 
, seduto in un canto, vicino a l'uscio, girava tra 
nani il berretto di panno scuro, di Padova, e 
ibrava atterrito dagli urli del marchese che non 
vano più. 

'inalmente si udì sbatacchiare la porta di entrata 
5uasi sùbito, acceso in viso pel sangue che gli 
va alla testa ogni volta che montava in collera, 
aarchose irruppe nella stanza, facendo balzare in 
li l'avvocato che in quel momento chi sa dov'era 



- Qualche giorno mi scoppierà una vena del 
to! Vogliono far lo cose a modo loro! B sonno 
i sta loro addosso come un aguzzino, gli rubano 
l'aria che respira! Posso essere dappertutto? 
fi sono Domineddio! 

Cra l'ultima vampata. 

- Che c'è di nuovo? — poi domandò rabbonito 



— 15 — 

un tratto, aggiustandosi in capo il berretto di 
màrtora. 

— Dice compare Santi.... — cominciò l'avvocato. 

— Per fare un piacere a voscenza — soggiunse 
il vecchio contadino. 

— Un piacere a me? A voi stesso più tosto. Si 
tratta, suppongo, di quella lingua di terreno, è vero? 

— Eccellenza, si. 

— Compare Santi era mal consigliato — disse 
don Aquilante. 

— Sono vecchio, eccellenza. Ho consumato la mia 
vita su quelle zolle. Che vuole? Ho piantato io quegli 
alberi ; e mi paiono figli miei. E quella casetta Tho 
fabbricata io, con queste povero mani. Voscenza 
vuol bene a Margitello? Vuol bene alla Casina, colà? 
E la stessa cosa per me. Chi poco ha, caro tiene. 
Le male persone però vogliono farmi passare una 
cattiva vecchiaia. Como hanno potuto dire che ce 
r avevo a morte con la buon'anima di compare 
Rocco? E voscenza lo ha pure creduto! E il giudice 
istruttore mi ha tenuto due ore tra le tanaglie, per 
strapparmi di bocca: — L'ho ammazzato io! — 
Perchè dovevo ammazzarlo? Perchè compare Rocco 
faceva gl'interessi del suo padrone? Perchè più volte 
mi aveva accusato di alterare il limite? Il pretore 
però non ha potuto mai condannarmi.... Basta! Ho 
detto: Finiamola! Il signor marchese vuole così? 
Sia fatta la sua volontà! 



— 16 — 
006 del vecchio tremava; le parole gli usci- 
Ultamente di bocca, quasi bagnate di lagrime, 
e 1' ho già spiegato — disse don Aquilaate. 
'operato del giudice istruttore il signor raar- 
lon c'entra. La giustizia fa il suo dovere; 

riguardi per nessuno. 
ra hanno arrestato Neli Casaccio, poveretto! 
Ile ve n'importa? Badate ai fatti vosti'i. 
ìeglieremo due periti — fece il marchese, 
■o per dire di no, sentendovi piagnucolare, 

la rubo quella lingua di terreno; ve la pago 

«rebbe, se qualcuno venisse in casa vostra 
)are una stanza? Cosi voi, a Margitello; siete 
'.0 alla mia tenuta, come quell'estraneo, 
a io mi trovavo là fin da quando i fondi at^ 
rane di altri propi-ietari. Se essi li hanno 

a voscensàf che colpa ne ho io?... Quando 
lare il conseiiso al notaio mi sentirò strap- 
I brano di cuore!... Pur troppo, in questo 

la brocca di terra cotta che vuol cozzare col 
3. sempre la peggio! 

?a. non sapete quel che vi dite! — Io am- 
Dn Aquilante. 

> so anzi, signoro avvocato! E il pianto che 
) Gesù Cristo deve farlo scontare con lagrime 
uè a colui che ha ammazzato compare Rocco 
le! Senza di questo, io non sarei costretto, 
are in pace gli ultimi quattro giorni di vita, 












— 17 — 

a vendere il fondo che mi ha lasciato mio padre, 
e che fu di mio nonno e che doveva essere dei figli 
di mio figlio, orfani da due anni! Rimarranno po- 
veri e nudi in mezzo alla strada, perchè la terra 
non la porta via nessuno, e i danari si squagliano 
tra le mani come la neve. 

— Potrete comprare un altro pezzo di terreno. 

— Ah, signor avvocato ! Non sarà mai quello che 
ho inaffiato tanti anni col sudore della mia fronte. 
Lagrime di sangue dee piangere colui che ha tolto la 
vita a compare Rocco Oriscione! È vero, eccellenza? 
Per voscenza è stato come se le avessero troncato la 
mano destra. Compare Rocco era un altro padrone! 

Rabbuiatosi in volto, il marchese andava su e giù 
per la stanza, stringendosi le mani. 

— Vedete? — disse don Aquilante. — Il mar- 
chese non vuole neppure aver Tarla di farvi una 
soperchieria. Ohi vi h.a detto niente? Siete venuto 
da me per vostra spontanea volontà. E intanto uscite 
fuori con certi discorsi! 

— Non vi faccia specie, signore mio! Il cuore 
vuole il suo sfogo. 

E il vecchio contadino si asciugava gli occhi col 
dorso d'una mano mezza anohilosata dal rude lavoro 
dei campi. 

Intravedendo, con la coda delFocchio, qualche cosa 
di nero fermatosi silenziosamente in mezzo alFuscio, 
il marchese rizzò la testa. 

Capuana, Il Marchese di Roccave^'dina, 2 



— 18 — 

— Ohe vuoi ? Che vieni a fare qui ? — gridò con 
se turbata. 

j avvocato e compare Santi si voltarono. E, ricono- 
uta la vedovadiRoccoCrìscÌone,si tirarono da parte, 
i^'eatita a lutto, avviluppata nell'ampia mantellina 
panno nero che le copriva la fronte, lasciando 
irgere, tra le falde tenuto strette con le due mani 
mento, appena gli occhi il naso e la bocca, la 
ana non fece un paaao né un movimento. Rispose 
asi sottovoce: 

— Sono venuta per qualche notizia, se mai.... 
Quell'atteggiamento e il tono della voce dovettero 
itare maggiormente il marchese. 

— Sono forse il giudice istruttore io? — esclamò 
1 stizza. — Ne so quanto te, quanto gli altri ! 
S, a un tratto, accortosi che le dava del tu, ai 
ir^e le labbra, tentò di frenarsi; 

— Si farà la causa alle Assise, in Oaltagirone.... 
rete chiamata. Ci saranno tre avvocati da parte 
atra. E questo qui — soggiunse il marchese in- 
jando don Aquilante — vale per dieci! Alle spese 
[ISO io. Non c'è bisogno ohe veniate a stimolarmi, 
joUecitarmi — Cho posso fare più di quel che ho 
to faccio? Era vostro marito; ma era anche il 
o fattore, la mia mano destra, come diciova or ora 
npare Santi; ed io l'ho pianto e lo piango più di 
i.... Che bisogno c'è di venire qui?,.. Ve l'ho detto 
ridetto; E inutile venire da mei 



- 19 - 

Parlando, il marchese si era nuovamente irritato, 
alzava la voce, gesticolava agitatissimo. 

Anche una persona che non avesse saputo quel . 
che era corso tra quella donna e lui, avrebbe facil- 
mente capito che la irritazione sorpassava il motivo 
apparente, e che le parole e racconto con cui veni- 
vano pronunziate significavano* qualche cosa di più 
di quel che veramente dicevano. 

A Ràbbato nessuno ignorava che Agrippina Solmo 
era stata fino a tre anni addietro la f emina del mar- 
chese, come colà si esprimono con vocabolo poco 
indulgente. Nessuno ignorava che egli aveva posse- 
duto quella contadina sin da quando ella aveva se- 
dici anni; che l'aveva mantenuta meglio di una 
signora, e che per qualche tempo anche i parenti 
di lui avevano creduto che finalmente avrebbe com- 
messo la pazzia di renderla marchesa di Roccavordina. 

Intorno ai fatti avvenuti dopo, non si sapeva 
niente di certo. Ognuno diceva la sua per spiegare 
la subitanea risoluzione del marchese di dar marito 
a colei. La cosa era passata tra il marchese e Rocco 
Oriscione, detto anche Rocco del marchese perchè 
factotum di casa Roccaverdina. Solamente, ragio- 
nando con un amico, una volta Rocco si era lasciato 
scappare di bocca: 

— Se il marchese mi avesse ordinato: — Buttati 
giù dal campanile di Sant'Isidoro — mi sarei but- 
tato a chiusi occhi! 



.! 



I 

« 



— 20 — 

Vedendo ohe la donna restava là, con lo sguardo 
implorante fisso addosso al marchese, chiusa nella 
mantellina nera e immobile come una statua su la 
soglia deiruscio, don Aquilante, che si era già dato 
una spiegazione di quella scena, pensò bene d'interve- 
nire. E avvicinatosele, cominciò a dirle a bassa voce : 

— Il marchese ha ragione. Ormai tutto è in mano 
della giustizia. Per quel che lo riguarda, non dubitate, 
spenderebbe fino all'ultima stilla del suo sangue, se oc- 
corresse.Tornate a casa vostra; e quando vorrete sapere 
notizie, venite da me, sarà meglio.... Andate dunque ! 

Agrippina Solmo abbassò gli occhi, stiè un istante 
indecisa, poi, senza un motto nò un gesto, lenta- 
mente volse le spalle e sparì come se avesse avuto 
le suole delle scarpe foderate di ovatta. 

11 marchese, quasi masticando qualcosa di amaro, 
si era accostato alla vetrata della finestra per evitare 
di guardare la vedova. 

— Vestita di nero, col viso pallido, gli occhi in* 
tenti e le labbra scolorite, essa deve sembrargli una 
fantasima di mal augurio — pensava don Aquilante 
— anche forse perchè gli fa temere una ripresa che 
potrebbe produrre quelle conseguenze da lui volute 
evitare dandola in moglie a Rocco Oriscione! 

— Bisogna compatirla, poveretta — egli disse 
tornando indietro. E annunziò: — È andata via! 

— Quella stupida di mamma Grazia! Perchè la 
lascia entrare? — brontolò il marchese. 



— 31 — 

E risootendosi, soggiunse: 

— Ah!... Mi ero scordatx) che voi eravate qui per 
l'affare di Margitello. Insomma, che dobbiamo con- 
cludere? Vogliamo fare alla buona, tra noi, senza 
periti né altro?... Oinquant'onze ! 

— Ohe dice mai, vosceìiza? — rispose il vecchio 
contadino rimasto presso Tuscio. 

— Sessanta? 

— E il meglio pazzo di terreno, eccellenza; il 
cuore di Margitello. 

— Più sassi che terra. Dovrò pagarlo a peso d'oro? 

— Quel che vale, eccellenza. 

— Oh! Se intendete di prendermi per la gola.... 

— No, eccellenza! 

— Sentiamo dunque: che pretendete? 

Il vecchio stette un po' a riflettere, portò la mano 
destra al petto, quasi si accingesse a pronunziare 
un giuramento, e balbettò: 

— Oent'onze, eccellenza! 

Il marchese die uno scatto. 

— Per farmi piacere, eh? Oent'onze!... Per farmi 
piacere?... Vi paiono fichi secchi oent'onze. E venite 
a dirmelo qui! E scomodate l'avvocato, quasi fosse 
vostro servitore!... Oent'onze! 

— Oompare Santi però.... — tentò d'interromperlo 
don Aquilante per calmarlo. 

Ma il marchese non gli die retta, e continuò a gri» 
dare come un ossesso; 



— 22 — 

— Cont'onze!... Volete scommettere che non vi 
faccio più andare nel vostro feudo?... Lo stimate 
certamente un feudo, se ne chiedete cent' onze.... 
Chiudo tutti i sentieri ; litigheremo.... Intanto dovrete 
andarvi col pallone nel gran feudo di cent' onze !... 
Avrei dovuto fare cosi da un pezzo. Domani! Man- 
derò a disfare con un aratro sentieri e viottole. E chi 
crede di avere diritti, procuri di farli valere! 

— Ma, eccellenza!... 

— Zitto, compare Santi! — disse l'avvocato. — 
Lasciate che parli io.... 

— Oent'onze! — sbraitava il marchese. 

— E se facessi un taglio? — propose l'avvocato. 
Il vecchio assentì con un gesto e soggiunse: 

— Fate come vi pare! Sono venuto qui ad affor- 
carmi; coi miei propri piedi ci sono venuto! Il si- 
gnor marchese non dovrebbe approfittarsi delle cir- 
costanze.... Dio non vuole! 

— Zitto!... Settant'onze! — buttò là in mezzo 
don Aquilante. 

E fece il gesto, quasi aprisse il pugno pieno di 
monete e le spargesse per terra. 

Il vecchio abbassò il capo, si prese il monto tra 
r indice e il pollice d'una mano; poi, rassegnata- 
mente alzò le spalle. 

— Andiamo dal notaio, eccellenza! — conchiuse 
con un fil di voce. 



m. 



Ogni volta che entrava nel oamerone, come ve- 
niva chiamato il salone della baronessa di Lago- 
morto, don Silvio La Giura si sentiva compreso da 
un sentimento di ammirazione che lo rendeva più 
timido del solito. 

Era rimasto in piedi, con una punta del cap- 
pello da prete appoggiata alle labbra, e sembrava 
quasi smarrito tra i vecchi mobili che davano allo 
stanzone bislungo un'aria di decrepitezza e di ab- 
bandono. 

Attendendo che la baronessa comparisse da uno 
dei quattro usci alti fino al cornicione, dopo di aver 
dato una rapida occhiata ai ritratti polverosi, ai 
quadri anneriti e screpolati ; agli specchi con cornici 
barocche, appannati e mezzi rosi dall'umidità, che 
coprivano le pareti; ai canterali tinti in verde pai- 
Udo con fiori e fregi bianchi, alla pompeiana, nei 



- 24 — 

e nel ooatro delle cassette; alle esili seg- 
n apalliere dorate, alle poltrone e ai due 
di stile impero, rivestiti con damasco roaao 
to e logoro, don Silvio ai era fermato a con- 
e il gran quadro senza cornice, dove ai scor- 
a mala pena la calva testa di san Pietro, 
li altre cinque figuro di fantesche e di soldati 
3Ìrcondavano nel pretorio di Pilato, e un 
1 la balaustrata del portico, col becco aperto 
di cantare. 

ìvrebbe voluto vedere quel quadro in chiosa, 
re di una cappella, e non là irriverentemente 
osto alla spinetta verniciata in giallo amorto 
51 neri e sorretta da tre sottili gambe qua- 
he stava appoggiata lungo il muro, con la 
alla tastiera verao il finestrone. Ma non osava 
ir a suggerire alla baronessa l'idea di rega- 
la parrocchia. 

quadro era stato portato da Roma, nel sei- 
la uno degli antenati di suo marito, ed ella 
sonservare intatti tutti i ricordi di famiglia, 

aveva trovati il giorno che dalla casa dei 
irdina era venuta in quella degli Ingo-Co- 
baroni di Lagomorto, sposa al baroncino 
raro più di mezzo secolo addietro, 
scio della gonna sui mattoni verniciati del 
ito rivelò al prete la presenza della baro- 
iltanto mentr'ella gli passava accanto per 



— 25 — 

andare a sedersi in quell'angolo di canapè dove so- 
leva rannicchiarsi le rare volte che riceveva la visita 
di un parente o di persone molto intime. Don Silvio 
era tra queste. 

Alta, stecchita, piena di rughe ma ancora rubizza, 
con capelli bianchissimi divisi in due bande che le 
coprivano le orecchie e le rimpicciolivano il volto 
tra le pieghe del fazzoletto di seta nera annodato 
sotto il mento ; vestita di leggera stoffa grigia e coi 
mezzi guanti di filo dello stesso colore alle mani 
scarne e affilate, la baronessa era entrata senza far 
rumore dall'uscio a cui don Silvio voltava in quel 
momento le spalle. 

D prete fece un profondo inchino, si accostò a ba- 
ciarle la mano appena ella, messasi a sedere, gli ebbe 
accennato una poltrona; poi, con umile atteggia- 
mento ed esile voce, incominciò: 

— Mi manda Gesù Cristo.... 

— Gesù Cristo vi manda da me troppo spesso 1 — 
lo interruppe la baronessa, sorridendo benignamente. 

— Si rivolge alle persone che possono fare e fanno 
volentieri la carità — rispose don Silvio. 

E cosi dicendo, parve volesse rendere più piccola 
la sua personcina bassa, magra, che nelle occhiaie 
e nelle pallide gote infossate mostrava i segni dei 
digiuni e delle penitenze con cui macerava il mi- 
sero corpo. 

— Gesù Cristo però — riprese la baronessa croi- 



— 26 ~ 

landò la testa — si ricorda dei poveri che non hanno 
come sfamarsi, e dimentica che ricchi e poveri ab- 
biamo già bisogno della pioggia pei seminati, per le 
vigne, per gli ulivi! 

— Pioverà, a suo tempo, se i nostri peccati non 
vi mettono ostacolo. 

— Voi fate penitenza per tutti, voi, — soggiunse 
la baronessa. 

— Io sono più peccatore degli altri! 

— Diteglielo, diteglielo a Gesù Cristo: Ci vuole 
la pioggia, Signore! Ci vuole la pioggia! 

— Glielo dirò, — rispose con semplicità il buon 
prete. — Intanto vengo a raccomandarle di nuovo 
quella povera donna, la moglie di Neli Casaccio. 
Ora che suo marito è in carcere, perisce di stenti 
la poveretta, con quattro figli che non possono darle 
nessun aiuto. Ella giura, al cospetto di Dio e dei 
santi, che suo marito è innocente. 

— Se è così, non potranno condannarlo. 

— Quando era in libertà, provvedeva lui alla fa- 
miglinola col suo mestiere di cacciatore. 

— Manderò un sacco di grano, anzi di farina; 
sarà meglio. 

— Dio glielo renda, tra cent'anni, in paradiso 

— Vorrei piuttosto — riprese la baronessa — che 
Dio me lo rendesse un po' anche in questo mondo, 
almeno aggiustando il cervello a mio nipote il mar- 
chese, liberandolo dalle male arti di quella donneo- 



— 27 — 

oia.... Tenta di riafferrarlo la sfacciata! Non ho 
chiuso occhio questa notte, dopo di aver saputo.... 

— Sia fatta la volontà di Dio ! — esclamò don Sil- 
vio, giungendo rassegnatamente le mani. 

— La volontà di Dio qui non c'entra per niente, 
— replicò quasi stizzita la baronessa. — Dio non 
può permettere certe enormità; non può volere che 
la figlia di una raccoghtrice di ulive diventi mar- 
chesa di Roccaverdina. Pares cum paribus, ha detto 
il Signore. 

— Siamo tutti uguali davanti a lui! 

— Oh, no, no ! — ella protestava. — Perchè dunque 
Gesù Cristo ha voluto nascere da una madre di stirpe 
reale? San Giuseppe, falegname, fu padre putativo 
soltanto. 

La baronessa si fermò un istante, aspettando che 
don Silvio le desse ragione. E siccome il prete ri- 
maneva zitto, con gli occhi bassi, ella continuò: 

— Ai miei tempi si rimediava a tutto col braccio 
delle autorità; ma oggi!... Io però ho mandato a chia- 
mare quella donna; dovrebbe già essere qui, se lo 
stolido di don Carmelo.... 

In quel punto, il vecchio servitore che faceva da 
maestro di casa, da cameriere e da cuoco in casa 
della baronessa, affacciava la testa da uno degli usci, 
annunciando che quella donna attendeva nelF anti- 
camera : 

— Posso f9.rla entraro? 



— 28 — 

— Sùbito, — rispose la baronessa. 
Agrippina Solmo salutò, con un cenno del capo, 

prima lei, poi don Silvio e, chiusa nella mantellina, 
eretta, quasi altera, gettando sguardi diffidenti e 
scrutatori ora su Tuna, ora su l'altro, si avvicinò 
lentamente verso il canapè^ 

— Che comanda, voscenza? 

Il tono della voce era umile, Tatteggiamento no. 

— Non comando niente; sedete. 

È rivolgendosi a don Silvio, la baronessa sog- 
giunse: 

— Ho piacere che voi siate testimone. — Sedete, 
— replicò, vedendo che la Solmo restava ancora in 
piedi. Poi, dopo alcuni istanti di pausa, con aria 
severa e accento duro, disse : 

— Figlia mia, parliamoci chiaro. Se avete fatto 
ammazzare vostro marito.... 

— Io?... Io? 

La baronessa, senza lasciarsi intimidire dall'ener- 
gica protesta, né dall'occhiata divampante di indi- 
gnazione che l'aveva accompagnata, continuò: 

— C'è chi lo sospetta e lo farà sapere anche alla 
giustizia ! 

— E perchè, perchè lo avrei fatto ammazzare? 
Io? Oh, Vergine santissima! 

— Chi sa che vi è passato per la testa! Tenta- 
zioni del demonio, certamente. Vi eravate messa in 
grazia di Dio prendendo marito.... Non vi accuso per 



quel ohe è accaduto prima ; vi compatisco anzi.... La 
miseria, i cattivi consigli, la giovinezza.... Forse nep- 
pure comprendevate il male che vi si faceva com- 

■ 

mettere. Infatti, vi siete comportata quasi da donna 
onesta.... Mio nipote, dall'altra parte, ha fatto il suo 
dovere. Si è tolto ogni scrupolo di coscienza. Siete 
ricca, si può dire, con la dote ch'egli vi ha dato.... 
Perchè dunque non lo lasciate in pace? Che vi passa 
per la testa? Fingete di non capire quel che vi 
dico, eh? 

— Ma..., signora baronessa! 

— Sbagliate , figlia mia , se v' immaginate che 
possa riuscirvi ora quel che non vi è riuscito l'altra 
volta! 

— Che cosa, signora baronessa? 

— Segnatevelo qui, su la fronte. C'è chi tiene 
bene aperti gli occhi e vi sorveglia! Se avete fatto 
ammazzare vostro marito per.... 

Agrippina Solmo scattò dalla seggiola, lasciò ca- 
scare su le spalle la mantellina, e levando in alto 
le braccia, imprecava: 

— Pulmini del cielo. Signore! Fuoco in questa e 
nell'altra vita a chi mi vuol male! 

E coprendosi il volto con le mani, scoppiava in 
pianto dirotto. 

— Calmatevi! — intervenne don Silvio. — La 
baronessa parla pel vostro bene.... 

— Voi che siete un santo servo di Dio! — jsin- 



- 30 - 

i la vedova, asciugandosi le lagrime e fa- 
cendo sforai per frenarle. — Parlo a un confeaeore, 
oome se fossi in punto di morte: L'hanno ammaz- 
zato.... mio marito.... a tradimento! Oh!.,, Parlo am- 
mazzare io!... Chi lo dice?... Venga in faccia a me!... 
Giuri su l'ostia consacrata!.,. Se c'è Dio in cielo.... 

— C'è, c'è, figliuola mia! — esclamò don Silvio, 
stendendo le mani, q\iasi volesse chiuderle la bocca 
e impedirle di bestemmiare, 

— Per quale scopo dunque andat-e così spesso da 
mio nipote? — strillò la baronessa. — Non vi ricerca 
lui; non vi manda a chiamare lui! 

— Pel processo, pei testimoni. 

— Il prooesso? I/ha istruito il giudice. I testi- 
moni? Deve forse scovarli mio nipote? Pretosti! 
Pretesti! Ormai dovreste averla capita. Se vi lusin- 
gate di ricominciare da capo, se vi siete messo in 
testa.... di salire alto dalla vostra condizione.... Ecco 
perchè la gente sospetta ; L'ha fatto ammazzare essa 
il marito 1 

Agrippina Solmo si era rimessa a sedera. Non 
piangeva più; sembrava irrigidita contro la terribile 
accusa gettatale in viso dalla vecchia signora. E, 
quasi continuasse ad alta voce il rapido ragiona- 
mento interiore che le agitava le labbra e la faceva 
errare con sguardi smarriti lontano lontano, parlava 
senza rivolgersi a nessuno, ora lentamente, ora a 



— 31 — 

— Dio solo può saperlo !... Avevo sedici anni. Non 
pensavo al male; ma, insistenze, preghiere, pro- 
messe, minacce..*. In che modo resistergli ?... E sono 
stata la sua serva, la sua schiava, dieci amii, volen- 
dogli bene come a benefattore. In prova, il giorno 
che alFimprowiso egli mi disse: — Devi prendere ma- 
rito, il marito che ti do io.... — Ah, signora baro- 
nessa!... Abbiamo un cuore anche noi poverette!... 
Avrei voluto continuare ad essere soltanto sua serva, 
sua schiava.... Che ombra potevo dargli? Eppure 
non fiatai. Ha comandato, ed ho obbedito. Che ero io 
rimpetto a lui? Un verme della terra.... Edora, infami! 
dicono che ho fatto ammazzare mio marito perchè 
vorrei.... Ma a chi devo ricorrere in questa circo- 
stanza? Non ho più nessuno al mondo! 

— Abbiate fiducia in Dio, figliuola mia! 

— Se il Signore voleva proteggermi, non mi to- 
glieva il marito! — ella rispose bruscamente a 
don Silvio, alzando le spalle. 

— È peccato mortale quel che dite! 

— Si perde anche la fede in certi momenti! 
Raccolse la mantellina, se raggiustò su la testa, 

chiuse sdegnosamente attorno al volto le falde da- 
vanti e, ritta, aggrottando le sopracciglia, stringendo 
le labbra, attese cosi che la baronessa la licenziasse. 
La baronessa in quell'istante parlava sottovoce 
airorecchio di don Silvio. 

— Ma è poi vero? — rispondeva il prete. 



--- 32 — 

— Le donnacce come lei sono capaci di tutto! 

— Comanda altro, voscenza? 

Agrippina Solmo non dissimulava l'impazienza di 
andarsene. 

— Badate a quel che fate ! Uomo avvisato è mezzo 
salvato, — rispose seccamente la baronessa. 

E la seguì fino all'uscio con gli sguardi aguzzi, 
tetri di rancore, che sembrava la sospingessero fuori 
per le spalle. 

— Questa è la grossa spina che ho nel cuore ! — 
ella esclamò. — Dopo d'aver fatto tanto per indurre 
mio nipote a darle marito!... Almeno non c'era più 
pericolo di vedergli commettere una pazzia!... Ma 
già noi Roocaverdina siamo, chi più chi meno, col 
cervello bacato! Mio fratello il marchese, padre di 
mio nipote, sciupava tempo e danaro con le coi*se 
dei suoi levrieri. Voi non lo avete conosciuto. Si 
era fatto fare un vestito da burattino, all'inglese, 
diceva lui, e andava attorno pei paesi vicini a ogni 
festa di santi patroni, facendo la concorrenza ai gin- 
netti.... Mio fratello il cavaliere si è rovinato per le 
antichità! Scava ossa di morti, vasi, brocche, lucerne, 
monetacce corrose, ed ha la casa piena di cocci. Suo 
figlio se ne è andato a Firenze a studiare pittura, 
in apparenza ; a buttar via quattrini, in realtà ; quasi 
suo padre non bastasse da solo a mandar per aria 
il patrimonio!... Mio nipote, il marchese attuale.... 
Oh! C'è il castigo di Dio su la nostra casa! 



— 33 — 

S'interruppe vedendo entrare dall'uscio rimasto 
socchiuso quattro canini neri, bassi, mezzi spelati, 
con gli occhi cisposi, quasi vecchi quanto lei, che 
volevano saltarle tutti insieme su le ginocchia. 

— La mia pazzia, lo so, — ella disse allontanando 
dolcemente i canini, — sono questi qui. Ma io non 
rovino nessuno; e per gli affari, me ne vanto, il 
cervello Tho a posto. Così lo avesse avuto a posto 
il barone mio marito!... Bravo, don Carmine! 

Strascicando la gamba, reggendo con le due mani 
uno scodellone di pane e latte, il vecchio s'inoltrava 
cautamente per non versare la zuppa, imbarazzato 
dalla ressa delle quattro bestioline che, alla vista 
del loro pasto, erano corse ad abbaiargli e a saltel- 
largli attorno alle gambe. 

Inutile precauzione ! Sospingendosi, urtando lo sco- 
dellone con le zampe e coi musi, i cani facevano 
schizzare parte della zuppa sul pavimento ; e la ba- 
ronessa, intenerita, si chinava soltanto ad accarez- 
zarli, chiamandoli per nome, per impedire che si 
mordessero, esclamando ripetutamente: 

— Povere bestie! Avevano fame, povere bestie! 
Don Carmine, piegato in due, con le mani dietro 

la schiena, tentennava la testa osservando i bei mat- 
toni di Valenza insudiciati. 

— Non occorre ripulire; ripuliscono essi — gli 
disse la baronessa mentre egli si chinava per ripren- 
dere lo scodellone vuotato. 

Capuana, Il Marchese di Boccaverdina. 3 



— 34 — 

E leccato bene il pavimento, i cani andavano quatti 
quatti ad accuociarsi, raggomitolandosi a due a due, 
sui seggioloni destinati a loro in un angolo, con 
cuscini a posta. 

— Anche questa è carità, caro don Silvio! — 
disse la baronessa accomiatandolo. 



-I«fi(p 



— 35 ~- 



IV. 



Poco più in là del portone da cui era uscita, 
Agrippina Solmo si trovava faccia a faccia con 
mastro Vito Neccia, calzolaio. 

— Che vi accade, comare Pina? Avete un viso! 

— Niente; lasciatemi andare! 

Voleva evitare di fermarsi ; ma quegli soggiunse: 

— Ho ricevuto or ora la cedola per la testimo- 
nianza alle Assise. Sentite, comare Pina : in quanto 
a Noli Casaccio, ve lo giuro, non so nulla. Non vo- 
glio dannarmi, comare! 

— Chi vi forza a dire il falso? 

— Queir amma lunga di don Aquilante.... 
Ella lo interruppe : 

— Lo avete sentito dire, per caso, che ho fatto 
ammazzare io mio marito? 

— Voi ? Oh, Vergine Maria ! 

— Me rhan rinfacciato or ora, mastro Vito ! 



L 



E accennò, con significativa occhiata, la terrazza 
centrale sovrastante al portone dei Lagomorto, 

— L' avete sentito dire ? — insisteva con sordo 
fremito nella voce. — Io, io che darei tutto il sangue 
delle mie vene per farlo risuscitare un solo minuto! 

— E il marchese che ne pensa i* 

— Ah, mastro Vito! Non si può più discorrere 
con lui. Diventa un animale feroce appena gli si 
parla di Rocco. 

— Povero signore*! Gli voleva un gran bene. Ma 
non vi angustiate per questo. Voci di mala gente. 

— Vi saluto ; scusate. 

Andava a rapidi passi, rialzando con una mano 
la gonna, guai'dando dove metteva i piedi por evitare 
lo pozze rossastre formate dall'acqua mista con feccia 
versata da una cantina dove travasavano il vino. 

E intanto pensava al marchese che diventava, 
come si era espi-essa, un animale feroce ogni volta 
ch'ella andava da lui por parlargli del processo. 

— Perchè y Perchè ? 

Non sapeva spiegarselo. Sospettava dunque anche 
lui quel che dicevano lo male genti? 

Era impossibile! 

E affrettava più il passo. 

Gli occhi lo si velavano di lagrime, il cuore le 
batteva con violenza, comò più ora rifletteva in- 
torno allo strano contegno di luì. 

Era cangiato dalla mattina alla sera, pochi giorni 



— 37 — 

prima della disgrazia. Una volta, appena vistala 
entrare e mentre olla stava por togliersi la man- 
tellina, le aveva gridato : Vattene ! Vattene ! 

L'aveva quasi scacciata. 

Poi, richiamatala addietro, si era rabbonito tutt'a 
un tratto. E quante domande ! — A che ora Rocco 
è tornato da Margitello? Perchè è venuto ed an- 
dato via senza farsi vedere da me ? — Quasi lo fa- 
cesse spiare o lo spiasse. 

Ripensando alcuni particolari a cui non aveva 
mai baiato, sentiva un turbamento profondo, una 
specie di smarrimento. E affrettava ancora il passo. 

— Perchè? Perchè? — tornava a domandarsi. — 
E possibile? Sospetta anche lui? Ah, Signore! 

Mamma Grazia, che spazzava Tanticamera, se la 
vide davanti come un fantasma. 

— Dov'è ? 

— Ma, santa cristiana, non lo sapete che non vuole? 

— Lasciatemi entrare. Dov'è? 

— Mi sgriderà; se la prenderà con me! 

— Glielo dirò, state tranquilla, che sono entrata 
di forza. 

E attraversando stanze, e spalancando usci, e fru- 
gando, si rivedeva là non da serva, come aveva 
detto alla baronessa, ma da vera padrona, con le 
chiavi della dispensa o del magazzino alla cintola, per 
averle pronte quando arrivavano i garzoni col mosto 
o col grano al tempo della vendemmia o del raccolto. 



- 38 — 

Si rivedeva occupata a riguardare la biancheria, 
a riporre negli armadi quella lavata e stirata; iri 
faccende per la casa, assieme con mamma Grazia 
che brontolava, povera vecchia, perchè si credeva 
spodestata della sua autorità di nutrice. — Lo hai 
stregato ! Lo hai stregato ! — Glielo diceva sul viso, 
povera vecchia! E ciò non ostante, la rispettava, 
perchè da colui ch'ella aveva nutrito col suo latte 
le era stato ordinato: Voglio cosi, mamma Grazia! 

Ma dov'era? 

Non lo aveva trovato in camera, né nella sala 
da pranzo, né in salotto, né nello studio, né in 
quella stanza ingombra di selle vecchie e nuove, 
di briglie, di cavezze, di arnesi di ogni sorta per 
carrozza e per carri. 

Là, in un angolo, coi capelli disoiolti, ella si era dati 
tanti pugni su la testa ! Accoccolata per terra aveva 
singhiozzato e pianto una intera nottata, quando 
le era stato annunziato: — Domani te n'andrai a 
casa tua, per l'occhio della gente. Vi sposerete fra 
un mese! — Erano passati quasi tre anni, ma in 
queir istante le pareva di vedere in quell' angolo 
un'altra sé stessa e ne sentiva immensa pietà. 

Ah! Si sarebbe buttata di nuovo per terra, dan- 
dosi pugni su la testa, a sfogarsi a piangere la sua 
mala sorte anche ora!... 

Dov'era? Come non lo trovava? 

Giunta davanti al pianerottolo della scala che 



- 39 - 

conduceva al piano di sotto, cominciò a scendere. 
La testft le vagellava talmente, da sentir bisogno 
di appoggiarsi al muro per non ruzzolare gli scalini. 

— Voglio saperlo ! Dalla sua bocca voglio saperlo ! 

E attraversava altre stanze quasi vuote, e spa- 
lancava altri usci, fino alla cameretta laggiù, in 
fondo, dove aveva dormito nei primi mesi, allora! e 
dove era restata parecchie settimane quasi nascosta, 
vergognandosi di farsi vedere per le stanze da mamma 
Grazia, da Rocco, dalle altre persone di casa. 

E nell'atto di stendere la mano al pomo di rame 
deiruscio, quasi la parete fosse sparita a un tratto, 
le parve di vedere il lettino con la coltre bianca, e 
il tavolino con lo specchio, e il lavamano di ferro, 
e le vesti appese al muro, e la cassa nuova di abete, 
tinta in verde, allato all' uscio, con la biancheria 
che ella si era cucita da sé, con le calze che si era la- 
vorate da sé a casa sua, prima che il marchese si 
risolvesse di farla venire là, seccato di andare da 
lei, di notte, a ora tarda, in quel remoto vicoletto 
dov'ella abitava.... 

Stese la mano. L'uscio resistette. 

— Ohi è?... Mamma Grazia!... 
Quella voce grossa di stizza l'atterrì. 

Se ella avesse risposto e si fosse fatta riconoscere, 
il marchese certamente non avrebbe aperto. E girò 
di nuovo il pomo, quantunque avesse già capito 
che l'uscio era chiuso dall'interno. 



— 40 — 

Senti un rumore di oggetto duro buttato sul ta- 
volino ; sentì lo scricchiolìo della seggiola smossa.... 

— Tu 1... Tu ! 

E il marchese indietreggiò alla vista inattesa. 
Indietreggiò anche lei davanti a quell'aspetto scon- 
volto. 

— Perdoni, voscenza! 

Non gli aveva mai parlato altrimenti, anche negli 
istanti più intimi, piena di gran rispetto per colui che 
ella aveva sempre stimato, più che amante, padrone. 

Uscito fuori e richiuso l'uscio dietro a sé, il mar- 
chese la interrogava con sguardi feroci, stringendo 
i pugni, rialzando le larghe spalle, quasi volesse 
avventarsele contro. 

— Senta, voscenza! — ella pregò. — Farà poi 
quel che vuole, ma senta, per carità! 

Sembrava invecchiato di dieci anni, con la faccia 
non rasa da parecchi giorni, coi folti capelli in di- 
sordine. 

— Chi sa chi ti manda! — mugolò. — Domi- 
neddio? il diavolo? 

— Perchè, voscenza? 

— Che vuoi? Parla! Spicciati! 

— Mi ha fatto chiamare la baronessa. Dice.... 

— Che cosa dice? 

— Dice.... che sono stata io che ho fatto am- 
mazzare mio marito ! 

— E vieni a contarlo a me? 



— 41 — 

— Lo vedo !... Non sono più niente per voscenza,,,. 
Mi scaoeia come una cagna arrabbiata. Che ho fatto? 
Che ho fatto? Anche voscenza dunque crede?... 

— Che ti deve importare di quel che credo o 
non credo? 

— E un'infamia! 

— Oh!... Ci sono peggiori infamie in questo 
mondo! 

— Ma ohe ho fatto, Madonna Santa? 

— Che hai fatto?... Che hai fatto?... Niente! 
Agrippina Solmo, sforzandosi di capire, andandogli 

dietro, lo supplicava con gli occhi pieni di lagrime. 

— Niente ! Niente ! — ripeteva il marchese ag- 
girandosi per la stanza, assorto nella triste idea che 
pareva lo torturasse, masticando parole che evi- 
dentemente non voleva lasciarsi sfuggire di bocca. 

— Me ne vado, — disse Agrippina Solmo, rasse- 
gnandosi. — Questa è V ultima volta che voscenza 
mi vede qui. Il Signore dovrebbe farmi cascare 
fredda prima di uscire dal portone! 

E fece atto di avviarsi. 

D marchese si era voltato. Ella credette che stesse 
per risponderle qualche cosa. No ; la guardava sol- 
tanto, forse per accertarsi che andasse veramente via. 

— Le ho voluto bene ! — olla si lamentava, senza 
che dal suo accento trasparisse nessuna intenzione 
di rimprovero. — L'ho adorato come si adora Gesù 
sacramentato !... Mi ha preso dalla strada, mi ha 



— 4> — 

colmata di beneficii, lo so!,.. Ma in componao, non 
le lui ditU) il iiiid oiini'(>, la mia povinezKii, il cuore, 
LutUij' Nessuno suprJi mai quel die Im Mutrurto dal 

giorno che voscenzn Quasi fossi stata uno straccio 

da buttar vìa !... Oh ! Era padrone di fare quel che 
le pareva e piaceva. Mi disse : — Devi giurare ! — 
Ed io giurai, davanti al Crocifisso. Mi sarei fatta 
polvere per essere calpestata dai suoi piedi !... Crede 
forse voscenea che non sentissi repugnanza ?... Che 
la coa'ienza non mi rimordesse?.,. Che importava? 
Ero nel pec(;ato (quando è destino, una che può 
farei?) e restavo nel peccato come prima. Per questo 
avevo giurato, alzando la mano diritta davanti al 
Crocifisso!... E ora, me ne vado!... Mi scoppiava il 
cuore, se non parlavo!... E convìnto vostenza che 
ho fatto ammazzare io Rocco Criscione ?... Mi de- 
nunzi! alla giustizia! Mi faccia condannare a vita!... 
Ma no, voscenza non lo crede, non può crederlo!... 

— Dici bene! Non posso crederlo!... 

E con voce ancora più cupa, il mai-chese sog- 
giungeva : 

— Meglio per te e per me, so fosse stato cos\!.,. 
Chi t'ha fatto venire in questo momento? Domi- 
neddio o il diavolo? 

Agrippina Solmo, incrociate desolatamente le mani 
e scotendo con atto di compassione la testa, ripren- 
deva a lamentarsi con voce più fioca : 

— Non diceva cosi voscenza quando io le ripe- 



- 43 — 

tevo : — Mi lasci stare ! Mi lasci stare ! — E mia 
madre piangeva, poveretta : — E la tua disgrazia, 
figlia mia ! — E stato vero ! Che m'importa se ora 
non mi manca niente? Casa, oro, roba, voscenza 
può riprendersi tutto.... Un' altra non parlerebbe 
così! E intanto la baronessa — il Signore la per- 
doni ! — dice che io vengo qui per tornare di nuovo 
con vosoenza, per.... Mi vergogno di ripetere quel 
che mi ha rinfacciato !... Quando mai? Quando mai?... 
Neppure allora che voscenza, ogni giorno : — Sei 
la padrona qui, sarai sempre la padrona!... — Oh, non 
si arrabbi !... Me ne vado !... Tutto avrei potuto cre- 
dere, non questo di vedermi trattata cosi ! — È la tua 
disgrazia, figlia mia ! — Mia madre aveva ragione ! 

— Zitta! zitta! — urlò il marchese. 

Ella uscì, più turbata e più smarrita che non fosse 
venendo, e con qualche cosa nel cuore che somi- 
gliava a un rimorso. 

Quei torbidi sguardi del marchese le erano pene- 
trati nelle carni come lama ghiaccia, l'avevano fru- 
gata ne le più intime profondità della coscienza 
dove ella stessa non osava di guardare; e le sem- 
brava che vi avessero già scoperto la infedeltà che 
stava per commettere e che avrebbe certamente 
commesso, se il fucile dell'assassino non avesse col- 
pito Rocco Criscione tra le siepi di fichi d'India di 
Margitello, mentr'ella lo attendeva alla finestra, al 
buio, come si attende un amante! 



Mamma Grazia, vedendola ricomparire, nell'anti- 
camera, l'aveva rimproverata. 

— Siete contenta? Quasi gli mancassero dispia- 
ceri a quel povero figlio mio! 

Ella lo chiamava cos'i da più di quai'ant'anni. 
Anzi, ora che' la casa era stata vuotata e dai ma- 
trimoni e dalle morti, e vi rimanevano soltanto il 
marchese e lei, il suo sentimento di maternità si 
era accresciuto fino al punto che in certi momenti 
le sembrava di non avergli dato i) solo latte, ma 
di averlo partorito con gli stessi dolori con cui aveva 
messo al mondo la creaturina, frutto di un amore 
disgraziato, volata in paradiso pochi giorni dopo. 

Allora vivevano il marchese padre, e quella santa 
della marchesa, bella come una madonna, che la 
paralisi delle gambe inchiodava in fondo a un letto, 
dopo l'aborto che l' aveva tenuta più mesi tra la 
vita e la morte 1 



— 45 — 

Ed erano in famiglia il cavaliere e la signorina, 
zii del marchese, che la chiamavano mamma anche 
essi quantunque belli e grandi. La signorina, di- 
venuta baronessa, continuava a chiamarla mamma 
Grazia tuttavia, ed era vecchia come lei.... Il ca- 
valiere, pure! Ma per loro ella non sentiva nessuna te- 
nerezza. Colui pel quale avrebbe preso passione e 
morte era il marchese nutricato col vivo sangue 
del suo petto. 

Infatti non sapeva darsi pace di vederlo diven- 
tato un altro da che avevano atìamazzato Rocco Ori- 
scione. Si poteva dire che non mangiava e non dor- 
miva più, quasi gli avessero tolto, con lui, metà 
della sua vita. Certe notti ella lo sentiva andare e 
venire su e giù per la camera, per le altre stanze. 
E si levava da letto e accorreva, mezza svestita : , 

— Ti senti male, figlio mio ? Hai bisogno di qual- 
che cosa ? 

— Niente, mamma Grazia. • Dormite tranquilla ; 
niente ! 

E mamma Grazia si addormentava recitando il 
rosario ; e riprendeva a recitarlo durante la giornata, 
appena terminato di fare quel po' di pulizia che le 
sembrava urgente nella casa. 

Don Aquilante non riusciva a capire in che modo il 
marchese potesse vedersela attorno, tutta scapigliata, 
con certe vesti addosso che parevano cenci e certe cia- 
batte che le sfuggivano dai piedi a ogni due passi : 



— 46 — 

— La pulizia non è davvero il forte di mamma 
Grazia ! 

— Povera vecchia, — rispondeva il marchese, — 
fa quel che può. 

Poco, quasi niente. Per fortuna egli viveva come 
un orso. Pagava la mesata di socio al Gasino, ma 
non vi andava mai. Con suo zio il cavaliere non 
parlava da anni. Dalla zia baronessa si faceva ve- 
dere alla sfuggita, soltanto nelle feste di Natale, di 
Capo d'anno e di Pasqua, o quando la baronessa lo 
mandava insistentemente a chiamare. 

Col cavaliere Pergola, altro parente, l'aveva rotta 
nel sessanta, perchè, rivoluzionario e ateo, sedotta 
la figlia dello zio cavaliere, V aveva sposata sola- 
mente al municipio, dopo cinque anni di disonore 
per la famiglia, con due figli che crescevano come 
due bestioline e già bestemmiavano peggio del padre. 

Unico svago del marchese era la passeggiata, lassù, 
su la spianata del Castello, tra le rovine dei bastioni 
e delle torri abbattute dal terremoto del 1693. Ne 
rimaneva ben poco. Il marchese grande, come chia- 
mavano suo nonno quando viveva, non aveva avuto 
scrupolo di servirsi delle pietre intagliate di quelle 
storiche rovine, per rivestirne la facciata della sua 
casa; e nessuno aveva osato opporsi a quell'atto di 
vandalismo. Cosi ora il marchesQ, passeggiando por 
la spianata, con le mani dietro la schiena, in pia- 
nelle, vestito come si trovava, stimava quasi di es- 



— 47 — 

sere in caKsa sua, e teneva udienze seduto su gli scalini 
di gesso dello zoocolo, sul quale anni addietro i mis- 
sionarii liguorini avevano piantato una croco di 
legno che un colpo di levante aveva portato via 
sfasciandola, e non era stata sostituita. 

Verso il tramonto, i contadini del vicinato salivano 
lassù per osservare come si coricava il tempo e per 
dare un'occhiata alla campagna; e il marchese si 
degnava di attaccar discorso con loro; e li interro- 
gava, e dava consigli. E se c'era qualcuno che osava 
di fargli osservare che si era fatto sempre così, da 
Adamo in poi e che era meglio continuare a far 
così, il marchese alzava la voce, lo investiva: 

— Per questo siete sempre miserabili ! Per questo 
la terra non frutta più! Avete paura di rompervi 
le braccia zappando a fondo il terreno? Gli fate un 
po' di solletico a fior di pelle, e poi pretendete che 
i raccolti corrispondano I Eh, sì ! Corrispondono al 
poco lavoro. E sarà ancora peggio! 

. Sembrava che stèsse per azzuffarsi con qualcuno ; 
lo sentivano fin da pie della collina coloro che tor- 
navano dalla campagna e ne riconoscevano la voce : 
— Il marchese predica! — Ormai sapevano quasi 
tutti di che si trattava. 

Durante l'estate, venivano lassù a prendere una 

* 

boccata d'aria fresca anche parecchi galantuomini 
dal Casino, e il canonico Cipolla, dopo l'ufficio di 
Vespro nella chiesa di Sant'Isidoro. Ma il marchese 



- 48 - 
evitava più che poteva di attaccar discorso con quei 
aignori; non voleva mescolarsi affatto nei loro ter- 
"■" intrighi di partiti municipali. Gli bastava pa- 
le tasse, che erano troppe! Quei signori infatti 
lapevano ragionare d'altro che del sindaco che 
ciava menar pel naso dal segretario; dell'asses- 
per le liti, che rovinava il comune e i debitori 
)0 per la nota ragione; Fabbriche e liti, padre 
■e; dell'assessore per l'annona che chiudeva un 

e anche tutti e due sul conto dei macellai 
panettieri.... perchè i migliori bocconi dovevano 

1 per luì!... Sempre le stesse accuse, per tutti, 
re una musica!... — Ah, lei, marchese, potrebbe 
xn gran bene al Oomunel — Con lei sindaco, 
se andrebbero diversamente! — Ci vogliono 
ne pari a lei!,,. — Venivano lassù, come il dia- 

per tentarlo. Ma ^U non li lasciava neppur 

E gli affari di casa mia? Ho appena tempo di 
e ad essi ! Gente sfaccendata ci vuole per sor- 
1 Comune!.., Buona sera, signori! 
icappava, quando non poteva lasciarli a pren- 
il fresco, e continuava le sue passeggiate in su 
5Ìù, dal bastione agli scalini dello zoccolo, e 
scalini al bastione, affondando i piedi tra le 
cine di malva che coprivano la spianata. ' 
>pure col canonico Cipolla aveva molto placare 
correre. 



- 49 - 

Che gli importava a lui, marchese di Roooavór- 
dina, e del papa Pio EX e dei conventi e dei mona- 
steri che il governo voleva abolire? 

Il papa era lontano, e a Palermo c'era la Monarchia 
che funzionava da papa pei siciliani. In quanto ai 
conventi e ai monasteri, certamente erano una ri- 
sorsa per certe famiglie.... Ma i frati non avevano 
aiutato i rivoluzionari? Ben fatto, se ora i rivolu- 
zionari li ringraziavano coi calci!... Egli non voleva 
impicciarsi di politica, né d'amministrazione comu- 
nale, né del papa, né dei conventi! 

— Bado ai fatti miei, signor canonico ! E, vedete, 
i fatti miei sono laggiù, a Margitello; e lassù, per 
le colline di Oasalicchio; e da questo lato, a Poggio- 
grande; e da quest'altro, a Mezzaterra, lungo il 
fiume.... E il papa qua sono io, e il padre guar- 
diano pure; stavo per dire: e la madre badessa 
anche ! 

Il canonico Cipolla sorrideva, pensando che allora 
la madre badessa il marchese se la teneva chiusa 
in casa, e non era un bell'esempio di moralità! In- 
tanto gli rispondeva: 

— Dite bene. Si parla per chiacchierare e per 
nient'altro ! 

E lo lasciava a misurare col compasso delle gambe 
la jgpianata* 

In quel tempo, il marchese restava spesso lassù 
fino a tardi assieme con Rocco o con l'avvocato* 

Capuana, Il Marchese di Roccwve^'dìna* é 



— 50 -- 

L'avvocato gli raccontava le sue frottole spiritiche, 
seduto di faccia a lui sul bastione che sovrastava 
alla vallata, ed egli lo canzonava rudemente; non 
ne aveva ancora paura. 

Intanto dietro le colline sorgeva la luna, enorme, 
rossastra, e montava su pel cielo, quasi arrampican- 
dosi lesta lesta dietro le nuvole , inondando di luce 
biancastra la immensità della campagna, fino alle 
montagne lontane che si confondevano col cielo al- 
l' orizzonte. E il marchese interrompeva l'avvocato 
per indicargli: 

— Vedete quel lume laggiù? È nella stalla di 
Margitello ;^ danno la paglia alle mule. Ora Rocco 
chiude le finestre della Casina. Una, due, tre!... 
Sembra che un lume si accenda e si spenga. — Con- 
tinuate! — È Rocco che passa da una stanza al- 
l'altra.... 

Erano più di due mesi che il marchese tralasciava 
spesso quella passeggiata di cui sembrava non avesse 
potuto fare a meno. Infatti chi aveva bisogno di 
parlargli, in quelle ore, si avviava difilato lassù, si- 
curo di trovarlo a passeggiare o a tenere udienza 
su gli scalini di gesso dello zoccolo senza croce. 

Era andato soltanto quattro o cinque volte in cam- 
pagna, non a Margitello, ma a Poggiogrande, a Ca- 
sal icchio. E da due settimane non si moveva di casa, 
mettendo mobili e oggetti sossopra, quasi per stan- 
carsi con quel lavoro manuale; ricevendo soltanto 



I 



-— ol — 

P avvocato ohe veniva, come le nottole, sempre di 
sera ; o qualcuno dei garzoni di Margitello mandato 
dal massaio a chiedere ordini, perchè nessuno voleva 
assumei^i la responsabilità d'una risoluzione qua- 
lunque. H garzone andava via grattandosi il capo. 
Oggi, un ordine; domani, uno contrario. E se esi- 
tava : — Bestia ! Avresti dovuto capire ! — Ci andava 
di mezzo lui. 

Mamma Grazia lo compativa: 

— Se non si fa la causa, questo inferno non finisce! 
Ma ora che si trattava di giorni il marchese era 

di peggior umore del solito e sbraitava con don Aqui- 
lante : 

— Ohe istruttoria mi andate contando? Ohe pro- 
cesso?... Tutto è imbastito male. Le testimonianze? 
Le prove? Basterà un soffio dell'avvocato della difesa 
per buttarle giù! Saremo daccapo. Dovrò stare ancora 
mesi e mesi con l'animo sospeso.... 

— Perchè? È curiosa questa! 

— Perchè se io me ne lavo le mani, diranno : Al 
marchese non glien'è importato niente del povero 
Rocco! Ohi muore giace e ohi vive si dà pace. E 
verranno fuori nuovi funghi.... Vedrete. 

— Perchè? È curiosa questa! 

— Vi sembra curiosa, perchè voi non vedete al- 
tro che la causa, la bella causa e la bella difesa che 
farete.... E se il giuri manderà assolto Neli Casaccio ?... 
Qualcuno.... l'ha ammazzato il povero Rocco, giacché 



è morto.... e non si è ammazzato con le proprie 
mani.... E cosi daccapo 1 

— Attendiamo che il giurì abbia giudicato. Ero 
venuto per sapei^ Fora precisa della partenza. 

— Quando vorrete. La carrozza è a vostra dispo- 
sizione. Io non vengo. 

— Siete citato anche voi. 

— La mia deposizione è scritta nel processo ; pos- 
sono leggerla. 

— Ma gioverà anche la vostra presenza. I giurati, 
lo sapete, giudicano secondo le impressioni del mo- 
mento, secondo la loro coscienza ; non hanno neppur 
bisogno di fatti precisi.... 

E don Aquilante avea dovuto stentare per in- 
durlo ad andare assieme con lui alla Corte d'Assise. 
Se n'era quasi pentito. 

— Badiamo, marchese!... Badiamo 1 — egli si rac- 
comandava. 

Ma il marchese non gli dava retta, e continuava 
a dar colpi di frusta alle mule, lanciandole in corsa 
vertiginosa per quelle rampe di stradone che giravano 
in declivio attorno al monte in cima al quale Ràb- 
bato stava esposto ai quattro venti, che qualche 
volta sembrava se lo palleggiassero tra loro. 

— Badiamo, marchese! 

Invano Titta^ il cocchiere, seduto in cassetta ac- 
canto al marchese, si voltava di tanto in tanto per 
rassicurarlo. 



- 53 — 

Don Aquilante ricordava, raccapricciando, che ap- 
puntx) lungo quelle rampe le mule avevano preso, 
tempo fa, la mano al marchese, e lo avevano tra- 
scinato giù per la china, tra sterpi e sassi, come im- 
pazzite, fino all'orlo del ciglione a precipizio, dove 
si erano fermate per miracolo; e pensava che certi 
miracoli non si ripetono, se si ripetono i guai. Do- 
veva ricordarselo, il marchese! 

Invece le mule, spumanti di sudore, perdevano 
il fiato, smaniando sotto i colpi di frusta che pio- 
vevano fitti. Evidentemente il marchese sfogava 
contro di loro tutto il suo malumore, quasi l'istrut- 
toria ed il processo li avessero fatti quelle povere 
bestie e potesse essere colpa di esse se Neli Casaccio 
veniva assolto! /- 

Erano trasvolati, come un lampo, accanto ai car- 
retti coi testimoni, che scendevano senza fretta. Don 
Aquilante aveva intravisto Rosa Stanga, mastro Vito 
Neccia, Michele Stizza e non aveva avuto tempo di 
rispondere al loro saluto. Li invidiava. Stavano sco- 
modi, sì^ sui carretti, esposti alla polvere e al sole ; 
ma almeno andavano tranquilli, senza pericolo di 
rompersi la noce del collo. 

— Badiamo, marchese! 

E per distrarsi, don Aquilante si sforzava di pen- 
sare al marchese grande, di cui si raccontava ancora 
la storiella dei testimoni.... Quegli era un vero Roc- 
caverdina !,.. Altri tempi^ altri uomini !... Doveva vin- 



- 54 - 

cere una lite? Occorrevano prove? E . 

— — nte, in paese: — Manda sùbito, sùbito, 
carrettata di testimoni! — Si compravano 
irl l'uno!.,. Falsi, s'intende! Il marchese 
oh! oh! non guardava tanto pel sottile 1 La 
. certi punti, è rimasta la stessa. Quando un 
rdina prende un dirizzone, è capace di tutto, 
I e nel male!,,. Anche a costo di far scavez- 
zilo a chi non c'entra.... 
diamo, marchese! 

[■chese però scendeva da cassetta appunto 
raggiunta la pianura, lo stradone filava di- 
jerdita d'occhio, tra il frinire delle cicale 
;li ulivi e il zirlare dei grilli tra le stoppie. 
:ono che avremo la ferrovia fra quattro o 
inni. 

iche i treni prendono la mano ai macchi- 
ali scontri — rispose il marchese, sorridendo 
ente. — E con le macchine è inutile gridare: 
) marchese! 



— 55 -- 



VL 



A Ràbbato si era già saputo, per telegrafo, la no- 
tizia della condanna di Neli Casaccio: 

— Quindici anni! 

E due giorni dopo, i testimoni, di ritomo, erano 
assediati dalla gente che voleva conoscere tutti i par- 
ticolari della causa. 

Neli, appena udito — Quindici anni! — si era 
coperto il volto con le mani scoppiando in singhiozzi. 
Poi, levata in alto la mano destra, aveva gridato: 

— Signore, lo giuro al vostro divino cospetto: 
Sono innocente ! E se non dico la verità, fatemi ca- 
scare morto, qui, davanti a voi! 

Nella sala tutti gli occhi si erano rivolti verso il 
Crocifisso appeso alla parete dietro il seggio del 
Presidente, quasi il Crocifisso avesse dovuto dare 
davvero la risposta al gesto e alle parole del con- 
dannato. Ma i carabinieri, prèsolo per un braccio, lo 



— 56 — 

avevano condotto via, ohe si reggeva male su le 
gambe e balbettante: 

— Poveri figli! Poveri figli miei! 

E la moglie! Si era buttata ai piedi del Presi- 
dente della Corte, coi capelli disciolti, col viso inon- 
dato di lagrime, chiedendo grazia pel marito: 

— È innocente come Gesù Cristo, eccellenza! 
Gli si era aggrappata ai ginocchi, disperatamente, 

né voleva lasciarlo. 

— Ma io non sono il Re, figliuola mia! Le grazie 
può farle lui soltanto. 

— Vostra eccellenza può lutto!... Vostra eccel- 
lenza ha in mano la giustizia !... Un padre di quattro 
bambini ! 

Bisognò farle violenza per staccarla. 

E la gente, chi giudicava che Neli Casaccio era 
stato condannato a torto, chi a ragione. 

Non aveva egli detto : — Gli faccio fare una fiam- 
mata ? — Questo dovrebbe insegnare a tenere in freno 
la lingua; chi non parla non falla! 

I signori del Gasino di conversazione attendevano 
il ritorno del marchese di Roccaverdina e di don 
Aquilante per conoscere tutto l'andamento della di- 
scussione e il verdetto dei giurati. Gli avevano ne- 
gato fin le attenuanti? Non era possibile! Per ciò 
alcuni dei più curiosi si erano aggruppati in Piazza 
deir Orologio per fermare la carrozza al passaggio. 

E fu proprio una sorpresa il vedere la strans^ 



— 57 — 

compiacenza del marchese che, sceso dalla carrozza 
assieme con don Aquilante, circondato da quei si- 
gnori e seguitx) da una folla di persone, si avviò 
verso il Casino dove egli, quantunque socio, aveva 
messo piede due o tre volte in tanti anni, anche 
perchè, secondo lui, vi si ammetteva facilmente 
troppa gentuccia. 

Il marchese sembrava trasfigurato. Da due giorni, 
don Aquilante lo guardava stupito e stava ad ascol- 
tarlo ancora più stupito. 

I soci del Gasino si erano schierati in semicerchio ; 
e, dietro i seduti, si pigiava la siepe dei curiosi che, 
invaso quel salone a pianterreno, stendevano il collo 
e si sollevavano su la punta dei piedi per sentir 
parlare il marchese o l'avvocato seduti là in faccia 
sul canapè addossato al muro. 

Alcuni erano fin montati su gli zoccoli delle 
quattro colonne di finto marmo che reggevano la 
vòlta del salone, per vedere e udir meglio. 

Questo mosse a sdegno il marchese. 

— Ohe c'è? L'opera dei pupi? Ohe cosa vogliono 
tutti costoro? Non siamo in Piazza dell'Orologio qui.... 
Oameriere ! 

E scoperto il poveretto del cameriere che si affa- 
ticava inutilmente a fare uscir fuori quegli intrusi, 
lo apostrofava: 

— Don Marmotta! Ma che: Prego, signori miei! 
Prendeteli per le spalle se non sanno l'educazione. 



— 58 — 

Allora parecchi soci si levarono da sedere, e co- 
minciarono a spingere indietro la gente, che esitava 
e si voltava a guardare dopo aver fatto pochi passi, 
non sapendosi rassegnare a dover andar via senza 
cavarsi la curiosità. 

Intanto il marchese aveva cominciato a parlare. 
Ora, anche per lui il processo era stato imbastito 
maravigliosamente. Il giudice istruttore, dapprima, 
era andato tastoni, senza lume, senza guida. Aveva 
poi trovato il filo conduttore, e le prove erano bal- 
zate fuori, chiare e lampanti. 

— Ah, quel Procuratore del Re 1 Un fiume di elo- 
quenza. Gelosia? Forza irresistibile? Chiudiamo dun- 
que le prigioni e lasciamo assassinare la gente!.,. Qui 
ci troviamo davanti a una premeditazione di lunga 
mano !... Sì, o signori giurati, c'è la legge anche per 
coloro che disturbano l'altrui pace domestica, che 
insidiano Tonore delle famiglie! Se tutti volessimo 
farci giustizia con le nostre mani, addio società! 
Ognuno crede di avere ragione sopratutto quando 
ha torto. Soltanto il magistrato imparziale e giusto, 
perchè non interessato, soltanto i giudici popolari 
istituiti per questo scopo.... 

Sembrava che il Procuratore del Re fosse lui, e 
che quei soci, seduti in semicerchio là attorno, fos- 
sero i giurati che dovevano giudicare. La sua voce 
prendeva il solito tono alto, come quando egli 
teneva udienza lassù, nella spianata del Castello; e 



— 59 — 

la gente messa fuori del salone e rimasta davanti a 
l'aperta grande vetrata poteva udirlo meglio che se 
fosse rimasta dentro, perchè la voce rimbalzava per 
la sonorità della vòlta e si faceva sentire vibrante 
fin dal centro della piazza. 

— E cosi il povero avvocato della difesa si è visto 
chiusa la bocca prima di parlare.... Oh, non già che 
non abbia parlato ! Un'ora e mezzo, con furia di gesti, 
battendo i pugni sul tavolino,... Se V è presa anche 
contro i pezzi grossi che autorizzano con l'esempio 
le soperchierie dei loro dipendenti ! Come se, in que- 
sto caso, il marchese di Roccaverdina avesse detto 
a Rocco: — Va' a rubargli la moglie a Neli Ca- 
saccio ! — Povero avvocato ! Non sapeva dove sbat- 
ter la testa; armeggiava con le braccia e con la 
lingua, dopo che il Procuratore del Re gli aveva 
troncato anticipatamente i soliti argomenti: La 
gelosia ! La forza irresistibile ! Si capiva che parlava 
unicamente per parlare. E poi.... voleva provar 
troppo. Processo d'indizii! Le testimonianze? — Ho 
sentite dire! — Mi è stato detto! — Ha minacciato! 
— E un uomo feroce; cacciatore di mestiere! — Si 
può decidere della libertà di un cittadino su così fra- 
gili basi?,.. 

E il marchese rifaceva la voce e i gesti dell'av- 
vocato con evidentissimo accento d'ironica commi- 
serazione, ridendo perchè i circostanti ridevano, 
lieto dell'effetto prodotto su coloro che dovevano 



— 60 — 

sembrargli proprio i giurati, o altri giurati da giu- 
dicare in appello, tanto egli si animava nel ripetere 
le frasi più altisonanti e più comuni dell' avvocato, 
aumentando l'ironica intonazione fino alla ripresa 
del Procuratore del Re che volle parlare V ultimo 
per dare il colpo di grazia! 

— Una botta da maestro intanto Taveva già data 
il nostro avvocato qui. Poche parole, ma sostan- 
ziose, ma gravi, di quelle ohe non ammettono 
repHca.,.. 

Don Aquilante che, con le mani incrociate, gli 
occhi socchiusi, ora storceva le labbra, ora scoteva 
la testa, e sembrava di non accorgersi del mormorio 
di approvazione seguito alle parole del marchese, si 
scosse con un sussulto allo scatto di voce, che parve 
un tuono, con cui quegli rispondeva al dottor Meo- 
ciò, detto San Spiridione non si sapeva perchè. 

Il dottor Meccio, seduto proprio di faccia al mar- 
chese, era stato ad ascoltarlo a testa bassa, col mento 
appoggiato al pomo dorato della sua canna d'India 
quasi più lunga di lui; non si era mosso, né avea 
fatto nessun altro segno di approvazione, né riso 
come tutti gli altri. E rizzandosi improvvisamente 
su le interminabili magre gambe — la sua vecchia 
tuba pareva dovesse arrivare a toccar la vòlta del 
salone — avea sentenziato : 

— L'han condannato a torto. È il mio parere, 
IJ marchese era scattato: 



- 61 - 

— Come a torto? Con tante prove? Che ne sa- 
pete voi? 

— È il mio parere. I giurati non sono infallibili. 

— Chi ha dunque ammazzato Rocco? 

— Non lo ha ammazzato Neli Casaccio. 

— Chi dunque? Ci vuole un bel coraggio a par- 
lare cosi! Perchè non siete andato a dirlo al giu- 
dice istruttore quand'era tempo? Non vi rimorde la 
coscienza di aver lasciato condannare, secondo voi, 
un innocente? Ecco come siamo I — È il mio pa- 
rere! — Ma il vostro parere non vale un fico con- 
tro la sentenza dei giurati! Il giudice istruttore è 
stato dunque un bestione? Il presidente e i giudici 
della Corte di Assise sono stati pure bestioni? Chi 
è dunque l'assassino? Dov'è? 

' — Non vi scaldate troppo, marchese! 

— Dite, dite: Chi è stato l'assassino? Dov'è? 

Il marchese, in piedi, pallido dalla collera, gesti- 
colava, urlava, ripetendo: 

— Chi è stato l'assassino? Dov'è? 

— Può essere qui, tra noi, tra quella folla da- 
vanti la vetrata, e forse ride di me, di voi, dei giu- 
rati, dei giudici, della giustizia ! E se dico una scioc- 
chezza, lasciatemela dire! La parola è libera! 

San Spiridione gli teneva testa imperterrito, men- 
tre parecchi tentavano di condurlo via per por ter- 
mine a quella scena sconveniente, e altri circonda- 
vano il marchese pregandolo di compatire un pre- 



U030 che diceva sempre no quando uno diceva 
ler vizio d'indole, per abitudine.... 

E porche me lo dice in faccia? L'ho fatto 
) io il processo? L'ho discussa io la cauaa? L'ho 
laniiato io Neli Casaccio? 

tornato a sederai, riprendeva la relazione dac- 
I, minuziosamente, referondo le testimonianze a 
a una. e l'arringa del Procuratore dei Ho, e 
rringhe degli avvocati,,.. 

■ Tanto, a me che può importare se hanno con- 
iato uno invece di un altro? È affare dei giu- 
dei giudici della Corte.... Disgraziatamente, — 
chiuse, — per gli assassinii che commettono i 
ioi ignoranti non c'è processi né Corte di As- 

a il dottor Moccio non potè rispondere a que- 
frecciata. Era andato via borbottando: 
- Se il marchese ai figura che il Casino sia la 
nata del Castello! 



- 63 -- 



vn. 



— Bene! Bene! — disse la baronessa. — Ed ora 
che tutto è finito, mi darai retta, nepote mio? 

— Ho altro per la testa! — rispose il marchese. 

— Lo so, pur troppo: quella donnaccia. 

— Non me ne parlate, zia! 

— Anzi debbo parlartene. 

— È inutile, vi dico. Per me, è come se non esi- 
stesse più, ve lo giuro. 

— Tu conosci le mie intenzioni. 

— Vi sono grato e vi ringrazio, zia! 

— Il mio testamento è in mano del notaio Lo- 
monaco. Non vorrai costringermi a rifarlo. 

— Siete padrona disporre del vostro come vi pare 
e piace. 

— Voglio che casa Roccaverdina i^fiorisca. Tuo 
zio è uno scioperato. Ha già dato quasi fondo a 
tutto il suo patrimonio ; e suo figlio è più matto di 



- ()4 - 

lui. Della nepot/e non ragioniamo ; ha disonorato la 
famiglia. Vive in peccato mortale, sposata soltanto 
in municipio, per la tirannia di quell'eretico marito 
che essa ha voluto per forza.... Se lo tenga! 

— Che possiamo farci? Non è colpa nostra. 

— Dammi retta. Suol direi: Matrimoni e vesco- 
vati dal cielo son destinati. E questo di cui intendo 
parlarti è certamente tra i destinati, se non m' in- 
ganno. Ricordi?... Sì, sì; non c'è stata nessuna pro- 
messa tra voi due ; non vi siete mai detta una pa- 
rola di amore; ma non occorreva dirla. Eravate 
troppo ragazzi allora, e gli occhi e gli atti dicevano 
assai più di qualunque parola. Così essa si è tenuta 
sempre come vincolata. Se si fosse chiusa in un 
monastero, non avrebbe potuto vivere più fuori del 
mondo. È rimasta sempre in attesa, non ha dispe- 
rato neppure quando tu eri tutto di quella don- 
naccia e davi lo scandolo di tenerla in casa.... 

— Ma, zia ! 

— Non m'interrompere, lasciami dire. Parlo per 
tuo bene. 

Il marchese chinò il capo rassegnandosi. 

Lo avea mandato a chiamare col pretesto di con- 
sultarlo su certi miglioramenti da fare nel vigneto 
di Lagomorto. Ma egli, capito subito di che si trat* 
tava, si era preparato le risposte. Questa volta però, 
a dispetto di ogni suo proposito, il marchese si sen- 
tiva imbarazzato da una strana fiacchezza di volontà. 



— 65 — 

Da prima, lo avevano un po' rassicurato le do- 
mande intorno alla causa e alla condanna di Neli 
Casaccio. E si era diffuso a posta nella narrazione, 
per sviare la zia baronessa.-^ 

Gli sembrava di vedere agitarsele su le labbra 
gli insistenti consigli con cui lo assediava ogni volta 
che veniva a vederla, mandato a chiamare per lo 
più; e per ciò aveva tentato di tirare in lungo il 
discorso, ad evitare la noia della temuta predica: 
Prendi moglie! 

Si era però eccitato per la fissazione della baro- 
nessa che Agrippina Solmo avesse fatto ammazzare 
il marito con V intenzione di tornare ad essere quella 
che era una volta e raggiungere uno scopo lascia- 
tosi sfuggire con l'aver sposato Rocco Criscione. 

E appunto il vederlo eccitare appena gli era stato 
accennato questo sospetto, aveva spinto la baronessa 
a rompere ogni indugio. 

Egli aveva dovuto ascoltarla, rispondendole quasi 
sbadatamente, girando gli sguardi pel salone, fissando 
un ritratto, osservando un vecchio mobile, guar- 
dando i cani accovacciati sui cuscini dei loro due 
seggioloni, e che riposavano riaprendo di tratto in 
tratto gli occhi e alzando le teste, quasi capissero 
che non dovevano muoversi per non interrompere 
la conversazione. 

Dall'alto di uno dei balconi era entrato improv- 
visamente uno sprazzo di sole in tramonto. La 

Capuana, Il Marcliese di Roccaverdinct. 5 



— 66 — 

striscia di luce rossiccia aveva rischiarato per al- 
cuni istanti il soprapporto dell'uscio di faccia, e il 
marchese avea strizzato gli occhi per distinguere 
le figure annerite di quel Giudizio di Paride ma- 
lamente dipinto, cercando di distrarre anche con 
questo la sua attenzione dalla predica che la baro- 
nessa avea cominciato a fargli e che minacciava di 
non finire più ! Poi, nella penombra della sera e 
mentre la zia gli evocava quel ricordo di giovi- 
nezza quasi scancellato dalla sua memoria, egli si 
era sentito prendere da una sottile angoscia di rim- 
pianto che gli increspava la fronte e lo induceva a 
interromperla con quel : — Ma zia ! — che non era 
un diniego, né una protesta, e non poteva avere 
nessuna efficacia per impedirle di continuare: 

— Ijasciami dire ; parlo per tuo bene.... Io la vedo 
spesso, da anni. Sempre la stessa! Vestita sempre 
di scuro, come una vedova, poveretta ! E silenziosa, 
specialmente dopo il tracollo della sua famiglia, che 
è nobile quanto la nostra, nepote mio.... Faresti la 
felicità tua, e anche un' opera buona ! Dignitosa, 
anzi orgogliosa in quella miseria che deve nascon- 
dersi, mai un accenno di te e della sua ostinata 
speranza. E quando io gliene parlai, tempo fa, di-, 
venne, prima, rossa rossa, poi impallidì, rispondendo 
soltanto : — Ormai , baronessa ! Sono Adocchia ! — 
A trentadue anni? Non ò vero. E fina, delicata, 
signorile. E quando sorride, sembra che tutta la sua 



^^^^^^^^^^m^^^^^—'^-^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^rr-r^ < ■■ i i u>v F ■ " ■■ ■ ■^^^^^^■^■^^^ 



- 67 — 

persona si rischiari e si illumini e lasci scorgere 
Vanima gentile e pietosa.... Perchè non vuoi? Per- 
chè ti ostini a vivere solo?... Che malìa ti ha dun- 
que fatto quella donnaccia? 

Pur troppo, quella donnaccia avea dovuto get- 
targli addosso una terribile malia ; lo sentiva e fre- 
meva. Ma la zia baronessa faceva peggio rammen- 
tandogliela; egli ora tentava, appunto, di strappar- 
sela dal cuore, insofferente della prepotenza e irritato 
della propria inettezza di vincerla e di liberarsene. 
Non amava più, odiava Agrippina Solmo; ma l'odio 
gliela teneva radicata nell'animo più assai dell'amore! 
Ah, se la zia baronessa avesse saputo!... Egli però 
non aveva mentito giurandole: — Per me, è come 
se non esistesse più ! — Non voleva vederla neppur 
da lontano ; le aveva interdetto di passare la soglia 
di casa Roccaverdina ! 

Intanto... ! 

E si rizzò dalla poltrona, ripetendo: 

— Ho altro per la testa in questo momento. Ne 
riparleremo, zia! 

I quattro canini, saltati tutt'insieme giù dai seg- 
gioloni, e stiratisi e sbadigliato, circondavano il 
marchese, mostrando di riconoscerlo col dimenare 
festosamente lo code e saltellargli attorno e ab- 
baiare. La baronessa li guardava sorridendo dalla 
commozione. 

— Non fai loro neppure una carezza! — esclamò. 



GJi ]ias»tvtt davvero l>eii altro \kf la icsUi in quel 

- "'" che afcai-ezzare quelle decrepite bestie 

ate e con gli occhi pieni di cispa! 

)arones3a aveva ragione: 

lè egli non voleva? Perchè si ostinava a 

andò in casa, (ili parve di rientrare in 
ica. 

Grazia, che non aveva ancora acceso i 
Le ad aprirgli portando con una mano la 
liera di terracotta stagnata, col lucignolo 

essa adoprava in cucina. 
, baronessa tutto era un gran vecchiume; 
scorgeva la sorveglianza d'una intelU- 
iilita padrona. Qua si sentiva il tanfo 
urateaza, del disordine e dell'abbandono. 
I che qìiella — non la nominava più nep- 
nsiero — era andata via, egli non aveva 
I a niente, lasciando che mamma Grazia 
b1 po' che poteva, non osando di rimbrot^ 
igridarla, per via dell'età e del risiwtto 
tava come nutrice o come vecchia per- 
isa. Altra donna di servizio non voleva, 

non fai-e dispiacere alla povera vecchia; 
.on gli piaceva di averne attorno, perchè 

indiscreti e ciarlieri. 

i questa ? La solitudine ora gliene faceva 
;to il fastidio e la nausea. Vita bestiale! 



Egli, marchese ili Roccavei-dina, go<ieva forse fletle 
ricchezze ereditate? I suoi massai, i suoi fitti " 
godevano meglio di lui. Da più di dieci anni 
ridotto un selvaggio, schivando il commercio 
persone, arrozzendosi, chiuso in quella ajw 
d'onde usciva soltanlo per fare quattro passi 
spianata del Castello, o per vivere in camp 
tra contadini che lo temevano e non gli voli 
bene perchè li trattava peggio di schiavi, aenzi 
var mai una buona parola per essi. 
Ah, la zia baronessa aveva ragione! 

— Perchè non voleva? ^ 

Le altre volte la zia gli aveva parlato su I 
nerali. Ora aveva precisato, pur non nomir 
colei che era stata la segreta aspirazione dei 
sedici anni, quando timido ed esitante si era 
tentato di manifestare il sentimento che gli 
mava In fondo al cuore soltanto con gli sgun 
con fanciullesche intimità di scherzi e di atti 
meno espressivi degli scherzi ; quando gli eri 
stato di scorgere o d'indovinare, dal pudibonde 
tegno, che ella si era accorta e che acconse 
con maggiore serietà di propositi, non mai sm( 
dopo. Ed egli l' avea dimenticata ! Ed egli l' i 
offesa antiponendole quella donna poi divenut 
tortura e suo castigo. 

— Perchè ora non voleva ? 
Non lo sapeva neppur lui ! 



- 70 - 
» a t^ivola. Maininn (Jrazia, jwrtato il 
nsalata, vedendo che il marchese man- 
na cupa, evitando di guardarla e di 
parola, si era fermata a osservarlo, in- 
mani sotto i) grembiale dì traliccio, 
irnecchi dei pochi capelli inai pettinati 
[liavano su la fronte piena di grinze, 
lugli occhi, da uno dei inali, con gli 
ilpebre l'ossi, non ci vedeva per un 
ceidente di molti anni addietro, quando, 
mai-ohese, era rimasta come ser^■a dai 

pensi, figlio mio ? — ella disse tenera- 

iesa domanda il marchese faceva una 
i di tutti i muscoli della faccia, quasi 
essa, trafugare nel più oscuro posto del 
nsieri che lo tormentavano e nascon- 
i sé stesso. 

iveva notato, altre due o tre volte, una 
; e in identiche circostanze, ne fu ad- 

puoi dirlo, — so^nnse accostandosi 
— Sono la tua mamma Graaia 1 
rovo certe antiche scritture; pensavo 
e cercarle — rispose il marchese. 
•ì mezzanino ce n'è una catasta. 



— 71 - 

— Ce n'è tante altre anche in un baule. Io so 
qual'è la chiave. 

— Me la darai domani. 

— Farò prendere aria a quelle stanze, 
piene di topi. Non vi è entrato nessuno di 

— Si, mamma Grazia, 

Non convinta della risposta, dopo alcuni i 
di sUenzio, ella riprendeva: 

— Che ti cuoce, figlio mioV Dimmelo, Pr 
Signore e la Vergine Santissima del Rosario. 
dire una messa alle anime sante del Purgatori 
ti diano la pace dell'animo.... Senti: se è per 
richiamala pure.... Le farò da serva, come 

Il marchese alzò la testa e le spalancò ^ 
in viso, impaurito dalla chiaroveggente pent 
di quella rozza e semplice creatura. 

— Oh, mamma Grazia!,,, È venuta qui 
ha detto? Non voglio più vederla, non m'imj 
niente di essa!,.. Ti ha foi'se suggerito di dir 

— No, figlio mio!... Non irritarti; ho pa 
vecchia stolida! 

Si era irritato, invece, per la vergogna 
tirsi quasi alla mercè degli altri. Non sapi 
poteva più dissimulare dunque? 

Allo sgomento che gli intorbidava lo ; 
mamma Grazia, intimidita, replicò: 

— Non irritarti! Ho parlato da vecchia 
E andò via strascricando le ciabatte. 



Vffl. 



;nque, il giorno dopo, mamma Grazia lo 
vertito ch'ella aveva già dato aria al mez- 
sciaiido la chiave nella serratura dell'uscio 
illa acala interna nessuno passava, il inar- 
i era disceso a ricercare le vecchie scritture, 
.ttaocare le mule alla carrozza, era jmrtito 
itello. 

1 cocchiere, ai meravigliava di vedere il 
■annicchiato in fondo alla carrozza chiusa, 
mente silenzioso. Avea tentato, ma inutit- 
. fargli dire qualche cosa, 
ruole la pioggia! Guardi, voscema; non un 

fiura si estendeva da ogni lato, con terreni 
sole e screpolati, con aride piante di spino 
nargini dello atradone.... E sì era alla fine 
il Qua e là, un paio di buoi attaccati al- 



— 73 — 

Taratro si sforzavano di rompere le zolle indurite, 
procedendo lenti per la resistenza che incontravano. 
Qualche asino, un mulo, una cavalla col puledro 
dietro, pascolavano, legati a una lunga fune, o con 
pastoie ai piedi davanti, tra le poche stoppie non 
ancora abbruciate. 

— ' Quest'anno la paglia rincarirà. Non vi sarà 
altro per le povere bestie! 

La carrozza, lasciato lo stradone provinciale, aveva 
infilato, a sinistra, la carraia di Margitello, tra due 
siepi di fichi d'India contorti, polverosi, coi fiori ap- 
passiti su le spinose foglie magre e quasi gialle per 
mancanza di umore. Le mule trottavano, sollevando 
nembi di polvere e facendo sobbalzare la carrozza 
su le ineguaglianze del suolo. A un certo punto, le 
ruote avevano urtato in un mucchio di sassi che 
ingombrava metà della carraia. 

— Qui accadde la disgrazia ! — disse Titta. 

Quel mucchio di sassi indicava il posto dove era 
stato trovato il cadavere di Rocco Criscione, con la 
testa fracassata dalla palla tiratagli quasi a brucia- 
pelo dalla siepe accanto. Chi era passato di là in 
quei giorni vi avea buttato un sasso, recitando un 
requiem^ perchè tutti si rammentassero del cristiano 
colà ammazzato e dicessero una preghiera in suf- 
fragio di quell'anima andata all'altro mondo senza 
confessione e senza sacramenti Cosi il mucchio era 
diventato alto e largo in forma di piccola piramide. 



— 74 — 
iure questa volta Titta senti rispondersi 
rustò le mule, pensando a quel che sa- 
muto a Margitello dove nessuno si atten- 
vo del padrone. 

li piccioni domestici, usciti alla pastura, 
) a volo dui lati della carraia al rumore 

dello mule e delle ru"to della carrozza, 
rreva su la ghiaia sparsa sul terreno a 
iza dalla Casina. Si scorgevano il licinto 

e le finestre chiuse, a traverso gli alberi 
i che la circondavano da ogni parte, 
ainente alle previsioni di Titta, il massaio 
i l'avevano passata lis<.'ia. 
lese uvea visitato la dispensa, le stalle 
16, il fienile, la pagliera; aveva ispezio- 
tamente gli aratri di nuovo modello fatti 
Milano l'anno avanti, la cantina, le stanze 
ne dei contadini, seguito dal massaio che 

dietio, timoi-oso di qualche lavata di 
m a\ ea fiatato neppure quando allo stesso 
a parso opportuno sousai-si per un oggetto 
), per un ingombro elio avrebbe dovuto 
ato, per qualche arnese buttato là trascu- 

guasto e non ripai'ato. 
larchese era salito, solo, nelle stanze su- 
il massaio, dalla corte, gli vedeva spalan- 
ostre, lo sentiva passai-c da una stsinza 
priro e chiuderò cassette di tavolini o di 



— 75 — ^ 

cassettoni, armadii, spostare seggiole e sbattere usci. 
Due o tre volte, il marchese si era aflFacciato ora 
da una ora da un'altra finestra, quasi volesse chia- 
mare qualcuno. Invece, avea dato lunghe occhiate 
lontano e attorno, per la campagna, o al cielo che 
sembrava di bronzo, limpido, senza un fiocco di 
nuvole da dieci mesi, infocato dal sole che bruciava 
come di piena estate. 

Tre ore dopo, egli era disceso giù, aveva ordinato 
a Titta di riattaccare le mule, ed era ripartito senza 
dare nessuna disposizione, senza mostrarsi scontento 
né soddisfatto. 

A mezza strada della carraia di Margitello, là 
dov'era il pezzo di terreno di compare Santi Di- 
mauro, che avea dovuto venderlo per forza, per evi- 
tarsi guai, il marchese, scorgendo dallo sportello il 
vecchio contadino seduto su un sasso rasente la 
siepe dei fichi d'India, coi gomiti appuntati su le 
ginocchia e il mento tra le mani, avea ordinato a 
Titta di fermare le mule. 

Compare Santi rizzò la testa, e salutò il marchese 
sollevando con una mano la parte anteriore del 
berretto bianco, di cotone. 

— Voscenza benedica! 

— Ohe fate qui? — gli domandò il marchese. 

— Niente, eccellenza. Trovandomi al mulino, ho 
voluto dare uno sguardo.... 

■ — Rimpiangete ancora questi quattro sassi? 



- 76 - 

■ Il mio cuore è aempr« qua! Vorrò a morirvi un 
nn n l'.iltro. 

» faccia dì lagnarvi, dopo che ve !i ho 

nt'onze? 
si strinse nelle spalle, e riprese la sua 

te in serpe con Titta — so^unae il 

, voscetiza. Ho lasciato l'asino al mu- 
ripvenderlo, con la farina, 
ra voltato per convincersi se il padrone 
.to sul serio invitando compare Santi a 
serpe, tanto gli era parso straordinaria 
la sua curiosità rimase insoddisfatta. Il 
i accennò con la mano di tirar via, e le 
Diserò al trotto al primo schiocco di 

ripida salita, Titta avea risparmiato le 
e. Alla svoltata delta Capiwlletta però, 
stradone comincia a salire dolcemente, 
riprendere il trotto; e pel movimento a 
agli delle testiere squillavano all'ombra 
) dei mandorli che sporgevano dietro ì 
hiome grige e verdognole tra cui stri- 
ine cicale ritai-datarie, illuse forse dal 
:aldo che l'estate durasse ancora. 
èV — domandò il marchese all'improv- 
i^i della carrozza. 



;"vr- 



— 77 — 

E, affacciatosi allo sportello, vide Tavvocato don 
Aquilante, con le lunghe gambe penzoloni dal pa- 
rapetto di un ponticello, il cappellone di feltro nero, 
a larghe falde, che gli riparava dal sole, come un 
ombrello, la faccia sbarbata, con la grossa canna 
d'India tenuta ferma da una mano sul paracarro 
sottostante. 

Don Aquilante socchiuse gli occhi, scosse la testa 
con l'abituale movimento, portò l'altra mano allo 
stomaco, quasi volesse reggere la cintura rilasciata 
dei calzoni, e scese dal parapetto, aggrottando le 
sopracciglia, stringendo le labbra con l'aria di uà 
uomo importunamente disturbato. 

— Qui, con questo sole? — disse il marchese 
aprendo lo sportello della carrozza. 

Don Aquilante fece soltanto una mossa che vo- 
leva significare: Se sapeste! e, accettando l'invito 
espressogli con un gesto, montò accanto al marchese. 
Le mule ripartirono al trotto. 

— Qui, con questo sole? — tornò quegli a do- 
mandare. 

— Voi siete scettico.... Non importa!... Vi convin- 
cerete un giorno o l'altro ! — rispose don Aquilante. 

Il marchese sentì corrersi un brivido per tutta 
la persona. Pure fece il bravo, sorrise ; e quantunque 
avesse pregato don Aquilante di non più riparlargli 
di qitelle cose, ed ora ne sentisse più che mai invin- 
cibile terrore, provò un impeto di sfida per vincere 



— 78 — 
azione che gli sembrava puerile in quel 
all'aria aperta e con tutta quella luce, 
[i! Venite a cercare gli Spiriti fin qiiiV 
ho seguito a dieci pu^i di distanza, senza 
raggiungerlo. Ora è agitato; coinincia ad aver 
:a della sua nuova condizione.... Voi non po- 
endero; siete fuori della verità, tra la calìgine 
^udizi roligioei. 

abene? — ball)ettó il marchese, 
n giorno vi persuaderete, finalmente, che io 
10 un allucinato, né un pazzo. Vi sono per- 
soggiunse con severo accento, — che posseg- 
coltà speciali per vedere quel che gli altri 
lono, per udira quel che gli altri non odono. 
3, il mondo degli uomini e quello degli spi- 
. sono due mondi distinti o diversi. Tutti ì 
inno avuto questa gran facoltà. Non occorre, 
i esaere un santo per ottenerla. Particolari 
nze possono accordarla a un meschino avvo- 
ne me.... 

non vi è riuscito di raggiungerlo! — disse 
lese, con accento che avrebbe voluto essere 
e tradiva intanto l'ansia da cui era turbato, 
è fermato presso il ponticello ed è rimasto 
ite in ascolto; poi, tutt'a un tratto, udito lo 
dei sonagli delle mule e 'il rumore delle 
ella vostra carrozza che saliva per la rampa 
nte, si è precipitato giù pel ciglione dirim- 



— 79 — 

petto. Evidentemente, ha voluto evitare d'incontrarsi 
con voi. 

— Perchè? 

— Ve r ho detto. EgU comincia ad aver coscienza 
della nuova condizione. In questo caso, tutto quel 
che rammenta la vita ispira orrore. E il punto più 
penoso dell'altra esistenza. Rocco che già si accorge 
di non essere più vivo.... 

Il marchese non osava d'interromperlo, né osava di 
domandarsi se colui che gli parlava in quel modo 
avesse smarrito il senno o fosse ancora in pieno 
possesso della ragione. A furia di udirlo discor- 
rere di queste stramberie, come il marchese soleva 
chiamarle, si sentiva attratto da esse, non ostante 
che da qualche tempo in qua gli ispirassero una 
gran paura del misterioso ignoto, a dispetto del suo 
scetticismo e delle sue credenze religiose. 

E l'Inferno? E il Paradiso? E il Purgatorio? Don 
Aquilante li spiegava a modo suo; ma la Chiesa 
non dice che si tratta di cose diaboliche? 

Titta aveva spinte le mule al gran trotto, per 
fare una bella entrata in paese con schiocchi di fru- 
sta, gran tintinnio di sonagli e rumore di ruote; 
e questo distrasse il marchese dal torbido rimescolìo 
di riflessioni e di teiTori che gii passava por la mente 
mentre don Aquilante parlava. 

Rimescolio di riflessioni e di terrori che lo ripren- 
deva però appena posto il piede in quelle stanze do- 



i 



'\ 



- 80 — 
serte dove non si udiva altro di vivente all'infuori 
dello atniacìcar delle ciabatto di mamma Grazia e 
ei suoi rosarii, quando essa non aveva 

ito la chiave nella serratura dell' uscio, 
ito mamma (ìrazia. 
se, per ocoujtai'si di qualche cosa, 
eramonto non avesse nessuna vecchia 
cercare, scendeva giù nel mezzanino, 
izia aveva dato aria a quei duo stan- 
anfo di rinchiuso prendeva alla gola 
e. Laiche amache di ragnateli pende- 
s;oli del soffitto. Un denso strato di 
a i pochi vecchi mobili sfasciati, le 
le rotte che ingombravano la piima 

distìnguevano appena, perchè essa 
da l'altra che rispondeva su la via, 
si diffidente, arricciando il naso pel 

muffa, strizzando gli occhi (ver ve- 
iiese si era fermata più volto a fine di 
Tutta roba da buttar via! Era là fin 
èva il marchese grande. Nessuno aveva 
t fare un bel repulisti ; lo avrebbe fatto 
ito. 

landò u questo, tornavano a friillargii 
parole di don Aquilante, quasi qua!- 
)etesso sommessamente dall'angolo più 
■vello : 



— 81 - 

— Ha voluto evitare di scontrarsi con voi! Co- 
mincia ad aver coscienza della sua condizione ! 

Ormai! Che doveva importargli delle stramberie 
dell'avvocato ?... Ma se fosse vero? Eh, via!... Ma, 
infine, se fosse vero?... 

E si arrestò con un senso di puerile paura, ap- 
pena passata la soglia dell'altra stanza. La stessa 
angosciosa impressione di una volta, di molti e 
molti anni addietro ! Allora aveva otto o nove 
anni. 

Ma allora il lenzuolo che avvolgeva il corpo del 

« 

Cristo in croce, di grandezza naturale, appeso alla 
parete di sinistra, non era ridotto a brandelli dalle 
tignuole; e non si affacciavano dagli strappi quasi 
intera la testa coronata di spine e inchinata su una 
spalla, nò le mani rattrappite, né i ginocchi piegati 
e sanguinolenti, né i piedi sovrapposti e squarciati 
dal grosso chiodo che li configgeva nel legno. 

La vista di quel corpo umano, che il lenzuolo 
modellava avvolgendolo lo aveva talmente impaurito 
da bambino, ch'egli si era aggrappato al nonno, al 
marchese grande^ da cui era stato condotto là, ora 
non si rammentava più perchè; e i suoi strilli ave- 
vano fatto accorrere mamma Grazia e la marchesa 
nuora non ancora assalita dalla paralisi. Il nonno 
aveva tentato di convincerlo che quello era Gesù 
Crocifisso, e che non ne doveva aver paura ; ed era 
salito sulla cassapanca sottostante [per togliere gli 

Capuana, Il Marchese di Roccaveì'dina. 6 



— 82 — 

dal lenzuolo o fargli vedere il Signore messo 
■ote dai Giudei, del quale la mamma gli avea 
>ntato la storia della passiono o della morte, un 
rdì santo, prima di farlo assistere nella chiesa 
mt' Isidoro alla sacra cerimonia della Deposi- 
I. Anche quella volta egli aveva strillato dalla 
a, come altri bimbi suoi pari ; e mamma Grazia 
I tata costretta a portarlo via in collo facendosi 
I a stento tra la folla delle donne accalcate 

chiesa quasi buia, e singhiozzanti e piangenti, 
Te un prete picchiava con un martello sul le- 
della croce per sconficcare i chiodi del Croci- 

e una tiomba 9quilla\a cosi malincouicamentc 
lembta^a piangesse anch'essa, 
.esti ncordi gli eian passati, come un baleno, 
uti agli otchi della mente; e intanto la paura 
imbino SI iipiodu<.e^a m lui ugualmente in- 
, anzi raddoppiata dalla circostanza che il vec- 
lenzuolo, ridotto in brandelli, rendeva più ter- 
nte quella figura di grandezza naturale, che 
rava lo guai-dasse con gli occhi seraispenti e 
se muovere le livide labbra contratte dalla su- 
a convulsione dell'agonia, 
anti minuti non aveva avuto forza e coraggio 
Itrarsi né di tornare addietro? 
andò potè vincersi e dominarsi, aveva le mani 
e e il cuore che gli batteva forte. E non riu- 

a formai'si un'esatta idea del tempo trascorso. 



— 83 - 

S'impose però, facendosi violenza, di fissare il Croci- 
fìsso, anzi di accostarsi ad esso. 

E soltanto dopo che si senti un po' tranquillo, 
uscì dallo stanzone, indugiò un istante nelTaltro, e 
chiuse Tuscio a chiave. Ma nel salire le scale gli 
sembrava che quegli occhi semispenti continuassero 
a guardarlo a traverso la spessezza dei muri, e che 
quelle livide labbra contratte della suprema convul- 
sione deir agonia si agitassero, forse, per gridargli 
dietro qualche t^erribile parola! 



-~ 84 — 



IX. 



Don Silvio La Giura si era alzato più volte dal 
tavolino dove teneva aperto davanti a sé uno dei 
quattro tomi del breviario. 

Quella sera sembrava che i venti di levante e di 
tramontana si fossero dati la posta a Ràbbato per 
una sfida di gara; e soffiavano, fischiavano, stride- 
vano, urlavano, strisciando lungo i muri delle case, 
scotendo le imposte, sconvolgendo le tegole sui tetti, 
azzuffandosi agli svolti delle cantonate , pei vicoli, 
nelle piazze con gridi rabbiosi, con ululi prolungati, 
ora vicini, ora lontani, che davano i brividi al po- 
vero prete. 

Ai ripetuti assalti, l'imposta poco solida del bal- 
concino della sua cameretta avea minacciato di ce- 
dere, di spalancarsi, di lasciar invadere la casa da 
quel che sembrava un nemico assediante, inasprito 
sempre più della resistenza che trovava. 



— 85 — 

Don Silvio, interrompendo la recita deirufficio, era 
stato costretto a puntellarla con un pezzo di tavola 
e con una stanghetta. Ma quantunque rassicurato, 
si arrestava spesso a metà d'un versetto di salmo, 
e si sentiva diventare piccino piccino a quegli ululi, 
a quegli impeti fischianti che facevano fin tintin- 
nire, a intervalli, la piccola campana del vicino mo- 
nastero di Santa Colomba, e buttavano, di tratto 
in tratto, sul selciato della via qualche tegola o 
qualche vaso da fiori che vi si fracassavano con pau- 
roso rumore. 

La sua casetta a un solo piano, all'angolo del vi- 
coletto breve e contorto , investita da un lato dal 
vento di levante e, di faccia, dal tramontano, sem- 
brava vacillasse. Tutti gli usci delle stanze si agi- 
tavano e i vetri delle finestre e del balconcino tra- 
balzavano, e sul tetto era un continuo acciottolìo 
di tegole, quasi vi spasseggiasse a salti un grosso 
animale. 

Don Silvio levava gli occhi dal breviario, tendeva 
le mani giunte alla Madonna Addolorata appesa al 
capezzale del lettino, invocandola, o si rivolgeva al 
crocifisso di ottone che aveva davanti sul tavolino : 

— Sia fatta la vostra santa volontà, Signore ! Ab- 
biate pietà di noi. Signore! 

E si sarebbe detto che i venti, indispettiti di 
quella preghiera, assalissero allora con maggior vio- 
lenza la casetta, e urlassero con più forza dietro la 



- 86 - 

porta, dietro le finestre e il balconcino. Per ciò don 
Silvio rimaneva un po' incerto se quei colpi che gli 
era parso di udire alla |)orta di casa provenissero 
dal rabbioso furore del vento o da qualche persona 
che veniva a chiedere per un moribondo la sua 
opera spirituale. 

Di là, la vecchia sua sorella lo chiamava: 

— Silvio! Silvio! Non senti? Picchiano. 

Scesi con un lume in mano gli scalini di gesso 
della scaletta, egli avea domandato da dietro la 
porta : 

— Chi siete? Che volete? 

— Aprite, don Silvio! Sono io. 

— Oh, signor marchese ! — egli esclamò stupito, 
riconoscendolo alla voce. 

E posato il lume sur uno scalino, toglieva la stan- 
ghetta di sorbo che sbarrava traversalmente la porta 
di entrata. 

Una folata di vento spense il lume. 

— Lasciate fare a me, — disse il marchese, ri- 
chiudendo sùbito la porta e puntellandola forte con 
una mano, mentre con T altra cercava tastoni la 
stanghetta che don Silvio aveva appoggiato in un 
angolo. — Ho i cerini, — soggiunse, dopo di averla 
rimessa trasversalmente a posto, introducendone i 
capi nelle due buche laterali che dovevano t,enerla 
fìssa. 

E x'iaccese il lume. 



— 87 — 

— Signor marchese! Che accade?... A quest'ora?... 
Con questo inferno scatenato? 

Alto, robusto, con la cappotta di panno scuro il 
cui cappuccio gli nascondeva metà della faccia, il 
marchese di Roccaverdina sembrava un gigante di 
fronte, al magro corpicino del prete, in quella came- 
retta imbiancata a calce e che aveva, soU mobili, il 
tavolino con su un crocifisso di ottone, i volumi del 
breviario e poche carte alla rinfusa, il lettino con la 
coperta bianca e quella Madonna Addolorata al capez- 
zale, e due seggiole col piano rozzamente impagliato, 
una davanti al tavolino e una accanto al letto. 

— Permettete, — disse il marchese sbarazzandosi 
dalla cappotta che buttò su la seggiola più vicina. 

Don Silvio non osava di tornare a interrogarlo, 
dopo che non avea ricevuto nessuna risposta a pie' 
della scala. 

Il mai'chese si passò più volte le mani su la faccia, 
si tolse di capo il berretto di màrtora, posandolo su 
la cappotta; poi, quasi facesse uno sforzo, disse: 

— Voglio confessarmi! 

E scorgendo V occhiata di stupore di don Silvio, 
soggiunse : 

— Ho anche fretta. 

— Eccomi — rispose il prete. — Un momento, 
e vengo sùbito. 

Andò di là, rassicurò sua sorella mezza cieca e 
malaticcia, senza dirle chi fosse venuto a trovarlo, 



— 88 — 

e tornando nella cameretta chiudeva dietro a sé gli 
usci delle altre poche stanze. 

Il marchese era rimasto in piedi, e Tornbra della 
sua persona proiettata dal lume si disegnava nera 
e ingrandita su la parete bianca, ingombrandola con 
la larghezza delle spalle e del torace, toccando la 
vòlta del soffitto con la testa attorno a cui si spar- 
pagliavano, enormi come tentacoli di polipo, i ciuffi 
di capelli che egli aveva arruffati con rapido atto 
delle dita irrequiete. 

Don Silvio intanto, cavata dalla cassetta del tavo- 
lino una stola di stoffa scura con due crocette di 
gallone di argento nelle estremità, se la passava 
dietro il collo, facendone ricadere i lembi sul petto. 
Tolse dal tavolino il lume, posandolo per terra nella 
stanza accanto, vicino alFuscio, in modo che la ca- 
meretta restasse in penombra; e sedutosi su la seg- 
giola davanti al tavolino e fattosi il segno della 
croce, ripetè: — Eccomi! — invitando nello stesso 
tempo, col gesto, il marchese a inginocchiarsi. 

Il marchese esitò un istante. Volgendosi inquieto 
verso il balconcino contro cui il vento faceva impeto, 
tendeva l'orecchio all'urlo selvaggio che, imboccato 
il vicolo, passava rapidamente oltre, seguito da altri 
ùluli, da altri fischi, da altri stridi quasi umani che 
passavano pure rapidamente oltre in sinistra rin- 
corsa, lasciandosi dietro un intervallo di morto si- 
lenzio più sinistro di loro. 



— 89 — 

Cosi, durante uno di questi intervalli, egli potè 
udire benissimo le gravi parole che il confessore gli 
rivolgeva a bassa voce, dopo di averlo aiutato a re- 
citare il confiteor, 

— Dimenticate ora la mia povera persona e il mi- 
sero luogo dove vi trovate. Al cospetto di quel Dio 
che vi legge nel cuore, e che è Padre di misericordia 
e di perdono, confessate umilmente le vostre debo- 
lezze, i vostri falli, giacché la sua santa grazia 
vi ha spinto a questo atto per la vostra eterna 
salute. 

La voce di don Silvio aveva preso un accento so- 
lenne; e il marchese che, quantunque ginocchioni, si 
trovava con la fronte all'altezza della testa del prete 
sorretta da un braccio appoggiato al tavolino, rimase 
stupito della severa dignità di quel viso pallido, ema- 
ciato dai digiuni e dalle penitenze, che nelle circo- 
stanze ordinarie aveva un'umile espressione di sor- 
ridente dolcezza e di bontà quasi femminile. 

Per vincere quest'impressione che lo aveva assai 
turbato, il marchese aspettò che il vento riprendesse 
a sofBare e a urlare; e giusto nel momento in cui 
parve che esso volesse trascinar via nella sua furia 
tutte le case del vicolo, balbettò: 

— Padre, ho ammazzato io Rocco Oriscione! 

— Voi! Voi! — esclamò don Silvio con voce tre- 
mante, sollevandosi a metà da sedere, tanto gli era 
sembrato enorme quel che aveva udito. 



— 90 — 

— Meritava di essere ammazzato! — soggiunse il 

marchese. 

— Dunque non siete pentito del fallo, figlio miol — 
esdamó il preie riprendendo alquanto la sua calma. 

— Sono qui, ai piedi vostri, per ottenere il ])erdono. 

— E avete permesso — ripi-ese quegli severamente 
— che l'umana giustizia condannasse un innocente? 

— L'accusa non è venuta da parte mia. 

— Voi pevò non avete fatto niente per imiìedira 
({uesf infamia! 

— E colpa dei giurati e dei giudici, se lo han con- 
dannato a torto, quasi senza prove. 

— E perchè, perchè avete ammazzato Rocco Cri- 
scione? 

— Se lo meritava! 

— Chi vi ha dato il diritto di fan-i arbitro delia 
vita e della morte d'una creatura di Dio? 

— Giacché Dio lo ha permesso.... 

— Oh! Non beatemmiat* a questa maniera per 
scusarvi e giustificarvi, 

— II Signore ci toglie il senno in certe circostanze. 

— Quando meritiamo tale castigo! 

— Ero pazzo, forse.,,, certamente.... in quella ter- 
ribile notte! 

— Ma dopo? Non avete riflettuto, non avete sen- 
tito rimorsi? 

— Oh, padre ! Ohe giornate e che nottate per 
lunghi mesi! 



— 91 — 

— Ebbene; era la voce di Dio che vi premeva, 
vi consigliava, vi chiamava.... 

— E sono venuto!... Lasciatemi parlare; non mi 
togliete con la vostra severità la forza di diiTi tutto. 
Aiutatemi anzi, siate misericorde! 

— Dite, dite, figliuolo mio! Vi assisteranno la 
Beata Vergine e i santi da voi invocati col confiteor. 

Ah! Perchè il vento taceva in quel momento? Il 
marchese aveva paura della sua stessa voce, davanti a 
quel sant'uomo, nella penombra della nuda cameretta. 

Ma già egli aveva pronunciato le fatali parole: 
— Ho ammazzato io Rocco Criscione! — Quel se- 
greto, da cui era stato torturato tanti e tanti mesi, 
gli era finalmente sfuggito di bocca! Ed ora egli 
sentiva bisogno, più che di accusarsi, di difendersi, 
di scolparsi anche! 

Dopo che la giustizia umana non poteva più col- 
pirlo, si sentiva oppresso dal terrore della giustizia 
divina. Gli sguardi semispenti di quel gran Crocifisso 
lo inseguivano fin là, dal mezzanino; e ora, quasi 
le avesse sotto gli occhi, egli vedeva agitarsi quelle 
livide labbra che gli era parso volessero pronun- 
ziare la parola: Assassino! e gridarla forte perchè 
tutti la udissero e tutti apprendessero! 

Invano egli aveva tentato di persuadersi che tutto 
questo era opera della sua immaginazione esaltata. 
I sentimenti religiosi con i quali era stato educato 
dalla madre, attutiti dalFetà, dai casi della vita, 



— ft? — 

oca frequenza con cui li aveva praticali spe- 
lte in questi ultimi anni, suscitati quel giorno 
ivissima impressione dell'inattesa vista del 
ISO, gli erano rifioriti, da una settimana, nel 
on la stessa semplicità, con la stessa sincerità 
iid'era fanciullo. 

vi aveva opposto, si, una specie di resistenza, 
)er istinto di conservazione, dì difesa pei-so- 
la quella notte, nello sconvolgimento della 

il suo coraggio, il suo orgoglio avevano va- 

avevano ceduto. 

ra uscito di casa, spinto pure dalla certezza 
suno, durante la tempesta scatenatasi su Ràb- 
) avrebbe visto entrare dal prete, nessuno 
ì potuto sospettare niente dell'atto ch'egli 

a compire. 

}ue3to non era umile davanti al confessore, 
esto si ostinava a ripetere: — Se lo meri- 
- parlando dell'ucciso. 

che il marchese intendeva di diffondersi 
arrazione, e comprendendo che avrebbe sof- 
ando lungamente in ginocchio, don Silvio lo 
)pe: 
ir le facoltà accordatemi, vi dispenso di con- 

a confessarvi ginocchioni. Sedete; potrete 

più liberamente. 

.rchese obbedì, grato di quel che gli pareva 

Ito riguardo alla sua persona; e riprese: 



- 93 — 

— Mia zia diceva bene: Non dovevo sposare quella 
donna, per l'onore della nostra famiglia dove non 
è mai avvenuto nessun incrociamento con sangue 
basso.... Ma io non sapevo staccarmene. Convivevo 
da quasi dieci anni con lei.... 

— In peccato mortale — suggerì il prete. 

— Come tanti altri — replicò il marchese. — ^ La 
società non è un convento di frati che hanno fatto 
voto di castità. La carne ha le sue imposizioni ; e i 
pregiudizi sociali sono talvolta più potenti delle stesse 
leggi umane e divine. Ho fatto male, come tanti altri; 
non mi accorgevo di far male. Eppure volevo impe- 

• dirmi di arrivare fino all'eccesso paventato da mia 
zia e dagli altri miei parenti. Ci sarei arrivato più 
tardi, se non avessi preso la risoluzione.... Fu un 
patto, fra noi tre. Una sera, chiamai Rocco e gli 
dissi: — Devi sposare Agrippina Solmo.... — Con- 
tavo su la devozione di lui, su la sua fedeltà. Ri- 
spose: — Come vuole voscenza, — Dovrai però es- 
sere suo marito soltanto di nome!... — Non esitò; 
rispose: — Come vuole voscenza, — Giuralo! — 
Giurò.... Poteva rifiutarsi.... 

— Ma è stato un gran sacrilegio ! — esclamò il prete. 

— Allora, chiamai lei. Ero sicuro della sua ri- 
sposta. Per quasi dieci anni, l'avevo vista davanti 
a me umile, obbediente come una schiava, senza am- 
bizioni di sorta alcuna. Questo formava la sua forza, 
il suo potere sul mio cuore. Le dissi : — Devi spo- 



- 94 - 

sare Rocco!... — Mi guardò supplicante, ma rispose 
anche lei : — Come vuole voscenza ! — Sarai però 
sua moglie soltanto di nome, per l'occhio della gente; 
giuralo! — E giurò.... Poteva rifiutarsi.... 

— È stato un gran sacrilegio ! Al concubinato 
avete sostituito Tadultoiùo! — lo interruppe con ac- 
cento di grande tristezza don Silvio. 

— Non dovevo, non potevo sposarla io, e la vo- 
levo sempre mia. Non badai ad altro. Nel mio cuore 
e' era allora una tempesta assai più tremenda di 
questa che sconvolge V aria fuori.... Voi siete un 
santo.... Non potete intendere.... 

Le parole gli morirono su le labbra. 

I due venti in contrasto riprendevano in quel- 
ristante i loro ululati, i loro stridi; urtavano alle 
imposte, strisciavano lungo i muri, pel vicolo, come 
una masnada in rivolta, inseguentisi, e la campa- 
nella di Santa Colomba tintinniva, quasi annunziasse 
lamentosamente un prossimo disastro. 

— Avrei dovuto sùbito prevedere che esponevo 
quei due a un gran cimento! — continuò il mar- 
chese coprendosi il viso con le mani. — Ma la pro- 
vata devozione di Rocco mi affidava; ma la grati- 
tudine e l'affezione, non meno provate, di essa mi 
affidavano ancora più! E l'ostacolo apparente met- 
teva un sapore nuovo nella mia vita; non godevo 
di altro! Per compensare Rocco del suo sacrifìcio, 
gli lasciavo mano libera. A Margitello, a Casalicchio, 



— 95 — 

a Poggiogrande, il padrone era lui. Spendeva e span- 
deva con le donne; tanto meglio. Mi pareva rassi- 
curante segno di fedeltà al giuramento. A lei avevo 
regalato^ in dote, anche quella casa vicino a casa 
mia. Essa veniva da me tutti i giorni, con la scusa 
di aiutare nelle faccende mamma Grazia, che non 
ha mai sospettato niente, e che la soffriva malvo- 
lentieri. E davanti a tutti, io conservavo con gran 
scrupolo le apparenze. Mi son divagato con questo 
giuoco...» fino, airistante che cominciò a infiltrarmisi 
nell'animo il bieco sospetto. Per quali indizi? Non 
saprei dirlo precisamente. Perdei la pace. Ella se 
n'accorse sùbito ; e il suo contegno più non fu schietto 
e sincero coaie prima. Ah, che fiera trafittura pel 
mio cuore! La gelosia mi faceva spalancare gli occhi 
su ogni minimo atto di Rocco e di lei, ma mi dava 
insieme forza di dissimulare. Ora egli non correva 
più dietro alle donne. Aveva perseguitato con le sue 
insistenze la bella moglie di Neli Casaccio.... Poi, si 
era chetato; lo ha confermato pure essa, nella sua 
deposizione davanti al giudice istruttore.... Perchè? 
Come mai?... Avrei dovuto prevederlo!... Erano sposi 
davanti alla Chiesa e alla legge ; erano giovani e co- 
stretti a vivere nella stessa casa, a vedersi quasi 
tutti i giorni.... Ma.... non avevano accettato il patto? 
Non avevano giurato? Se si fossero presentati a me 
e mi avessero confessato : — Non vogliamo, non pos- 
siamo più! — io.... non so che cosa avrei risposto. 



• ^ 



— m — 

a avrei fatto. Avrei perdonato forse, li avrei 
lai giuramento.... Invece.... 
ilella leggo di Dio non vi ricordavate maiV 
dì siete un santo; non potete intendere! Ella 
lino a non nascondermi che colui le faceva 
ino a pi-etendere che te a])pai-6nze fossero con- 
anche davanti a lui !... Me la sentivo afuggire 
o; perdevo la testa pensando all'infame tra- 
) che quei due ini avevano fatto o stavano 
Tii, Ingrati! Spergiuril Dissimulavo tuttavia, 
esser certo.... tutta mia, o né mia né di 
'ensiero fìsso che mi ribolliva nel cervello, e 
scava la ragione.... E quando mi parve di non 
iù dubitare.... È avvenuto cosi!... L'ho am- 

per questo!... Se lo meritava! 

ìurezza dell'accento con i;ui il marchese aveva 
ziato queste ultime parole vibrò in quell'in- 

1 di calma come uno scoppio di frusta e parve 
e la cameretta. 

lissimo, con la testa china, gli cechi socchiusi 
li terrore e di compassione, il prete aveva 
bo il penitente, quasi dimenticando la sua fun- 
li confessore. Quella gran miseria umana, di 
i ignorava i bassi avvolgimenti e le angosce, 
3va stillare dalle jialpebre cocenti gocce di la- 
che gli cascavano su una mano. Mai, da con- 
, gli era accaduto un caso che avesse avuto 
I qualche lontana somiglianza con questo. E 






-~ 97 — ' 

quel che più gli stringeva il cuore non era tanto il 
delitto confessato, quanto lo stato d'animo di colui 
che sembrava non avesse una chiara idea del gran 
sacramento di penitenza a cui era venuto a ricor- 
rere. Mentre il marchese parlava, egli levava la mente 
a Dio, pregando per la contrizione del peccatore, in- 
vocando lumi perchè i suoi consigli giungessero a 
serenare quell'anima sconvolta e rabbuiata. 

— Prostratevi di nuovo davanti a Dio — disse con 
voce lenta. 

Il marchese si lasciò cascare pesantemente sui gi- 
nocchi, affranto; e si coprì un'altra volta la faccia 
con le mani convulse. 

— Dio perdona soltanto a chi ò pentito, a chi è 
pronto a riparare il male commesso. Sentite voi un 
profondo sentimento di contrizione delF assassinio 
commesso e dei gravi peccati che lo hanno prece- 
duto e preparato? 

— Sì, padre! — rispose il marchese. 

— Siete voi pronto a riparare i danni prodotti 
alla persona -e alla reputazione altrui, unica positiva 
assicurazione del vostro pentimento? 

— Sì, padre!... Se è possibile — quegli aggiunse 
esitando. 

— C'è un innocente che soffre per colpa vostra. 
Bisogna giustificarlo, salvarlo, 

— In che modo? 

— Nel modo più semplice e più diretto. 

Capuana, U Marchese di Roccaverdiìw,^ 7 , 



- 98 ~ 

— Non capisco..,. 

/ * — Egli sconta immeritatamente una pena che 
avrebbe dovuto ricadere sul vostro capo.... 

— Aiuterò, soccorrerò sua moglie e i suoi figli, 
in ogni maniera.... 

— Non basta. 

— Che altro potrei fare? 

— Liberarlo, prendendo il suo posto. Soltanto a 
questo patto.,., 

— Padre, imponetemi qualunque gran penitenza..., 

— Questo vi dice il Signore per bocca del suo umile 
ministro; no diluendone la vostra pace in questa 
vita, la vostra salvezza eterna nelFaltra. 

— Ho sentito dire che c'è un mezzo di riscatto 
dei peccati, beneficando chiese, istituzioni religiose, 
opere pie.... 

— Dio non mercanteggia il suo perdono. Egli che 
vi ha concesso la ricchezza può togliervela in un mo- 
mento, se vuole. E stato immensamente misericordioso 
inspirandovi di accorrere al suo santo tribunale. 

— Dovrei disonorare il nome dei RoccaverdinaV 

— Un misero orgoglio vi fa parlare così. Badate ! 
Dio è giusto, ma inesorabile! Egli saprà vendicare 
l'innocente. Le sue vie sono infinite. 

Il marchese abbassò il capo e non rispose. 

— Pentirsi, quando il male da noi fatto è irrepa- 
rabile, basta alla misericordia del Signore. Ma se la ri- 
parazione è possibile, urgentissima, il pentimento non 
vale niente. Io non potrei alzare la mano in nome 



— 99 — 

di Dio ed assolvervi. Qualunque più grave poui- 
tenza sapessi imporvi sarebbe insufficiente, irrisoria. 
Riflettete bene! 

— Rifletterò ! — disse il marchese con cupa irri- 
tazione nella voce. — Badate intanto; io vi ho ri- 
velato la mia colpa sotto il sigillo della confessione. 
Voi non potete denunciarmi alla giustizia.,.. 

— Denunciarvi? Che vi passa pel capo? Pensate 
piuttosto che in questo momento voi rifiutate la 
grazia del Signore.,.. 

— Assolvetemi!,.. Farò penitenza! — supplicò il 
marchese. — Riparerò in qualunque altro modo! 
Tutto si compensa nel mondo! 

— Sentite? — rispose il confessore. — Dio ci 
parla anche coi venti, coi terremoti, con la fame, 
con la peste, e ci palesa Tira sua e ci ammonisce.,., 

— Tornerò un'altra volta! 

E il marchese si rizzò in piedi. 

— Il Signore vi aiuti! — esclamò il prete. 

E mentre il marchese si rimetteva in testa il ber- 
retto di màrtora e indossava la cappotta, egli andò 
a riprendere il lume; e su quel viso pallido ed ema- 
ciato riapparve V abituale dolce sorriso di bontà 
quasi femminile. 

— Voi non potrete denunciarmi! — replicò il 
marchese. 

E sembrava minacciasse. 

— Ho dimenticato — rispose don Silvio. — Ah, 
signor marchese ! Ah, signor marchese ! 



- 100 



X. 



Non aveva avuto agio di riflettere lungo il fati- 
coso giro per straducole e vicoletti a fine di evitare 
in qualche modo la furia del vento; ma apj)ena 
chiuso cautamente il portoncino di casa e acceso il 
lume, il marchese respirò a larghi polmoni, quasi 
si sentisse liberato da insopportabile oppressione. 

Era soddisfatto. Con lieta meraviglia, si sentiva 
tranquillo. La coscienza non gli rimordeva più, o 
almeno non lo atterriva coi tetri fantasmi che per 
poco — ne sorrideva compiacendosi — non lo ave- 
vano spinto al suicidio, quel giorno che era andato a 
rinchiudersi nella cameretta al secondo piano, de- 
ciso di tirarsi un colpo di revolver alla tempia. Due 
volte era stato sul punto di far scattare il grilletto; 
e perciò, trovatosi inattesamente faccia a faccia con 
Agrippina Solmo, aveva esclamato: Ohi sa chi ti 
jnanda! Domineddio? il diavolo? 



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- 101 






• * - - • . / t * " ^ :. " " = 



Ora non gF importava più di 'sapere pVécisàmen té 
chi rayesse mandata quel giorno. Pensava soltanto 
che la giustizia umana si era legate le mani da sé, 
condannando Neli Casaccio; e che la giustizia di- 
vina doveva essere, in parte, già appagata dalla con- 
fessione spontaneamente e sinceramente fatta un^ora 
fa. Se il confessore non avea voluto imporgli una 
penitenza, so si era rifiutato di assolverlo, non era 
colpa sua. 

Forse, scegliendo un altro sacerdote.... Si era lu- 
singato che don Silvio La Giura, tenuto per santo dal 
popolino — gli attribuivano anche parecchi miracoli 
— avesse dovuto giudicare meglio di tutti le circo- 
stanze per le quali un marchese di Roccaverdina era 
potuto diventare assassino. 

E spogliandosi per andare a letto, esaminava fred- 
damente il suo stato d'animo di quei giorni. 

Una vampa di pazzia lo aveva avvolto! Si era cre- 
duto davvero stregato, come diceva mamma Grazia. 
Il colpo di fucile che aveva ucciso Rocco doveva 
però anche aver rotto la opera diabolica di quella 
donna, se cali si era sentito invadere immediatamente 
da invincibile avversione, da odio verso colei, ap- 
pena ella poteva essere tutta sua, unicamente sua, 
come la desiderava e voleva prima di ammazzare 
lo spergiuro! 

E quel sant'omo di don Silvio gli proponeva di 
denunciarsi, di prendere il posto di Neli Gasacelo! 



-••• • • •-••■•_.- m - 

••'iWfr ììro'ìftteft&iVrvèva i)onnesso che coatui fosse 
rrnirtammU), voleva dire probabilmente che ^li pe- 
sava addosso (juali'lie altri} frmve delitlo rimasto 
«(■-•«Ito. 

In quanti) a Ini, visto cho il confessoi* si era ri- 
fiutato (li assolverlo, i»or<'lió non si sarebbe rivolto 
a chi stit i)iù in su (li qnaluiwiiio confessore, a chi 
ha pieiia facoltà di 'Sciogliei-C da tutti i peccati, al 
Papa in poi-sona? Il Papa è Dio in terra. Col pi'C- 
ttìstfl di un viaggio nel coiilincnto, egli sarebbe an- 
dato a Roma per buttarsi ai i>iedi di Sua SantitJi. 
— l)o\-ova fondare un altare con mossa perpetua? 
Dotare mi orfanoti-ofio? Regalare nn calice di oro 
con brillami a San Pietro? — Pureliò il nome e l'o- 
nore dei marchesi di Roccaverdina non fosse mac- 
chiato!.. Oh! Pio IX avrebbe capito siibito le buone 
intenzioni di lui; non era povero dì mente come 
don Silvio! 

E si era addoruiontatiO in ginocchio davanti a 
Pio IX che alzava la mano j>er assolverlo. 

Cos\ si rimetteva alla solita vita con vivissima 
eccitazione di occuparsi, di stordirsi, quasi le ener 
gic del suo organismo volessero prendersi la riì-iii- 
cita dell' inerzia in cui le aveva lasciate per tanti 
mesi, abbandonando gli affari di campagna in majio 
di garzoni incapaci e senza scrupoli, di mezzadri 
che col pretesto della cattiva annata, oltre di non 
pagare i fitti, venivano a piangergli davanti i>er 



- 103 — 

avere soccorsi di semenza e di alcune giornate di 
quegli aratri di nuovo modello da lui fatti venire 
da Milano. La lunga siccità aveva reso duri come 
il ferro i terreni, e i vomeri ordinari non riuscivano 
a spezzarli per preparare i maggesi. 

— Abbiamo la mano di Dio addosso ! — conchiu- 
devano malinconicamente. 

Egli non osava di rispondere, come le altre volte : 

— La vera mano di Dio che vi pesa addosso è la 
vostra pigrizia! 

Guardava un po^ scoraggiato anche lui quelle cam- 
pagne dove non si scorgeva un fìl d'erba, quel cielo 
che, da mesi e mesi, non mostrava agli occhi ansiosi 
Tombra di una nuvoletta all'orizzonte. Soltanto TEtna 
fumava, quasi volesse ingannare la gente facendo 
scambiare per nuvole le dense ondate di fumo del 
suo cratere, che il vento disperdeva lontano. 

Verso sera, la spianata del Castello si popolava di 
contadini, di gente di ogni condizione che venivano 
a interrogare il cielo per trarne qualche buon au- 
gurio. Le serate erano dolci, quantunque già si fosse 
alla fine di novembre. Non spirava un alito. 

Il canonico Cipolla, che aveva letto i giornali in 
Casino^ prognosticava vicina la pioggia. 

— A Firenze piove da un mese, giorno e notte! 
In Lombardia, fiumi rigonfi straripano, allagano le 
campagne. Il cattivo tempo è in viaggio; arriverà 
anche qui! 



— 104 — 

E i contadini che stavano a udirlo a bocca aperta, 
volgevano gli occhi verso il levante per scorgere qual- 
che indizio che annunziasse il prossimo arrivo del cat- 
tivo tempo in viaggio, e sarebbe stato temjx) benedetta! ! 

L'anno avanti non si era raccolto neppur tanto 
da compensare della semenza gettata nei solchi. Le 
ulive si erano risecchite su le piante. Per ciò tutti 
si sforzavano di raddoppiare la sementa, risparmiando 
il grano da molire, stringendosi le cigne dei calzoni 
attorno allo stomaco, sperando di rifarsi col nuovo 
raceolto. 

E il marchese parlava poco e senz'alzare la voce, 
ora passeggiando su e giù per la spianata, dal ba- 
stione allo zoccolo della croce, ora seduto su uno 
scalino di esso, sentendosi lentamente compenetrare 
dalla costernazione che si leggeva su tutti i volti e 
dalle parole di tristezza che uscivano dalla bocca dì 
quei poveretti. 

Essi se ne andavano a uno a uno, a due, voltan- 
dosi indietro per dare im' ultima occhiata a quel 
cielo limpidissimo, a (pielle campagne riarse, a quei 
monti lontani che non si erano coperti di neve e 
dietro i quali non si affacciava da mesi uno straccio 
di nuvoletta. 

Anche quei del Casino che venivano lassù non a 
godere il- fresco ma a spiare, come la povera gente, 
il cielo di bronzo, Torizzonte senza vapori e TEtna 
che fumava, anche quei del Casino non discu- 



— 105 — 

levano più del sindaco, degli assessori, di tutte le 
loro misere gare municipali per cui ordinariamente 
si accapigliavano trovandosi insieme. 

— Sarà una mafannata peggiore della precedente! 

— I piccoli furti non si contano più! 

— Che volete? La fame è cattiva consigliera. 

— Dobbiamo pensare ai fatti nostri, marchese! 

— Ogmmo ha i suoi guai ! — egli rispondeva. 

E siccome, una sera, assieme con altre persone, 
era venuto lassù anche il cavalier Pergola, suo cu- 
gino, col quale stava in rottura, il marchese fu co- 
stretto a rivolgere la parola pure a lui che si era 
avvicinato salutandolo il primo. 

Il cavaliere, ad arte o no, lo aveva toccato nel 
debole, domandandogli se era vero che quell'anno 
avrebbe adoperato la trebbiatrice a Margitello. 

— Forse, per prova, togliendola in prestito dal* 
Comizio agrario provinciale. 

— Voi potete farlo; ma i piccoli proprietari? 

— Si tratterebbe di trasportare i covoni. La spesa 
verrebbe largamente compensata dalla celerità e dalia 
perfezione del lavoro. Margitello è un punto cen- 
trale.... Noi abbiamo quel che ci meritiamo — aveva 
soggiunto il marchese. — Non ci curiamo di asso- 
ciarci, di riunire le nostre forze. Io vorrei mettermi 
avanti, ma mi sento cascare le braccia! Diffidiamo 
Tuno dell'altro ! Non vogliamo scomodarci per affron- 
tare le difficoltà, nò correre i pericoli di una specu- 



■^1 






- 106 — 

lazione. Siamo tanti bambini die attendono di es- 
sere imboccati col cucchiaino.... Vogliamo la pappa 
belFe preparata! 

— Parole d'oro! 

— I nostri vini se li prende la Francia, con quattro 
soldi, e ce li rimanda trasformati in bordò. I nostri 
olì sono buoni appena per saponi o per macchine, e ab- 
biamo intanto le migliori ulive del mondo. Io ho pro- 
dotto vini, così, per saggio, da mettersi in tasca tutti 
i bordò, tutti gli Xeres, tutti i Reni deiruniverso; 
oli da dar dei punti a quei di Lucca e di Nizza.... 
Ma bisognerebbe produrre in grande, esportare.... E 
non parlo dei formaggi, del burro!... 

Erano rimasti soli lassù, senz'accorgersi che la sera 
si era inoltrata; il plenilunio ingannava. 
Airultimo, il cavalier Pergola gli aveva detto: 

— Pur troppo è cosi! Siamo ancora mezzi bar- 
bari!... Ecco: per parlare di noi, giacché l'occasione 
è capitata, noi ci guardiamo da un bel pezzo in ca- 
gnesco. Perchè? Per un pregiudizio. Non ho sposato 
in chiesa! È il mio gran delitto. Vostro zio non vuol 
vedere in viso, nemmeno da lontano, sua figlia! Voi 
avete fatto lo stesso con me. 

— Il torto è A^ostro, cugino! Siete scomunicato, 
non lo sapete ? E fate vivere in peccato mortale an- 
che quella poveretta! 

— Perchè un prete sudicio non ci ha buttato ad- 
dosso due gocce di acqua salata? 



— 107 — 

— Benedetta, cugino! Dio vuole cosi! 

— Quale Dio? Ohi lo ha visto cotesto Dio? 

— Io vi rispondo come don Silvio La Giura, quando 
don Aquilante voleva provargli che le persone della 
Santissima Trinità sono quattro: il Padre, il Figlio, 
lo Spirito Santo e il Dio che vien formato dalla riu- 
nione di tutti e tre. 

— E che rispose quel bestione? 

— Tre! Tre! Tre! E s'inginocchiò e baciò per 
terra.... Lasciamo andare questo discorso. 

— Ebbene, scomunicato qual sono, io sto bene 
quanto gli altri. Ohe mi fa la pretesa scomunica? 
Niente. Se fosse vera, dovrei vedermi cascare i panni 
d'addosso; le mie campagne non dovrebbero frut- 
tare ; i miei affari andare a rotoli. Invece ! Guardate 
là. Ohe cosa concludono quei gonzi che si affollano 
dietro a don Silvio, recitando il rosario del Sagra- 
mento, con la croce e i lanternoni, in processione 
per le A^ie? Sciupano scarpe e fiato. Da mesi, ogni 
sera; essi vanno attorno, mettendo malinconia alla 
gent-e, invocando la pioggia. Se esistesse davvero un 
Dio che fa la pioggia e il bel tempo, avrebbe do- 
vuto muoversi a compassione. Non piove e non pio- 
verà fino a che le leggi della Natura.... 

— La Natura? Ohe cos'è? 

— Il mondo, il cielo, l'universo, la materia; non 
c'è altro ! E piove quando deve piovere, quando può 
piovere. E se noi crepiamo di fame, la Natura non 



- 109 - 
li turba per ciò. Siamo iiiHi>tti iiiipprcetUbili di fronte 

testa Nftt.iiiu clii l'ha fat.l.a? 

lo. Si è fatta da so, è da per sé.... 

; l'ha insegnato tutto qiicst43 fandonie? 

libri ehc voialtri non leggoto. Fandonie? 
isiinto; o i preti che hanno paui-a di per- 
'agna, se cs.ie si diffondono noi popolo.... 
ivete sempre coi preti! 
lemici d'ogni bene dell'umanità, 

per guaiolare la folla fermatasi e ingi- 
aggiii davanti a la chiesa di Sant'Isidoro 
■oaario del Sagramento dietro a don Silvio 

la croce nera, ti'a una dozzina di lantor- 
vano distinte le parole cantate: 
o inilia voU« aia lodato e ringraziato... ! 
noniento la campana del convento di 
) dava il segno dell'un'ora di notte, 
se si avviò. 

li luna, si vedeva la folla dei pi-eganti 
noltrandosi per la via di i'impetto, dietro 
a e le fiammelle gialle dei lanternoni 
traballassero. 



— 109 — 



XI. 



Rocco Criscione, Agrippina Solmo, le Assise, la 
stessa nottata della confessione erano ormai pel mar- 
chese di Roccaverdina persone ed avvenimenti così 
lontani, ch'egli stesso si maravigliava di questo strano 
fenomeno della sua memoria. 

Di tratto in tratto però, con lunghi intervalli, qual- 
cuna di quelle figure gli si rizzava improvvisamente 
davanti e lo faceva sobbalzare, quasi apparizione 
reale. 

Rivedeva oi*a Rocco ora la Solmo in un partico- 
lare atteggiamento, come li aveva visti anni addietro, 
in q^ualche circostanza insignificante, in campagna o 
in casa sua ; e non riusciva a spiegarsi perchè mai 
quei ricordi gli scattassero dalle oscure profondità 
del cervello limpidi, precisi, senza che nessun appa- 
rente richiamo avesse potuto sollecitarli. 

Rocco che maneggiava un arnese rusticano; che 



— 110 — 
iva ani tlcsro di piotni, nella rorte di Margi- 
n'insalabi di )H)midoii, col fiasco di terracotta 
a da un lato, e con la grossa pagnotta di 
:uro dall'altro, nell'atto di tagliarsene larghe 
i intingerc nel condimento. Tja SoJmo, coi ca- 
soiolti, quando si pettinava in maniche di ca- 
e buttava indietro, con grazioso jnovimonto 
»ita, parte della chioma nera e folta, legata 
: la nuca <-on la stringa; o <iitando, lavala o 
ta, innaffiava le gr.iatc dì basilico e (li garo- 
. pei terrazzini, oi^gliosa di «luoi folti o ro- 
gianli cesti di basilico, che ella accarezzava 
mani per impregnarselo di odore e annusarlo 
a. 

ai l'uno o l'altra in cirf'ostanze gravi, in at- 
iienti di rimprovero o di accusa, o semplice- 
in atto di discorrere con lui o di stare ad 
rio, no; ma occupati in (jualcho faccenda per 
|{)ro, senza sospetto di essere osservati, 
iirivano improvvisamente e allo stesso modo 
ino, e non gli lasciavano altra impressione 
lorì dello sbalzo e di quella curiosità di sapere 
.ale nascosta ragione fossero apparsi e sparitii. 
into allorché, allo stesso modo, egli rivedeva 
1 Crocifisso che lo guardava, lo guardava con 
hi velati dallo spasimo dell'agonia, agitando 
ira tumide o pavonazzo per pronunziare pa- 
le non prendevano suono, soltanto allora egli 



— Ili — 

si sentiva rimescolare da terrore quasi puerile, e 
chiamava sùbito: 

— Mamma Grazia! 

In quel momento voleva qualcuno che gli stèsse 
vicino e lo aiutasse a vincere quelFimpressione. 
Mamma Grazia accorreva. 

— Che vuoi, figlio mio? 

Ed egli la intratteneva con un pretesto qualunque, 
fino a che la interna visione non si affievoliva, non 
si scancellava e non lo lasciava di nuovo tranquillo. 

Qualche volta gli passava anche per la testa il 
timore che don Silvio non andasse a- denunciarlo, 
in un impeto d'ingenuità o di compassione pel con- 
dannato a torto. 

Incontrandolo, è vero, il sant'uomo lo salutava 
umilmente, al suo solito, con quel soave sorriso che 
gli illuminava il volto pallido e scarno. Il saluto: 

— Buon giorno, marchese! — Servo suo, marchese! 

— aveva però, o gli sembrava, la stessa intonazione 
delle ultime sue parole in quella notte, miste di 
compianto e di rimprovero: — Ho dimenticato!... 
Ah, signor marchese! Ah, signor marchese! — Ma 
la convinzione che i confessori, per speciale grazia 
divina, non potessero rivelare i peccati dei penitenti, 
lo rassicurava. 

— Infine, che prove avrebbe potuto dare don 
Silvio ? La sola sua affermazione non era sufficiente ! 

Per tutto questo, sere addietro, egli aveva ascoi- 



— 112 — 

tato senza indignarsi le empietà del cugino Pergola, 
e poi lo aveva ripensate lungamente, ripetendosi 
spesso : 

— E se ha ragione lui?... Non ò solo nel pensare 
così.... E se ha ragione lui? 

Il marchese non si era mai occupato di quelle 
intricate questioni, come non si era mai occupato 
di politica, di amministrazione comunale, nò di tan- 
t'altre cose che non lo riguardavano da vicino. Do- 
veva badare ai suoi affari, non voleva avere grat- 
tacapi per nessuno. 

Che gl'importava che fosse re Ferdinando II, o 
Franceschielloy o Vittorio Emanuele? Tanto, orala 
stessa solfa: — Pagare tasse! — La libertà? Ma 
egli aveva sempre fatto quel che gli era parso e 
piaciuto. Si sentiva meglio di un re in casa sua. 
Comandava ed era obbedito più di Vittorio Ema- 
nuele che non poteva far niente, dicevano, senza il 
consenso dei ministri. E allora che valeva V es- 
sere re? 

In quanto alla religione.... No! No! Il cugino Per- 
gola, con quei libri proibiti, aveva dato Tanima al 
diavolo. Era protestante, frammassone, ateo; bestem- 
miava peggio di un turco.... 

Bestemmiava anche lui, ne conveniva, ma per 
cattiva abitudine, perchè aveva da fare con gente 
che non capiva le ragioni, ma le parolacce. E poi, 
una cosa era il praticar poco la religione, un'altra 



— 113 — 

il negare resistenza di Dio, della Madonna, dei 
Santi! 

Intanto, quando si era fortificato, per un poco, 
contro l'impressione dei discorsi del cugino, la pulce 
cominciava a ronzargli dentro T orecchio: 

— E se. ha ragiono lui? E so ha ragione lui? 
Una mattina quel demonio tentatore era andato 

insolitamente a fargli una visita. 

— Vedete, caro cugino! Sono più cristiano di 
tutti voialtri ; dimontico le offese. Non vi dispiacerà, 
spero, che sia venuto a trovanti. Io sono indulgente. 
Capisco le debolezze umane, come le chiamano i 
preti. Quando tutti vi biasimavano perchè tenevate 
in casa la Solmo, vi difendevo, solo contro tutti i 
parenti. Mio suocero, vostro zio, buttava fuoco e 
fiamme dalla bocca e dagli occhi; la zia baronessa, 
peggio. Credete che fosse por la morale? Per vanità, 
per interesse. Avevano paura che la sposaste.... Oh, 
io Favrei sposata per dispetto. Belloccia, giovane, 
onesta, via, più di pare(?chie maritate.... Siete stato 
troppo buono ! Basta ; aA'ote fatto il comodo vostro ; 
ve ne siete sbarazzato. Potrete ricominciare con 
un'altra. 

— Ah, no! — esclamò il marchese. 

— Perchè? Per quel che direbbe la gente? Lascia- 
tela strillare ! Voi fate una vita impossibile. Siete il 
marchese di Roccaverdina e non contate per niente. 
So fossi nei vostri panni, non si dovrebbe muoA^ere 

Capuana, Il Marchese di Roccaverdinn. S 



- 114 - 

fo;;)Ì!i in paese senza i) mio consenso; e anolie per 
fare un po' di bene. Vi aieto iinprigionaki (]iii, come 
se il inondo nini csiHU'saf. 

— Bado iigli affari miei. 

— Potreste badarvi ojtualmeiile. At'ciimiilate quat- 
trini? A che snipuV Quando i] danaro non sen-e a 
far podere la vi(a, è cosa senza valore, 

— La ftodo a modo mio. 

— Avete gli occhi chiusi, cai-o cugino. Se credete 
di guadagnarvi il paradisol... I! paradiso è (iiiaggiù, 
mentre fcspirlamo e viviamo. Dopo, si diventa un pu- 
gno di cenere e lutto è finito. 

— E l'anima? 

— Ma che anima! L'anima è il corpo che fun- 
zionaj morto il <'oipo, morta l'anima. Chi ha mai 
visto un'anima? Soltanto don Aquilante e i poc'hi 
pazzi suoi pari ai illudono di parliwo con gli Spiriti. 

— Chi ci assicura che sia come dite voi? 

— La scienza, l'esperienza. Nessuno è mai tor- 
nato dall'altro mondo.... Ma già, per voi, le fando- 
nie dei preti sono verità sacrosante. 

— Le Ila rivelate Dio. 

— A chi? Se rifletteste un momento, vi avvedre- 
ste di qual ammasso di rontradiaioni è composta la 
Fede. E i preti, che la sanno lunga, dicono : — Fale 
quel che vi diciamo noi, non quel che facciamo noi ! 

— Sono uomini anche loro 

— tìiamo uomini pure noi ; ci lascino tranquillil 



f 



— 115 ^ 

— Perchè Dio ci ha dunque creati? 

— Non ci ha creato nessuno! La Natura ha pro- 
dotto un primo animale e da esso, per trasforma- 
zioni e perfezionamenti, siamo venuti fuori noi. 
Siamo figli di scimmia, animaU come gli altri ani- 
mali. 

— Oh, questo poi!... 

— Animahssimi ! Solamente, invece dell' istinto, 
abbiamo la ragione; ed è la stessa cosa. Con la 
scusa della ragione, facciamo però tante cose irra- 
gionevoli. Abbiamo inventato Tanima immortale, il 
paradiso, Tinferno.... I cani, gli uccelli hanno F a- 
nima anch'essi. Dove vanno le anime loro dopo la 
morte? C'è il paradiso dei cani? C'è l'inferno degli 
uccelli ? Sciocchezze ! Fantasticherie ! Tutte invenzioni 
dei preti. E quando si avvedono che una loro ba- 
lordaggine non si regge più, ne inventano sùbito 
un'altra. I sacerdoti pagani : Giove, Giunone, cento 
mila divinità. I preti cattolici hanno preso Dio agli 
ebrei e hanno inventato Gesù Cristo. 

— State zitto! Inventato? 

— Gesù Cristo era un uomo come voi e come 
me, bravo, caritatevole, che odiava i sacerdoti, che 
non voleva tempii.... Che ne hanno fatto i preti? 
Un Dio, col papa, coi cardinali, con chiese piene di 
fantocci, di madonne e di santi.... 

— State zitto! State zitto! 

Il cavalier Pergola scoppiò a ridere. 



— 116 — 

— Che? Temete che ci si sprofondi il pavimento 
sotto i piedi? Ecco; non si sprofonda niente!... Ahi 
Ah! Ah! VogHo portarvi certi libri. Dovete leggerU; 
tanto, non avete nulla da fare. 

— Sono proibiti. 

— Figuratevi! I preti vorrebbere impedire il 
trionfo della verità.... 

E mentre il cavalier Pergola, parlando, agitava i 
quattro peli della barbetta che gli orlava il mento, 
il marchese si meravigliava di stare ad ascoltarlo 
con grande interesse. 

— Se fosse così, come dicova il cugino? 

Si sentiva rimescolato, quasi una mano crudele 
tentasse di strappargli dalle viscere qualcosa di vivo 
e di tenace. 

— Secondo voi — disse — ognuno potrebbe com- 
mettere qualunque delitto e scialarsela, giacché non 
c'è inferno nò paradiso. 

— C'è la legge, fin dove può ; e' è la coscienza 
umana che ci dice: Non fare agli altri quel che non 
vuoi fatto a te stesso! 

— E uno dei dieci comandamenti di Dio. 

— Di Mosò, che era un gran sapiente, un politi- 
cone come non ne nascono più. Fingeva di salire 
sul Sinai a discorrere col Padre Eterno, quando era 
cattivo tempo e tonava; e poi A^eniva giù: — Il 
Padre Eterno mi ha detto questo; il Padre Eterno 
ordina quest'altro! — E faceva bene; col popolo 



' ■. .«'-'' - 



%^ 



— 117 — 

ignorante si deve agire cosi.... Dopo che avrete letto 
quei libri di cui vi ho parlato.... 

— Non li leggerò; è inutile prestarmeli. Non vo- 
glio guastarmi la testa. 

Eppure li lesse, con una specie di terrore, e li ri- 
lesse anche. RagionaA^ano assai meglio del cugino, 
che riferiva le cose buccia buccia, e, sentendoci a 
corto di argomenti, scaraventava fuori due, tre be- 
stemmie in fila per sfogarsi contro i preti, contro il 
papa, fin contro il governo che non li impicca^^a tutti. 

— Eh? — gli domandava, il cavaliere. — Vi siete 
convinto? 

Tutte le cose lette gli turbinavano nella mente e 
nella coscienza, senza che egli avesse coraggio di 
mostrargli che lo avevano scosso. 

Gli sembrava di essere penetrato in una regione 
nuova, dove si respirava meglio, con più larghi pol- 
moni, ma dove egli si sentiva ancora, come le per- 
sone arrivate di recente, un po^ sbalordito e solo. 
Bisognava abituarsi ; e si accorgeva con piacere che 
non era difficile. Di giorno in giorno, rimuginando 
le cose udite e lette, vedeva che una difficoltà, una 
repugnanza, un ostacolo erano già superati. 

Incontrando don Silvio, al saluto: — S2rvo suo, 
marchese! — ora rispondeva con tono di celata iro- 
nia, quasi volesse dirgli: — Non me la date più a 
intendere, prete mio ! — E si sbalordiva di sorpren- 
dersi a pensare cosi. 



- 118 - 

Corto soi'e, durante lu cena, dal balcone aperto, gli 
arrivava all'oi-ccchìo il confuso rumore delle voci che 
andavano cantando il rosario del Sagramento dietro 
a don Silvio, in penitenza per la siccità; e alzava le 
spalle, compassionando (luci poveretti che sciupavano 
scarpe e fiato, l'ipeteva le stesse [tarole del cugino, con 
la speranza elio il cielo si movesse a pietà di loro! 

E non si turbava più, se udiva nella notte il rauco 
ritornello cantilenato dalla zia Mariangela: 

— Cento mila diavoli al palazzo dei Roccaver- 
dina! Oh! Oh! — Conto mila.... 

Quei diavoli mandati attorno dalla (wvera paaaa, 
cento mila qua, centomila là, per tutte le case dei 
ricchi, gli faceviuio soltanto rivedere con l'imma- 
j^inazione la fìgiu'a della infelice, che portava i ca- 
pelli tagliati alla mascolina, coperta di cenci, pavo- 
nazza in viso pel sangue che le saliva" alla testa. 
Così andava girando jwr le vie, shoccata ma innocua, 
quando il marito non la incatenava al muro come 
una bestia feroce, per costi'ingerla a restaro in casa. 

Ma poi, appena egli crede\'a di essere già certo, 
ridiveniva a poco a poco perplesso. A letto, prima 
di addoi'men tarsi, in campagna sorvegliando i la- 
vori e dando ordini, nell'andare e venire da Ràbbato 
a Margitello, o a Casalicclilo, o a Foggingrande, ran- 
nicchiato in fondo alla carrozza, tutte quelle stoi-te 
del cugino, tutte lo cose lette e rilette gli crollavano 
nella inente come im giuoco di carte. 



-^ 119 — 

E riprendeva a pensare al progettato viaggio in 
Roma, per farsi assolvere dal papa. 

— Nel dubbio, non era meglio mettersi in salvo? 

Intanto T irrequietezza lo riafferrava. Il cugino Per- 
gola aveva ragione quando gli diceva: — Voi fat^ 
una vita impossibile ! 

E la zia baronessa aveva pure ragione : 

— Perchè non vuoi? Perchè? 

Inoltre, in fondo in fondo al cuore, Todio ora gli 
rimescolava più spesso i ricordi di Agrippina Solmo. 

— Potrete ricominciare con un'altra! — gli aveva 
suggerito il cugino Pergola. 

— Oh, no! Oh, no! 

E ripiangeva la calma felicità di quegli anni in 
cui non dava retta a nessuno e faceva il piacer suo: 
e la sua casa era pulita come uno specchio, ed egli 
possedeva non un'amante delle solite, ma una vera 
schiava, buona, sottomessa.... che aveva anche il 
gran pregio di non fare figliuoli! 

Ah, se non avesse ascoltato i rimproveri e i sug- 
gerimenti della zia baronessa ! 

Niente sarebbe accaduto di quel che era accaduto! 
Ed egli non si sarebbe trovato un delitto su la co- 
scienza — gli sembrava quasi incredibile! — e Agrip- 
pina Solmo starebbe ancora là 

— E dire che c'è gente che m'invidia! — sospi- 
rava, SCO tendo la testa. 



— r^o — 



XII. 



Quella domenica andando, cosa insolita, dalla zia 
bai'onessa senza che fosse mandato a chiamare, il 
marchese ebbe la sorpresa di trovarvi la signorina 
Mugnos accompagnata dalla sorella minore e dalla 
serva. 

Riconosciuta costei nell'anticamera, dove don Car- 
melo le dava spiegazioni, a modo suo, intorno a 
certi ritratti di antichi personaggi dei Lagomorto, 
appesi ai due lati della, stanza sopra le cassapanche 
strette e lunghe con spalliere ornate dello stemma 
gentilizio. rozzamente dipinto, il marchese aveva sù- 
bito indovinato chi si trovava dalla zia. E suo primo 
movimento era stato quello di tornare addietro ; per 
timidezza, come ai tempi ormai lontani in cui non 
aveva osato di fare alla giovinetta un'aperta dichia- 
razione ; e anche per vergogna di trovarsi ora faccia 
a faccia con lei che già sapeva le intenzioni della 



1 



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— 121 — 

zia baronessa e, foiose, pure le riluttanze di lui, non 
essendo la prudenza una delle principali virtù della 
vecchia signora. 

Ma don Carmelo era corso ad annunciare alla pa- 
drona : 

— C'ò il marchese! 

E per alcuni istanti anche la baronessa si era tro- 
vata in imbarazzo. 

— Si parlava della maFannata — ella riprese. — 
Si può parlar d'altro? La povera gente muore di 
fame. È uno strazio! 

— Dicono che il governo manderà dei soccorsi — 
fece il marchese. 

— E queste cucine.... come le chiamano? 

— Economiche. Distribuiranno, per pochi soldi o 
gratis, minestre di riso e pane. Al Municipio sono 
in faccende per metterlo su. 

Tacquero. 

La signorina Zòsima, la maggiore delle Mugnos, 
non aveva detto una parola e non aveva alzato 
gli occhi. 

La minore avea continuato ad andare attorno pel 
camerone^ osservando minutamente i vecchi mobili 
e i quadri, dopo aver risposto con un inchino al 
saluto del marchese quando era entrato. 

Cosi egli, trovandosi ora a lato della baronessa e 
di faccia a colei che era stata la sua breve passiono 
giovanile, si sentiva su le spine; e nou sapendo 



a*'fiii'o la conversaaione, si arrabbiava iii- 
l'oulro lii zia che iion {ili veniva in aiuto 
!va Io facesse a posta, per costringerlo a 

i molto cangiata la Mugiios. 

a pallido, con quei capelli castagni petti- 

itica, semplice niente, con quel fazzoletto 

;iira che glielo contornava, e <'ol vestito 

I, seni pi it' issi [no anch'esso, mostrava più 

;lla non avesse in l'ealtA. 

cosa però della primitiva prazia sussisteva 

ici lineamenti, uell' eapi'casione; qualche 

ive, di sentile, di signorile, quantunque 

i decenza dell'abito liisciaase scoiare la 

lizione in cui la famiglia ei'a caduta per 

KUll'C. 

ivcva voluto vivei'e senipi-o da signore, 
nieulo, mdehitandosi, Aendciido a uno a 

1, lo tase, 1 canoni, tutto, pei \i^ii della 
giuoco. Eia molto all'nupioM iso, a ta- 

Ila maitina alla seia, la sua faiiusiUa s'era 

ondale in un abituo 

la icai-sa dote della \edo\a, stiappata a 

rapao mani dei cieditoii ai torsi sùbito, 

, fa«eva viveie miseiainente lei e le figlie, 
la\ oravano, nasi ondendosL jiei pudore, di 

ricamo o filando lino (cosi correva voce) 

lu nott*', chiuse in casa come monache, 



— 123 — 

uscendo soltanto le domeniche per la messa cantata o 
per qualche rarissima visita. E si intristivano in quelle 
stanze quasi nude, dormendo su pagliaricci perchè 
avevano dovuto vendere fin la lana delle materassa, 
orgogliose però di non chiedere niente a nessuno ; 
la mamma, invocando silenziosamente la morte che 
si era dimenticata di venire a prendersela, e paven- 
tando nello stesso tempo, ma soltanto per quelle 
due angeliche creature, che essa venisse; le figlie, 
rassegnate a tutto e non lamentandosi mai. 

Queste cose, parte egli le aveva sapute dalla ba- 
ronessa; parte, da don Aquilante che, come avvo- 
cato, aveva dovuto rimediare per loro parecchi brutti 
affari, servendole con premura di amico, disinteres- 
satamente. E la baronessa, dicendogli. Tal tra volta: 

— Faresti la tua felicità e anche un^opera buona 

— accennava appunto a tali circostanze, che ella, 
evitando di offendere la dignitosa verecondia delle 
tre donne e con diversi delicati pretesti, si era sempre 
ingegnata di raddolcire. 

Il marchese intanto, durante quei momenti di si- 
lenzio, si sentiva invadere da un impeto improvviso. 
La voce della coscienza gli suggeriva: 

— Se tu lasci passare quest'occasione, se tu non 
parli ora, non si darà più il caso, mai più! E non 
potrai rimediare! 

Questa voce era la conseguenza di quel che aveva 
f pensato e fantasticato nei giorni avanti, quando avQ^ 



— 124 — 

fin temuto di vedersi di nuovo in balìa dei rina- 
scenti stimoli che gli facevano rimpiangere il pas- 
sato, quasi la creduta fattura di Agrippina Solmo 
tornasse a oprargli addosso. 

Era anche la conseguenza della decisione da lui 
presa di far vita nuova, con intendimenti nuovi ; di 
mescolarsi con gli altri, di agire insieme con gli altri, 
di non rimanere più oltre un'ombra, un nome, come 
aveva fatto fin allora. 

Il cugino diceva benissimo: 

— Il paradiso è quaggiù, se sappiamo godercelo ! 
E, ora, il marchese voleva goderselo, largamente ; 

convinto ormai che appena morti si è morti per 
sempre. Non se ne sa niente di certo, per lo meno; 
poteva darsi, in ogni caso, che nel mondo di là fos- 
sero più di manica larga dei confessori di quaggiù. 

In quanto a Neli Casaccio.... Soccorrendone sotto 
mano, per mezzo di mamma Grazia, la famiglia, il 
marchese si era già messo Tanimo in pace. 

E poiché si trovava là, di faccia alla signorina Mu- 
gnos che non osava di guardarlo; e poiché sentiva 
r impulso di non lasciarsi sfuggire l'occasione, e il 
cuore gli prediceva: — ora, o il caso non si darà 
più, mai più! — egli cercava una parola, una frase 
con cui riprendere il discoi'so, quando la baronessa 
ruppe il silenzio: 

— Ebbene? Non vi dite niente? Como so non vi 
foste mai conosciuti! 



— 125 — 

— Zòzima!! — esclamò il marchese. — Permet- 
tetemi di chiamai*vi cosi, come anni fa.... Ricordate? 

La signorina Mugnos alzò gli occhi, e un dolente 
sorriso le fiorì su le labbra ; ma si spense sùbito. 

La baronessa allora si rizzò da sedere con la scusa 
di mostrare all'altra sorella certi oggettini curiosi, 
conservati in una cassetta del cantonale davanti a 
cui quella si era fermata. 

Rimasti soli, Zòsima e lui, il marchese esitò un 
istante. L'atto della zia baronessa gli aveva fatto 
smarrire il filo delle idee, ed egli cercava di rintrac- 
ciarlo. 

— Ricordate? — poi replicò. 

— Non ho mai dimenticato! 

— E nel cuore non avete niente, proprio niente, 
contro di me? 

— Che mi avete fatto di male? 

— Ho fatto molto male a voi e a me; ora lo com- 
prendo. E.... se fosse possibile.... 

— Ormai! — ella rispose con una leggera mossa 
delle spalle. 

— La mia vita, finora, è stata un grande sbaglio, 
da cima a fondo — continuò il marchese. — Peggio 
che uno sbaglio, forse!... Ma non sono cosi vecchio 
da non poter rimediare. 

— Tante cose sono cangiate; io, sopratutto. Mi 
avreste riconosciuta incontrandomi altrove? Sono 
parecchi, parecchi anni che non ci troviamo faccia 



— UG — 
o fiicoio. Sinino due finiUiaiiii venuti fuori cliL aa 
come!... Non vi pare? 

— Voglio rìnuiiL'iài'o al mio isolamento; voglio vi- 
vere come gli altri, in mezzo agli altri. 

— F'ate bene. 

— Ija zia baronpRfla vi hn parlato qualche volta.... 

— La bai-onesaa è buona, e s'illude riguardo a nic! 

— In che modoV Perchè s'illude? 

— Non so che dira. In questo momento mi par 
di sognare di star qui, a discorrere insieme. 

— E non vi dispiacerobbe di s^-egliaiTÌ e di ac- 
corgervi che avete sognato? 

— Da anni, non mi dispiace più nulla. Voi sa- 
pete quel che è avvenutiO in casa nostra. Mi sembra 
ovvio, naturale che le disgrazie si seguano e si so- 
miglino, anzi, che nnn ai somiglino! 

— Bel tempo e cattivo tempo non durano gran 
tempo! dice il proverbio. 

— I proverhìi dicono tante ooae! 

— Riflettete. Se noi ci fossimo incontrati di nuovo 
un anno fa, io non vi avrei parlato cosi; forse avrei 
evitato di rìvolger\-i la parola. Ero altro uomo 
un anno fa!,.. Ero un bruto! Lasi'iatemelo dire; la- 
sciatemi arrossire davanti a voi! Oggi, tutto mi sem- 
bra congiurare perchè ogni cosa si muti per voi o 
per me. Non sapevo di trovarvi qui. Non credevo 
che avrei avuto il coraggio di din'i, e con l'animo 
con cui ve l'ho detto: Ricordate? 



— 127 — 

— Mia sorella si volta spesso a guardarmi, me- 
ravigliata di vederci discorrere insieme. Quando mi 
domanderà: — Che cosa ti ha detto? — io non 
saprò.... 

— Rispondetele: — Mi ha detto se voglio fargli 
l'onore di essere la marchesa di Roccaverdina ! 

— No, marchese! Ormai!... E per tante ragioni. 
L'onore sarebbe mio; ma, ripensateci!... Ormai! 

— E se insistessi? E se vi dicessi che voi com- 
mettereste una cattiva azione, rifiutando di coope- 
rare alla rinnovazione della mia vita? Non chiedo 
una pronta risposta.... Se poi il cuore vi consigliasse di 
no ; se il mio passato v'ispirasse repugnanza — può 
darsi — non sarebbe giusto che vi sacrificaste. Con- 
sultate vostra madre. Darete la risposta alla zia. 

Egli si era chinato verso di lei per dirle sommes- 
samente e rapidamente queste ultime parole, tanto 
era grande il suo stupore di aver potuto parlare a 
quella maniera, con delicatezze di voce e di forma 
che ignorava di possedere, e non meno grande il 
timore che non potesse andar oltre senza riprendere 
la sua abituale rozzezza. 

La baronessa veniva a rioccupare il suo posto, 

— Vi siete riconosciuti, finalmente! 

— Un poco — rispose il marchese ridendo. 

La signorina Mugnos lo supplicò, con gli occhi, 
di non tornare sul soggetto della loro conversazione. 
E, rassicurandola allo stesso modo, egli fu lieto di 



- 1?8 - 
scorgere una notevole tiasfonnazinne in lei, quasi 
un'ialaii tanca lifioritura di gradii) e di giovinezza 
che le coloriva leggermente la bianca pelle ilelia 
faccia, le ravvivava le labbra, le accendeva le pu- 
pille, e le metteva un dolrp tremito nella voce, al- 
lorché domandò alla soivlia Cristina se non le paresse 
che la mamma poteva afare in pensiero, vedendolo 
ritardare. 
La giovine, accostatasi timidamente, rispose; 

— La inaminu sa che dopo la messa dove\'amo 
venire qui. 

— Tu non conosci mio nipote — le disse la ba- 
ronessa. 

— Era bambina alloi-a — soggiunse il marchese. 

— Di vistii, s\ ^ fece Cristina. — Me lo ha in- 
dicato Zòsima, dalla finestra che <là su lo stradoTie. 
Passa spesso, in carrozza. 

— Com'è il mondo! — esclamò la baronessa, — 
Nello stesso paese, nello stesso (junrliei-e — no, vera- 
mente voi siete del (juartiero dì San Paolo; non è 
in capo al mondo, infine ! — e persone amiche non s'in- 
contrano da anni, quiisi vivessero sopaiate da grandi 
distanze ! 

— Per noi — disse Cristina — il mondo ò l'ac- 
chiuso tutto nelle quatti'O mnra di casa nostra. 

— Anche per me, figlia mia! Ma io sono vecchia 
e non me n'importa niente. 

— Non ce 11' importa niente neppure a noi , ba- 



— 129 — 

ronessa — rispose Zòsima. — , Siamo abituate.... 
Ormai ! 

— Ah, tu, con questo: Ormai! 

— La zia mi ha tolto di bocca quel che stavo 
per dire. Perchè: — Ormai! Ormai! — Perchè? 

— Perchè è così! — disse Zòsima tristamente. 
Dai seggioloni dov'erano accovacciati, due canini 

ricominciarono a tossire con rauchi scoppi. 

— Senti? — disse la baronessa al marchese. — 
Tossono da quattro giorni, poveretti! Non si muo- 
vono più dalla cuccia. 

— Sono vecchi, zia. 

— Gli altri due li tengo in camera mia ; ho paura 
che si contaggino. Questi bevono appena un po' di 
latte caldo. Se morissero, nepote mio, sarebbe ma- 
laugurio per me! 

— Dicevate la stessa cosa anni fa, quando mo- 
rirono prima Bella e poi Fifì, 

— Senti? Senti? Mi strappano Fanima. 
Zòsima lo guardò sorridendo benignamente del 

gesto della baronessa che aveva portato le mani alle 
orecchie per non sentire i rauchi scoppi di tosse. 

Ed egli andò via con la soave impressione di quel 
sorriso che gli illuminò il cuore parecchi giorni. 



Capuana, Il Marchese dì Roccaverdìna . 9 



XUL 

11 già che ij imiirheye fosse iniiamoriilo <;r>ine 
iovanotto (ep)i imzi ai ni èva viglia va un po'di 
jrovare per la Miignos qualihe cosa di più ohe 
'iitimento di gratitudine e di rispetto), ma per- 
ii immagine di lei sori'ideiitc lo rasserenava te- 
li o occupato. 

risposta poteva essere divei-sa da iiuellii che 
lesitìerava ? 
auto bisognava pensare a ripulire la casa, a 

grandi mutamenti. Mai, come in quei giorni, 
non gli era sembrata un laberinto. 
, quel marchese firawle, che aveva avuto il mal 
ilcinaccio in città e in campagna! Fare e dis- 
sra atato per lui davvero tutto un lavorare. 
3 mostniosità quella massiccia facciata, con lo 
irato portone e le pesanti mensole dei balconi, 
.el vicoluccio, tra casette che non permettevano 



- 131 - 

di poterla ossei*vare da vicino ! E il brutto atrio, col 
pozzo in mezzo, la stalla a destra, la cantina a si- 
nistra, e in fondo la legnaia e la pagliera da far 
andare in fiamme tutta la casa, se qualcuno vi avesse 
buttato un zolfanello acceso ! E la scala ! Buia, storta, 
non poteva servire ad altro che a far scavezzare 
Tosso del collo alla gente. Inutile anche, perchè 
dal lato opposto si entrava a pian terreno, e sol- 
tanto affacciandosi ai balconi si capiva di trovarsi 
al terzo piano. 

Egli già aveva tracciato uno schizzo dei muta- 
menti da fare. Ma l'ingegnere, che mostrava di non 
raccapezzarsi, avea voluto, innanzi tutto, rendersi 
conto della solidità dei muri sottostanti, delle vòlte, 
della possibilità dei passaggi da praticare. 

— Capisce, marchese!... 

Parlava con aria severa, di uomo che la sa lunga 
e che vuole far valere la sua scienza, stirandosi le 
grige fedine alla Francesco-Giuseppe, girando il collo 
dentro il largo colletto con lunghe punte a canale, 
aggiustandosi gli occhiali affumicati, a capestro, le 
cui enormi lenti rotonde sembravano due buchi neri 
sotto la fronte. 

Il marchese avea cominciato a irritarsi delle mi- 
nute osservazioni di lui. 

— Guardi, guardi: buttando giù questo muro, non 
avremo un'ariosa camera quasi immediata alla salti 
da pranzo? 



— Ma capisce, marchese, che allora non sapremo 
più d'onde cavare un discreto corridoio per Hbe— 
rare le altre stanze! 

— Come? E questo spazio qui? 

— Ah ! Su la carta, sta bene. Io però non guardo 
la carta.... 

Don Aquilante, che veniva per render conto al 
marchese dell'andamento di una lite, lo sentì sin 
dall'anticamera gridare : 

— Capisce! Capisce! Sono uno stupido foi*se? Il 
corridoio qui.... Un uscio. Un altr'uscio.... E così 
avremo un salottino avanti il salone! Capisce, sì 
no? 

E rivolgendosi all'avvocato che entrava in quel 
momento, esclamò forte, quasi non potesse raffre- 
nare l'impeto della voce : 

— Oggi non è possibile. Domani, domani Taltro! 

— Quando vi fa comodo, marchese, — rispose don 
Aquilante, un po' sconcertato da quell'accoglienza. 

Il marchese intanto continuava a discutere come 
se l'avvocato non fosse rimasto là, irritandosi sem- 
pre più per la testardaggine dell'ingegnere che sco- 
vava difficoltà da ogni parte: 

— Io debbo avvertirla avanti, marchese ; non vo- 
glio assumere responsabilità. 

E si stirava le fedine. 

Il marchese, insistendo nella difesa del suo pro- 
getto, invocava anche il parere di don Aquilante, 



— 133 — 

che lo ascoltava socchiudendo gli occhi, tirandosi 
su, col solito movimento delle mani e del ventre, 
la cintura rilasciata dei calzoni, approvando con la 
testa, senza pronunciare un monosillabo. 

— Ho ragione?... Ohe ne dite? — strillò, all'ul- 
timo, il marchese. 

Era impazientissimo; quasi le obbiezioni deirin- 
gegnere ritardassero i lavori e potessero mettere 
qualche impedimento alla rinnovazione della sua 
vita che quel matrimonio doveva iniziare. 

E pochi giorni dopo, la casa era piena di operai 
che buttavano giù pareti intermedie, smattonavano 
pavimenti, abbattevano vòlte reali; di ragazzi che 
ammonticchiavano i calcinacci ai lati del portoncino, 
donde li portavano via i carrettieri, di mano in 
mano, per non ingombrare il viale che conduceva 
alla spianata del Castello. 

Impolverato peggio dei manovali, il marchese an- 
dava da un punto all'altro dando ordini, gridando 
come un ossesso se si vedeva mal capito, togliendo 
di mano il piccone a un operaio se questi esitava 
nel dare i colpi per paura di vedersi crollare addosso 
un pezzo di muro: 

— Così, animale ! Debbo insegnarti io il tuo me- 
stiere? 

E la domenica appresso, non avendo chi sgridare 
né di che occuparsi, sentì con piacere che due fore- 
stieri, pecorai a giudicarli dall'apparenza, chie- 



eoiiflpgnai'gli una letieia e <1Ì pai'larc 

Irò mentre apriva la busta, 
la festa, con camicia di grossa t«la can- 
sotto il bianco corpetto dì friistagno ca- 
nato di fitti iKitUmcini di madreperla; 
di albagio nere con maniche attillata ; 
la stessa stoffa, a Rinocohio, dall'orlo dei 
pavane i lembi delle mutande; calze di 
1, e calzari a punta, di pelle suina, legali 
gè di cuoio ini'rociat« attorno al collo del 
i due, un vecchio e un giovane, parevano 
dalla circostanza di trovarsi al cosiwtto 
ise di Roccaverdina. 

le si tratta? La lettera non spiega nulla, 
ise. 
ra eccellenza scuserà l'ai-dire, — ball)ett<"> 

— Questi è mio figlio, 
le rallegro con voi ; bel pezzo di giovano ! 
ie, voscemal Abbiamo detto: — E giusto 
prima il permesso al padrone. — I grandi 
ispetto. Noi non vogliamo offendere nes- 

voseenza acconsente,.., 
fatevi. 

ra che non era facile spiegarsi perchè pa- 
o si guardarono negli occhi, invitandosi 
j a parlare, 
o di Modica, eccellenza, — ripi'ese, esitante. 



— 135 — 

il vecchio. — Ma, pel pascolo delle pecore, veniamo 
spesso da queste parti.... Cosi si sono conosciuti, per 
caso. Egli mi ha detto: — Padre, che ne pensate? 
Io la sposerei, però.... 

— Chi? — domandò il marchese che cominciava 
a comprendere. 

— La vedova.... di voscenza^ cioè, la Solmo.... 

— E venite da me? Che può importarmi a me 
di cotesta signora?... Vi compatisco, perchè non 
siete del paese. 

— Voscenza deve perdonarci — s' intromise il 
giovane. 

— Ci hanno consigliato.... — balbettò Taltro. 

— Vi hanno consigliato male. Non ho niente che 
spartire con costei.... Sono suo parente, forse? Per- 
chè è stata.... al mio servizio? Ha preso marito.... 
E vedova, libera.... Che c'entro io? 

Il marchese alzava la voce, corrugando le soprac- 
ciglia, facendo gesti di negazione con le mani. 
— Che c'entro io? — agitato da improvviso sen- 
timento di rancore, quasi di gelosia, contro colui che 
infine (egli lo riconosceva nello stesso tempo) veniva 
a rendergli un bel servizio portando via, lontano, 
quella donna che forse tratteneva la signorina Mu- 
gnos dal prendere una risoluzione affermativa. 

— Chi vi ha consigliato?... Essa? 

— Eccellenza, no. Un nostro amico che rispetta 
tanto voscenza,,,. 



— 130 — 

ìli fhe lo ringrazio, e rhe poteva far a 

iuggorir\-i Lina sciocchezza E sposatevi , 

pure! È libera, vi ripeto. Io non c'entro, 

entrarci.... Subito vi sposereste? 

^a cavar fuori le carte e fare i banili in 

condurreste a Modica? 

oscenza permette, 

m c'entro; non volete intenderlo? — urlò 

le. 

asto turbato. Per poco non (fli sembrava 

pina Solino gli facesse ora un altro tra^ 

giacché doveva essere di afcordo con colui, 

lel tentativo non nascondeva un' insidia, 
dì rammentare a lui, marchese, che olla 
che ai teneva ancora come legata!... Spo- 

■chè gli si levasse di torno!... 

èva darle neppiu'e la si nidi sfazione di rin- 

i sua infamia! 

lunqiie fiotta di riprendere marito? 

iconcia parola gli usci di bocca, quasi la 

le là, a riceverla in pieno viso! 

■o, ne parlò con mamma (ìrazia. 

io così, figlio mio! 

snisse, bada!... non voglio vederla! 

incontrata parecchie volte a m^sa. Ul- 

1 mi ha domandato: " È vero che il mar- 
ide moglie? „ 



— 137 — 

— Chi glierha detto? 

" Non so. Risposi : — Se fosse vero, lo saprei 
prima degli altri. 

" Ah, se le anime sante del Purgatorio facessero 
questo miracolo ! „ 

— E.... insistette? 

— Disse: " Dio lo renda felice! „ Nient' altro. 
E ogni volta ha soggiunto: "Baciategli le mani, 
se credete ! „ Ma io te Tho sempre taciuto, per non 
farti dispiacere, figlio mio! 

Eppure no, non doveva lasciare andar via quella 
donna senza prima rinfacciarle il suo nero tradi- 
mento ! Doveva, invece, strappargliene la confessione, 
perchè ella non potesse vantarsi, in cor suo, di es- 
sere riuscita a farsi gioco del marchese di Roccaver- 
dina. Voleva che piangesse, che avesse rimorso dei- 
Tatto infame da lei commesso, e non ignorasse por 
quale motivo egli si era rifiutato di più vederla e 
le aveva chiuso in faccia la porta di casa! 

Poi rifletteva: 

— Ho torto. Vada via! Lontano! Vada! 
Aveva paura di tradirai, di farla sospettare per lo 

meno. E s'indignava contro sé stesso della vigliac- 
cheria che gli rimestava nel cuore i ricordi del pas- 
sato, che gli faceva risentire il contatto delle verginali 
carni di lei, come la prima volta, a Margitello, quando 
egli le aveva giurato: — Non avrò altra donna! 
— Era un fiore, allora!... E dopo.... anche! E, nei 



— i;-{H — 

giorni acorei, mentre il piccone dei manovali abbat- 
teva te pareti della sua camera, non ai era sentito 
stringere il cuore...? 

— Ho torto! Vada via! Lontano!... Vada!... E se 
olla avesse l'audacia.... 

Ma quella sera, al vedersela improvvisamente da- 
vanti, avvolta nella mantellina nera e vestita a lutto, 
nell'andito del portoncino dov'ella lo aveva atteso 
quasi un'ora, sapendo che doveva arrivare da Mar- 
gitello, al sentirsi salutare con voce commossa: — 
Voacema benedica! — il marchese non ebbe animo 
di passare sdegnosamente innanzi, né di fare un 
gesto o di dirle un'amara parola che la Hcacciaase. 

L'umile atteggiamento, il suono di quella voce che, 
non udita da un pezzo, gli ronzava da qualche 
giorno nell'orecchio col ricordo di parole e di frasi 
evocate suo malgrado (egli stesso non avrebbe sa- 
puto dire ae per rimpianto, o per indignazione, o 
per rigui^to di odio), lo sopraffecero, anche perchè 
lo coglievano alla sprovveduta. 

— Ohe fai qui?... Perchè non sei entrata? — le 
disse in risposta al saluto. 

— Volevo almeno vederlo.... per l'ultima volta! 

— Entra! Entra! 

La voce del marchese si era già alterata, e il gesto 
era diventato brusco, imperioso. 

Mamma Grazia, accorsa ad aprire l'uscio al tin- 
tinnio dei sonagli delle mule e al rumore delle ruote 



— 139 — 

della cairozza, indietreggiò spalancando gli occhi ve- 
dendoseli apparire insieme, e non potè trattenersi 
dairesclamare sotto voce: 

— Oh, Vergine santa! 

Agrippina Solmo la salutò con un cenno della te- 
sta, inoltrandosi dietro al marchese tra le impalca- 
ture e gli arnesi da muratori che ingombravano le 
stanze, fino alla sala da pranzo, rimasta intatta, dorv^e 
il marchese si fermò, sbatacchiando nervosamente 
l'uscio per chiuderlo. 

— Volevo almeno vederlo.... per Fultima volta, — 
ella replicò tra i singhiozzi irrompenti. 

— Sto per morire, forse? — disse il marchese con 
cupa ironia. — Per te, lo so, sono morto da un pezzo ! 

— Perchè, voscenzaì 

— Perchè?... Non avevi giurato? — egli proruppe. 
— Ti ho costretto con la forza quel giorno? Ti feci 
una proposta. Potevi rifiutarla, rispondermi di no! 

— Ogni sua parola era comando per me. Ho ob- 
bedito.... Ho giurato, sinceramente. 

— E poi ?... E poi ?... Nega, nega, se hai coraggio ! 

— Per Gesù Cristo che deve giudicarmi! 

— Lascia stare Gesù Cristo! Nega, nega, se puoi!... 
Ti sei data.... a tuo marito, come una sgualdrina! 
Non era, non doveva essere marito di apparenza sol- 
tanto?... Lo avevate giurato, tutti e due! 

— Ah !... Voscenzaì 

— Tu, tu stessa me Thai fatto capire! 



— 140 — 

— Com'è possibile? 

— Ti faceva pena ! Ti sembrava avvilito davanti 
alle persone! Me lo hai detto più volte. 

— È vero i È vero ! Ma pensi, voscenza /... Da 
prima, niente ; come due estranei, come fratello e 
sorella. Spesso lo vedevo appena mezza giornata, le 
domeniche.... Dopo quattro o cinque mesi.... oh ! sem- 
brava scherzasse: " Bella vita, eh? Ho sotto gli oc 
chi la tavola apparecchiata e debbo restare digiuno ! „ 
Io lo lasciavo dire. E poi, di tratto in tratto, mor- 
dendosi le mani : " Ci voleva il santissimo.... del mar- 
chese di Roccaverdina per farmi fare questo sacri- 
ficio ! „ E una volta : " Vi pare che io non indo- 
vini che cosa dice la gente? Quel cornutaccio di 
Rocco! „ Gli risposi: Dovevate pensarci prima!... 
"Avete ragione !... „ Pensi, voscenza. Sentirlo parlare 
così !... Non ero di bronzo 1 

— E allora?... Allora?... Non me ne dicevi niente 
però ! 

— A che scopo? Perchè voscenza andasse in col- 
lera ?... 

— E.... poi? 

— E poi.... Ma pensi, voscenza /... Un giorno gli ri- 
sposi: — Femine ne avete quante volete.... Chi v'im- 
pedisce?... Non vi bastano? — Si mise a piangere; 
come un bambino piangeva, imprecando: " Sangue.... 
qua! Sangue.... là! Dobbiamo finirla questa storiai 
Non reggo più!... Che cuore avete dunque? „ Che 



— 141 — 

cuore? Non glielo davo a vedere, ma piangevo, di 
nascosto, pel peccato mortale in cui vivevo.... 

— E per lui pure!... Dillo! Confèssalo! 

— Niente ! Niente, voscenza /... No — ella sog- 
giunse dopo breve pausa — non voglio mentire!... 
Ma il Signore ci ha castigati.... per la mala inten- 
zione soltanto ! E, quella notte, non lo fece arrivare 
a casa !... Oh !... Saremmo venuti da voscenza, a pre- 
garlo, a scongiurarlo.... Tanto, a voscenza che le è 
più importato di me?... U mio destino ha voluto 
così ! Sia fatta la volontà di Dio !... Ed ora, si per- 
derà di me anche il nome. Vado via, in un paese 
dove nessuno mi conosca; per disperazione vado 
via.... Se un giorno però.... Serva, serva e nien- 
te altro ! Ah ! Vorrei dare il mio sangue per vo- 
scenza ! 

Il marchese Taveva ascoltata con crescente ansietà, 
stringendo tra i denti il labbro per non irrompere ; 
e quando, fermatasi un istante, ella aveva sùbito 
soggiunto : " No, non voglio mentire ! „ il sangue 
gli aveva dato un tuffo, quasi egli dovesse vedere 
compirsi di nuovo V infame tradimento e proprio 
sotto i suoi occhi. 

Stette immobile, senza fiato. Immediatamente però 
il petto gli si gonfiava con un gran respiro di tetra 
soddisfazione. Aveva colpito a tempo! Aveva impe- 
dito che il tradimento fosse compiuto !... 

Ma la intenzione, la mala intenzione, c'era dunque 



— 14-.' — 

i SiiV — non 03iivtt di ronfosHursliclo — 

igeva ancora il morto! 
pensiero gli attravei-sò la mente: icn- 

«tjtuire il morto con un vivo! Tener- 
schiava, o colmarla di disprezzo, non 
neppure in viso! Quei singhiozzi, quelle 

;Ile proleste erano certamente inenzo- 

fo, per dirle: "Non sposare!... Resta! „ 

a stento. 

Solmo gli si era accostata umilmente, 

le Infime; e, prèsagli una mano, gliela 

labbra gelide e convulse: 
za benedu:n ! E Ìl Signoi'e le dia tutte 
se è vero che sposa ! 
^enso dì tenerezza lo invase al contatto, 
sse lestamente la mano. E prima che 
niinozione lo vincesse, al gesto di i^om- 
aeguire, con voce tiirijatii, (juesto solo 

' caso.... avessi bisogno.... Rìcoi-dati !,.. 



- 143 - 



XIV. 

La baronessa di Lagomorto, che da dieci anni 
usciva di casa soltanto per andare ad ascoltar una 
messa, le domeniche, nella vicina chiesetta delle Or- 
fanelle, era venuta dal nipote per portargli senza 
indugio la risposta della signorina Mugnos, e anche 
per vedere i mutamenti da lui fatti nel vecchio pa- 
lazzo dei Roccaverdina dov'ella era nata. 

— Dovresti accendermi un bel torcetto! 

— Anche venti, zia! 

— Ma che hai operato qui? Non mi raccapezzo. 

— Vita nuova, pelle nuova! — esclamò il mar- 
chese, dandole braccio per condurla attorno. 

Mamma Grazia, che si era messa sùbito a pian- 
gere dalla consolazione di rivedere colà la baronessa, 
dopo tanti e tanti anni che non ci veniva più, si 
affacciava timidamente a questo o a quell'uscio, fa- 
cendo strani gesti, cacciandosi indietro i cernecchi 
che gli cascavano davanti agli occhi. 






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— 144 — 

— Siete ooiitontrt, mamma (Jiazia, ora che il mar- 
chese prende moglieV 

— Ah, 86 fosse vei"o, eccellenza! 

— Se non fosse vei-o non ve lo direi. Bisogna ri- 
puhrsi, mamma Grazia, per far piacere alla beila pa- 
drona che verrà qui, 

— Mi ripulirò, per l'altro mondo ! Oh, nioiTei con- 
tenta, se fosse vero! 

Non osava di credere alla noLizia. Come mai suo 
Jiglio non glien'aveva fatto neppure un accenno fi- 
nora? Era V ultima a saperlo ! Tempo fa — ram- 
mentava — fin quella le aveva detto; — So che 
sposa! — E per ciò, a ogni risposta, mamma Grazia 
aggiungeva: — Se fosse vero! — quasi per rim- 
proverare il marchese. 

— E vero! E vero! — egli le confermò accorgen- 
dosi che la povera vecchia si era imbronciata. — Ma 
la certezza l'ho avuta or ora, dalla zia baronessa. 
Ecco perchè non te n'ho detto niente. Se poi non 
fosse accaduto..,. 

— Hai ragione, figlio mio! 

E sì ritrasse dietro un uscio per nascondere la 
commozione. 

— E il salone? — domandò la bai-onessa. 

— E rimasto intatto. 

— Con la sconcia donna niida dipinta nel sof- 
fitto? 

— L'Aurora, opera pregevole, zia, dello stesso pit- 



— 145 — 

tore che ha fatto gli affreschi nella chiesa di Sant' I- 
sidoro. 

— Poteva coprirle certe parti però!... No, non 
voglio rivederla, — soggiunse la baronessa, mentre 
il marchese stendeva la mano al pomo deiruscio. 

Vita nuova, pelle nuova! Una riunione delle prin- 
cipali persone a cui era stato invitato personal- 
mente dal Sindaco per provvedere alla gran miseria 
della bassa gente, aveva fornito il pretesto al mar- 
chese di andare in Casino ^ d' intrattenervisi a lungo, 
di tornarvi altre volte con lo stesso pretesto. 

— C'è voluto la mal'annata per rivedervi qui ! 

— Tutto sta nel prender Taire! 

Non era però divertente la conversazione nel Ca- 
sino. Non si sentiva ragionar d'altro che di fame, 
di miseria, d'intere famiglie di contadini emigrate 
nei paesi fortunati dove la terra aveva fruttato e 
c'era da trovar lavoro e pane ; di gente che moriva 
di tifo per avere disseppellito e mangiato carne di 
animali morti dell'infezione maligna che distruggeva 
gli armenti, quasi la carestia non fosse stato suffi- 
ciente castigo di Dio! 

Oh, questa volta era ben diverso dalle terribili 
cattive annate di cui parecchi avevano memoria! 
Nel '46, mancava il grano; non se ne trovava nep- 
pure a pagarlo a peso d'oro! D nuovo governo, sì, 
aveva fatto venire grano da ogni parte; mai quat- 

Capuana, Il Marchese dì Roccnveì'dina. 10 



— 140 — 
trini dov'erano':' Dissanguati dalle tasse e dalla 
' annata dell' unno avanti, i proprietari non sa- 
no più a (jua! sunto votai-si. 0{^ni lavoro era 
itato. Lo stesso marchese non osava di avventu- 

a intraprendere niente nelle campagne, con 
la persistente siccità! Non era nato un fil di 

da tutta la semenza prodigata sperando che fi- 
lente, dopo qu.isi un anno, il cielo si sarebbe 
to in pioggia feconda! 

etro la gi^an vetrata del Casino, larve di vecchi, 
jnne, di fanciulli si affiu'ciavano, mute, senza 
, con lo stupore dello sfinimento negli occhi, 
idcndo che il cameriere apportasse loro qualche 
I, che venisse a cacciarle via perchè nessuno 
intro aveva più niente da dare, 

poco dopo, ecco altre larve, mute, senza gesti, 
lo stesso stupore di sfinimento negli occhi, che 
.devano, che non mormoravano vedendosi scac- 
, e riprendevano a trascinare di porta in porta 
pi ischeletriti, reggendosi a mala pena su le 
De, senza un fil di voce per invocare la carità. 

vedevano oggi, domani, e poi certi visi non 
larivano più. — È morto il tale, di fame! E 
il tal altro, di fame! 
davanti la porta del convento di Sant'Antonio, 

il Municipio distribuiva, a mezzogiorno, mi~ 
e di riso bollito nell'acqua, condite con un po' 
rdo, e grosse fette di pane nero, i carabinieri. 



— ur- 
la guardia forestale e gF insen^ienti del municipio 
stentavano molto a trattenere la ressa! Nessuno 
aveva vergogna di accorrere là. — Anche il tale ! 
— Anche il tal altro ! — Li nominavano con triste 
maraviglia. Persone che mai si sarebbe sospettato po- 
tessero arrivare al punto di dover stendere la mano, 
e che senza quella misera minestra e quella fetta di 
pane nero, sarebbero morte forse anch'esse di fame ! 

La sera, non più rosario del Sagramento per in- 
vocare la pioggia. Don Silvio La Giura aveva visto 
assottigliarsi a poco a poco la folla che soleva se- 
guirlo. In che modo aggirarsi in processione per le 
vie e cantare il rosario a stomaco vuoto? 

E il sant'omo, che aveva gran fede ed era ingenuo 
quanto un bambino, dicendo messa, ogni mattina 
picchiava con le nocche delle dita alla porticina do- 
rata del tabernacolo, e con commovente semplicità, 
invocava: 

— Gesù Salvatore !... Gesù Salvatore !... Ti sei 
dunque dimenticato di noi? 

E, dopo messa, via, di casa in casa, a chiedere 
l'elemosina per gli affamati, riempiendosi le tasche 
coi tozzi di pane che gli davano, portandone in un 
fazzoletto, fin nella falda del mantello; e, due tozzi 
qua, tre tozzi là, uscio per uscio in quelle sudice 
catapecchie dove i malati di tifo guarivano per 
miracolo, senza assistenza di medici, senza medi- 
cine.... E avrebbero preferito di morire! 



:a una. ìarva. anche lui; e intanto »a)iva 

i scale, correva da un quartiere all'altro, 
tuoi brevi paaai da perniciotto, rasentando 
bì vicoli, quasi non volesse farsi scorgere; 
lappertutto, oltre il soccorso materiale, il 
i una buona parola, di un sorriso, d'una 
e E pane e pane e pane, che non si ca- 
le potesse cavarlo; talché la gente credeva 
moltiplicasse tra le mani, come una volta 
isto. 

neasa di Lagomorto gli aveva detto; 
io fare, ogni tre giorni, una fornata di pa- 
rine soldi; pensate a distribuirle voi, 
la rimeriti, buona signora ! 
rchè non andata pure da mio nipote? 
le ha dato molto grano e molti quattrini 
lio. 

dei soldi anche a voi, non dubitate, 
risoluto a seguire il consiglio, quantunque 
. accorto che il marchese di Rocca verdina, 
ì tempo in qua, lo salutasse a denti stretti 
che lo incontrava. Egli si sentiva trafig- 
aa pensando a quel peccatore che non era 
a confessarsi! E ogni sera, nella nuda 
dove lo aveva visto inginocchiato ai suoi 
;ava intensamente pei'chè il Signore. gli 
il cuore e lo inducesse ad aver compassione 
nte che scontava la pena del delitto altrui. 



— 149 — 

Ma appunto quella mattina, neiraiutarlo' a indos- 
sare i paramenti sacri per la messa, don Giuseppe 
il sagrestano gli domandava: 

— Avete sentito, don Silvio? Il marchese di Roc- 
caverdina ha regalato un Crocifisso al convento di 
Sant'Antonio. I frati fanno una gran processione. 
Non lo sapevate? 

Don Silvio, che non voleva distrarsi dal recitare 
i versetti rituali, indossato il camice, lo ammoni: 

— Zitto!... Porgetemi il cingolo. 

E intanto ch'egli se lo legava ai fianchi, il sagre- 
stano, giratogli attorno per aggiustargli le pieghe, 
e datogli in mano la stola, riprendeva: 

— Grand'offesa per la nostra parrocchia ! Il cano- 
nico Cipolla è furibondo ; e anche gli altri canonici. 
Non andremo, s'intende, alla processione del tras- 
porto.... Il padre guardiano ha mandato V invito. 
Aspetta, che vengo! 

Don Silvio adattatosi il manipolo al braccio de- 
stro, abbassava la testa perchè il sagrestano gì' in- 
filasse la pianeta: 

— Non ve n' importa niente, a voi, di questa offesa 
alla parrocchia? 

Preso di sul pancone il calice col corporale e il so- 
vraccalice, don Silvio si era avviato per l'altare. Su la 
soglia della sacrestia il canonico Cipolla lo fermava. 

— Siete avvertito : noi non interverremo. Ve l'ha 
detto don Giuseppe? 



— 150 — 

: inroinodo quel Crocifisso che, di tanto in 
ireva si svegliasse per turbar© con la sua 
Ila visione la coscienza del marchese! 
lon avrebbe dovuto badai^H più, dopo che 
) Pei^ola gli aveva sbarazzato il cervello di 
supei-stizioni dei pi-eti. Intanto, che cosa po- 
■iV la figui-a di quel Cristo agonizzante su la 
)bandonato laggiù nello stanzone del inez- 
i?on la testa, le mani e le ginocchia fuori 
ideili del lenzuolo róso dalle tignuole, come 
iveva inattesamente visto quel giorno,... che 
èva farci?,., quella figura gli dava un senso 
etudine, di malessere ogni volta che gli in- 
l'i m m aginaz ione. 

10 male ae, col fantasma di essa, altri ed 
snte tetri, non gli si fossero ripresentati da- 
tti che egli già credeva scacciati lontano e 
«hio tempo! 

., ora ecco Rocco Criscìone, a cavallo della 
all'oscurità, tra le siepi dì fichi d'India dì 
lo, che veniva avanti, canticchiando sotto 
gli era rimasto nell'orecchio ! — Quannu 
' ccà, passu cantannu — e non aveva avuto 
i dire: Gesù! Maria!,,, con quella palla ben 
L che gli avea fracassato la testa! E il tonfo 
o!... E lo scalpito della mula che fuggiva 
ita',... E il gran silenzio nell'oscurità, terri- 
;uito allo scoppio della fucilatal.,. 



— 151 — 

E così, ora ecco Neli Casaccio che dal gabbione 
delle Assise, alzando la mano destra e piangendo, gri- 
dava : — Sono innocente ! Sono innocente ! — E tanto 
forte, che il suo giuramento sembrava si trasfor- 
masse in urlo, in quegli urli del vento, la nottata 
della confessione, e ch'egli assumesse le sembianze di 
don- Silvio, pallido, con la stola, e inesorabile: — 
Bisogna riparare il mal fatto! Ah, marchese! — 

Nervi! Immaginazione esaltata!... Se lo ripeteva 
cento volte, n' era persuasissimo. Ma che cosa po- 
teva farci? 

Era andato a sorvegliare, con altri della Commis- 
sione municipale, la distribuzione dello minestre e 
del pane alla povera gente; e Padre Anastasio, guar- 
diano del convento di Sant'Antonio, parlava di una 
gran processione di penitenza, a piedi scalzi, con co- 
rone di spine e disciplina per placare lo sdegno di- i^ / 
vino. Dovevano intervenii^i persone di ogni ceto, 
sacerdoti, signori, maestranze, contadini, senza distin- 
zione alcuna, come egli si era sognato che gli ordi- 
nasse Sant'Antonio, due notti di sèguito. 

Il marchese tentennava il capo. Quel padre Ana- 
stasio, alto, nerboruto, col naso a tromba e gli oc- 
chi che gli scoppiavano fuor dell' orbita , non era 
tenuto per stinco di santo nei dintorni del convento. 
Caso mai, Sant'Antonio sarebbe andato proprio da 
lui per ordinargli la processione? 

Ma gli altri della Commissione approvavano. 



— 152 — 

Eì col simulacro della Rej^ina degli Angioli — 
Qeva uno. — L miracoloBo! 

□on la atatua del Cristo alla colonna — sug- 
i un altro. — E più miracolasa ancorai SÌ 
— Ora per la pioggia^ ora pel vento. Non si 
festa del gwvedl santo! Ed è tiuella del Cri- 
la Colonna. 

Ho un gran Crocifisso. Ve lo regalo per la vo- 
ihiesa, padre An^tasio. E farete la processione 
irtandolo da casa mia, 

lea gli era balenata in mente tutt'a un tratto. Il 
lese si stupiva di non averci mai pensato prima. 
Quando il Crocifiaao non sarà più laggiù nel 
mino, col lenzuolo róso dalle tignuole — egli 
èva — i miei nervi rimarranno certamente 
uilli, e tutto il reato ti cheterà anch'esso. Che 
ne! 

arrideva in faccia a padre Anastasio profonden- 
i ringraziamenti con quel naso che pareva vo- 
squillare prox)rio come una tromba, con que- 
!chi che, dalla gioia, si agangheravano più del- 
lario.... 

Che fortuna pel convento! Un Crocifisso grande? 
Al naturale. 
Di carta pesta? 

Scolpito in legno duro e con una croce im- 
i. Non lo reggeranno due uomini. Figuratevi 
in giorno.... 



— 153 — 

Suo malgrado, senza poter ritenersi, il marchese 
si senti spinto a raccontare quel che gli era acca- 
duto quel giorno. 

— Ha avuto paura? 

— Un pochetto. 

— Ah! Lo credo.... Una notte, anni fa, nel con- 
vento di Nissoria.... 

E padre Anastasio rideva anticipatamente di quel 
che stava per dire: — Che paura anche la sua! 
Nell'andare dalla cella in fondo al corridoio.... in un 
certo posto.... miseria umana!... si doveva passare da- 
vanti a un gran San Francesco, dipinto nella parete, 
con le braccia aperte e rapito in estasi dal suono del 
viohno di un angelo a cavalcioni delle nuvole. Lo 
vedeva almeno venti volte al giorno, da sei mesi che 
si trovava in quel convento, passando e ripassando 
pel corridoio. Ma quella notte, al lume della lam- 
padina recata in mano.... Come se quel San Fran- 
cesco, — che alla dubbia luce sembrava vivo e par- 
lante, con gli occhi travolti in su, — come se quel 
San Francesco gl'imponesse: " Padre Anastasio, di 
qui non si paissa! „ E non era passato, con tutta 
l'urgenzai Ohe cosa fosse allora accaduto, miseria 
umana!... Ora rideva, ma in quel momento!... 

E la pancia di padre Anastasio sobbalzava sotto 
la tonaca ; e gli occhi gli erano diventati lustri dal 
convulso provocato dalle grosse risate. 



er Pei'gola trovò il iiiiiivliese ihe sbi-ai- 

■a: 

jm(lix>iip io in rasa miai O che'? Dovevo 
pennesso a] faiioiiico (jìik)IIìiV... Al pre- 

toraV... Anche a don (Jiuseppc il ss^iro- 

L'hi l'avete, inigino? 

) della collera gì' iniiiodiva di niccoiKare . 

la arena avvenuta poro prima davanti 
■i (.'he davano l' intonaco alle pareti di 
iza; giacché il marchese aveva fatto in- 
>là, senza cerimonie, amichevolmente, i! 

i! prevosto venuti a .trovarlo. , 
ome, signor marchese! E la parrocchia? 
pettava ad essa.... Alla cappella del Cro- 
n ci faccia quest' affronto !... Ripari 1 — 

pretendevano questo! É^ forse un ijuf- 



— 155 — 

fone il marchese di Rocoaverdina, da fare prima 
una promessa e poi rimangiarsela ? 

— E vi guastate il sangue per loro ? 

— Ah, cugino! Sentirsi dire dal prevosto: "Vi 
dava noia in casa quel Crocifìsso, marchese? 
Meglio tenerlo nascosto nel mezzanino, che esporlo 
nella chiesucola di un convento ridotto una mandria 
indecente da padre Anastasio e dagli altri frati ! „ 
Predica la morale, lui ! il signor prevosto, quasi non 
si sapesse.... 

— Benissimo! Quasi non si sapesse!... 

Il cavalier Pergola si stropicciava allegramente le 
mani, rideva battendo i piedi, mentre il marchese 
tornava a ripetere: 

— Dovevo chiedere il permesso a loro?... Anche 
a don Giuseppe il sagrestano? 

E ripeteva che, sopratutto, lo avevano irritato 
le parole del prevosto : — Vi dava noia in casa quel 
Crocifisso, marchese? — Da che cosa poteva sospet- 
tarlo quel faccione da mulo del prevosto? Doveva 
avergliele suggerite, certamente, don Silvio La Giura ! 

E il giorno della processione.... 

Uno spettacolo ! Tutti a piedi scalzi, e con corone 
di spine in testa ; una sfilata che non finiva più, a 
dispetto dei canonici di Sant'Isidoro!... E pianti e 
cQlpi di discipline!... E, mescolati insieme, preti, 
frati, confraternite, signori, maestranze, massai, con- 
tadini!... Tutta Ràbbato per le vie! E padre Ana- 



— 15(1 — 
uxon'Ova da un punto all' altro , con in 
ona di vimini un po' di traverso e la 
1 mano , per mostra. Poteiral fare due 

iteaso t«mpo, flagellai-si le spalle e ba- 
ine della procesaione, alle fermate, alle ri- 
)i! Pai! Psi! Avanti! Avanti! — Si udiva 
sua voce, si vedeva soltanto un suo 
S80 fttori dalla larga manica, trinciante 
apidi segnali. E la impeiiosa tromba del 

la sua poderosa pancia che sporgeva 
cordone trionfavano allorché egli ai fer- 
nbe larghe, in mezzo alla via, quasi ar- 
.r passare a giusta distanza le due file 
isione che accennavano a serrarsi incal- 
olla. 
iomo.... 

«e avea dovuto andare dalla zia baro- 
rovarsi colà con la famiglia Mugnoa che 
itere da un terrazzino al passarlo della 

Nei"voao, irrequieto, rispondeva spesso 
Ule domande della zia e della signora 

affacciava, rientrava, tornava ad affac- 
processione afilava, afilava, interminabile, 
i enorme. 
ai, nepote mio? 
I. Certi spettacoli.... non so.... fanno un 



- 15T - 

— E stata una santa ispirazione, mawlieaol 
gli ripeteva per la tei-za volta la aignora 

Il marchese appo^ato all' imposta d 
dov'erano affacciate Zftsima e )a sorella, 

— Zòsima, sentite! 

Ella si piegò col corpo verso di lui, tei 
taccata con una mano alla ringhiera di 1 

— E ditemi la verità! — soggiunse il 
sottovoce. 

— La dico sempre — rispose Zòsima. 

— Ditemi la verità: Perchè avete tard 
ad acconsentire? 

— Per riflettere bene; e anche per.... 

— Per gelosia di.... quella...? Oh! 

— Forsel Cosa passata non conta più, 



Dovette affacciarsi anche lui. 

Si attendeva di riceverne un'impressiot 
e avrebbe voluto evitarla. Invece, alla lu 
nello spazio della via, il suo Crocifisso 
rimpicciolito di proporzioni e meno d< 
aspetto. E^li stentava a persuadersi che 
prio quello stesso che laggiù, alla parete 
nino, gli era sembrato quasi colossale e > 
fioante con quegli occhi semispenti e que 
nolenti piaghe che spuntavano dagli s 
lenzuolo I 

Intanto, padre Anastasio se lo portav 



a proroasioiie, a (liap*>t.to «lei ctinoniei di 
loro.... Solo don Silvio non avea voluto maa- 

confiiso coi più limili , con la corona di 
testa, !L piedi scalzi, si sbatteva forte la 
i su le mngrissiine spalle. 
I giorno, a quella vista, il marchese si con- 
il sospetto che don Silvio avesse suggerito 
)to le parole : — Vi dava noia in casa Gesù 
)V — Non intendeva di ri i>e bergliele in 
nento col pi'enrter parte, lui solo della par- 
li Sant' Isidoro, alla pi-ocessione promossa 

Anastasio V 
[■hese aggrottò le sopracciglia e si ritrasse 

la via tornò deserta e silenziosa, traver- 
mto da qualche povera donna che infilava 
.mente un vicolo per arrivare in tempo alla 

Sant'Antonio e ricevere la benedizione dal 

1 nuovo, come dicevano, quantunque fosse 
mo di qual<he (entmuo di anni, il marchese 
ramiuiUo, lol gian 9ollle^o della libera- 
almente ottenuta, the gh traspai iva dagli 

da tutto I aspetto 

he Zòzima '»ta\a per seguile nel "nlone la 
iistma le a* cenno di feimarsi 
ima Ola tntto dipende da \oi 

baionessa sa — ella iispose un po' me- 
i di quelle pniole 



— 159 — 

— Che cosa? 

— Il mio voto.... 

— Che voto? E una novità! 

— .... Di sposare dopo che il Signore ci avrà con- 
cesso la pioggia! 

— E se non piovesse? 

. — Pioverà presto.... Bisogna sperarlo! 

— Come mai vi è venuto in testa...? 

— C'è tanta povera gente che muore di fame. Non 
sembrerebbe malaugurio anche a voi? 

— Avete ragione. 

Egli era stato ad osservarla attentamente durante 
le due ore che si trovavano insieme. Si, c'era una 
soave finezza di espressione nei tratti di quel viso, 
specialmente negli occhi e nella bocca ; ma il sangue 
non più scorreva rapido e caldo sotto la bianca epi- 
dermide ; ma il cuore non più batteva agitato da 
baldo impulso di passione ! Le disgrazie, le sofferenze 
avevano ammortito ogni rigoglio nel non giovane 
corpo; e per ciò sembrava che anche quelFanima 
vivesse quasi in preda a continuo sbalordimenti). 

Ma, forse, egli s' ingannava. 

C'era voluto e una straordinaria forza di volontà 
e un gran coraggio e im nobilissimo orgoglio per 
rassegnarsi a vivere dignitosamente nella miseria 
dopo aver gustato la soddisfazione e i piaceri della 
ricchezza e spesso pure quelli del fasto, come lo 
aveva amato e praticato a intervalli, suo padre! 



— m) — 

E nei momenti in cui, suo malgrado, il marchese 
si sentiva spinto a fare confronti che gli sembra- 
vano profanazioni, scoteva la testa per scacciarli 
via, ripetendo mentalmente: 

— Questa, questa è la donna che ci vuole per me ! 
Glielo dicevano anche gli altri in Casino , fin il 

dottor Meccio che pareva volesse entrargli in grazia 
dopo la sfuriata di mesi addietro. 

— Bravo, marchese!... Un angelo!... Avete scelto 
un angiolo!... Tutte le virtù!... Debbo confessar- 
velo? Io ce Tho avuta un po' con voi, vedendovi 
vivere come un romito, lassù! Questo è il primo 
passo; poi verrà Taltro. Siamo qua, tutti, per por- 
tarvi in palma di mano. D paese ha bisogno di uo- 
mini energici e onesti, onesti specialmente ! Voi mi 
capite. Stiamo passando un brutto quarto d'ora. Po- 
vero Comune ! 

— Niente, dottore! Riguardo ad affari comunali.... 

— Ma se gli uomini come voi si tirano indietro ! 

— Ho troppi grattacapi in casa mia. 

— E casa vostra, è casa nostra il Comune! 

— Niente! Da quest'orecchio non ci sento. 

E lo lasciava a spasseggiare su e giù pel salone 
del Casino, con la gran canna d'India infilata sotto 
braccio, come una spada, lungo, diritto, impettito. 

Nell'attesa che l' intonaco delle stanze si asciu- 
gasse, che arrivassero da Catania il pittore pei sof- 
fitti e gli operai per tappezzarle, il marchese ora, 



— 161 — 

andava quasi tutti i giorni in Casino j prima di as- 
sistere alla distribuzione delle minestre e del piine 
insieme con gli altri colleghi della Commissione. . 

Aveva preso gusto alla partita di tarocchi che 
don Gregorio, cappellano del monastero di Santa Co- 
lomba, il notaio Mazza, don Stefano Spadafora e . 
don Pietro Salvo facevano colà, in un angolo ap- 
partato, due volte al giorno, inchiodati per lunghe 
oro col Giove, V Impiccato , il Matto e coi Trionfi ^ra 
le mani, accalorandosi, bisticciandosi, insultandosi 
con parolacce e tornando, poco dopo, più amici di 
prima. 

Spesso, don Pietro Salvo gli cedeva il posto, ap- 
pena vinto qualche soldo: 

— Volete divertirvi, marchese? 

Don Stefano sbuffava. In presenza del marchese, 
gli toccava di contenersi, ed era una gran soffe- 
renza per lui. 

Il marchese, che lo sapeva, sedendosi gU faceva il 
patto: 

— Senza. bestemmie, don Stefano! 

— Ma il giocatore deve sfogarsi ! Voi parlato bene ! 
Debbo crepare? 

E un giorno, a ogni svista del compagno, a ogni 
giocata andatagli a male, don Stefano, invece di dirne 
qualcuna di quelle da schiodare dal Paradiso mezza 
corte coleste, fu visto togliersi rabbiosamente di capo 
la tuba, sputarvi dentro e rimettersela sùbito. 

Capuana, Il Marchese di Roccaverdina. 11 



^ 



~ 162 — 

— Cho fat€, don Stefano? 

— Lo so io! Debbo crepare?... Questa vale i>or 
Giove.... 

E buttò la carta picchiando forte con le nocche 
delle dita, quasi volesse sfondare il tavolino. 

Sembrava che quella volta i taroc(*hi lo facessero 
a posta, e il compagno pure. E don Stefano, a ca- 
varsi rabbiosamente di capo la tuba, a sputane den- 
tro e rimettersela sùbito. 

— Che fate, don Stefano? 

— Lo so io!... Volete che crepi? 

Soltanto all'ultimo, quando egli, fuori dei gangheri, 
scaraventava la tuba per terra, gli astanti si avvi- 
dero della figurina del Cristo alla Colonna ficcata là 
in fondo, contro la quale egli aveva inteso di bestem- 
miare, silenziosamente, a quella maniera!... Doveva 
proprio crepare? 

E non gli importò che gli appiccicassero per (juesto 
il nomignolo di Maometto, Almeno, da quel giorno 
in poi, egli potò bestemmiiu'e in pace, a libito suo, 
anche in faccia al marchese. 

Intanto il dottor Meccio e parecchi altri tornavano 
spesso alla carica: 

— Un signore come voi ! Vi porteremmo in trionfo 
al Municipio! 

E siccome il marchese da questo orecchio non vo- 
leva sentirci, cosi cominciò a riprendere le passeg- 
giate serali su per la spianata del Castello, dove 



■V». ',-. 



— 163 — 

quasi nessuno più osava di andare, tanto era deso- 
lante lo spettacolo di quelle campagne brulle, riarse 
che si stendevano, di qua, fino a piò delle colline, 
e, di là, fino a pie dell'Etna sempre pennacchiato 
di fumo, con appena un piccolo orlo di neve in cima 
al cratere, coi boschi di castagni e di lecci attorno 
ai fianchi, scabroso in alto e rigato da nere strisce 
di lava che Tarla senza vapori permetteva di distin- 
guere nettamente. 

Ma, dopo tre o quattro volte, avea dovuto smettere. 

Trovandosi solo lassù, in faccia a queir immenso 
orizzonte e col gran silenzio che lo circondava, egli 
sentiva venirsi addosso un'inesplicabile tristezza. Le 
miserie udite raccontare o viste durante la giornata 
gli tornavano in mente. Da Margitello, da Casal icchio, 
da Poggiogrande gli erano arrivate, una dietro a l'al- 
tra, cattive notizie. — Ieri sono morti quattro ani- 
mali! Oggi, tre altri! — Il tifo bovino continuava la 
sua strage. Come non impensierirsi?... 

Ma non era questo, no!... 

Tristi presentimenti gli scurivano Tanimo; si ad- 
densavano, passavano via, come nuvoloni spazzati 
dal vento, tornavano di quando in quando, senza 
ragione alcuna e senza significato preciso. 

Si distraeva ruminando grandi progetti agrari da 
attuare, appena sposato : un'Associazione di proprie- 
tari di vigneti e di uliveti, sotto la sua direzione; 
e macchine di ogni sorta, le più recenti; e produ- 



- IW - 

alone dii speitire nei uiercaLi della iH'nisola e fuori, 
il) Friiiicia, iii IngliilWiTa, ili Genimiiia! 

Altra 'he le mÌBCie Inizile niunidjmii con cui non 
si caviivii lui nignu da un buio e che signilicavuno 
sollanto: Levati di li, die ini ei metto io! 

E rizzava, con l'immaginazione, vasli edilifii, laj!;- 
giù, a Margitello.... Sentiva rinascere in sé, il mal 
del (■alcinarcio del nonno.... Da una [wrte gli strettoi 
j)er le ulive, e lu dispensa (.-oì {'oppi [lanciuti per gli 
oli ; dall'altra, i pigiato! delle uve e la cantina, fresca, 
ariosa, jìer le botti e i botta(;(;ini„„ E vedeva oli 
dorati, limpidissimi, in belle bottiglie, da vincere ai 
paragono quelli di Lucca e di Ni»za; e vini rossi, 
e moscati da contrastai-o coi bordò, coi Reno, con 
Lutti ì nngliori vini del mondo' 



— 165 — 



XVI. 

U povero don Silvio attendeva da pili di mezz'ora 
nell'anticamera, e mamma Grazia veniva di tanto in 
tanto a tenergli compagnia. 

— Abbiate pazienza! C'è l'ingegnere. 

— Non ho fretta, mamma Grazia. 

— Siamo con la casa sossopra. 

— Pel matrimonio, Tho sentito dire. 

— Che tosse!... Riguardatevi, don Silvio! 

— Sia fatta.... la volontà.... di Dio! 

Con la tosse che gli soffocava le parole in gola, il 
petto di quel magro corpicciuolo, scosso rudemente 
a ogni assalto, pareva dovesse schiantarsi. 

— Andate a mettervi a Ietto; fate una buona 
sudata ^ 

— E i poveretti che muoiono di fame? Per questo 
sono qui. 

— Ah, don Silvio! Non si finisce mai! Il marchese 



— 166 - 

ha vuotàtxì il magazzino del grano.... Fave, ceci, ci- 
cerchia.... Ohe non ha dato? 

— Lo so, lo so! Chi più. ha più deve dare. 

— Famiglie intere su le spalle! 

— Lo so. Ma ci sarà (pialche cosa anche pei miei 
poveretti, mamma (Jrazia. 

— Figuratevi! Non se lo lascerà nemmeno dire. 
Il marchese, che accompagnava l'ingegnere fino 

all'anticamera, si fermò, turbato, alla inattesa vista 
di don Silvio. 

— E andate attorno con questa tosse? — gli disse 
ringegnere dopo averlo salutato. 

Don Silvio si levò a stento da sedere, inchinan- 
dosi al' marchese e air ingegnere, senza poter pro- 
nimziare una sola parola, scusandosi con umile 
gesto di rassegnazione. 

— Che abbiamo? — gli domandò il marchese, 
ostentando disinvoltura. — Qua, su questa poltrona; 
è più comoda. 

Lo aveva fatto entrare nella stanza accanto, e gli 
si era fermato davanti, in piedi, con le braccia dietro 
la schiena, guardandolo fìsso, per indovinare il mo- 
tivo di quella visita prima che quegli parlasse. 

— Mi manda Gesù Cristo! — disse don Silvio. 

— Quale Gesù Cristo? Perchè?... Andate a rac- 
contare queste storie alle femminucce! 

Il marchese quasi balbettava, pallido, da la im- 
provvisa concitazione. 



ri^ 



LùMm 



- 167 - 

— Mi perdoni.,., voscenza!... Me ne vado.... 
E don Silvio non potè proseguire, sopraffatto e 

tosse. 

Vedendolo avviare veiso l'uscio, il niarches 
fermò pel braccio: 

— Perchè siete venuto?,.. Che volevate da m 
Perchè siete venuto? 

— Pei poveretti, marchese 1 Non ho saputo e; 
mermi. 

— Ci sono soltanto io a Ràbbato? Ho dato a 
Troppo 1 Troppo!... Kono ^ik dissanguato. 

— Si calmi!... Non ha obbligo.... 

,— Eh?... Siete stato voi che avete detto al 
vosto Monterò,,.? 

Gli si em piantato davanti, ringhiando le pa 
fissandolo negli occhi. 

— Che cosa? — domandò tiniidamenie don Si 

— Che eoaii? Gli dava noia iii casa qtiel rron 
al marchesel 

— E ha potuto supporlo? Oh, voscema! Io, ; 
ho lodata il bell'atto che toglieva quella sacra 
magine da un posto non degno. 

— Non degno? 

— Certamente; il suo degno posto era l'alta 

— Peivhè dunque oi' ora dicevate : Mi manda ( 
Cristo?.... Mi avete 8caml)iat<> i>er ima donniccii 
mi avete scambiato? 

— Ha ragione ! Sono parole piene <lì suix 



- IffR - 
■I... Me np afcorfro; lia i-agionf!... Credevo die 
lo uno va a iliitHlci-e pei |N»en fitsse quasi iiiau- 
ila <ìeHÙ CiisWi,... Se la prenda con me. I pove- 
:he hanno fame non desinino stnntai'e il mio jiet- 
Gliene chie<]u i»enJono.... anche in trinoohio.... 
narchese lo ti-attenne. Si vei^c^nava di esser 
irso; ma non voleva lasciarsi intimidire da qiiel 
['olo. Gli pareva clie <olui intendesse dì abu- 
lella circostanza di e«sci-e stato messo a parte, 
ifeaaione, di un terribile segreto.... Doveva far- 

capire, poiché non li cominci asse più e la fi- 

una volta per sempre! Non osò. 
Che vi immaginate? — riprese con tono meno 
to. — Mi è nmasto api)ena tanto grano da 
i-e ]>er me. 

Oh, i>en8ei-i il Signore a riempirle di nuovo i 
■i! 

Infatti!... Infatti! 
Non disperi della misericoi-dia (iì Dio, mar- 

E intanto la gente muore come le mosche. 
4 avere la zecca in citsa, o stainpare carte 
.. Ma non ve<iete che non vi reggete in piedi? 
1 Silvio assalilo da nn nuovo e più forte ae- 
di tosse, aveva dovuto rimettersi a sedere, 
) tramortito. 

Ei-co!... Soltanto per mostranti la Inioiia in- 
»ne, - aggiunse il niairhese. 



— 169 ^ 

— Lo sapevo che non sarei venuto invano! — 
rispose don Silvio ringraziando. Aveva le lao^rime 
agli occhi. 

Il marchese rimase, tutta la giornata, con un 
senso di sorda irritazione nelFanimo^ quasi il senti- 
mento di pietà che all' ultimo lo aveva commosso 
fosse stato una specie di soverchieria, una prepo- 
tenza usatagli, con fina arte, da quel prete. 

Si sfogò con mamma Grazia: 

— Ci mancava hii per venire a smungermi! 

— E un santo, figlio mio! 

— I santi.... stiano appiccicati al muro, q in Pa- 
radiso, — rispose duramente il marchese. 

E due giorni dopo, don Silvio era davvero in via 
di andarsene in Paradiso, dove il marchese lo voleva. 

Davanti la porta della sua abitazione, gruppi di 
gente costernata, con gli occhi al balconcino della 
cameretta del malato. 

U dottore aveva dovuto ordinare di tener chiiusa 
la porta perchè la cameretta non fosse invasa. Di 
tratto in tratto, qualciuio dei pochi ammessi in casa 
veniva fuori asciugandosi le lagrime, ed era sùbito 
circondato. Lo interrogavano con gli sguardi, con 
una lieve mossa del capo, quasi il suono delle pa- 
role potesse distur])are V agonizzante. — Si è con- 
fessato! — Udite? Gli portano il viatico e Te- 
strema unzione! 

La campanella di Sant' Isidoro dava il segnale con 



- 170 — 

pochi squilli affrottuti; e, sùbito dopo, la campana 
j^rancle un tocco, due, tre, che ondulavano lenti 
tristamente. Tutti in orecchie, a contarli: — Quattro! 
Cinque! — Dappertutto; in Casino, nelle farmacie, 
nelle botteghe, in ogni casa, davanti le porte. — Sei! 
Sette! — Come se quei rintocchi cupi e lenti stessero 
per annunziare una pubblica sciagura. 

Si sapeva: otto tocchi per le donne; nove per gli 
iiomini; dieci pei sacerdoti! 

E il decimo rintocco, più cupo, più lento, ondulò 
a lungo per Faria. 

Ai tra gente accorreva: popolane, contadini, tutti 
i poverelli da lui beneficati, magri, squallidi, che 
dimenticavano in quel momento la maFannata e la 
fame, con occhi gonfi di lagrime, con visi sba- 
lorditi. Ab, il Signore avrebbe dovuto precidersi, 
invece, qualcuno di loro! 

Ed ecco il viatico! Si udiva il campanello che pre- 
cedeva il prete con la pisside e l'olio santo. 

11 canonico Cipolla, sotto il baldacchino, circon- 
dato dai fedeli che portavano le lanterne di scorta 
e seguito da un centinaio di persone recitanti il ro- 
sario, passava a stento tra la folla inginocchiata che 
ingombrava il vicolo da ini capo all'altro. La porta 
fu spalancata; il campanello cessò di suonare.^ 

Anche il marchese aveva contato — Uno!... Due!... 
Cinque!... Dieci ! — i rintocchi della campana grande 
di Sant'Isidoro. Da parecchi giorni, tre, quattro volte 



— 171 — 

il giorno, egli mandava Titta, il cocchiere, a pren- 
dere notizie. Lo atterriva V idea che la febbre fa- 
cesse delirare don Silvio, e che nel delirio gli sfug- 
gisse una parola, un accenno !... Poteva darsi ! 
Smaniava attendendo il ritorno del messo. 

— Sei entrato proprio in camera? Lo hai visto? 

— Già sembra un cadavere. Non c'è più speranza ! 
Il marchese socchiudeva gli occhi, un po' deluso, 

crudele. Aveva la pelle dura quel prete ! E il giorno 
appresso : 

— Come va? Perchè hai tardato tanto? 

— Non volevano farmi entrare. Mi ha riconosciuto. 
Mi ha detto : — Ringraziate il marchese ! — parlava 
con un fil di voce. — Ditegli che preghi per me! 

— Ah !... Poveretto ! 

Ma, .nel suo interno, egli dava un significato iro- 
nico alle parole riferitegli da Titta; e cosi giustifi- 
cava il rancore che gli faceva desiderare più pronta 
la sparizione di colui che possedeva il suo segreto, 
e che era per lui, non solamente un rimprovero 
continuo, ma un pericolo; o, se non un pericolo, 
un'ossessione che gli dava fastidio. 

E quando udì in Casino (vi era andato a posta 
per sentire quel che si diceva) quando udì raccon- 
tare dal notaio Mazza che don Silvio aveva detto a 
sua sorella : — Abbi pazienza, fino a venerdì a ven- 
tun'ora! — i tre giorni e mezzo che ancora man- 
cavano gli pai'v'ero una eternità. Sarebbe stato vero? 



Il venerdì non potè restare ad attendere che la 
campana grande di Sant'Isidoro suonasse a morto 
a yen t un'ora, com'è di rito. Il cameriere del Casino 
era stato mandato a informarsi, anche per la curio- 
sità di sapere se la predizione — e tutti lo crede- 
vano — si sarebbe avverata. 

Vedendo che don Pietro Salvo cavava a ogni 
cinque minuti V orologio di tasca, il dottor Meccio 
esclamò : 

— Stiamo qui a tirargli il fiato di corpo. E scon- 
veniente ! 

— Andatevene, Chi vi trattiene? 

Erano sul punto di bisticciarsi; ma dalla canto- 
nata spuntava don Marmotta come il cameriere era 
soprannominato. Veniva col suo comodo, dando la 
notizia a quanti lo fermavano, riprendendo a cam- 
minare a passi lenti, con la testa ciondoloni che 
sec^ondava il movimento dei passi, senza curarsi che 
fosse impazientemente aspettalo. 

Il marchese gU andò incontro: 

— Ebbene? 

— E s{)irato proprio alio scocco di ventun'ora. 

Si ora immaginato di dover respirare più libera- 
mente a quella notizia. Invece, rimase là, dubbioso. 
Non credeva ai suoi orecchi, quasi don Sih'io avesse 
potuto fargli il cattivo scherzo di fingere di morire. 

A casa, trovò mamma Grazia che recitava il ro- 
sario in suffragio deiranima del sant'omo. 



— 173 — 

— E morto! Che disgrazia! A trentanove anni! 
Gli uomini come lui non dovrebbero morire mai ! 

— Muoiono tanti padri di famiglia ! — la rim- 
brottò. — La morte non porta rispetto a nessuno. 

Quel lutto di tutto il paese lo irritava. Lo irri- 
tava anche il pensiero della morte, che ora gli ron- 
zava nella mento con insolita vivacità e strana in- 
sistenza. Gli sembrava che qualcuno gli sussijirrasse 
dentro il cervello: — Oggi a me, domani a te! — 
E quel qualcuno, a poco a poco, prendeva le sem- 
bianze di don Silvio. 

Avrebbe voluto esser sordo per non udire le cam- 
pane di tutto le chiese che suonavano a mortorio, 
tacevano un po', riprendevano a suonare ! Sarebbe 
scappato per Margitello, se non avesse riflettuto che 
le avrebbe udite egualmente e più incupite dalla 
distanza. 

Eppure non si sentiva ancora rassicurato! Volle 
vedere il trasporto dalla terrazza davanti al Casino. 

In Piazza dell' Orologio gran calca. Il mortorio che 
andava attorno da im'ora, secondo la costumanza, 
per le vie principali del paese, doveva passare di là 
per deporre il cadavere nella chiesa di Sant'Isidoro 
dove gli avrebbero cantato la messa funebre. E già 
affluiva in piazza la gente che si riversava dalle tra- 
verse precedendo il convoglio. 

La processione s'inoltrava lentamente: confrater- 
nite con gli stendardi avvolti all'asta, frati Cappuc- 



- 174 - 

Cini, frati di Sant'Antonio, frati Minori conventuali, 
]H'cti in cotta O stola neia, Lanonici con mozzotta 
di lutto, tutti COI torcetti accesi in mano, salmo- 
dianti, e dietro, sul latalelto, iltadavere, scoperto, 
i Dn le mani in ciote, m colta e stola, e col beri-etto 
a tre spit< hi in testa, ( he Bpicta\ a su la coltre nera 
di broccato oiUta Lon flangia di aigeiico; corto, ypa- 
luto, (ol \iso giallo, con gli o<<hi socchiusi e il naso 
affilato, ■»embia\a che tentenn.^sse il capo a ogni 
passo dei poitaton 

Giunti ^ icino al Casino, essi deponevano a teiTa 
il cataletto, o la gente fa(e\a leisa attorno al ca- 
davcio poi batiaigh le mani Quattro carabiniori 
eiaiio pionti, dai lati, a impedire che strappassero 
in biaiidelh ^!i abiti del moito per tenerli come 
leliquie 

E ( Oii il inai( he se potè osspi \ ai tiene quella bocca 
(hiusa pei sempie, <he non avrebbe potuto mai più, 
mai più, udii e a nessuno d secete da lui rivelato 
111 «onfessione' Alloia SI senti foi te, vittorioso, quasi 
la fine di quell uomo fosso stata opera sua. E sol- 
tanto pei dei enza non soiiise, quando il cugino Per- 
gola gh disse alloietchio 

— Dev'esseie lunasto male don Silvio, non tro- 
\ando di la il Paiadiso* 



r * . • . " « ' ' "^ 



— 175 



XVII. 

Una mattina, quando il marchese meno se lo aspet- 
tava, don Aquilante era ricomparso non per par- 
largli, come al solito, di affari, ma per annunciargli 
con gravità: 

— Finalmente si è smaterializzato! 

11 mar(!hese, che non aveva udito bene, guarda- 
tolo in viso con stupore, reì)licò: 

— Si è...? 

— Smaterializzato! — sillabò don A(|uilante. 
Quantunque le idee e le credenze del marchese 

di Roccaverdina fossero compiutamente cangiate, 
ed egli avesse anzi, più volte, domandato ironica- 
mente all'avvocato: — Che dicono gli Spiriti? Si 
divertono ancora a tormentarvi? — (don Aquilante 
gli aveva raccontato, tempo addietro, che Spiriti cat- 
tivi, di tanto in tanto, gli riducevano catalettico il 
braccio destro per impedirgli di scrivere) — lo strano 



- ^ 



— ITO — 

aiiminzii) lo aveva rimescolato, (jiiasi si fosse trat- 
tato di un fatto di cui non si jk) tesse dubitare. 

— E ora? — domandò, neli' improvviso turl>a- 
mento. 

— Ora sarà i)iù facile interrop:arlo con certezza 
di ottenere precise risposte. Ieri Rm^co Criscione mi 
ò api)arso, spontaneamente, im minuto secondo. Ha 

. voluto forse dirmi: Eccomi a vostra disposizione. 

— Eh, via! — fece il marchese che già ripren- 
deva padronanza di sé. 

— La vostra incredulità ò irragionevole. 

— Ma, innanzi tutto, dovreste convincermi che 
Fanima umana è iminortale. 

Don A(piilante rizzò il capo, maravigliato di que- 
sto inatteso linguaggio. 

— La scienza,... — continuò il marchese. 

— Non mi parlate della scienza officiale — lo Inter- 
ruppe Tavvocato. — E la più massiccia ignoranza! 

— .... la scienza positiva richiede fatti accertati, 
che si possano provare e riprovare. La scienza.... 

11 marchese gli ripeteva, con enfasi, frasi, periodi 
interi dei libri prestatigli dal cugino, e credeva di 
chiudergli la bocca. 

— Patti, sissignore ! — riprese don Aquilante. — 
Accertati, sissignore! Solamente, poiché certi fatti 
non fanno comodo ai materialisti, essi fingono di 
non vederli. Ma i fatti non per questo non sono 
veri, non per (juesto rimangono annullati! 



— 177 — 

— Quando non si può vedere né toccare con 
mano.... 

— Vedreste, tocchereste con mano, se aveste Ta- 
nimo di tentare resperimento. 

— Ah!... Credete, forse, che scaldandomi In fan- 
tasia e mettendomi paura, giungerete a farmi ve- 
dere quel che non è? Infine, sarebbe un'allucina- 
zione, niente altro! 

— E se Rocco ci rivelasse: "Mi ha ucciso il tal 
dei tali V „ 

-:- E impossibile ! 

— E ci desse le prove V 

— E impossibile ! 

— Dovreste fare da medium. Egli vi era persona 
affezionata e fedele. Nessuno meglio di voi potrebbe 
servire ad evocarlo. 

— Ma io non mi metto a fare certe sciocchezze ! 

— I vostri famosi scienziati rispondono appunto 
cosi. 

— Ed hanno ragione. 

— Che ci rimettereste, a coadiuvarmi? 

— Siete venuto a posta per questo? 

— Si, marchese. Da qualche tempo in qua, un 
rimorso mi tortura. Ho lungamente riflettuto intorno 
al processo e alla condanna di Neli Casaccio. Temo 
(*he i giurati non siano incorsi in uno di quegli ine* 
vitabili errori giudiziari che fanno scontare a un in- 
nocente il delitto di un reo rimasto ignoto. 

Capuana, Th Marchese di Tloccaverdina^ 12 



"r^i"5T 



- 178 - 

— Perchè?... E che vorreste fare? 

— Quel che fareste voi, che farebl)e quahinque 
onesta persona in questo caso : rimettere la giustizia 
su la giusta via. 

— In che modo?... Su quali indizi? 

— Ce lo dovrebbe dire lui! 

— Pensate di farmi impazzire con le vostre strego- 
nerie?... Domandate piuttosto agli Spiriti se avremo 
presto la pioggia. Non possono far piovere cotesti 
signori?... Mi stupisco che un uomo intelligente e 
dotto come voi si perda dietro a tali fandonie. Vo- 
lete una spiegazione ? — soggiunse. — Ve la darò io, 
che sono un ignorante a petto vostro. Ora che siete 
stato preso dagli scrupoli intorno a quel processo, 
pensa e ripensa^ vi si è .esaltata la fantasia.... Ed ecco 
in che modo vi è parso di vedervi apparire dinanzi.... 

Non volle neppure nominare Rocco Criscione. 

Come mai don Aquilante si era messo a riflet-- 
tere, per l'appunto, intorno al processo di Neli Ca- 
saccio?... Che sospetti aveva dunque? E contro di 
chi ? Era venuto per tastar terreno ?... L'apparizione 
poteva essere una storiella inventata a bella posta 
per notare che impressione gli avrebbe prodotto su 
r animo. Fortunatamente, egli era rimasto tran- 
quillo.... Perchè mostrargli di aver paura delle pre- 
tese possibili rivelazioni? Chi doveva poi farle, in 
realtà ? Quando si è morti, è per sempre ! 

Aveva anche pensato a tutto questo parlando. 







- 179 - 

E quantunque gli titubasse in fondo al cuore Io 
sgomento delle cose misteriose che inA'ade, in certi 
momenti, fin gli uomini più intrepidi, non aspettò 
che don Aquilante gli rispondesse. 

— Intanto, — riprese subito, — per farvi vedere 
che non sono, come dite, irragionevole, mi dichiaro 
pronto a contentarvi. Vedere e toccare con mano, 
s'intende! E così non ne riparleremo più.... Purché 
non ci siano pratiche difficili e troppo lunghe ; non 
ho tempo da perdere. E spero di rendervi il gran 
servizio di togliervi di testa queste corbellerie. 

— Lo fate per curiosità, o con animo ostile? 

— Mettete le mani avanti? Agisco in buona fede, 
ve lo assicuro; più per voi che per me. Vedrete. Vi 
passeranno pure gli scrupoli, i rimorsi. 

— Eccolo! — esclamò don Aquilante. — Non ha 
atteso la chiamata. 

Istintivamente, il marchese girò gli occhi attorno. 
Il cuore gli batteva forte, la lingua gli si era tutt'a 
un tratto inaridita. 

— State in orecchio! — La voce di don Aqui- 
lante era diventata cavernosa. — Darà un segnale 
della sua presenza. 

Il pallore, il lieve trèmito che gli agitava la testa 
e le mani, la voce alterata mostravano che don Aqui- 
lante non era davvero nello stato ordinario. 

E il marchese tendeva T orecchio, trattenendo il 
respiro. 



— 180 - 

— Avete sentito? — domandò don Aquilante. 

— No. 

— Eppure ha picchiato forte sul tavolino! 

— Non abbastanza forte, pare. 

Dopo questo primo insuccesso, il marchese comin- 
ciava a rassicm*arsi ; continuava però a trattenere il 
respiro, a stare in orecchio. 

— Avete sentito ora? 

— No. 

— Udit<^? Picchia più forte. 

— Non credo di esser sordo! 

— Vi prende una mano, — disse don Aquilant<:^ 
dopo qualche istante di pausa, — per assorbire altro 
fluido vostro e poter produrre il fenomeno in modo 
che possiate percepirlo anche a'oì.... Prestatevi, cedete. 

Il marchese ebbe mi brivido «ghiaccio per tutta la 
persona. Don Aquilante lo guardava negli occhi con 
ansiosa intensità. 

— Niente! — esclamò il marchese. 
L'avvocato corrugò la fronte e stette un pezzetto a 

rapo chino, agitando le labbra quasi parlasse da so. 

— Insomma?... — domandò il n^archese impa- 
ziente. 

— Non vuol dirmelo! 

— Ah! 

— Vuoi dirlo soltanto a voi. Promette che verrà 
a dirvelo in sogno. 

— Lo sapevo ! — esclamò il marchese emettendo 






— 181 -- 

un gran respiro di soddisfazione. — Lo sapevo che 
la cosa doveva terminare in burletta! 

— Verrà, certamente. Ecco, va viaL.. E sparito! 

— E questo Io chiamate vedere e toccare con mano? 

Il marchese rideva, si muoveva per la stanza, sti- 
rando le braccia, tendendo le gambe, quasi per sgran- 
chirsi e scuotersi d'addosso quel senso di faticosa 
aspettativa che lo aveva fatto stare immobile più di 
tre quarti d'ora. 

— E questo lo chiamate vedere e toccare con 
mano ? 

Voleva prendersi la rivincita su don Aquilante che 
gli aveva messo una bella paura, non ostante ch'egli 
non avesse mai creduto, e molto meno ora, a quelle 
magherie. 

In sogno?... Va bene! E sorrideva internamente. 

Raccontò la scena al cugino Pergola e ne risero 
insieme; la raccontò anche alla zia baronessa, a cui 
nessuno poteva levar di testa che nella brutta fac- 
cenda non ci fosse entrato lo zampino di quella don- 
naccia! E cosi facendo, gli sembrava di acquistare 
maggiore coscienza della sua sicurezza. 

Pure, per più notti di sèguito, andò a letto con 
l'indefinito terrore di rivedere in sogno la sua vit- 
tima. Se Rocco avesse mantenuto la parola, sarebbe 
significato che davvero.... Ma non la mantenne né 
allora, nò dopo! 

Il marchese però non sapeva spiegarsi quella sma- 



— 18? — 
dia di attività che da qualche te[n)>o in qua lo urgeva, 
. spingendolo (.top[)0 fuori dalle sue vecchie abitudini. 
I! cugino, il dottor Meet^io e parecclii altri, picchia 
e ripicchia, avevano un po' scosso la sua risoluzione di 
mantenersi assolutamente estraneo alle fiere lotte mu- 
nicipali. Resisteva ancora, ina con visibile fiacchezza: 

— Dove volete conduriniV A che prò? Tanto, non 
mi pei-suaderettì «he vi sia da fare un po' di bene 
iioll'atTufTuta amministrazione coniiinalo ohe si reggo 
apiwna a furia di tasse! 

— Il comune ha tesori, marchese! Ma bisogna 
strapparli di mano a coloro che se li jiosse^^ono 
tranquillaiiiont* perché mm si ò mai ardito di dì- 
sLurbarli. Affari del comune, affari di neì«juno! È la 
bolla massima che provale. 

— E prctemleivate che mi metta all'opera io, dot- 
to i-e V 

— Lei non ha interessi jiarlicolari. Cioè, ne ha: 
ò debitore del Oonumo anche lei, \ìev ilargitello, dopo 
lo aoioglimeiito dei diritti j)romiscui. Dovrebbe dare 
reseni]uo con un'onesta transazione. 

— E ì sequestri dei ci-eiiitori? Non ine lì levate 
di addosso voi. 

— Si convochino, tutti; s'invitino a transigere an- 
che loro. Sarebbe conm invitarli a noazo. Non vedono, 
da mezzo secolo, il becco d'un quattrino! Se lei po- 
tesse dire agli altri debitori: Fate come ho fatto io.,.. 

— Penserebbero; ■'Il marchese di Roccaverdina 



— 183 — 

è proprio ammattito ! „ E dovrei stuzzicare il vespaio 
io? Perchè tutti mi diano addosso? Perchè io perda 
quel po' di pace che i miei affari mi lasciano? 

— Non dobbiamo essere egoisti, cugino! 

— E voialtri ? Ve ne state con le mani in mano 
voialtri. 

— Io predico al deserto, da anni ed anni! Sono 
un povero medico, non ho autorità.... 

— Eppure ho sentito dire che una volta, per tap- 
patavi la bocca, non so qual sindaco vi disse : Fate. 
Avete carta bianca. 

— A parole!... Non mi costringete a vuotare il 
sacco, marchese ! 

Lo attiravano in un angolo del salone del Casino y 
insistenti, parlando sottovoce come se stessero a mac- 
chinare una tenebrosa congiura, dando occhiate di 
traverso a coloro che passeggiavano in su e in giù, 
e che, fingendo di discorrere insieme, tendevano 
Forecchio, spie del sindaco e degli assessori. 

— Vedete quel don Pietro Salvo? Non si muove 
mai di qui. Si darebbe tutt'assorto nella lettura dei 
giornali. Invece, non perde una sillaba di quel che 
qui dentro si dice ; e la sera va da suo compare l'as- 
sessore, ad referendum! 

Il marchese non si decideva a rispondere sì o no : 

— Vedremo. Sono cose da pensarci bene. Quando 
uno prende un impegno, si trova poi legato mani e 
piedi. Non voglio impegnarmi alla cieca. 



— 184 — . 

— S'intende I 8'intende! 

Ma se imprendeva a parlare dei suoi progetti 
agrari, sùbito si accalorava. Allora tutti facevano 
circolo attorno a lui, spalancavano tanto di orecchi, 
sgranavano gli occhi, quasi stessero per afferrare, là, 
con avide mani, la loro parte delle immense ric- 
chezze che il marchese faceva rigurgitare, con un 
colpo di bacchetta fatata, davanti alle immaginazioni 
che la miseria di quelle tristi annate lasciava sovrec- 
citare facilmente. 

E ogni vite si trasmutava in un ceppo di oro! E 
ogni chicco d'uva in un brillante ! Filari intermina- 
bili! La vasta pianura, laggiù, doveva diventare, in 
poco tempo, un unico meraviglioso vigneto! E le 
colline con quei boschi di ulivi ! Bisognava costrìn- 
gerli a produrre annualmente, potandoli bene, non 
diramandoli troppo, non mortificandoli con la bar- 
barica bacchiatura che ne troncava i nuovi polloni 
ancora teneri e disperdeva il futuro raccolto ! 

Soltanto una forte Società poteva produrre questo 
miracolo ! 

Nemmeno un sol grappolo di uva di tutto il ter- 
ritorio di Ràbbato doveva essere pigiato noi pal- 
menti privati! Nemmeno ima stilla di vino doveva 
entrar in botti che non fossero quelle del loro sta- 
bilimento ! 

E le ulive, colte a mano a una a una, fresche fre- 
sche, di filato alla macina, senza che vedessero nep- 



*— - —^- 



-^ 185 - 

pur da lontano quei fetidi camini, quelle stufo che 
le concocevano e le facevano rancidire! 

E nemmeno una goccia d'olio fuori dei coppi della 
Società ! 

— E i quattrini, marchese? 

— Si trovano, si debbono trovare. Si va a una 
Banca: — Ecco qua l'intera nostra produzione ; noi 
vogliamo attendere, per la vendita, che i prezzi 
si rialzino; intanto, dateci il denaro che ci occorre. 

— E sùbito: — Tanto a te! Tanto a me! Tanto 
per la coltivazione; tanto per fondo di risenta.... 

— Si fa così dappertutto. Soltanto noi dormiamo 
come ghiri; e svegliandoci, vorremmo trovare la 
tavola apparecchiata e metterci a mangiare e a 
scialare ! 

Gli ascoltanti avevano l'acquolina in bocca, assa- 
poravano la imbandigione, storditi anche dalla voce 
del marchese che si era eleyata a poco a poco, ai 
toni più acuti. 

— Ma io mi sfiato inutilmente, — egli aveva con- 
chiuso una volta (e infatti si era arrochito). — Ba- 
sterebbe, per cominciare, che fossimo soltanto una 
diecina. Gli altri accorrerebbero dopo, dovrebbero 
pregarci in ginocchio per essere ammessi nella no- 
stra Società.... Patti però, non parole. Contratto in 
piena regola con firma e bollo notarile; se no, lo so 
bene come si andrebbe a finire. Si dice: — Tric-trac 
di Ràbbato, — E proprio vangelo. Prendiamo fuoco, 



— 180 — 

farciamo un po' di rumore, un pò* di fumo.... o festa! 
Chi si ò visto si è visto. 

— lo sono pronto a redigere gratis il contratto, 
— disse il notaio Mazza. — Chi vuol dare l'assenso 
sa dove trovarmi. 

E il tric-trac, quel giorno, prese fuoco; e la So- 
cietà Acjricola fu fondata, con otto soci appena, pur 
di cominciare! 

— E voi, don Pietro? Con le vostre vigne della Tor- 
retta, coi vostri ulivi di Rossignolo? 

Don Pietro Salvo che entrava in quel momento 
e aveva capito di che si trattava, rispose con una 
spallu(*ciata, e soggiunse: 

— Volete sapere una notizia? Neli Casaccio è 
morto nel carcere ; me Tha detto il Sindaco or ora. 

11 marchese trasalì. 

— Belle notizie ci apportate ! — esclamò per na- 
scondere il turbamento. 

Per alcuni minuti non si parlò di altro. 

E (piando il notaio Mazza, tratto in disparte don 
Pietro, cercò d'indurre anche lui ad entrare assieme 
con gli altri nella Società, don Pietro rispose : 

— I Roccaverdina sono stati sempre uno più 
matto dell'altro ; e il marchese non dirazza. Ha 
scelto bene il momento! Si muore di fame; e, se 
non piove, chi sa dove andremo a finire tutti 
quanti ! 



- 187 — 



XVIll. 

Erano anni che il marchese e suo zio il cavaliere 
don Tindaro non si guardavano in faccia. 

Dal giorno che il marchese non aveva voluto per- 
mettergli di metter sossopra i terreni di Casalicchio 
per scavarvi le antichità che, secondo lui, vi si tro- 
vavano sepolte, don Tindaro, soprannominatolo sprez- 
zosamente marchese contadino^ gli avea fin tolto il 
saluto. 

Ora si erano trovati inattesamente faccia a faccia 
nello stesso albergo, in Catania ; il marchese, per 
un prestito di settantamila lire presso il Banco di 
Sicilia, il cavalier don Tindaro per la vendita della 
sua collezione di vasi antichi, di statuette e di mo- 
nete, a un lord inglese che, egU diceva, buttava via 
le sterline quasi fossero soldi. 

E la gioia per quella vendita era stata tale, che 
iJ cavaliere, dimenticata la grave offesa della non 



periiicsaa esptorazioiio ili Cj:^iIiccliio, gli uveva 8ie»o 
la inailo : 
— Infine, sol figlio di mio fralello !.., Vieni ave- 

■olleaiono si trovava anfora nella sua Stanza 
i aui oommò e stiL tavolini; doveva consc- 
11 giorno dojK). Egli non usciva dall'albei^o un 
, per farle la guardia, e anche jier riempir- 
li owhi l'ultima volta. Non li avrebbe più lì- 

qiiei preziosissimi Of^etti che formavano, da 
nni, la stia <:oasolazinne o il suo orgoglio ! Si 
; stringere il cuore riiwnsandoci. Lo confor- 
ero l'idea <)ie il suo nome si l^rerebbe su 
i^a nel Museo di Londra ; questo era il patto. 
3rrt comprava per conto del Museo di Londra. 
'l'ontamila lire, nepote mio ! 
^i sembrano molte? Ne avete speso per lo 
il (loppio. 

andonio! Dieci lire oj^ì, venti un altro gioino.... 
ano a casa tutte a una volta,... A questi 
di luna! 

le no rallegra. Ma non dovreste ricominciare ; 
'ebbero di nuovo. 

ih, se tu volessi permettermi !,.. La indica- 
I precisa : Caaalicciiio ! Ora là non c'è casale 
nde nò piccolo. Ma in antico doveva esservi ; 

non si danno a caso. Nò a caso sì dice : A 
■chio c'ò il tesoro! 



-^ Se vi facessi una proposta ? — lo interruppe 
il maii^hese. 

— Quale? 

— Vi leverei certamente la tentazione di sciu- 
pare questo povere trentamila lire. Impiegatene due 
terzi soltanto nelle costruzioni della Società Agri- 
cola fondata da me. Io sono qui per conchiudere un 
prestito di settantamila lire a tale scopo. 

— Ne riparleremo.... Intanto osserva : questo solo 
vaso, sei mila lire! Della più bell'epoca grecii! Si- 
sifo che spinge in alto un masso.... Mitologia !... 
Prima della venuta di Gesù Cristo ! 

— Quando penso che avete spiantato le vigne a 
Porrazzo per scavarvi sepolcreti! Dovreste ripiantarle. 
Quelli di Porrazzo sono i migliori torroni per vigneto. 

— Ne riparleremo, nepote. Tu hai la testa allo 
vigne, ai vini. Io non bevo vino, lo sai. 

— Lo bevono gli altri, e debbono comprarlo per 
forza. 

— Non pianterai vigne anche a Casal icch io ! La- 
sciami, prima, fare almeno qualche saggio. Quando 
<ii ini posto si dice : " C'è il tesoro ,, signifit^a.... 

— Ebbene, scaverete a Casalicchio! 

Il cavaliere don Tindaro gli saltò al collo per 
abbracciarlo. 

— Allora.... tutto quel che vuoi.... Due terzi, no; 
metà, quindici mila lire.... Non si trovassero là che 
due soli vasi del valore di questo col Sisifo...! 



— IfK) — 

— E se non si trovano? 

— Li vego:o da qui; mi pare di averli* tra le 
mani.... Ma, un momento!... C'entra pure quelVempio 
nella tua Società? 

— Oh, zio! Bisogna finirla; oramai è vostro ge- 
nero. 

— Niente ! Finché non avrà sposato in chiesa.... 

— Sposerà, ve lo assicuro, un giorno o V altro. 
Legalmente intanto.... 

Don Tindaro si trasse indietro, imbroncito. 

— Mi è stato detto — riprese, quasi masti- 
cando le parole — che vi siete riconciliati, come 
se la offesa fosse stata fatta a me solo e non alla pa- 
rentela tutta. Una Roccaverdina.... concubina ! È 
sua concubina — incalzò — non moglie mia fi- 
glia ! Per la Chiesa, il matrimonio.... come lo chia- 
mate? 

— Civile. 

— Incivile dovrebbe esser detto !... Matrimonio da 
bestie !... Per la Chiesa, non ha nessun valore.... 

— Coi pregiudizi che avete in testa! 

— Pregiudizi? Pregiudizio uno dei sette Sacra- 
menti ? Sei dunque diventato protestante come lui ? 
E tu pure, giacché sposi — so che sposi, dagli al- 
tri r ho saputo, per caso. Non vuol dire ! — tu 
pure non sposerai in chiesa? 

— Io.... io farò come fanno tutti. 

Il marchese arrossì. Aveva dovuto arrossire e 



( y. 



■^- 191 - 

sentirsi imbarazzato parecchie altre volte, con la 
zia baronessa e con Zòsima specialmente, per la man- 
canza di sincerità riguardo ai mutati suoi sentimenti 
religiosi. Ma in quel punto, aveva anche arrossito 
per l'improvvisa coscienza che, da più di un anno, 
la sua vita era una continua ipocrisia, una conti- 
nua menzogna fin con sé stesso. Un attimo era ba- 
stato per fargli comprendere che la smania di di- 
strarsi, di stordirsi da cui si sentiva travolgere era 
un inconsapevole mezzo di addormentare, di far 
tacere l'intima voce che minacciava di elevarsi tanto 
più forte, quanto più egli corcava di soffocarla. 

— Come fanno tutti ? — riprese don Tindaro. — 
Com'è dovere, ti faccio osservare io. 8ei cristiano 
cattolico apostolico romano? 

— Non mi son fatto sbattezzare ! 

— Neppure quell'empio' ^ì è fatto sbattezzare 1 

— Pensate che fl Vangelo comanda di perdonare 
le offese. E poi corte persone bisogna prenderle pel 
loro verso. Con le buone si ottengono tante cose* 
che non si riesce a ottenere con le cattive. 

— Perdoneresti tu nel caso mio ? Ah, tu non sei 
padre ; tu non puoi, intendere che cosa voglia dire 
vedersi strappata di casa una figlia unica! Era 
maggiorenne ? Che importa ? Il padre è sempre pa- 
dre ; la sua autorità dura fino alla morte, oltre la 
morte ! E mia figlia (una Roccaverdina !) si è ri- 
bellata, si è avvilita fino al punto...! Avrei voluto 



— 109 — 
quairiino fosao venuto a portarti via 
io\mn quando era con to!.., E si sarebbe 
un'amante. IjO avresti ammazzalo, per 
Inaia, so If volevi liene davvero!,,. Ma 
'■ lien allro. Ciiriu' (iella iiOHlra l'anie, 
nostro sangue!... Non so eonie mai, al- 
1 abbia i'oinmc)4»o un ocridio! 
ragione, zio. Quando però il male è fatto, 
ercaiTi ìi rimedio. 

im Roeeavenlina sdiietto, io; non mi 
pezzo! Se tu, invero di sangue, hai siero 
.. Quanti anni sono che non ti ho più 
i viso yiev l'affare (li Casalicchio? Oggi 
a fatto incontrare in terreno noutnile, 
■go. Ricorda però che io sono di acciaio i 
cfo, ini.ypezzo. Franfinr nonfleeiarl Nel 
IO i Roccaverdina erano soprannominali 
ni.... Coi nostri antenati non si scherzava. 
una riizza incarognita; tu, agricoltore; 
i!.., Xon c'intendiamo. Facciamo conio 
irci visti. 

■itiro la mia jiarola, no. Scavate pure 
:!to a Casalicchio. Darò ordini che vi la- 

il patto'? 

lOSfiun pattai. 

razie ! Non voglio restarti obbligato. 

pse stette un po' a guardare con grati- 



— 193 — 
tudine il vecchio parente rimessosi a riempii 
occhi di quei suoi preziosi oggetti che noo av 
riveduti più. Lo vedeva andare da un vaao e 
tre, soffiai'e dihgentemente sopra uno per in 
via qualche granellino di polvere che gli pan 
deturpasse; rivoltare un altro per ammirami 
Cora, mentr'era in tempo, le bellissime figure 
gnate con contorni neri su fondo rossiccio ; e 
pare una statuetta, una patera con dolce ci 
di amatore, 

E intanto che lo guardava, ai sentiva rini 
in cuoi-e tutto l'oi^^oglio della raaza dei Malut 
e la compiacenza di non riconoscersi degenere, 
il vecchio lo giudicava. 

Il rincrescimento della continua ipocrisia, 
continua menzogna, da cui poco prima era 
turbato, già gli pareva debolezza indegna d 
Roccaverdina. 

— Avrei voluto vederti !.., Lo avresti an: 
aatol 

Non erano parole di approvazione, di gii 
cazione? Non si scherzava neppure con lui, 
coi suoi antenati, che certamente avevano rici 
quel soprannome perchè forti e potenti!... I 
però erano cangiati, e la razza si adattava ai t 
La Società Agrìcola gli sembrava un atto di 
tenza e di forza; oggi non era possibile moa 
maluomini altrimenti. 

Capuana, Il Marchese di Roccfiierdioa. 



_ 194 ~ 

A Mai^tello, dopo tanti mesi di trista inerzia, 
cagionata dalla insistente siccità, e interrotta sol- 
tanto dall'occupazione di curare i pochi bovi rimasti, 
e di bruciare e seppellire i cadaveri di quelli che 
il tifo continuava ancora ad ammazzare, il mas- 
saio e i garzoni avevano visto airivare il marchese, 
r ingegnere e parecchi azionisti della Società agri- 
cola; i quali erano "rimasti colà una settimana per 
assistere agli studi e alle prime operazioni di sba- 
razzamento del terreno su cui l'edificio ideato dal 
marchese doveva sorgere. 

Più di una cinquantina di contadini, tra uomini 
e ragazzi, scavavano le fondamenta, trasportavano 
il terriccio, felici di guadagnare pochi soldi al giorno 
che almeno servivano a non farli morire di fame, 
loro e le loro famiglie. 

Qualche socio aveva, timidamente, fatto osservare 
al marchese che la spesa sarebbe stata, forse, ecces- 
siva per un tentativo.... 

— Dovremo poi rifarci da cap&V Tra due anni ci 
troveremo ristretti; vedrete!... E se sopr aggi unge la 
pioggia, addio! Occorrerà di scappellarci alla gonte, 
perchè ci faccia la grazia di venire a lavorare qui. 

Nessuno aveva più osato di fiatare dopo questa 
strillata. 

Si sarebbe detto che i denari presi in prestito dal 
Banco di Siciha, gli scottassero le mani, ed egli 
avesse fretta di buttarli tutti via, in legname, in 



— 195 — 

mattoni, in tegole, in calce, in gesso, in ferramenta 
di ogni sorta. 

L'atrio era già ridotto un arsenale con un bru- 
lichio, simile a quello di un formicaio affaccendato, 
di uomini che in certi momenti perdevano la te- 
sta, storditi dalle sfuriate del marchese, dagli or- 
dini e dai contr'ordini, quand'egli mutava tutt'a un 
tratto di parere intorno alla costruzione di un muro, 
all'impostatura di una porta o d'una finestra che 
non gli garbavano più, quantunque stabilite da lui 
stesso e segnate nella pianta eseguita, col suo con- 
senso, dall'ingegnere. 

Allorché questi, ogni due o tre giorni, arrivava a 
Margitello, trovava sempre qualche novità. 

— Ma, signor marchese!... 

— Mi meraviglio anzi ohe non ci abbiate pensato 
prima voi! 

E spiegava la ragione del mutamento; e il torto 
doveva essere sempre dell'ingegnere, non di lui. 

Era preso interamente da quelle costruzioni ; avreb- 
be voluto vederle già in piedi, col tetto, con le im- 
poste e tutto il resto; e gii sembrava che venissero 
su lentamente, quasi per ostile esitanza. 

Appena le domeniche si rammentava di fare una 
visita in casa della zia, dove sapeva di trovare Zò- 
sima con la madre e la sorella. Alla signora Mugnos 
non era parso conveniente che il marchese andasse 
a casa loro: 



— 196 — 

— Per evitare pettegolezzi, — ella aveva dotto 
alla baronessa. 

Ma, in realtà, perchè voleva evitare, a sé e alle 
figlio l'umiliazione dello spettacolo di quelle squal- 
lide stanze dove esse nascondevano la loro misera 
condizione, e dove le figlie passavano le giornate, e 
spesso le nottate, lavorando di cucito o di ricamo; 
e lei, che non s'era mai sporcate .le mani quando la 
famìglia era in auge, vi s'incalliva le signorili dita 
tirando il pennecchio della rocca e girando il fuso 
per conto di altri. 

— Ah zial... Dovreste venire a vedere, tutte e 
quattro. Una scarrozzata di poche ore. 

— Il mal del calcinaccio è ereditario in casa 
nostra ! 

— Ma di che si tratta? Non ho capito bene, D'un 
palmento? D'un fattoio? — domandava la signora 
Mugnos. 

E al marchese non sembrava vero di riparlarne, 
di dare ampie spiegazioni, di fare descrizioni par- 
ticolareggiate ; di condurre, quasi, le quattro si- 
gnoi« per mano a traverso i tini, i tinelli, le botti 
e i bottaccÌ]iÌ che ancora non erano al lor posto, 
ma che si sarebbero trovati là tra non molto; a 
traverso i frantoi, gli strettoi, 1 coppi pieni di olio, 
che non c'erano neppure vuoti, ma che erano stati 
ordinati, tutti di una misura e di unico modello, 
uguali a quello iu uso nel Lucchese e a Nizza, ver- 



- 197 - 
niciatl dentro e fuori, e non di semplice terracotta 
che comunicava agli oli il rancido e ne altemva il 
colore 1 

Zòeima stava ad ascoltarlo con aoave aria di ras- 
segnazione, sorridendogli ogni volta che egli si ri- 
volgeva specialmente a lei per dimostrarle che la 
stimava di maggiore intelligenza delle altre, e che 
la sua approvazione gli riusciva gradita assai più di 
quella dì ogni altra persona. 

Ma le sole pai-ole di tenerezza ohe il marchese le 
rivolgeva accora iatandoai erano serapre queste: 

— Non piove! Vedete?,,. Non piove 1 

— O'è forse frettai" — riapose Zòsima una volta. 
— Margitello intanto non vi lascia tempo di pen-. 
Bare ad altro. 

— Lo dite per rimproverarmi? 

— Non saprei rimproverarvi neppure se avessi 
ragione di farlo.... Quando sarò davvero marcliesa 
di Rocca verdina.... 

— Siete già tale, Zòaima, almeno per me. 

— Quando sarò davvero marchesa di Roccaver- 
dina, — lo ripeteva con accento scherzoso, — avrò 
certamente più agio di vedervi e dì darvi qualche 
preghiera. 

— Perchè dite coal? 

— Perchè dovrei parlarvi dì una poveretta ve- 
nuta l'altro giorno da noi 

— È vero — disse la signora Mugnos. — Voleva 



— 198 — 

la signora marchesa. — Ma qui non c'è nessuna 
marchesa, figlia miai — Eccellenza sì, la marchesa 
di Roccaverdina ! — Non ancora, figlia mia. — Ec- 
cellenza sì, la marchesa di Roccaverdina ; debbo get- 
tarmele ai piedi, per questa creatura qui, per que- 
st'orfanello.... Il signor marchese ha fatto tanto! 
Gli dobbiamo la vita. Senza di lui, saremmo morti 
tutti di fame anche prima della disgrazia di mio 
marito.,.. — E bisognò farla parlare — la signora 
Mugnos sorrideva — con la marchesa di Rocca- 
verdina ! 

— Per quel figliuolo di dieci anni, — riprese 
Zòsima. 

— Che cosa voleva?... Ohi era costei? 

— La povera vedova di Neli Casaccio. 

— Ma.... — fece il marchese, 

— E insisteva : — Per niente ; pel solo pane e i 
vestiti ; con quattro cenci lo ricopre.... pure, se lo 
prenda voscenza, per ragazzo da mandare qua e là. 
È svelto di mente e lesto di gamba, — Che potevo 
risponderle? Non ha voluto persuadersi che non 
sono marchesa di Roccaverdina! 

^ E su questo punto ha fatto bene — egli ri- 
spose. — In quanto al ragazzo, no, non è possibile 
che lo prendiamo in casa nostra. La sua presenza 
mi rammenterebbe continuamente tròppe cose tri- 
sti; no, no! 

— Povera donna! — esclamò la baronessa. 



— 199 — 

— Zia mia^ se si dovesse beneficare tutte le per- 
sone nel modo che esse richiedono !.,. Ognuno fa 
quel che può. 

— Osservo solamente — riprese la baronessa — 
che gli uomini di una volta erano più cortesi di 
quelli del giorno d*oggi. Alla prima preghiera di una 
signorina — e calcò su le parole prima e signorina 
— non avrebbero mai risposto con una negativa. 
Per lo meno, avrebbero promesso; e poi.... Si sa, 
le circostanze.... 

— Zòsima — disse il marchese — scommetto che 
voi preferite la mia.... scortesia. 

— Sì — ella rispose. 



■ E una mattina, dietro i colli di Barreae, si erano 
affacciata lo nuvole, lentamente, quasi non avessero 
viso di mostrarsi dopo di essersi fatte desiderare di- 
ciotto mesi, o quasi non riconoscessero più la strada 
da percorrere per andare verso Ràbbato. 

Sì erano affacciate lungo un gran tratto, adden- 
sandosi una dietro all'altra, spingendosi una su l'al- 
tra; poi, si erano fermate. 

Dalle finestre, dai balconi che guardavano verso 
Barrese, uomini, donne , rajjazzi protendevano le 
mani, invocandole, chiamandole come persone vìve 
capaci dì udire e d'intendere. E dalle casupole ra- 
sente il ciglione, dai vicoli, dalle vie la gente sbu- 
cava, affluiva nei punti da dove avrebbe potuto 
accertarsi coi proprii occhi che la voce corsa rapi- 
damente attorno : — Le nuvole ! Le nuvole ! — non 
fo^e stata un perfido scherzo di qualche cattivo 
burlone. 



- ~^x^y 



— 201 - 

La spianata del Castello formicolava di persone 
d'ogni classe accorse ad osservarle come spettacolo 
nuovo e inatteso. — Sarebbero rimaste ferme là? 
— Si sarebbero disperse? — Ohe attendevano or- 
mai per farsi avanti e dirompersi in pioggia ? — 

Dense, nerastre, bianohicce agli orli, esse si di- 
stendevano, si avvolgevano, si alliingavano, si con- 
fondevano insieme, formando un cupo velario sul 
fil dei colli di Barrese. 

— Non si muovono ; hanno paura di noi che stiamo 
a guardarle — disse un vecchio contadino; e rise. 

Ma nessuno rise con lui. Tutti erano intenti a 
seguire con occhi ansiosi le instabili forme che, 
lente lente, si andavano mutando, agglomerandosi 
qua, assottigliandosi là; e le labbra mormoravano 
preghiere, voti, esortazioni a le capricciose che 
non si decidevano a prendere il volo per venire a 
spargere il lor fecondo tesoro di pioggia su quelle 
terre laggiù, languenti di sete, invocanti dalle mille 
fenditure, simili a bocche riarse, il refrigerio di 
qualche stilla d' acqua e da lunghi mesi, incessan- 
temente. 

Poi, una delle nuvole più lievi si staccò, si avviò 
come nave di avanguardia, sùbito seguita da un'al- 
tra e da una terza; e le palpebre di quegli occhi 
che stavano a spiarne ogni movimento comincia- 
rono a battere frequenti dalla profonda commozione ; 
e quei cuori, tremanti per la dubbiosa aspettativa, 



— 202 — 

palpitarono di gioia vedendole venire avanti, non 
più una dietro all'altra, ma insieme, silenziosamente, 
e invadere il cielo azzurro e oscurarlo, abbassandosi 
verso terra quasi appesantite dal carico che porta- 
vano in seno. 

E, dietro i colli di Barrese, altre già ne spunta- 
vano più cupe, più scure che salivano su spinte 
dal vento di levante méssosi a spirare tutt' a un 
tratto, impregnato di umidore ; e non appena que- 
ste si eran librate nell'aria uscite fuori dalla linea 
curva dei colli, altre si affacciavano, sormontavano 
lo spazio, incalzando le precedenti che affrettavano 
la corsa verso Ràbbato, coprendo con la loro om- 
bra le campagne, le vallate illuminate dal sole, 
quasi ne divorassero lo splendore dorato di mano 
in mano che s'inoltravano verso le braccia tese in- 
contro a loro, benedicenti quelle di esse già arrivate 
su Ràbbato e che passavano avanti frettolose. 

E alle prime gocce di pioggia rare e stentate: — 
Viva ! Viva la divina Provvidenza ! — Non lo gri- 
dava soltanto quel centinaio di persone che pare- 
vano impazzite dalla gioia su la spianata del Castello, 
ma tutte le campane delle chiese squillanti a di- 
stesa, ma Ràbbato intera dai balconi, dalle finestre, 
dalle vie, dalle piazze dove la gente si era riversata 
per inebriarsi dello spettacolo della pioggia fina, 
fitta, e che ancora sembrava incredibile. 

Nessuno pensava a scansarsi, tutti volevano sen- 






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— 203 — 

tirsela sbattere su le t-este scoperte, su le facce sporte 
indietro, su le mani levate in alto con le palme 
riunite a mo' di coppa per raccogliere quella grazia 
di Dio, che irrompeva con impeto, rumoreggiando 
su le tegole, riversandosi dai canali, formando riga- 
gnoli e gore dove si gonfiavano e scoppiavano mille 
bollicine, quasi Tacqua ribollisse. 

E, sotto la pioggia, parecchi erano tornati prima 
di séra lassù, a osservare dalla spianata del Castello 
le campagne sottostanti che bevevano, bevevano, be- 
vevano e non riuscivano a saziarsi. Le viottole però, 
i sentieri, le carraie luccicavano, segnando una gran 
rete argentata su i terreni scuriti; e luccicava il 
fiume ingrossato, che serpeggiava lambendo il pie' 
delle colline ; e luccicavano i rigagnoli rovesciantisi 
su la pianura dai dossi rocciosi delle colline che non 
sapevano ohe farsi dell'acqua e la rimandavano a 
chi più ne aveva bisogno. 

E la pioggia continuava, fitta, uguale, senza tre- 
gua, stendendo un immenso velo che nascondeva le 
linee, i contorni, i colori, sfumando le masse delle 
colline e delle montagne, facendo quasi scomparire 
l'Etna, da farlo supporre una nuvola sciogHentesi 
in pioggia anch'essa, laggiù, lontano. 

Il cavaliere Pergola, riparato dall' ombrello, cer- 
cava con gli occhi i suoi piccoli fondi che si di- 
stinguevano appena, uno a diritta, uno a sinistra, 
un terzo più giù: e guardava anche verso Margi- 



r 



— 205 — 

— Eh, già I Noi poveretti abbiamo sempre torto ! 

— Tempo chiuso, cavaliere! Ogni goccia è un 
pezzo di oro che casca dal cielo ! 

— Proprio così, don Stefano! 

— Sant'Isidoro finalmente ci ha fatto la grazia! 

— Voi, don Giuseppe, s'intende, tirate l'acqua al 
vostro mulino; non siete sagrestano per nulla! 

Si aggruppavano imperterriti, senza curarsi che gli 
ombrelli li riparassero male; e, per uno che andava 
via, due, tre ne sopraggiungevano, quasi non potessero 
contentarsi di sentir scrosciare i canali e veder gon- 
fiare i rigagnoli per le vie ; volevano godersi la vista 
delle campagne che bevevano, bevevano, bevevano 
e non arrivavano a saziarsi! Ah, quella pioggia 
avrebbe dovuto durare una settimana, senza smet- 
tere un solo momento! Ci volevano pei terreni al- 
meno tre palmi di tempera! 

Da una finestra di Margitello l'ingegnere additava 
al marchese la gente che stava a guardare su la 
spianata del Castello. Non ostante il velo steso dalla 
pioggia, si distinguevano le macchiette nere che ap- 
parivano, cangiavano posto, si diradavano, torna- 
vano a radunarsi. 

Era giunto fin laggiù lo scampanio di tutte le 
chiese alle prime goccie di pioggia. E colà, contadini 
e lavoranti si erano abbandonati a una frenesia di 
grida, di salti di gioia nel cortile, mentre i ragazzi 
si divertivano a pestare coi piedi nelle pozze e a 



■v-::'*^ 



— 206 — 

sbruffarsi in faccia, Tuno a l'aJtro, Tacqua raccolta 
nelle palme. 

Ora, affacciati alle porte delle stanze a pianter- 
reno, si davano spintoni per buttarsi fuori a vicenda 
a prendere un'insaccata di quella che veniva giù 
fitta quasi la rovesciassero con gli orci. 

— Ehi, ragazzi!... Finitela! — gridò il marchese 
sporgendosi dal davanzale. 

Eppure tutta queirallegria avrebbe dovuto fargli 
piacere! 

La pioggia tanto desiderata e tanto invocata, gli 
aveva messo addosso, al contrario, un sen^ di tri- 
stezza; gli scherzi dei ragazzi lo irritavano. 

Aveva ripetuto anche ultimamente a Zòsima: — 
Non piove! Vedete? Non piove! — e la risposta di 
lei: — Non c'è fretta! — gli aveva fatto una cat- 
tiva impressione, che però si era sùbito dileguata 
appena ella aveva so^iunto : — Margitello non vi 
lascia pensare ad altro! — Ed ora che la pioggia 
era venuta, e che pioggia! ora che il solo lieve osta- 
colo frapposto tra loro due era già rimosso, egli non 
solamente non ne sentiva gioia, ma stava là, da- 
vanti a quella finestra, con gli occhi fissi > su gli 
eucalitti grondanti acqua dai rami curvi e dalle 
lunghe vecchie» foglie lavate dello strato di polvere 
che le aveva fatte ingiallire e inaridke; stava là, 
con gli orchi fissi, quasi il sogno che avrebbe do- 
vuto presto avverarsi si allontanasria rapidamente, 



^.v^»^ 



— 207 — 

ed egli non potesse far nulla per arrestarlo o ri- 
chiamarlo. • 

E quel senso di tristezza che gFinvadeva il cuore 
era tanto più penoso e vivo, quanto meno egli scor- 
gesse occasioni e circostanze da doverlo indurre a 
pensare cosi. 

La casa, rinnovata, era pronta ; iJ voto di Zòsima 
esaudito. Ohe altro gli occorreva di fare, alFinfuori di 

a 

andare a prendere lei per mano, condurla davanti al 
sindaco e poi davanti al parroco, in riprova del pro- 
verbio citato spesso dalla zia baronessa: Matrimoni 
e vescovati dal cielo son destinati? In quel mo- 
mento però gli sembrava che la riprova, sì, sarebbe 
avvenuta, ma nel modo opposto a quel che egli cre- 
deva e si aspettavano tutti. 

E, appunto, quasi gli avesse letto nel pensiero, 
l'ingegnere gli diceva: 

— La signorina Mugnos dev'essere lietissima oggi. 
Per dire la verità, essa si merita la fortuna di di- 
ventare marchesa di Rocca verdina ; ma credo che se 
qualcuno, mesi addietro, glielo avesse predetto, la 
signorina si sarebbe fatto il segno della santa croce, 
come suol dirsi, quasi per scacciare ima tentazione. 

— Forse.... anch'io! — disse il marchese. 

— D mondo va cosi, per salti. Non c'è mai niente 
di sicuro per nessuno. Agrippina Solmo.... per esem- 
pio.... chi sa che cosa si era immaginato di dover 
raggiungere!... Ed è finita, prima in un modo, poi 



— 209 — 

Il marchese avrebbe voluto interromperlo sùbito^ 
appena pronunciato il nome di Agrippina Solmo ; 
ma, nella gran tristezza che gV infondeva la pioggia, 
quello spiraglio sul passato aperto dalle parole del- 
l' ingegnere, quell'evocazione inaspettata lo avevano 
un po' commosso, spingendolo a ricordare tante e 
tant'altre coso con li^ve senso di rimpianto. Perchè, 
infine, la colpa era stata tutta sua. Per vanità di 
casta, per premunirsi contro sé stesso, egli aveva 
dato marito alla Solmo, con quel tirannico patto, 
senza punto riflettere alle^sue possibili conseguenze. 

L' ingegnere, vedendo che il marchese taceva, e 
supponendo che gU accenni al passato gli fossero 
dispiaciuti, tratto di tasca un sigaro e accèsolo, si 
era messo a fumare e a passeggiare per la stanza, 
stirandosi le fedine. 

n marchese intanto, tenendo ancora fissi gli occhi 
su gli eucaUtti grondanti d'acqua, rincorreva col 
pensiero una figura bianca, con le treccie nere sotto 
la mantellina di panno blu cupo; e rincorrendola 
per luoghi da lui visti anni addietro, tra casupole 
arrampicate a la roccia quasi ad accovacciarvisi 
al riparo del vento, sentiva un sordo impeto di 
gelosia diversa assai da quella sentita una volta.... 
Poteva forse dubitare ora? Poteva forse indignarsi?... 
Non era egli stato contento che colei fosse andata 
ad abitare in quella lontana città mezza rannicchiata 
nell'insenatura di una roccia, in una di quelle ca- 

Capuana, Il Marchese di Roccaverdina. 14 



— aio — 

arrampicate su pei fianchi dì essa quasi per 
eiarvisi al riparo del vento? 
folto bruscamente Terso Tingegnere, che pas- 
a su e giù col sigaro in bocca stirandosi 
e, in atto di dirgli: — Ma perchè mi avete 
to nel petto queste ceneri ancora calde? — 
t la tristezza che io aveva invaso gliel'avesse 
addosso colui, come se gli avesse messo lui 
i occhi la vieione di Zòsima malinconiea- 
■assegnata e che diceva con voce dolente : — 
1 fretta. Margitello jion vi lascia pensare ad 



: j 



211 — 



XX. 



Nelle ore, nei giorni in cui raflfaocendamento per 
la fabbrica' e le cure della campagna non lo assor- 
bivano interamente — era bisognato provvedere alla 
rinnovazione dell'armento più che decimato dal tifo 
bovino, al dissodamento dei terreni, ad acquistare 
il grano della sementa per rifarsi dei danni delle 
due terribili "mal'annate — egli provava la strana 
sensazione di camminare su un terreno poco solido, 
ohe avrebbe potuto da un momento air altro spro- 
fondarglisi sotto i piedi. 

In quelle ore, in quei giorni, ogni sua sicurezza 
di coscienza svaniva, quasi si fosse potuto trovare 
daccapo col processo riaperto, con la imminente 
minaccia che qualche indizio sfuggito alle prime in- 
dagini del giudice istruttore dovesse rimetterlo su 
le peste di lui; quasi le parole rivelatrici, nella con- 
fessione, avessero potuto imprimersi con misterioso 
processo su le pareti imbiancate a calce della ca- 



— 'Sia — 

meretta di don Silvio e apparire, tutt' a un tratto, 
come le bibliche parole di fuoco nel convito di Bai- 
thaaaar, per perderlo irremissibilmente; quasi le 
THagherie di don Aquilante, andate a vuoto l'altra 
volta, potessero, per ignote condizioni, da un mo- 
mento all'altro riuscire; quasi tutte le cose apprese 
nei libri datigli a leggere dal cugino Pergola fossero 
dottrine inconsistenti, fallaci, ed egli ai fosse vana- 
mente rassicurato intorno a questa e all'altra vita ! 

Una mattina aveva dovuto scendere, con Titta e 
un falegname, nei mezzanini per vedere so certe 
vecchie tavole ammonticchiate nella prima stanza 
fossero ancora adoperabili. 

Vi era scese calmo, senza nessun timore che il 
ricordo del Crocifisao regalato alla chiesa del con- 
vento di Sant'Antonio potesse turbarlo. 

Ed era risalito su più sconvolto che se gli fosse 
accaduto di ritrovare di nuovo al suo posto la san- 
guinante figura inchiodata su la gran croce nera e 
avvolta nel lenzuolo sbrandellato. 

Su la parete ingiallita dal tempo, lo spazio co- 
perto dalla croce e dal Cristo avvolto nel lenzuolo 
aveva conservato intatto il colore primitivo, e. la 
impronta dei ti-e bracci della croce e del corpo del 
Cristo era rimasta cosi netta, cosi precisa, da sem- 
brare segnata a contomi sul giallo della parete da 
l'abile mano di un pittore che non aveva potuto 
sviluppai'la e dipingerla. 



- -- - , »; — fi 



— 213 — 

Il marchese si era poi dato piena spiegazione del 
fatto ; ma V impressione improvvisa era stata cosi 
forte ohe egli aveva potuto vincerla a stento durante 
la giornata. 

Un altro giorno, entrato nella cameretta dove si 
era rinchiuso per tirarsi una revolverata alla tem- 
pia, gli era tornata in mente la scena avvenuta là 
fuori tra lui e la Solmo corsa a cercarlo colà. E 
gli era parso di rivedersela davanti, con quegli oc- 
chi acoesi ohe lo scrutavano, mentr'ella gli diceva: 
— Non sono più niente per voscenza! Mi scaccia 
come una cagna arrabbiata. Ohe ho fatto? Che ho 
fatto ? — Se non che ora gli sembrava di non aver 
notato allora la terribile espressione di quegli occhi 
che forse volevano dirgli': — Io so! Ma taccio! E 
voscenza lascia credere che ho fatto ammazzare io 
Rocco Oriscione ?... Io so! Ma taccio! — 

Sospetto ohe non gli era passato mai per la t-esta. 
Perchè gli spuntava in mente ora? 

Le brevi lettere che di tanto in tanto ella gli fa- 
ceva scrivere quasi per rammentargli che era viva, 
non significavano forse : — Io so ! Ho taciuto finora ; 
ma potrei parlare. Non mi disse, ricorda voscenza? 
meglio per te e per me se lo avessi fatto- ammaz- 
zare tu ? Ohe intendeva ? — Gli era parso di sen- 
tirla parlare cosi! 

Anche quel giorno avea dovuto stentare per vin- 
cere Fossessione dell'orribile sospetto. E per ciò e 



— 214 — 
incoia egli aveva talvolta la turbatiicc 
di camminare su un terreno poco solido 
e potuto, da un momento all'altro, spro- 
sotto i piedi. 

tpava a tutto per sostenersi ; e, appena 
nuovo rassicurato, sorrideva di quei ter- 
prendeva coi suoi ner\-Ì, 
archese avesse i nervi irritati lo vede- 
Guai a fare una piccola cosa che non gli 
erso! Lo sapevano, pur troppo 1 mamma 
ta, il massaio e i garzoni, l'ing^nere, ì 
i falegnami che lavoravano a Margi- 
li poveri contadini mal pratici nell'ado- 
ratri di nuovo modello, non ostante le 
consigli da lui' prodigati- 
ne settimane che egli non tornava a 
iche per evitare l'impaccio di una visita 
onessa e di un abboccamento con Zòsima, 
1 più dirle: — Non piovel — Acqua n'era* 
ta, per due giorni e due notti di sèguito! 
già schiumavano, inverdivano, frettolose 
ogliare i semi delle erbe d'ogni sorta ri-, 
rmentati e ino()ero9Ì tra le zolle indurite. 
pensare al matrimonio con quella fab- 
Stabilìmento a cui egli doveva badare da 
ira, perchè si fosse potuto trovare pronto 
arrivassero le macchine e i coppi e le 
Uocare a posto? 



— 215 — 

Oome pensare al matrimonio con tante faccende 
campestri per le quali era costretto a scarrozzarsi 
da Margitello a Oasalicchio, da Casalicohio a Pog- 
giogrande, volendo osservare ogni cosa lui, sorve- 
gliare tutto lui ! Poteva fidarsi di quei stupidi con- 
tadini che non capivano nulla o fingevano di non 
capire ed eseguivano gli ordini a rovescio per farlo 
disperare e sgelare? 

Quando però, dopo la colazione con Tingegnere o 
con qualcuno dei soci, andato a Margitello a os- 
servare lo stato dei lavori, si affacciava alla finestra 
e vedeva là, a un centinaio di passi di distanza, le 
mura già coperte dal tetto, le finestre con le solide 
inferriate e le imposte, e il via vai dei muratori 
che lavoravano neirinterno, e udiva il rumore delle 
seghe, delle pialle, dei martelli dei falegnami che 
allestivano le porte, egli si sentiva gonfiare il petto 
di orgogliosa soddisfazione. 

— Ve lo sareste immaginato mesi fa? 

— Portenti vostri, marchese ! 

Quei soci erano un po' imbalorditi pensando an- 
che ai gran quattrini già spesi. Li aveva anticipati 
il marchese, è vero, ma alla fine essi dovevano venir 
fuori dalle loro vigne, dai loro olive ti, quantunque 
a poco a poco ; intanto avrebbero assorbito altro che 
i primi guadagni! E questi erano poi certi, sicuri? 

— Ci siamo imbarcati in una grossa impresa! 
r— Ohi non risica non rosica. Ecco come siete! 



— 216 — 

S'indispettiva di vederli dubitare davanti a quel 
fabbricato sorto da sottoterra per incanto e ohe tara 
non molto, sarebbe avvivato dall'attività delle mac- 
chine e colmato, negli spazi ora vuoti, dai coppi 
e dalle botti (K)ntenenti tesori! 

E per rincorare gli spericolati, li conduceva là 
dentro, tra l'ingombro dei materiali, facendoli mon- 
tare su le impalcature non disfatte, saltare qua e là 
a traverso sbarre di ferro, legname, arnesi da mu- 
ratori; fermandoli a ogni quattro passi per ridare 
spiegazioni cento volte date, per eccitare le loro im- 
maginazioni perchè vedessero le cose come appari- 
vano agli occhi di lui, in pieno assetto, coi torchi 
sprementi le ulive infrante e colanti olio a rivoli; 
coi mosti che fermentavano nei tini e davano alla 
testa. Per poco egli non spillava limpidi vini dalle botti 
e non glieli porgeva nei bicchieri ad assaggiarli ! 

— Ma dunque, nepote mio? 

Finalmente avea dovuto andare dalla zia, prepa- 
rato ai rimproveri che ella gli avrebbe fatto. 

— Cara zia !... Appena mi sarò sbarazzato di questi 
impicci. Faremo presto, in poche settimane. 

— Tutto alla buona, modestamente, senza lusso, 
desidera Zòsima. 

— Questo non deve dirlo lei. D marchese di Roc- 
caverdina non può sposare come un galantomuccio 
qualunque. 

— Lo credo anch'io. Ma quella povera figliuola 



--?-. 



— 217 — 

non rinvi€>ne ancora dallo stupore di veder avve- 
rare il suo sogno. Ha paura di rallegrarsi troppo 
presto della sua buona sorte. E io debbo trovare 
ogni volta un nuovo sotterfugio per far accettare a 
lei e alla sua mamma quel po' con cui tu ed io 
vogliamo farle accorgere della loro mutata fortuna. 
— Abbiamo quel che c'è sufficiente. Ormai, ci siamo 
abituate !... — Quel suo famoso : Ormai ! Mi fa pena 
intanto l'altra ragazza. Si farà monaca, dice. 

— Ora che stanno per abolire i monasteri? 

— Dio non lo permetterà! 

— Penseremo anche a lei. Ci penserà Zòsima. La 
marchesa di Roccaverdina riceverà una dote, e potrà 
disporre di qualunque somma, a suo piacere. 

— La conosci poco. Le parrebbe di abusare del 
suo St»ato. Ha tutte le delicatezze quella figliuola. 
Giorni fa, mi diceva: -r- Deve trovarsi male con 
mamma Grazia. E persona fidata, affezionata, pro- 
prio una mamma. Una casa come quella però ha 
bisogno di una donna che sappia.... 

— Infatti ha ragione. Da qualche tempo in qua, 
mamma Grazia va giù, va giù; è mezza istupidita. 
Ma posso mandarla via? Chiuderà gli oc<jhi in casa 
Roccaverdina, poveretta ! 

— Mi diceva anche.... Debbo riferirtelo, perchè tu 
la disinganni ; il tuo modo di comportarti non è 
tale, in verità, da tranquillarla. Mi diceva anche: 
" Se lo fa unicamente per contentare sua zia (giac- 



J *, 



— 219 — 

— Germoglia a vista d'occhio; sembra che scoppi! 
— rispose il marchese. 

— Era tempo! — esclamò la baronessa. 
Cristina non diceva niente. Si era seduta vicino 

ai seggioloni dove i due superstiti canini della ba- 
ronessa stavano accovacciati coi musi appoggiati 
sul piano imbottito e con gli occhi socchiusi, e ne 
accarezzava con una mano le teste che mostravano 
di gradire assai la carezza, tremando leggermente 
ed abbassandosi sotto la mano. 

Intanto il marchese, tratta im po' in disparte Zò- 
sima, le diceva quasi sottovoce: 

— VogHo giustificarmi. 

— Di che cosa? 

— Di quel che voi sospettate. 

— Non sospetto niente; temo. E naturale. 

— Non dovete temere di nulla. 

Guardandola e sentendola parlare, egli ricono- 
sceva più chiaramente il suo torto; e le parole di 
una volta: — Questa è la donna che ci vuole per 
me! — gli ronzavano nel cervello come un rim- 
provero. 

— Un po' di pazienza — riprese. — Qualche altro 
mese ancora. Voglio liberarmi dall'ingombro di pa- 
recchi affari. In certi giorni, ho una specie di stor- 
dimento, tante sono le cose a cui mi tocca di ba- 
dare. Dovrebbe farvi piacere questa febbre di atti- 
vità, dopo il mio balordo isolamento. 




— 220 — 

— Non me ne sono mai lagnata. 

— Lo credo ; siete immensamente buona. Voglio 
farvi ridere. Ho pensato di dare il vostro nome alla 
botte grande dello Stabilimento ; porterà fof tuna al- 
l'impresa. 

— Grazie! — disse Zòsima sorridendo. 

— È una sciocca idea, forse.... 

— Niente è sciocco se fatto seriamente. 

Lieto della risposta, egli tacque un istante; poi 
riprese : 

— È vero che vostra sorella pensi di farsi mo- 
naca ?.... 

— Non lo so; può darsi. 

— Dissuadetela. 

— Assumerei una grande responsabilità. 

— Non vi ho mai palesato una mia idea. Non 
voglio separarvi dalla mamma e dalla sorella. La 
mia casa è abbastanza vasta da poter accogliere anr 
che loro. 

— Ve ne sono gratissima da parte mia. La mamma 
però ha ima partioolar maniera di vedere le cose. 

— La sua delicatezza non potrà offendersi dell'in- 
vito ad abitare in casa di sua figlia. 

— La nostra condizione c'impone molti riguardi 
di dignità. Quante volte non ho io pensato : — Ohe 
diranno di me? — È vero che non bisogna occuparsi 
della malignità della gente. Basta la propria coscienza. 

— Io non mi sono mai occupato dell' opinione 



-TTitfri " i 



^ 221 — 

degli altri. Non mi chiamo Antonio Schirardi raar- 
chese di Roccaverdina per nulla! 

— A voi sarà lecito; ma una famiglia come la 
nostra^.. 

— I Mugnoe non sono da meno dei Roccayerdina. 

— Erano! 

— Jl sangue non muta; il nome è qualche cosa. 

— C'è un orgoglio che non può essere scompa- 
gnato dai mezzi 4i farlo valere. Io la penso come 
la mamma. E per ciò ho detto alla barohessa quel 
che deve avervi riferito^ se ho ben compreso il si- 
gnificato delle vostre prime parole. Siate sincero, per 
vostro bene e mio! Tutto è rimediabile ora. 

— Quando il marchese di Roccaverdina ha impe- 
gnato la sua parola.... 

— Potete esservi ingannato. Qui non si tratta 
della vanità di mantenere o no la propria parola. 
Io vorrei detto da voi.... 

Ella parlava con gentile timidità, quantunque 
non timide fossero le parole. La voce era alquanto 
affiochita dalla commozione, e anche dalla circo- 
stanza di dover ragionare alla presenza della baro- 
nessa, della mamma e della sorella. 

n marchese, ammirando 1' assennatezza delle pa- 
role di Zòsima, cominciava a scoprire che sotto 
quel contegno nobile e riserbato covava un fuoco 
intenso, a cui soltanto la fortezza della volontà di 
lei non permetteva di divampare. 



Ebbe uno slancio; e prendendole le mani con ra- 
pido gesto, senza eh' ella avesse tempo d' impedire 
quell'atto, disse : 

— Non ho altro da dii-vi, Zòsima, che sono di- 
spiaoentissimo di avervi dato occasione di dovermi 
parlare cosi ! 

Una leggera pressione delle belle mani di lei fu 
la risposta. 

Zòsima abbassò gli occhi, col volto colorito da una 
sfumatura di roseo. 



'^, 



— 223 — 



XXI. 



Ma non si decideva. 

Sentiva qualche cosa dentro di sé, che sopravve- 
niva sempre ad arrestarlo nei momenti in cui egli 
avrebbe voluto prendere finalmente una risoluzione ; 
qualche cosa che somigliava a una superstiziosa 
paura, a una vaga apprensione di pericoli appiattati 
nell'ombra e pronti a slanciarsi sopra di lui appena 
si fosse deliberato ad attuare quel progetto inizia- 
tore della nuova fase della sua vita. 

E cavava fuori oggi un pretesto, domani un altro, 
con una specie di inconsapevolezza feconda che gli 
dava un senso di soddisfazione e di sollievo, quasi la 
scusa, il pretesto non fossero stati cercati, ma offertisi , 
spontaneamente col naturale andamento delle cose. 

Per questo il cugino Pergola, il dottor Meccio e 
gli altri erano riusciti a far breccia nell'animo di 
lui, a vincerne la repugnanza di prender parte alle 



— 224 — 

lotte municipali, quantumiue, secondo la sua espres- 
sione, non si arrivasse per mezzo di esse à cavare 
un ragno da un buco. 

Scadeva di carica il Sindaco. Menato pel naso da 
due o tre consiglieri furbi e prepotenti ohe non ave- 
vano voluto essere della Giunta per levare le ca- 
stagne dal fuoco con la zampa altrui, egli non osava 
di muovere un dito senza aver preso prima rimbec- 
cata da loro. Appunto i nomi di essi erano stati sor- 
teggiati per la rinnovazione del quinto dei consi- 
glieri. Bisognava impedire che venissero rieletti, o 
almeno far entrare nel Consiglio, invece di qualcuno 
di loro, il marchese che sarebbe poi stato il pei*so- 
naggio più importante tra quei pecoroni, capaci sol- 
tanto di dire si o.no come veniva loro imposto. 

Nomej censo, onestà, che altro poteva chieder di 
meglio il governo per nominare sindaco il mar- 
chese ? E 1(1 cuccagna di quei signori sarebbe finita 
di botto. 

— Il marchese di Roccaverdina — esclamava il 
dottor Moccio — non è un burattino da muoversi 
secondo che quei signori tireranno i fili da dietro 
la scena. 

— Avrete un plebiscito, cugino ! — soggiungeva 
il cavalier Pergola. 

E a quattr'occhi, quando il dottor Moccio non era 
più là, con le sue fisime clericali, a trattenerlo di 
parlare, si sfogava: 



b. 



— 225 — 

— Siamo in mano di una serqua di sagrestani ! Biso- 
gna spazzarli via. Sagrestani e borbonici! Attendono 
da un momento all'altro il ritorno di Franceschiello.,,, 

In fondo in fondo il marchese era un po' borbo- 
nico anche lui. 

L' Italia una, sì, gli sarebbe parsa forse una bella 
cosa, se non avesse portato con sé tante tasse che 
non lasciavano rifiatare; ma a lui, che di politica 
non si era mai occupato, poco importava che il re 
si chiamasse Franceschiello o Vittorio Emanuele. <i 

La libertà egU la capiva fino a un certo punto. Ohi ] 

gli aveva dato noie nel passato? Aveva sempre fatto i! 



n 






-, 1 



quel che gli era parso e piaciuto in casa sUa; non 

cercava altro, ^ 

Suo nonno e suo padre si erano procurati pa- 
recchi fastidi per essersi mescolati in certi affari; il 
nonno specialmente, carbonaro arrabbiato nel venti ! 
Che n'avea ottenuto ? Aveva dovuto acquattarsi per 
vivere in pace. E suo padre nel quarantotto? Ca- 
pitano della guardia nazionale, per poco Satriano 
non lo aveva fatto fucilare. Ecco i bei guadagni del- 
l'occuparsi di politica ! Almeno con Ferdinando II e 
Franceschiello y si stava tranquilli. Niente lotte mu- 
nicipaU. I Decurioni, come allora si chiamavano i 
consiglieri, li eleggeva il Sottintendente e nessuno 
osava di rifiatare. 

Il cugino Pergola si arrabbiava sentendogli ripe- 
tere queste cose: 

Capuana, Il Marchese di Roccaveì'dina. 15 



— 226 — 






— E la dignità umana la contate per nulla? Ora 
ci amministriamo da noi con deputati e consi- 
glieri eletti da noi. Se scegliamo male, la colpa è 
nostra.... 

— Precisamente; ed è impossibile sceglier bene. 
Le persone oneste non sono sfacciate, non amano 
di mettersi avanti, come coloro che niente hanno 
da perdere e tutto da guadagnare. 

— Ije persone oneste hanno torto. Lasciarsi so- 
praffare è da minchioni. 

— Certe volte i minchioni la indovinano, cugino! 
Intanto si lasciava travolgere dalle incitazioni e 

dall'esempio. H cugino e gli altri digrossavano gli 
elettori, lasciando al marchese la cura di fare sol- 
tanto l'operazione d'ultima mano, con un saluto, con 
un sorriso, con un bel grazie, con un'accorta pro- 
messa che diceva e non diceva per non trovarsi poi 
troppo impegnato. 

Cosi nelle prime settimane il marchese si era te- 
nuto un po' in disparte. A poco a poco però, il fer- 
vore della lotta aveva eccitato anche lui, spingendolo 
fino ad andare personalmente in casa di alcuni elettori 
influenti. 

— Oh, signor marchese ! Troppo onore !... Si figuri ! 
Il suo nome.... 

— Non il mio solamente. Capite; sarei una noce 
nel sacco. Bisogna A^otare la lista intera. 

— Ha ragione; ma.... come si fa? 



— 227 — 

— Transigiamo. Due, tre nomi: questi. 

— Si può dire di no al marchese di Rocoaverdina? 
Gli altri, contadini, operai, qualche galantuomo di 

quelli col don ma scarai di quattrini, li mandava a 
chiamare con diverse scuse, o semplicemente con 
un: — n marchese vuol dirvi una parola. 

— Vi darò io la scheda. 

— Come voscenza comanda. 

— Segnata, badate! 

— A mio compare, eccellenza, non posso fare un 
torto; ho promesso. 

— Vada per vostro compare. 
Qualcuno si grattava la testa, impacciato. 

— Che c'è?... Ti pagano? 

— Ohe vuole, voscenza ! Ho moglie e figli.... Lo 
male annate.... Con lo stomaco non si scherza ! 

— Ti do il doppiò; ma, il giorno avanti, in casa 
mia, per evitare le tentazioni ; non sarai solo. 

E se incontrava qualche resistenza, il maluomo 
veniva fuori in lui. Si trovava nel ballo, e doveva 
ballare, in tutti i modi, con tutti i mezzi, e non 
rifuggiva dalle minacce: 

— Me la legherò al dito ! Arriva un momento che 
in questo mondo si ha bisogno di qualcuno. Non 
vi lagnate se allora.... 

Addestratosi sùbito nelle manovre elettorali, già 
prendeva gusto alla lotta e vi si accaniva come non 
aveva mai immaginato che potesse accadergli. Era 



certe cose bisognava provarle per 
izio. 

orse agli interessi del Comune, alle 
ì, alle quiationi da risolvere, al bene 
attraeva unicamente la lotta; e 
) per la smania di vincere a ogni 
versane, quanto per qnell' affaccen- 
3sto e con quello che lo distoglieva 
altri^ che gli porgeva occasione di 
ipato 6 preoccupato assai più. che 
Iti. 

itto in tratto, una parola, un ac- 
imcnto, qualche cosa che insorgeva 

non ostanfe, bastava a fargli scor- 
li tutti quei suoi sforzi. Tra poco 
inciare a combattere l'aspra intima 
voleva lasciarlo tran<iuillo, quasi 
i fatto sin allora per soffocarla, per 

giorni gli si era presentata la ve- 
laccio coi suoi quattro bambini, 
ih' è stata la nostra divina Prowi- 
.0 cento, faccia, per carità, cento e 
uo servizio il grandicello. Io m'in- 
nare gli altri, finché avrò braccia 
idi in campagna col bovaro. Non 
buono anche per mandarlo qua "e 
Ora che voscema prende moglie.... 



— 239 — 

Ho pregato anche la signora marchesa. Mi avevano 
consigliato : — Andate da lei ! — Ohe ne so io come 
vanno queste cose? E la buona signora mi ha ri- 
sposto.... 

— Niente! È impossibile! Ho fatto quel ohe ho 
potuto ! 

Aveva rabbia di tremare, come dinanzi a un giu- 
dice, davanti a quella povera donna coperta di mi- 
serabili stracci neri, sfiorita pel dolore e per la mi- 
seria, mal lavata e mal pettinata, e che conservava 
un lampo della vantata bellezza soltanto negU occhi 
grandi e neri, gonfi di lagrime. 

— È vero! Glielo renderà in paradiso la Bella 
Madre Santissima 1 Io non ho parole per ringraziare 
voscefìiza! E il Signore deve darle, in compenso, 
cento anni di salute e di prosperità ! Come dovrà 
dare fuoco in questa e nell'altra vita alle male per- 
sone che hanno fatto morire in carcere l'innocente 
di mio marito!... Era innocente, eccellenza! Inno- 
cente come Gesù Cristo messo in croce! 

— Non l'ho condannato io — biascicò il mar- 
chese. 

— Ohe c'entra voscenzaì T^ìgòyo: Le male persone. 
Ogni parola di lei gli aveva trapassato il cuore 

come una punta di stile. 

Fortunatamente era sopravvenuto il cavaUer Per- 
gola, affannato, sudato, con gli occhi scintillanti per 
le buone notizie che recava. 



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— 230 — 

La povera donna si rivolse anche a lui: 

— Ah, signor cavaliere! Metta una buona parola, 
t: voscenza ! 

— Sì, si; intanto andatevene. Se credete che il 
marchese non abbia altro da fare! 

r E la nottata precedente alla domenica in cui do- 
veva avvenire la votazione, il marchese era andato 
attorno, accompagnato dal cugino e da parecchie 
persone fidate, a bussare alle porte degU elettori 
che dormivano tranquilli, per incoraggiare gli esi- 
tanti, per tentare gh ultimi assalti su coloro che 
resistevano, per condurre, come prigionieri, in 'casa 
sua queUi di dubbia fedeltà, o che non avrebbero 
saputo resistere alle pressioni degli avversari. E 
per le vie, pei vicoU, le squadre dei due partiti 
s'incontravano guardandosi in cagnesco, scambian- 
dosi motti ironici, prendendo allegramente la cosa, 
secondo gli umori delle persone. 

D marchese non si era mai sognato di dover ar- 
rivare fino a questo punto. In certi momenti, sen- 
tiva nausea, stanchezza di quei piccoH intrighi. In- 
tanto, si trovava nel ballo; doveva ballare! Un bel 
giorno, quando si sarebbe seccato, avrebbe mandato 
tutti — Municipio, Consiglio, elettori — tutti a farsi 
benedire 1 Non voleva ridursi il servitore di nessuno. 

Era tornato a casa all'alba, e.si era messo a letto, 
che non ne poteva più. Di là, intanto, nella sala da 
pranzo, quei mascalzoni vuotavano bottighe di vino 



— 231 — 

dietro bottiglie e mangiavano a due ganasce uova 
sode, formaggio, salame, ulive nere salate, noci, fi- 
chi secchi, con montagne di pani freschi che spari- 
vano di su la tavola quasi fossero pilloline; man- 
giavano e bevevano, in attesa di essere condotti 
nella chiesetta di San Luigi, dove la votazione aveva 
luogo per mancanza di locali più adatti. 

Venivano a prenderli a due, a tre, a quattro per 
volta, secondo la prima lettera dei nomi; e il ca- 
valier Pergola e il dottor Meccio facevano da cara- 
binieri, non lasciandoli avvicinare da nessuno per 
timore che non accadesse qualche rapido scambio 
di scheda, scortandoli fino al tavolino del seggio tra 
le risate, le parole sarcastiche, le velate minacce de- 
gli avversarii, che però non protestavano, facendo 
la stessa cosa per conto loro. - 

Poi il marchese avea dovuto uscire di casa in 
fretta per andare a deporre la sua scheda , al se- 
condo appello; ed era passato in mezzo a due ale 
di elettori, quasi vergognoso di quel suo primo atto 
di vita pubblica che lo esponeva alla vista di tanta 
gente non meno di lui maravigliata di vederlo ap- 
parire colà. "^ 

E la sera, fino a tardi, la' sua casa era stata in- 
vasa da persone di ogni sorta, venute a rallegrarsi 
della vittoria. Raccontavano episodi, magnificavano i 
loro sforzi, e gli si affollavano attorno per rammen- 
targli tacitamente : -^ Dovrà ricordarsi di noi quando 



i. .^ 



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— 232 — 

occorrerà! — Non abbiamo lavorato pei suoi begli 
occhi 1 — Non ci siamo messi allo sbaraglio unica- 
mente per farle piacerei — 

— Cosi è il mondo! — pensava il marchese. — 
Tutto apparenza. Mi credono onesto, irreprensibile 
perchè ignorano. Cosi è il mondo! Forse parecchi 
di questi qui hanno fatto peggio di me, e, ignorando, 
anche io ìì stimo e H rispetto. Forse, non hanno avuto 
coraggio, ardire, astuzia, onesti loro malgrado; forse, 
loro è mancata Toccasione, onesti per caso! 

Sentiva rinascere proprio in quei momenti la so- 
lita superstiziosa paura, la solita apprensione di pe- 
ricoli appiattati nell'ombra. Gli pareva ohe il con- 
tatto con tanta gente lo costringesse a vivere in 
un' atmosfera insidiosa, dove non poteva respirare 
Uberamente. Non vedeva V ora di sottrarsi ai loro 
sguardi, di tornare a Margitello. Colà i lavori erano 
stati sospesi; voleva sorvegliarh lui, non si fidando 
molto dell'ingegnere. Stavano per arrivare i pigiatoi, 
i frantoi, le botti, i bottaccini, i coppi; e i locali 
erano ancora ingombri di materiali, e certe opere di 
muratura appena iniziate!^ 

Inoltre^ aveva fretta di assestare la sua casa, 
la sua vita; di riprendere un po' la vecchia abitu- 
dine d'isolamento ; di riposarsi dopo tante agitazioni 
che, infine, non erano servite a difenderlo, come 
aveva creduto , dagli intimi turbamenti dai quali 
era reso scioccamente irreqiàeto. 



— 233 - 

La baronessa di Lagomorto non aveva visto di 
buon occhio l'intromissione del marchese negli af- 
fari municipali. 

— Ohe t'immagini? Si servono di te pei loro fini. 
Ti hanno mai ricercato prima V 

— Ho sempre rifiutato. 

— Avresti fatto meglio a lasciarli cantare anche 
ora. Zòsima, ieri mi diceva: — Ha tanto da fare a 

casa sual — Quasi, poveretta, temesse Insomma, 

quando ti risolverai? Io non voglio morire prima di 
assistere alle tue nozze. 

— Tra qualche mese, zia. 

— Li so, per prova, i tuoi mesi! Hai la felicità sotto 
mano, e non ti scomodi a stendere il braccio! Per- 
chè? Non ti capisco. Zòsima ha ragione di sospet- 
tare 

— Mi dispiace. 

— Lo dici in certa maniera! Comincio ad im- 
pensierirmi anch'io. 

— Non credevo che la fabbrica laggiù, a Margi- 
tello, dovesse tenermi tanto occupato. Ora poi que- 
ste elezioni.... 

— Domani ohi sa che cos'altro! 

— Niente, zia! Mi sento stanco; ho bisogno di 
pace, di tranquillità. Ecco! Voi lo sapete, se una 
cosa mi aflferra.... 

— Appunto! 

— Uno di questi giorni, domenica prossima anzi. 



- 234 — 

con voi, con la signora Mugnos, con Zòsima, par- 
leremo dei preparativi; e in due o tre settimane.... 
tìo riflettuto; l'idea di Zòsima mi persuade: tutto 
alla buona, senza sfarzo, senza chiasso. Non potranno 
dire ohe faccia cosi per avarizia o perchè mi man- 
chino i quattrini. Un matrimonio è festa di famiglia. 

— Zòsima ne sarà molto contenta. 

Ed era partito per Margitello assieme con Tinge- 
gnere e il cavalier Pergola, il quale gli stava alle 
costole più che mai. Bisognava battere il ferro men- 
tre era caldo; non perdere i beneficii della grande 
vittoria ottenuta. 

— Gli amici sono rimasti scombussolati; ma la- 
vorano con le mani e coi piedi presso il sottopre- 
fetto, presso il deputato, perchè la scelta ^ del sin- 
daco caschi sopra uno di loro. 

— Non posso farmi sindaco da me! — rispon- 
deva il marchese un po' seccato. 

— Se li lasciamo mestare, se non ci facciamo 
vivil... Una visita al sottoprefetto.... 

— E chi lo conosce cotesto signore? 

— Non importa; è un funzionario del governo, 
e si terrà onorato di ricevere T ossequio del mar- 
chese di Roccaverdina. 

— Lasciamo, per ora, questo discorso. Guardate. 
Le campagne sembrano un giardino 1 

Un'immensa stesa di verde, di mille toni di verde, 
dal tenero al cupo ohe sembrava quasi nero; un 



Ì-- 



— 235 — 

trionfo, una follia di vegetazione fin nei terreni più 
ingrati, ohe non avevano mai prodotto un fil d'erba! 

I ciglioni dello stradone sembravano due intermi- 
nabili siepi folte di maravigliosi fiori gialli, rossi, 
bianchi, azzurri, che si rizzavano su giganteschi 
steli tra foglie di smeraldo, come se un'esperta mano 
di giardiniere avesse pensato a mescolare i colori e 
le loro sfumature per produrre effetti di sorpren- 
dente decorazione. Ed erano erbe selvatiche senza 
nome, che s'intrecciavano, si pigiavano, non lasciando 
il minimo spazio tra loro, sorridenti, smaglianti al 
sole che le vivificava dall'alto. 

E i seminati! Un tappeto di velluto verde che 
non finiva più, cosparso di macchie rosse dai pa- 
paveri, punteggiato di ricami cilestrini e violetti 
dalle iridi. E qua i papaveri dilagavano in larghe 
chiazze sanguigne ; là, i fiori del lino coprivano Hste 
e quadrati col lor tenero azzurro argentato; e dap- 
pertutto, miriadi di farfalle che s'inseguivano con 
ali tremolanti, piccole, grandi, di ogni forma e co- 
lore, quali non se n'erano mai viste^ quante non se 
n'erano mai dischiuse dalle crisalidi e dai bozzoli 
a memoria di uomo! 

Le mule della carrozza trottavano allegramente, 
e gli stormi dei piccioni di Margitello, incontrati alla 
svolta della carraia, tornavano addietro, verso il ca- 
samento con rapido fruscio d'ale, quasi ad annun- 
ziare colà la visita del padrone. 



— 237 -r- 

assetto. Ma, finalmente, gli strettoi con le grosse viti 
e le madreviti di acciaio luccicavano, quasi fossero 
d'argento, di faccia alle màcine piccole e svelte; i 
coppi protendevano, torno torno, la pancia verniciata; 
le botti, insediate sui sostegni di pietra intagliata, 
si allineavano in ordine digradante, dalla botte 
grande ai bottacci e ai bottaccini con le cannelle 
e gli zaflS sporgenti. ^ ^- 

— La chioccia coi pulcini! — aveva esclamato il 
massaio, ammirando. 

E l'immagine era piaciuta al marchese che l'aveva 
ripetuto all'ingegnere. 

Quando tutto fu in ordine e gli stanzoni sgom- 
brati, spazzati, parevano più larghi, più luminosi, 
quasi una chiesa da farvi le sacre funzioni, secondo 
un'altra immagine del massaio (l'aitar maggiore era 
la botte grande ed egli avrebbe voluto celebrarvi la 
messa cantata allorché essa sarebbe stata piena del 
vero sangue di Cripto!); i soci delV Agricola vennero 
invitati a un pranzo di inaugurazione dei locali, e 
alla tavola, rizzata fra gli strettoi e le màcine, mancò 
soltanto il cugino Pergola, a cui gli strapazzi per le 
elezioni avevano fatto gonfiare le tonsille come spesso 
gli accadeva. 

r Giornata di grandissima soddisfazione pel mar- 
chese, che in quelFoccasione battezzava la botte 
grande col nome di Zòsima tra i brindisi di augurii 
e gli applausi dei commensali. 



— 238 — 

— A questa accanto — disse il notaio Mazza — 
metteremo nome S. Gittrranni che è il patrono del 
vino, perchè ripeta il miracolo di far rimanere le botti 
sempre piene, come quella sotto cui lo avevano sepolto 
i suoi assassini per nascondere il loro delitto. Più ne 
spillavano da essa e più ne veniva fuori. E di che 
qualità! Come mai? Un giorno la mamma di S> Giur- 
ranni, cerca e guarda, si accorge che un tralcio verde 
e pampinoso, spuntato dal terreno dietro la botte, era 
montato su fino al cocchiume e vi si era immerso. 
Fece scavare là sotto e rinvenne il corpo del figlio 
ancora intatto.,.. Ma la botte non diede più vino!.,. 
Bisogna ammazzare qualche santo, caro marchese, 
— concluse il notaio ridendo — e seppellirlo qui! 

Il marchese non rise con gli altri; si fec^ anzi 
scuro in viso, quasi il notaio non avesse parlato di 
S. Giurranni ma di Rocco Criscione. E al ritorno a 
Ràbbato, passando con la carrozza tra le siepi di fichi 
d'India dietro cui egli aveva tirato quella notte il 
colpo fatale, gli parve di vedere steso per terr^ il 
cadavere di Rocco con la fronte fracassata dalla palla 
e il volto insanguinato. 

Non lo rivedeva così da un pezzo. Gli era acca- 
duto di passare da quel punto anche senza che un 
rapido ricordo del fatto gli si destasse nella memo- 
ria; quella volta però, non ostante la vista degli alti 
seminati che ondeggiavano come il mare, e delle prode 
della carraia tutte in fiore sotto il sole che tramon- 



X - * 



r'^''^. 



— 239 — 

tava maestosamente dorando la campagna attorno, 
egli ebbe, lungo la strada, sempre davanti agli occhi 
la visione della cupa notte in cui la gelosia lo aveva 
spinto ad appostarsi dietro la siepe-, e col bagliore 
della fiammata e con la sensazione del rimbombo del 
colpo sparato, il grido acuto del colpito che cascava 
da cavallo e quella dello scalpito della mula fug- 
gente spaventata. 

E intanto, rispondendo al notaio Mazza che gli 
stava a fianco nella carrozza, parlava a voce alta 
quasi per stornarlo dal leggergli su la fronte il pen- 
siero che gli sembrava dovesse essere visibile, tanto 
insistentemente lo tormentava. 

Quell'imbecille di notaio gli aveva mutato in ve- 
leno tutto il piacere della lieta giornata! E cosi il 
marchese era arrivato a casa di gran cattivo umore. ) 

Mamma Grazia gli annunciava dolente: 

— Tuo cugino sta male, figlio mio! Ha mandato 
tre volte da questa mattina, vuole vederti prima di 
morire. 

— Prima di morire? — esclamò il marchese stu- 
pito. 

— Cosi ha detto la serva. Piangeva. Il Signore lo 
ha chiamato; si mette in grazia di Dio! 

— Si, va bene — rispose il marchese. — Andrò 
domattina. 

Aveva crollato la testa sorridendo delle ultime 
parole di mamma Grazia. 



— 241 — 

— Nulla..,. Al solito.... E qui. Da un pezz : mi 
viene davanti senza che io lo evochi. 

Don Aquilante non aveva più osato di riparlar- 
gliene dopo queiresperimento mal riuscito, né il 
marchese gli aveva più domandato, per canzonarlo: 
— E gli Spiriti? — distratto da tante occupazioni. 
Ma in quel momento, colto alla sprovvista, egli si 
lasciò sfuggire: 

— Lasciatemi in pace!... 
Si corresse subito però: 

— Ricominciamo la farsa? — disse. — Mandatelo 
al diavolo, se è vero!... Parliamo di affari. 

— È un grande affare anche questo — rispose 
don Aquilante con gravità. — Se si potesse almeno 
rivendicare la reputazione del poveretto morto in 
carcere!... 

— Non avete altra gatta da pelare, voi? 
E tagliò corto al discorso. 

— In quanto al canonico — soggiunse dopo al- 
cuni istanti di silenzio — scrivetegli pure che strozzi 
un altro. 

Mentre mamma Grazia preparava la cena, il mar- 
chese, con un lume in mano, andava da una stanza 
all'altra per distrarsi, osservando l'effetto delle no- 
vità operate, fantasticando intorno a quel che an- 
cora mancava neirammobiliamento; tentando d'im- 
maginarsi Zòsima da padrona di casa colà dove quel- 
l'altra era stata quasi tale diecianni; riflettendo su 

Capuana, Il Marchese di Eoccaverdma. 16 



— 242 — 

V avvenire che doveva arrecare straordinari mu- 
tamenti alla sua vita. Ma quella solitudine, quel si- 
lenzio, quelle ombre che si raccoglievano negli an- 
goli per la scarsa luce del lume gli davano una pau- 
rosa sensazione che gli faceva girare timidamente 
gli occhi attorno e della quale si garriva nell'intimo 
come di fanciullesca viltà. 

La paura dell'ignoto ! Oh! Lo sapeva benissimo; 
aveva creato tutte le chimere delle religioni, tutte 
le leggende del mondo di là ; gliel' avevano inse- 
gnato i libri prestatigli dal cugino Pergola! Li ri* 
.leggeva di tanto in tanto, per fortificarsi, quando i 
suoi convincimenti vacillavano, quando le influenze 
ataviche rialzavano la testa per ridurlo simile ai 
selvaggi, agli uomini primitivi che tremavano pei 
fantasmi creati dalla loro fantasia e poi stimati realtà. 
Quei libri avevano ragione. 

Ciò non ostante, le impressioni della giornata agi- 
vano ancora sui suoi nervi. Bisognava rassegnarsi 
a sopportarle finché non si fossero affievolite e dile- 
guate, proprio come le allucinazioni prodotte dalla 
febbre, ohe svaniscono appena Taccesso diminuisce 
di grado. Cosi talvolta, durante il delirio, si capisce 
di delirare, ma non si subiscono meno le allucina- 
zioni morbose. 

Si sentiva in uno di questi momenti. Infatti ra- 
gionava, derideva i terrori suscitatigli dalle parole 
del notaio Mazza, dalle sciocchezze di don Aquila nte 




— 243 — 

ohe pretendeva di vedere gli Spiriti e di parlare con 
loro; e intanto trasaliva allo soricohiolìo di un mo- 
bile, guardava sospettosamente verso i punti che ri- 
manevano meno illuminati, quasi nascondessero qual- 
cuno che poteva venirgli innanzi all'improvviso.... A 
fare che cosa?... Stupidaggini! E intanto si affrettava 
a tornare nella sala da pranzo, sentendosi venir meno 
il coraggio di rimanere più a lungo solo solo. 

Si era affacciato al balcone. Nel vicolo, neppure 
un lampione davanti alle porte delle casupole; le 
vicine recitavano in comune il rosario. La fiammata 
dei focolari, le misere lucerne dairinterno gettavano 
rossicce strisce di luce su la via mal selciata, su un 
gruppo di persone, su quella vecchia accoccolata sul 
sedile di pietra, con la testa china e le mani in 
grembo. Ombre passavano e ripassavano di tratto 
in tratto a travei*so le strisce di luce. E le avem- 
marie si rispondevano da un punto all'altro del 
breve vicolo, monotonamente, interrotte da una chia- 
mata, dal pianto di un bambino che faceva accor* 
rere la mamma, dall'arrivo di un contadino che sca- 
ricava dall'asino due fasci di legna. Poi il rosario 
riprendeva monotono, un po' frettoloso; e il mar- 
chese pensava che un anno addietro egli non era 
dissimile da quella povera gente. Essa si figurava 
che le sue preghiere prendevano la via del cielo, ar- 
rivavano fino all'orecchio di Dio e della Madonna 
per interessarli dei suoi bisogni, delle sue disgrazie, 



— zu — 

e andava a letto congelata da un luccioore di spe- 
ranza. La qaal cosa poi non impediva che quella 
gent-e in certi momenti non agisse, quasi Dio e la 
Madonna non esistessero punto. 

B pensava che il mondo era un inesplicabile 
eninima. Perchè si nasceva? Perchè si moriva? 
Perchè tanta smania di affaticarsi, di arricchirsi, 
di affrettarsi a godere, e di soffrire con l'intento di 
arrivare un giorno a godere? Qualche istante la 
vita gli appariva corno una follo fantasmagoria. E 
stupiva di quelle riflessioni cosi insoliltì per lui, di 
quella tristezza che gli pesava su l'anima, dì quella 
sorda agitazione che gli serpeggiava per tutta la per- 
sona, presagio di sinistri avvenimenti, 

D rosario era finito; tutte lo porte delle casupole 
si erano chiuse; pel vicolo rimasto buio non passava 
anima viva. 

E sotto il cielo senza luna, chiazzato di nuvole 
cinei-ee, risuonò improvvisamente la serale impreca- 
zione della ziit Mariangela, 

— Cento mila diavoli alla casa dei Orisantil Oh! 
Oh! — Centomila diavoli alla casa dei Pìgnataro!. 
Oh! Ohi — Cento mila diavoli al palazzo dei Roc- 
caverdina! Oh! Oh! 

Il marchese si ritrasse dal balcone. Quella volta 
la voce della povera pazza gli ora riuscita insoppor- 
tabile. 

La mattina dopo egli andava dal cugino. 



Cecilia, figlia dello zio don Tindaro, gli venne in- 
contro neir anticamera, tenendo i suoi due bambini 
per mano. 

— Grazie, marchese! — singhiozzava. — Fategli 
coraggio. 

— Ma è dunque vero? Io credevo che si trattasse 
di un'esagerazione di mamma Grazia. 

— Questa volta è grave assai; può rimanere sof- 
focato da un istante all'altro.... Per fortuna il Si- 
gnore gli ha toccato il cuore.... C'è di là il prevosto 
Montoro..,. Lo ha voluto lui, per confessarsi. 

— Per confessarsi? — domandò il marchese, so- 
spettando di aver capito male. 

■ Cecilia non badò a rispondergli vedendo uscire il 
prevosto dalla camera del malato. 

— Vado e torno subit-o — disse questi, avvici- 
nandosi senza salutare il marchese a cui teneva 
ancora broncio pel crocifisso regalato alla chiesa di 
Sant'Antonio. — Precauzione e nient'altro, signora. 
Il cavaliere può essere fuori di pericolo in un ba- 
leno; è caso ovvio in questo genere di malattie. 
Non bisogna disperare. 

La signora Pergola si asciugò le lagrime, si ricom- 
pose e disse al marchese: 

— Venite, venite ! 

Ma egli si era arrestato su la soglia della camera ; 
non credeva ai suoi occhi. 
Sul cassettone, parato con tovaglia da altare, tra 



- 246 - 
candelabri di legno dorato con candele di c«ra ac- 
cese e già consumato a metà, aveva sùbito ricono- 
sciuto le teche d'argento delle reliquie vedute esposte 
nella sacrestia di Sant'Isidoro nell'occasione dell'ul- 
tima visita diocesana del vescovo. La piccola, con 
le falangi di un dito di san Biagio, protettore contro 
il mal di gola ; l'altra, con un avambraccio in cera 
che serviva da astuccio a un osso dell'avambraccio 
di sant'Anastasia. 

Di rimpetto al cassettone, sul tavolino parato egual- 
mente con tovaglia da altare, tra due candelabri con 
candele accese e sgocciolanti, in un vassoio di cri- 
stallo stava il cordone di argento del Cristo alla co- 
lonna, della chiesa di San Paolo, che si concedeva 
soltanto in casi estremi e a fedeli di riguardo. 

Poteva mai aspettarselo ? E guardò, sbalordito, il 
cugino che, con cenni del capo e mugolando sten- 
tate e quasi incomprensibili parole, lo invitava ad 
accostarsi. 

Sedato sul letto, appoggiato a un mucchio di 
guanciali, con in testa un berretto bianco di cotone, 
a maglia, che gli nascondeva anche le orecchie, coi 
sacchetti degli empiastri applicati alla gola e teniitivi 
aderenti da ima larga fascia di lana grigia, col viso 
congestionato, con gli occhi rigonfi, copertoda un man- 
tello di panno verde-bottiglia dai cui lembi uscivano 
le mani che stringevano un piccolo Cristo di ottone 
su croce di ebano, il cavalier Pergola, così infagot- 



— 247 — 

tato, era quasi irriconoscibile. E soltanto la presenza 
dell'afflitta signora e dei bambini potè trattenere 
il marchese dal prorompere in una lunga e sonora 
risata. 

La risata però gli fremeva dentro ed era anche 
qualche cosa di amaro, di profondamente triste, con- 
vulsione nervosa e sgomento prodotti dall' immensa 
delusione che lo inchiodava là, imbalordendolo, su 
la soglia. 

— Ma.... dunque?... Ma.... dunque? — pensava 
ansiosamente, accostandosi al letto del malato. 

— Perdonatemi !... Vi ho.... dato.... scandalo ! 

— Zitto! Non vi sforzate! — egli lo interruppe. 
Quelle parole, che uscivano strascicanti dalla gola 

quasi senza aiuto della lingua, facevano soffrire an- 
che lui. 

— Vi ho dato.... scandalo.... con quei libri...! Bru- 
ciateli ! 

Il marchese si sentiva già preso da vertigini, come 
su l'orlo di un abisso senza fondo. 

— Ma.... dunque?... Ma dunque? 

Faccia a faccia con la mòrte l'ateo, U. baldo be- 
stemmiatore, il feroce odiatore d'ogni religione e dei 
preti, rinnegava tutt'a un tratto i suoi convinci- 
menti, diventava una femminuccia, si circondava di 
reliquie, chiamava il confessore, voleva benedetto il 
suo matrimonio ! Ed era stato il suo iniziatore, il 
suo maestro quasi! Oh!... A chi doveva egli credere 



— 248 — 
oiinai V All'uomo sano, nel pieno possesso di tutte le 
sue facoltà intellettuali, o a questo qui, infiacchito 
<ial male, atteriìto dalle rinascenti paure del inond<j 
di là, ma che forse intravvedeva con lucido sguardo 
verità nascosto allo menti troppo annebbiate dai 
sensi, o aviattì dagli intei'essi e dalle passioni mon- 
dane ?.., 

E la risata che tornava a fremergli dentro, amara, 
profondamento triste e sarcastica, gli dava un'acuta 
sensaziono di dolor fisico all'opigastro, mentre il ca- 
valier Pergola riprendeva a strascicare le parole, 
stralunando gli occhi nei momenti che fin il respi- 
rare gli riusciva difficile. 

— Perdonatemi !... Pregate.... che Dio mi con- 
ceda.... almeno la salute dell'anima.... se non quella 
del corpo ! 

— Eh, via ! Non mi sembrate neppur voi ! — gli 
disse il marchese, simulando tranquillità, 

E guardava attorno, non riuscendo ancora a con- 
vincersi che lo spettacolo che gli stava sotto gli 
occhi fosse cosa reale. Un senso di smairimento e 
di gran vuoto gli faceva correre rapidi brividi di 
fi-oddo per la schiena, quasi tutto stèsse per erollare 
e miseramente inabissarai attorno a lui. E, questa 
volta, senza nessuna speranza di prossimo aiuto, 
senza nessuna lusinga di lontana salvezza! 

Cosi egli assistè, da quarto testimone, alla cele- 
brazione del matrimonio l'eligioso, che il prevosto 



— 249 — 
Monterò venne a sbrigare alla lesta, accompagnato da 
don Giuseppe e da due conoscenti, raccolti per strada, 
giacché non era il caso di perdere tempo nella scelta. 
Indossate la cotta, la mozzcbta e la stola, prima 
di aprire ii rituale che don Giuseppe gli porgeva, il 
prevosto, cavata dalla tasca della sottana una carta, 
la presentava, spigata, al cavaliere. 

— È indispensabile !... Anche per mia giustifica- 
zione. Bisogna firmarla. 

Fu portato il calamaio; e, mentre il malato fir- 
mava, il prevosto invitava gli astanti a ringraziare 
Dio per quella spontanea ritrattazione di tutte le 
eresie, di tutti gli errori, di tutte le empie dottrine 
professate con scandalo di tante anime, con corru- 
zione di tanti cuori. 

La commovente cerimonia in articìilo martis du- 
rava pochi minuti; e il sole; che inondava la camera 
dalla vetrata del balcone di faccia al letto, la ren- 
deva pifi triste con la sua luminosa letizia. 

Tra i ceri ardenti sui candelabri davanti alle sacre 
reliquie, nel raccolto silenzio dei pochi astanti ingi- 
nocchiati attorno alla povera signora che non poteva 
frenare le lagrime, i due si parvero singhiozzati, e 
le due mani stese, una per porgere, l'altra a ricevere 
in dito l'anello benedetto, furono viste tremare, 

— Ego conjungo vos in matnmonio! — pronunciò 
il prevosto con voce robusta e solenne, benedicendo 



hfA 



— 250 — 

Al marchese tornarono in mente in quel punto 
le parole del cugino, di un anno addietro, quando 
si lagnava che i parenti di sua moglie fossero indi- 
gnati contro di lui perchè non aveva voluto farsi 
buttare addosso da un prete sudicio due goccie di 
acqua salata! E si levò in piedi, senza avere la 
forza di dire una sola parola di rallegramento e di 
augurio, con quella convulsione di riso amaro e sar- 
castico che la compiuta delusione tornava a fargli 
fremere internamente. 






• * 1 



— 251 — 



xxm. 

Uscendo dal vicoletto, dov'era rintanata la casa 
del cavalier Pergola, il marchese di Roccaverdina 
aveva incontrato don Aquilante con un fascio di 
carte sotto braccio e la grossa canna d'India impu- 
gnata, quasi dovesse servirgli di sostegno, quan- 
tunque egli andasse ben diritto, scotendo di tratto 
in tratto la testa sul collo circondato dall'ampio 
fazzoletto nero da lui usato per cravatta. Tornava 
dalla Pretura. 

— Oh ! Buon giorno, marchese ! Da queste parti ? 
Capisco ! Il cavaliere sta dunque proprio male ? 

— Malissimo !... Non lo crederete : si è confessato ! 

Il marchese, che non rinveniva ancora dallo stu- 
pore e dal turbamento prodottigli dalla scena a cui 
aveva assistito, fu meravigliato di sentirsi rispondere : 

— È naturale; doveva accadere così. 

— Perchè ? 



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-■'■ '-T-^;ì 



— 252 — 

— Perchè tutte le convinzioni superficiali ven- 
gono spazzato facilmente via dal primo vento che 
vi soffia su. Il povero cavaliere aveva letto qualche 
mezza dozzina di pretesi libri scientifici — me Tha 
buttati in viso parecchie volte, disputando — e ma- 
terialista ed ateo in pelle, in faccia al mistero della 
morte è subito ridiventato quel che era una volta : 
credente, cattolico; bestia prima e più bestia ora!... 
Vi accompagno.... 

— Spiegatevi. 

— In due parole. Voi siete tranquillo, avete fede 
nella Chiesa, credete alla Trinità, all' inferno, al pa- 
radiso, al purgatorio, alla Madonna, agli angeli, ai 
santi.... È comodo. Non sospettate neppure che ci 
possa essere una verità più vera di quella che inse- 
gnano i preti.... 

Il marchese, abbassando la testa, vergognoso di non 
avere mai avuto il coraggio di manifestare sincera- 
mente le sue convinzioni mutate, domandò: 

— Quale? 

— Quella che è stata rivelata al mondo dallo Swe- 
denborg, dall'apostolo della Nuova Gerusalemme.... 

— Ah ! Intendo — esclamò amaramente il mar- 
chese. — Ma dunque non abbiamo certezza di nulla! 
Ci è da perdere la testa! 

— Assoluta certezza, marchese. 

— Insomma, secondo voi, esiste Dio? si o no? 

— Esiste ; non quello però di cui ci parlano i preti. 



."*^^ 



- 253 — 

— E il paradiso? T inferno? il purgatorio? 

— Certamente^ ma non nel modo che spacciano la 
Chiesa e i suoi teologi, con le loro fantasie pagane, 
con le loro leggende da donnicciuolei Fuoco mate- 
riale, supplizio eterno, visione beatifica.... Vi paiono 
cose serie? 

— C è da perdere la testa ! — replicò il mar- 
chese. 

— Al contrario. Niente è più consolante della 
nuova dottrina. Noi siamo arbitri della propria sorte. 
Il bene e il male che facciamo influiscono su le no- 
stre esistenze future. Passiamo di prova in prova, 
purificandoci, elevandoci.... se siamo stati capaci di 
emendarci, di spiritualizzarci.... 

— Intendo.... me lo avete già detto tant' altre 
volte.... Ma la certezza? La certezza, domando io? 

— Picchiate e vi sarà aperto, ha detto Gesù. La 
verità vuol esser ricercata insistentemente, con animo 
puro e disinteressato. Voi e tutti coloro che sono 
nella vostra condizione non ve ne date pensiero. Siete 
immersi nella materia. Fate il bene con Tunico in- 

• 

tento di guadagnarvi un posticino in paradiso ; non 
fate il male, quando non lo fate, per paura dell' in- 
ferno e del purgatorio.... La certezza? Primieramente 
sta nella logica. Voi credete all'assurdo. Che cer- 
tezza avete? Perchè vi hanno affermato: E così? 
E noi proviamo che non è cosi. Proviamo, badate 
benel... Quel povero cavaliere.... 



•'«9»r 



- 254 - 



— C è da perdere la testa ! 

Il marchese non sapeva dir altro. A chi doveva 
dar retta V Avrebbe voluto, con una gran. scrollata 
di spalle, tornare almeno allo stato di una volta, 
quando pensava soltanto ai suoi affari e viveva a 
modo suo, da bruto, sia pure, ma in pace e affi- 
dandosi al caso che lo aveva servito bene fin allora. 
Ah ! 11 cugino Pergola gli aveva fatto un gran tra- 
dimento con quella conversione. Ma don Aquilante 
poi che cosa conchiudeva con lo sue nuove dottrine ? 
Parole! Parole! Parolel... Eppure i libri prestatigli 
dal cugino gli erano sembrati cosi convincenti ! 
Perchè non doveva fidarsi della propria ragione? 

E passò la intera nottata a rileggerli nei punti 
che più lo interessavano. Ahimè! L'effetto era assai 
diverso da quello ottenuto altra volta. Ora gli sem- 
brava che quei libri aff'ermassero troppo sbrigati— 
vamonte, che gli sgusciassero di mano quando egli 
avrebbe voluto meglio stringerli in pugno. Inter- 
rompeva la lettura, rifletteva, ragionava a voce alta, 
quasi avesse là davanti una persona con cui discu- 
tesse, passeggiando su e giù per la camera, ten- 
tando invano di combattere i terrori che gli insorge- 
vano attorno da ogni parte, e non soltanto a spa- 
ventarlo ma a irriderlo. 

Un'inesorabile lucidità di coscienza lo faceva ir- 
rompere contro sé stesso: 

— Eh? Ti sarebbe piaciuto che Dio non esistesse! 



- 3Ó5 — 

Ti sarebbe piaciuto che T anima non fosse immor- 
tale! Hai tolto la vita a una creatura umana, hai 
fatto morire in carcere un innocente, e volevi go- 
derti in pace la vita quasi non avessi operato niente 
di male! Ma lo hai visto: c'è stato sempre qual- 
cuno che ha tenuto sveglio in fondo al tuo cuore 
il rimorso, non ostante tutto quel che tu hai fatto 
per turarti gli orecchi e non sentirne la voce. E 
questo qualcuno non si arresterà, non si stancherà, 
finché tu non abbia pagato il tuo debito, finché tu 
non abbia espiato anche quaggiù!... 

Parlava e aveva paura della sua voce, che gli 
sembrava la voce di un altro; parlava e abbassava 
la testa, quasi quel qualcuno gli giganteggiasse di 
fronte, senza forma, senza nome, simile a un ter- 
ribile misterioso fantasma, facendogli sentire la stessa 
prepotente forza da cui, la notte che il vento ur- 
lava per le vie, era stato trascinato in casa di don 
Silvio, per confessarsi e sgravarsi la coscienza dell'or- 
rido incubo che V opprimeva. Ed ora, che doveva 
egli fare? Accusarsi, come gli aveva imposto don 
Silvio? Gli sembrava inutile ormai. Neli Casaccio 
era morto in carcere. Nessuno, all'infuori di lui, pen- 
sava più a Rocco Oriscione! Che doveva egli fare? 
Andare a buttarsi ai piò del papa per ottenere l'as- 
soluzione, per farsi imporre una penitenza? Oh! Non 
poteva più vivere così.... 

E tornava ad irrompere contro sé stesso: 



— 256 — 

— L'orgoglio ti acceca!... Non vuoi iiiaccliiai-e il 
nome dei Roccaverdina !.,. Dei Mahiomini! Ah! Ah! 
E vorresti continuare ad ingannare il mondo, come 
hai ingannato ht giuatizia umana!... Hai scacciato 
di casa tua il Cristo, che t' importunava col l'ini- 
provero della sua presenza!,.. Ed ecco dove ora ti 
trovi! Egli, SI, egli ti è stato addosso, non ti ha 
dato tregua.,.. E ti perseguiterà, 6no all'estremo, e 
smaschererà la tua ipocrisia, inesorabilmente!,.. Che 
potrai tu contro di lui? 

Con un manrovescio fece volar via dal tavolino 
quei libri che più non riuscivano a convincgrlo, e 
già gli sembravano balorda mistificazione; e stette 
a lungo, con la tosta tra le mani, con gli occhi sbar- 
rati, guardando vereo il letto, dov' egli aveva dor- 
mito, facendo brutti sogni, la notte avanti e dove 
non avrebbe più potuto trovar sonno fino a che 
non avesse ottenuto, espiando, la divina grazia del 
perdono! Si stupiva di vedersi ridotto in questo 
stato, come travolto da un turbine improvviso. Gli 
sembrava che il tempo fosse trascorso con incredi- 
bile celerità, e oh' egli fosse, in poche ore, invec- 
chiato di vent'anni. Eppure niente era mutato atr- 
torno a lui. Ogni oggetto della sua stanza era al 
posto di prima; li scorreva con gli occhi, li nume- 
rava.... No, niente era mutato. Egli soltanto era di- 
ventato un altro. Perchè? Perchè suo cugino, sen- 
tendosi in pericolo di morie, aveva rinnegato le sue 



. — 257 — 

convinzioni? Che doveva importargli di lui? E non 
poteva essere stata una debolezza piuttosto fisica che 
intellettuale ? 

Raccolto da terra uno dei volumi, sfogliò parec- 
chie pagine, si rimise a leggere, irritandosi di non 
ritrovare in quei lagionamenti l'evidenza persua- 
siva e convincente che lo aveva prima turbato un 
po' e poi consolato e confortato, facendogli vedere il 
mondo e la vita sotto un aspetto positivo, affatto 
nuovo per lui. Forza e materia, nient' altro.... E le 
cose che scaturivano per propria virtù dal seno della 
materia cosmica, dall'atomo all' uomo, via via con 
lunga serie di lente evoluzioni.... E gli organismi 
che si perfezionavano per continuò e interminabile 
movimento, dalla coesione minerale alla germina- 
zione vegetativa, dalla sensazione all'istinto e alla 
ragione umana.... E tutto senza soprannaturale, senza 
miracoli, senza Dio!... La materia che si disgregava 
assumeva nuove forme, sviluppava nuove forze.... 

Ah! Si era lasciato convincere facilmente, perchè 
gli accomodava di credere che le cose andassero 
così! E non era mai rimasto proprio convinto. 
No! No! Come espiare? Era inutile illudersi; do- 
veva espiare! Gli sembrava impossibile che quella 
parola fosse potuta uscire dalla sua bocca. Ma si 
sentiva vinto; non ne poteva più! La sua volontà, 
il suo orgoglio, la sua fierezza erano cascate giù 
tutt'a un tratto , come vele abbattute da un tre- 

Capuana, Il Marchese dì Roccaverdìna. 17 



— 258 — 
olpo (ii veiitei. Ceni, da un pezzo, dentro 
lalcosa che lavorava a logorarlo , se n' era 
l'tc... Aveva tentato di opporvisi, di contra- 
Non iTii riiisciu»!.,. Uiso{;iniva cspiai-c! Bi- 
tìspiare ! 

izio gli faceva paura. Un gatto cominciò a 
si nella via con voce quasi umana ora di 

piangente, ora di uomo ferito a morte; e il 
ai allontanava, si avvicinava, elevandosi, ab- 
si di tono, prolungatamente; grido di malaii- 
inbrava al marchese, quantunque lo sapesse 
. di amore. 

)otì) fare a meno di stare in ascolto, di- 
)Ì, o piuttosto confondendo con quel grido 
voce che gli ai lamentava nel cuore, men- 
filavano quasi davanti agli occhi a inter- 
:onfusamente Rocod Oriscione, Agrippina 
.on Silvio La Oiura, Zòsima, Neh Casaccio, 
figure di vittime sacrificate alla sua gelosia, 
rgoglio, alla sua impenitenza. Rocco, bruno, 
capelli folti, con occhi nerissimi, penetranti, 
ito di virilità che scattava nella parola e nei 
ipure devoto a lui, altero di sentirsi chia- 
cco del marchese, e in atto di ripetergli le 

quel giorno: — Come vuole voscema! — 
a Solmo, chiusa nella mantellina di panno 
tie andava via singhiozzando , ma con un 
nprovero, quasi minaccia, nello sguai-do. 



Don Silvio La Giura, ateao nel oataleti 
affilato, con gli occhi affondati nelle occhi 
dalia morte, la l)occa siRillaLa por seinpi 
si era rallegrato rti vederlo, davanti a 1 
del Gasino, tra la folla. Zòsiina, con quella 
smorta, con quel sorriso di tristezza ras 
non osava ancora credere alla sua prosa 
con quel diffidente — Ormai ! — su le lai 
quel punto gli sembrava profetico : — 
mai!... — 

Come avrebbe potuto avere il coragg 
ciarla alla sua vita, ora che egli ai 
mercè di una vindice forza, avverso allj 
poteva nullay... No, no! Doveva espian 
non procurarsi un nuovo rimorso travol) 
buona creatura nella inevitabile minai 

Inevitabile!... Non sapeva da che p: 
parte di chi, né come, né quando; ma 
più dubitare che una parola rivelatrice i 
nunciata, che un castigo gli sarebbe pi 
dosso presto o tardi, se non si fosse volo 
imposta una penitenza , un' espiazione 
non si sentisse purificato e perdonato, 
gli aveva dett-o: — Badate! Dio ò gius 
sorabile ! Egli aaprà vendicare l' innoce 
vie sono infinite! — E con l'accento d 
role gli riauonava nell'orecchio anchi 
del vento che atoteva le imposte della 



— -M) — 
p pasHavii e ripassava via pe! vicolo, urlando o 
fischiali (io... 

Non osiiva |)iù aixiirwi lialia -spgjiiola, con la sfrana 
sensazione clie la sua camera fosse diventata una 
prigione murata da ogni parte, dove lo avrebbero 
lasciato morii-6 di terrore e di sfinimento, com' era 
morto Neli Casaccio, immeritatamente, in scambio 
di lui. Si era lusingato di sfuggire alla giustizia 
umana e alla divina, dopo che i giurati avevano 
emesso il loi'o vei-detto ; dopo che don Silvio era stato 
reso muto prima dal suo dovere di confessore, poi 
dalla morte; dopo ch'egli si era illuso di essersi sba- 
razzato di Dio, della vita futura e di avere acqui- 
stato la pace con le dottrine e con l' esempio del 
cugino Pergola.... E, tutt'a un tratto!... aveva 
sognato?... continuava a sognare a occhi aperti? 

Senti il primo cinguettio dei passeri aui tetti, vide 
infiltrarsi a traverso gli scuri mal chiusi del bal- 
cone il chiarore dell'aurora, e gli pan-e di destarsi 
davvero da un orribile sogno. Spalancò l' imposta, 
respirò a larghi polmoni la frescura mattutina, e 
sentì invadersi da un dolce senso di benessere di 
mano in mano che la luce del giorno aumentava. 
I passeri saltellavano, si inseguivano sui tetti, cin- 
guettando allegramente; le rondini goi^heggiavano 
su la grondaia, dove avevano appesi i loro nidi ; pel 
vicolo, per le case riprendeva il rumore, l'aEfaccen- 
damento della vita ordinaria. E il sole, che già dorava 



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la cima dei campanili e delle cupole, scendeva lenta- 
mente, gloriosamente sui tetti, faceva venire avanti, 
quasi le ravvicinasse, le colline lontane, le montagne 
che formavano una lieta curva di orizzonte attornq 
alle colline che digradavano e si perdevano nella 
vasta pianura vérde, coi seminati qua e là luc- 
cicanti di rugiada, nell'ombra. 

Con la crescente luminosità del giorno, i tristi 
fantasmi che lo avevano contristato durante la not- 
tata si erano già dileguati. E appena gli tornò da- 
vanti agli occhi la figura del cugino Pergola, col 
berretto bianco, di cotone, calcato fin su le orecchie, 
il collo circondato d'ompiastri sorretti dalla grigia 
fascia di lana, seduto sul letto, appoggiato al muc- 
chio dei guanciali, col viso congestionato e gli oc- 
chi rigonfi, quella risata che colà, nella camera, tra 
le candele ardenti sui candelabri di legno dorato at- 
torno alle teche delle reliquie e al cordone di ar- 
gento del Cristo alla colonna, quella risata che gli era 
stata soffocata in gola, più che dal turbamento, dalla 
presenza dell'afflitta signora e dei bambini, gli scoppiò 
ora irrefrenabile in faccia al cielo azzurro, luminoso, 
in faccia alle cupole, ai campanili, alle case di Ràb- 
bato, alla campagna, alle colline; e senza nessuna 
amarezza di delusione, quasi finalmente compren- 
desse di aver ecceduto, di essersi lasciato vigliacca- 
mente impressionare anche lui ! E apriva soddisfatto 
i polmoni a lunghi respiri di soddisfazione! 



XXIV. 

Mamma Grazia, portandogli il caffè, gli diede la 
buona notizia: 

— Piglio mio, sta' tranquillo ; tuo cugino è fuori 
pericolo. Ha mandato a dirtelo la signora. La gola 
gli è scoppiata tutt'a un tratto, verso mezzanotte. 
Ha potuto mangiare una minestrina. San Biagio e 
il Cristo alla Colonna gli hanno fatto il miracolo. 

— In due, mamma Grazia? Ci voleva tanto? 
Tentò di ridere, ma il riso gli 8Ì ghiacciò su te 

labbra. 

Più tardi, lanciando a tutta corsa le mule della 
carrozza per la discesa dello stradone, il marchese 
si sentiva riprendere da ima sorda inquietudine, da 
un'inattesa tristezza che gli facevano tornare in 
mente le terribili ansietà della nottata. Le mule 
abuffando, scotendo le teste sotto i frequenti colpi 
di frusta, infilata la carraia di Mai^itello, passarono, 



— 263 — 

come un fulmine, tra le siepi di fichi d' India, en- 
trarono rumorosamente nella corte; e il massaio, 
uscito incontro al padrone dal ripostiglio a pian 
terreno, non potè trattenersi dall' esclamare sotto 
voce: — Povere bestie! 

Il marchese saltò giù dalla carrozza, fosco, con le 
sopracciglia corrugate e rispose appena con un cenno 
della testa al saluto del massaio. Andò difilato allo 
stabile deìV Agricola, fece spalancare tutte le finestre, 
e si aggirò lentamente per quegli stanzoni, osser- 
vando le macchine, i coppi, le botti ; provando un 
senso di malinconia davanti a quegli strettoi, a quei 
pigiatoi, a quelle macchine, ancora non adoprate e 
che in quel punto gli pareva non sarebbero mai 
arrivate ad essere adoprate ; davanti a quelle botti, 
a quei coppi vuoti e che gli pareva egualmente non 
sarebbero mai arrivati ad essere riempiti.... Perchè 
questo scorato presentimento? Non sapeva spie- 
garselo. 

Uscì fuori, oltre la cinta degli eucalitti, su la linea 
dei seminati che già incominciavano a ingiallire. 
Mai egli non aveva visto tale meraviglioso spetta- 
colo di sano rigoglio. Le spighe si piegavano in cima 
dei pedali del grano così alti da nascondere un uomo 
a cavallo che si fosse inoltrato in mezzo ad essi ; 
e i seminati si stendevano, a perdita d' occhio, da 
ogni parte della pianura, ondeggiando dolcemente 
fino a pie delle colline attorno a Ràbbato. Là i vi- 



— Sfa- 
gneti iiei-f^itpiavaiio in grandi scacchi, col fitto fo- 
gliamo, e gli ulivi arrampicati per l'erto, macchinosi, 
protendevano i rami in l>as80, quasi volessero toccare 
il terreno. Ma quelle vigne eh' egli sapeva cariche 
di piccoli grappoli che tra qualche mese si sareb- 
bero ingrossati o anneriti o ambrati sotto il bene- 
fico calore del soie; ma quegli uliveti che, avuta 
una felicissima fioritura, erano già onusti di frutti 
inverdicanti lietamente per la maturazione, non gli 
producevano, quel giorno, nessuna impressione di 
gioia; quasi vigne ed uliveti non avessero poi do- 
vuto dar lavoro alle macine, agii strettoi, ai pigiatoi, 
e riempire i coppi e le botti. 

Perchè questo scorato presentimento ? Non sa- 
peva spiegarselo. 

Ei'a scontento di aè, de' suoi progetti, di quel che 
aveva fatto, di quel che avrebbe voluto fare in sé- 
guito, di tutto. Gli pareva che ogni sua cosa do- 
vesse risolvei-si in vaniti», in inanità, e che la stessa 
sua esistenza fosse intanto un'inanità e una vanità 
maggiore delle altre. E cominciava a ripensare: 

— Non v'è certezza di niente 1 
E tornava a domandarsi ; 

— Ma dunque?... Ma dunque? 

Sempre daccapo! Quando s'immaginava di aver 
domato o vinto quel tormentoso nemico interiore, 
lo vedeva insorgere, tornare all'assalto più vigoroso 
e più insistente di prima. Ogni tregua riusciva il- 



— 265 — 

lusoria; ogni mezzo messo in opera, un palliativo 
che lo calmava per qualche tempo ma non lo gua- 
riva radicalmente. 

Forse la colpa era sua. Egli non opponeva alle 
circostanze e alle impressioni sufficiente energia di 
resistenza. Non era dunque un Roccaverdina ?... 
Ah ! Voleva essere un Maluomo come i suoi d' una 
volta. Non vi era certezza di niente ? Ebbene.... egli 
doveva agire come se vi fosse piena certezza ! 

Con le mani dietro la schiena, le gambe allar- 
gate e piantate solidamente sul ciglione sotto cui 
i seminati ondeggiavano, con lo sguardo che errava 
attorno, lontano, su quella vigorosa esplosione di 
vita, egli stette un pezzo quasi senza pensare, radu- 
nando con intenso sforzo le riposte energie del suo 
corpo d'atleta e del suo spirito rude ; e quando sentì 
corrersi ribollente nei polsi e nelle tempie il sangue 
spinto in su dal cuore che palpitava rapidissimo ; 
quando sentì diventar saldi nella mente quei pro- 
ponimenti di ribelle resistenza contro tutto quel 
che si opponeva alla sua tranquillità, alla sua fe- 
licità, alzò le mani con un secco gesto di afferma- 
zione e di sfida.... E si sentì un altro! Quello di 
anni fa, quando legge e norma di sua vita era per 
lui il personale interesse, e anche il capriccio. Tutti 
i suoi guai presenti originavano dall'unica debo- 
lezza di aver dato marito alla Solmo ! E aveva cre- 
duto di fare atto di forza quel giorno! 



■■■^^^^w»i 



ttto? Biaoftnava annullarlo dentro di sé, 
jn si poteva più faro che quel che era av- 
on fosse avvenuto. Ripai-are, fin dove era 

si; ma non scoragffiarai, non avvilirsi, non 
; e, sopratutto, prendere il mondo qual' è, 
9 gli altri. 

_.. se c'è.... C'è !... Dev'esservi !,.. — soggiunse 
irà certamente più misericordioso degli uo- 
li solo può valutare con esattezza le nostre 
^li che può leggeiri nell'intimo anche me- 
oi stessi. Sappiamo foi-se, spesso, perchè ci 
loliiti ad agire in una maniera piuttosto 
l'altra? Siamo fragili steli che il vento fa 
li qua di là secondo la part« da cui 

'dava attorno, e stendeva le mani ad ac- 
il seminato, che si piegava sotto la lieve 
e si rialzava sùbito, quasi e^ìi volesse at^ 
on quel contatto, e direttamente, dalla ope- 
ra nuovi e freschi clementi di vigoria fisica 
tuale. 

iva un altro, quello di anni fa. E il mas- 
Io vide tornare con l'aspetto schiarito, gli 

icenza si è rifatto il cuore con la vista dei 

! 

■ero, massaio — rispose sorridendo. 

roneasa di Lagomorto era andata a letto 



*I 



— 267 — 

da un quarto d' ora quando il marchese picchiava 
al portone. 

— Mi hai messo una gran paura, nepote mio!... 

— Se avessi potuto supporre! non è tardi, zia! 
La baronessa, in cufBa, sotto il padiglione che 

circondava il letto, spariva tra le coperte; e le 
magre mani sporgenti fuori dalle maniche della ca- 
micia da notte, e che tentavano di nascondere i dia- 
volini con cui ella aveva ancora la debolezza di ar- 
ricoiarsi i capelli, sembravano più scheletrite e più 
scure tra tanto bianco attorno. 

— Dunque ? — ella riprese vedendo che il nepote 
rimaneva zitto, in piedi, e accennandogli di sedersi. 

— Sono venuto per pregarvi di avvisare la signora 
Mugnos, per domani..,. 

— Ah ! Finalmente ! 

— E per sentire, avanti, quel che voi mi consi- 
gliate. Io non so.... 

— Zòsima desidererebbe che le si risparmiasse di 
andare al Municipio. Le due cerimonie, insieme. 
C'è la cappella in casa tua, privilegio ottenuto dal 
nonno. Io mi sono sposata là. Allora un prete ve- 
niva a dirvi la messa ogni domenica. La nonna 
non andava in chiesa neppure pel precetto pasquale. 
Altri tempi ! 

— Pel Municipio sarà difficile. Parlerò con l'as- 
sessore che funziona da sindaco. Ho sentito dire 
che non vogliono fare eccezioni. 



■'"! 



- 268 - 

— Lo dita della mano non sono tutto uguali ! Non 
sei il maroheso di Roccavordina por niente 1 Vorrei 
vedere che ti dicessero dì no. 

— È probabilissimo. Quei signori della Giunta ce 
l'hanno un po' con me, jrer la lotta di mesi fa. 

— Vorrò vederla ! 

— In ogni caso, al Municipio andremo di sera, 
tardi.... 

— Pesta di famiglia, hai detto l'altra volta. Ora 
che quel disgraziato ha celebrato anche il matri- 
monio religioso, Tìndaro non vorrà piìi tener duro 
con sua figlia. 

— E in rottura anche con me, per gli scavi che 
non gli ho permesso di fare a Casalicchio. 

— E in rottura con tutti quel matto ! Suo figlio 
già ritorna da Firenze ammalato, pare, di tisi. Po- 
vero giovane! Chi sa che stravizi ha fatto!... Basta: 
non dovremo far ridere la gente. Questo matrimonio 
sarà una bella occasione per riconciliai-e tutti. 

— Lo pensavo anch'io, zia. In quanto ai vestiti e 
al corredo per Zùsima.,.. 

— Lascia fare a me. Mi metterò d'accordo io con 
la signora Mugnos. Eccellente persona, ma tm po' 
orgogliosa, o meglio, di troppo delicato pensare. So 
io come prenderla, per non offendere il suo amor 
proprio, 

— SI, zia. Verrò qui domani; a che ora? 

— Ti manderò a chiamare io. 



— :>69 — 

Egli non si era accorto dei canini che dormivano 
sul letto, dappiè, coperti da una piccola coltre im- 
bottita. Svegliati dalla voce del marchese, solle- 
vate le toste fuori dai lembi della coltre, si erano 
messi a ringhiare. 

— Come ? Dormono con voi, zia ! — egli esclamò. 

— Per tenermi caldi i piedi. Hanno freddo an- 
ch'essi, poverini ! 

Uscendo dal palazzetto della baronessa, il mar- 
chese esitò un momento, poi si diresse verso la casa 
del cugino Pergola. Si sentiva a bastanza forte contro 
le impressioni che vi avrebbe potuto ricevere. Era ri- 
soluto ormai. 

— Prenderò il mondo com'è ; farò come gli altri ! 
Non intendeva di voler essere un santo. 

11 cavalier Pergola stava ancora a letto, ma senza 
berretto bianco calcato fin su le orecchie, senza em- 
piastri attorno al collo riparato soltanto con un 
fazzoletto di seta. Di sul tavolino e di sul casset- 
tone erano spariti i candelabri di legno dorato, le 
teche delle reliquie, il cordone di argento del Cristo 
alla colonna ; e la sua parola suonava spedita quan- 
tunque la voce fosse un po' rauca. Seduto sul letto, 
appoggiato al mucchio dei guanciali, egli raccon- 
tava in quel momento una fiaba ai suoi bambini, 
che si mostrarono molto malcontenti dell' interru- 
zione prodotta da quella visita. Infatti, appena il ca- 
valiere ebbe finito di raccontare come le tonsille gonfie 



— 270 — 
erano scoppiate tutt'a un tratto quando egli già si 
sentiva soffocare — aveva visto proprio la morte 
con gli ot'flii! — il nia}^ioi-6 dei bambini, impa- 
ziente, disae : 

— E allora, babbo, l'Orco ohe fece? 

- Ve lo dirò domani; ora andate a letto. 

— No, vogliamo saperlo ora! — soggiunse la so- 
rellina quasi piagnucolando. 

— Che fece? — riprese il cavaliere. — Prima di 
mangiarsi viva viva la fanciulla, afferrò la capra 
che era con lei e ne fece un boccone. Ma, nella 
fretta d'inghiottire, un osso gli si mise per traverso 
nella gola, e mori soffocato. E la fanciulla tornò li- 
bera a casa sua. Stiletta la foglia, larga la via, dite 
la vostra, che ho detto la mia. Siete contenti? An- 
date a letto. 

La signora Pergola, all'arrivo del marchese, aveva 
lasciato di cucire accanto al tavolino; alzatasi da 
sedere e presi per mano i due bambini rimasti de- 
lusi dal troppo rapido scioglimento della fiaba, usci 
con loro dalla camera. D cavaliere, impacciato di 
trovarsi da solo a solo col cugino, disse; 

— Questa volta l'ho vista bratta! È difBcile im- 
maginare che cosa significhi sentirsi morire nella 
pienezza della vita e con l'intera lucidità delle fa- 
coltà intellettuali. Il pericolo fa perdere la testa, 
riduce imbecilli. Nelle malattie ordinarie, le forze 
sono già prostrate, l'intelligenza è annebbiata; si 



— ZÌI — 
muore allo Stesso modo con cui ci ai addormontfi 
senza accorgersi di niente.... Ma quando un os 
inaleriale vi stringe la gola, vi toglie il i-espi 
fu provare Icntameiiltó tutti gii orrori della 
vii'ina, oli, rreiietenii, cugino...! Non si resisti 
mi sarei squarciato la gola con le mie stesse n 
Voi sorridete, capisco perchè.... Ho commesse 
bestialità.... Quel vampiro del prevosto Monte 
ha approfittato.... Mi ha strappato una ril 
alone. Dovrà rendermela. Lo afferrerò pel col 

— Lo avete mandato a chiamare voi, mi ha 
la cugina. 

— Chi si rammenta più quel che ho fatto li 
momenti? Mi sarei attaccato ai rasoi..,. Mia r 
che mi stava davanti con gli occhi rossi dai pia 
1 bambini.... Non ragionavo più.... 

— E cosi San Biagio, il Cristo alia colonm 

— Non me ne parlate, cugino ! 

— E voi, ve lo avverto, non mi parlate p 
vostri libri. Va li rimando domani. Non voglii 
starmi la testa.... Ho altro a cui pensare. Tai 
mondo andrà sempre allo stesso modo.... Bi 
liamo tastoni, nel buio.... È m^lio premunii 
ogni caso. Che ci rimettiamo? Se di là ne 
nulla.... buona notte ! Ma se c'è? 

— E un rimprovera? 

— No; ognuno la pensa a modo suo. E pei 
cose, la miglior maniera di pensarci, secondo 



è non iR'nwaiTi afTiiUo, Prendo mop;lie; ho ì miei af- 
fari, vojrlio vivere tranqnillo. Che avete guadagnato 
voi roi vttHtri faincjsi liln-iV Non ci danno da man- 
jiiare essi, non ri tolfiono un {Tiiaio di i«I dosso ; o 
no abbiamo tanti! DinuiU(;V Dnn(|ue striingianioci 
nelle spalle, e lasciamo che le cose vadano oome 
debbono andare. E poi, caro cngino, noi non siamo 
scienziati. Gli scienziati fanno tante belle scoperto; 
se le tengano per loro. Noi non possiamo rispon- 
dere: — È vero! Non è verol — Glie ne sap- 
piamo? Dobbiamo stare in fede loro. Non sono in- 
fallibili. Dunque?... Me ne vado; è tardi. 

— I preti non vogliono altro; contano su la no- 
stra ignoranza. 

— Voi ce l'avete coi preti. Per me, sono uomini 
come noi. Perchè hanno la chierica? Perchè dicono 
messa? Fanno il loro mestiere. Io sto a sentirli, 
e poi..,, agisco come mi persuado. Anche don Aquì- 
lante ce l'ha coi preti. E intanto egli le sballa più 
grosse dì loro. Non voglio dar i-ettii a nessuno da 
oggi in avanti. Paté come me. Ve ne troverete bene. 
Che malo ci sarebbe stato se aveste celebrato a suo 
tempo il matrimonio religioso? Avete riparato ora, 
e vi approvo. 

— Per contentare mia moglie.... 

— Dovevate contentarla prima, se le volevate bene. 
Avoto avuto paura. Significa che, in fondo, non siete 
proprio convinto neppure voi.... 



^ 273 -^ 

— Vi avrei voluto nei miei panni, con queste ma- 
ledette tonsille ! Ma le farò strappare. Un'operazione 
da nulla, senza dolore e senza sangue; le afferrano 
con uno strumento che taglia e caustica nello stesso 
tempo, e in un minuto è fatta! 

— Bravo!... Ma intanto avete avuto paura! 

Il marchese rideva, soddisfatto di aver potuto mor- 
tificare il cugino, e d'essersi presa la rivincita del 
turbamento prodottogli quella mattina con la con- 
fessione, con lo spettacolo delle reliquie e il resto. 
In quanto a sé, tornando a casa, era contento di 
ripetersi mentalmente: 

— Non voglio essere un santo io! 



Capuana, Il Marchese di Roccaverdina. 18 



XXV. 

e mesi dopo, Zòsima Mugnoa, diventata mar- 
. di Roccaverdina, era ancora quasi incredula 
felicità raggiunta non tanto col trovarsi in 
o alle ricchezze dalla pudica miseria della sua 
;lia decaduta, quanto col vedere finalmente av- 
lO quel che era stato per lei il lungo sogno 
sua giovinezza. Segreto sogno, lusinga,- ricordo 
osto che lusinga, dopo che il marchese, giova- 
no — fattole nascere in cuore un affetto con 
) parole che l'avevano tratta in inganno la- 
dole supporre che egli non osasse di dirìe aper- 
ate quel che le pareva di indovinare — si era ai- 
nato da lei, proprio quando avveniva la ìm- 
-isa rovina della sua famiglia, e più tardi aveva 
tato in casa una donna ohe tutti credevano de- 
ta ad occupare, un giorno o l'altro, il posto 
a s'era immaginato potesse essere suo. 



— 275 — 
Aveva pianto nella sua cameretta, si 
noll'oinbra discreta con nel cuore sempn 
l'imiiiagme di colui che l'avevu fatto [ 
prima volta; e si era votata a quel ricor 
lamento, senza nessuna speranza, non o 
pure lamentarsi della sua cattiva sorte, s 
con mirabile rassegnazione tiitte le umili 
miseria; consolata unicamente dal ricor 
lontani giorni, di quei mesi, di quei due 
tanti piccoli fatti, tanti lievi indizi le a 
polato di gentili chimere la mente, e r; 
un continuo sorriso la bella bocca e gli 
zurri. 

Cosi era quasi sfiorita, pregando ogni a^ 
grata di dovergli una consolazione ch'egli 
ignorava; grata di potere, di quando in q 
sare e fantasticare quel ohe sarebbe potu 
e non era avvenuto e che ella credeva i 
più avvenuto. Orgogliosa che mai un suo 
sua parola non avessero rivelato a qual 
prawivenza di un'illusione della sua gioì 
era rimasta turbata il giorno in cui la b 
Lagomorto le aveva fatto capire fuggevo 
rimpianto, ohe anche lei si era illusa di 
trare in casa Roccaverdìna per continuai 
zione delle sante donne massaie e cantai 
quali il ricordo durava ancora. 

Una santa la nonna, vecchietta grassa e 



— 276 — 
negli ultimi anni di sua vita andava a messa cu) 
ÌKtatom, quasi strascinando lo gambo, o intonava il 
rosario dal iMinco di famiglia posto sotto il pulpito; 
banco nel quale non doveva mai sedere nessuno estra- 
neo, e per ciò fatto col piano che si rilevava e veniva 
chiuso a chiave terminata la messa. Ogni venerdì mat- 
tina la buona vecchietta attendeva nel portone i 
suoi ])overi, seduta su un seggiolone coperto di cuoio, 
con ai lati duo cofani ricolmi di grosse fette di pane 
infornato a posta, che distribuiva ella stessa, facendo 
sfdare i poveri a uno a uno, dicendo una buona pa- 
rola a questo, dando doppia razione a quelli che sa- 
peva carichi di famiglia, domandando notizie di qual- 
cuno che non si presentava, se mai fosse malato. 

Santa la mamma, nonna del marchese Antonio, 
Ne aveva visto di tutti i colori con le scapataggini 
del marito. Era padre della baronessa, ma ella so- 
leva dire: — La verità innanzi tutto 1 — E poi, chi 
non sapeva che la povera sua mamma era stata 
una martire? Tra bracchi, levrieri, segugi, cani di 
(gni lazza e ampai aimati hno ai denti e con certo 
facce da metter paura — arrivavano , sparivano, 
iiceic-ati dai gendarmi e riapparivano poco dopo, 
senza barba, con altri nomi sotto altre spoglie, e 
do^ evann accompi^nare il padrone dovunque, come 
guardie del corpo — la ■aanti donna tremava da- 
\ 'inti il imiito e li e\ i faio la carità di nascosto, 
peiclitì al maichesc non piaceva di vedere la casa 



— 277 — 
ì, dalla poveraglia, come avveniva auando la 
nonna era ancora in vita e non le s 
dire di fare a modo suo. 

Santa e martire pure essa la cogni 
che pensava soltanto ai levrieri da i 
stito come un burattino, all'inglese, ■ 
quattrini per questa sua smania e p 
teatro a Palermo, lasciando rodersi 
umiliazione la bella e buona oreatui 
aveva inchiodata paralitica nel letto i 
di sfinimento. 

Oh! Quando la baronessa comine 
delle persone di casa sua, non la fin' 
cosi schietta e sincera da far sospetta 
una specie di compiacimento nel me 
fine, i Rocca ver dina appartenevano 
razza diversa dall'oi'dinaria, non imp 
cose buone o nelle cattive. Le donne 
state tutte sante; e forse ella attrib 
santità anche a sé stessa, pensando 
aveva fatto patire il barone suo mai 

Zòsima stava ad ascoltarla con vi 
ogni volta che la baronessa ragionavi 
casa Roccav ordina. E quella sera che n 
si senti mormorare nell'orecchio; — 
forse Dio esaudirà le mie preghiere! 
d'espressione dcgH ocflii le fecero ii 
toKa si tnillasKO, obbi^ unii vaiuiìii ii 



— 278 — 

potè neppure rispondere come voleva; — Perchè mi 
dite cosi? — vergognandosi di mostrare che aveva 
sùbito capito. 

Dopo che il marchese aveva fatto chiedere la sua 
mano, e durante i lunghi mesi scorsi tra la richie- 
sta e il compimento del matrimonio, quanta an- 
sietà', quanti silenziosi pianti nella sua cameretta, 
pensando a quell'aZ^ra ohe forse aveva lasciato qual- 
che profonda impronta nel cuore del marchese, e du- 
bitando di poter riuscire a scancellarne ogni traccia! 

Aveva manifestato i suoi timori prima alla mamma 
per consultarla intorno alla risposta da dare; poi 
alla baronessa, per scusare il ritardo di quella rispo- 
sta, che le riusciva strano e inesphcabile. | 

La signora Mugnos l'aveva sgridata: ^ 

— Come? Ti metti a pari di una donnaccia? Ti 
credi cosi poca cosa, da non poter fargliela dimen- 
ticare? Ma quelle disgraziate, figlia mia, non la- 
sciano segno alcuno. Infatti, egli le ha dato marito 
anche prima di chiedere te, e forse pensando a te. 
Ohe temi dunque? 

E la baronessa ; 

— Hai avuto torto, figliuola mia! Posso assi- 
curarti che colei gli è andata via tutta intera dal 
cuore. Mio nepote non vuol sentirne nemmeno ra- 
gionare ; se qualcuno gliela nomina, gli tronca le pa- 
role su lo lab])ni. 

Eppure, che farci? la murcliosa di Roccaverdina, 



— 279 — 
dopo due mesi, quando ormai non poteva ragiouB- 
volmeote più dubitare di appartenere per sem 
colui che era stato il sogno della sua gìovinezzt 
lo vedeva attorno premuroso, affettuoso, eoe 
denti prove di spontanea sottomissione, sentii 
nascere dentro di sé ì sonii assalti di gelosia i 
avevano tormentata segretamente tanti anni ; 
appunto quelle affettuose promure, quelle prc 
sottomissione fossero da parte del marchese, pi 
altro, sforzi di volontà coi quali egli ceroas 
ascondergli il vero stato d'animo di lui. 

Mamma Grazia, vedendola arrivare dal Mimi 
per ricevere la benedizione nuziale nella ca] 
di casa, dove dopo la morte della marchesa i 
non era più stata celebrata nessuna funzione 
gioaa, si era buttata ginocchioni, piangendo d 
lentezza, e aveva baciato il pavimento per ri. 
ziare Iddio dellii consolazione concèssale prii 
chiudere gli occhi, esclamando: 

— Ora questa casa è ribenedotta! Ora v'è ei 
la grazia del Signore! 

E nei giorni appresso la povera vecchia u 
istolìdita aveva ripetuto tante volte quello esc 
zloni, da spingere la marchesa a domandarle: 

— Perchè? Ohe intendete di dire ? 
Mamma Grazia si era sfogata, raccontando 

quel che aveva dovuto soffrire in siJcTizio jiei' 
dar dispiut'oit' ni, ji'jUo marchese, allorché era 



costretta a servire quell'intrusa venuta a far da pa- 
drona là elove non era degna neppure di spazzare 
le stanze! 

— Non posso però dirne male — aveva sog- 
giunto; — mi ha sempre rispettata. E Dio mi casti- 
gherebbe, se affermassi che era cattiva, interessata, 
vanitosa; no, noL. Ma il suo posto non era qtii. E 
glielo dicevo: — Come hai fatto? Lo hai stregato? 
— Ed ora ho qui la mia bella padroncina! Ho la mia 
bella figlia, che mi permetto di chiamarla cosi perchè 
ò sposa di colui che è quasi figlio per me.... Ora questa 
casa è ribenedetta. Il peccato mortelo è andato vìa! 
Ora vi è entrata davvero la grazia del Signore! 

La signora Mugnos, venuta ad abitare dalla mar- 
chesa nelle prime settimane, aveya voluto tornare 
assieme con la figlia minore nella casa dov'era nata, 
dove era stata parecchi anni moglie e madre felice, 
e dove poi aveva assistito, col cuore straziato e con gli 
occhi in pianto, alla rovina venuta sùbito dietro alla 
improvvisa morto del marito. Due, tre volte la set- 
timana, ella e Cristina pranzavano in casa Eocca- 
verdina e vi restavano l' intera giornata le dome- 
niche ; ma questo non impediva che la testa della 
marchesa non fosse invasa lentamente dall'ossessione 
dell' fflftm che si era aggirata, dieci anni, per quelle 
stanze, e che sombrava vi avesse lasciato l' acuto 
odoro di donna peceaniiuosa, cosi repugnante por lei 
c;\sla di corpo e di pciisieri. 



. — 381 ~ 

Il marchese aveva già ripreso la sua vita 
f accendameli to che lo faceva partire quasi ogn 
per Margitello dove la vendemmia fervevi 
raccolto delle ulive era vicino. Due volt« eg 
condotto la marcliesa la^iù, altiero di m 
quelle macchine che luccicavano quasi fosst 
di argento, e che tra poco avrebbero avuto 
da fare; altero di mostrarle la trebbiatric 
in prestito dal Comizio Agrario provinciale, 
goiava i covoni con la lai^a bocca, immetta 
gli sbocchi posteriori il grano crivellato nei 
])ronti a riceverlo. Ella aveva fatto sembian 
teresaarsi della trebbiatrice che una lunga a 
metteva in comunicazione col motore fumif 
accanto; di interessarsi delle macchine che 
non molto sarebbero state rosseggianti di mos 
di olio, sudice di morga, e più belle che ne 
brassero ora con quell'aria di ordigni di lus 
là, apparentemente, per delizia dogli occhi. 

Ma intanto che il maichese lo faceva visiti 
cosa, dando minuzioso spiegazioni, esaltandc 
iniziativa, la sua aspirazione e descrivendo l'a 
della Società Agrìcola, quasi non si potesse 
mamente dubitare che esso dovesse essere qi 
pariva alla sua Immaginazione o quale egli 
siderava, Z^Ssimft si sentiva sopraffare da w 
di delusione, da un'inattesa tristezza, comi 
ad avvedersi che olla ei'ii entrata nella vitii 



- 283 - _ 
iportanza delle màoine, della pigiatrice, 
) di tutti gli altri arnesi che lo tene- 
, senza che gli facesse vibrare nel 
cosa di più intimo, di più dolce di 
non aveva chiara e precisa idea, ma 
loloroso notare la evidente mancanza. 
!) di ingannarsi; temeva specialmente 
di esaere incontentabile e quasi in- 
io alla Bua sorte un compenso più 
:lie era stato ora concesso alle sue 
ize, alla sua costanza, a quella se- 
e con cui ella si era votata a lui 
3 aveva perduto ogni ricordo, tutto 
i, più giovane, più fresca di lei, e che 
feva essergli parsa anche molto più 

gelosia di quel passato tornava a li- 
lel cuore come una volta. Allora si 
; oggi ella sentiva ohe non avrebbe 
arsi più. Che confranti faceva dunque 
Che cosa occorreva per impedirgli 



Muguos, la bai-onessa, Cristina, tutti 
una ragione o por un'altra l' avvici- 
nano capire chiaramente che la cre- 
E quando, accorgendosi della lieve 
07.za che lo velava gli occhi o tnispa- 
ratLei'istico uKej^iarsi dello laljimi, o 



— 283 — 

da una cercaria stanca della persona, le domanda- 
vano se per caso non si sentisse leggermente indi- 
sposta, sorridevano credendo che si trattasse di in- 
dizi da cui potevano trarsi lieti auspicii. 
Ella negava: 

— No, no; sto bene, molto bene anzi. Ohe mi 
manca ? 

— Che può mancarti, figlia mia ? — le diceva la 
baronessa. — Ma non c'è da arrossire, se hai già 
la fartuna,... 

— No, zia!... Ve l'assicuro 1 

— Ohe ti senti dunque? Sei palliduccia.... 

— Niente mi sento , zia. Sono sempre stata un 
po' pallida, 

— Un mese fa eri diventata rosea ; sembravi 
un'altra. Ora tua madre n'è un po' impensierita. 
Dovresti smettere questi abiti troppo scuri. Ricor- 
dati che sei sposa, che sei la marchesa di Rocca- 
verdina.... 

Zòsima aveva voluto conservare le modeste ap- 
parenze di quand' era semplicemente la signorina 
Mugnos, anche per un riguardo alla madre e alla 
sorella. Il marchese, nel contratto matrimoniale, le 
aveva costituito in dote la vasta tenuta di Poggio- 
grande, autorizzandola a voce, anzi volendo che 
ella disponesse della rendita in favore della madre 
e della sorella in maniera da non offendere il loro 
legittimo orgoglio. 



~ 284 — 
La signora JVIilgnos aveva risposto alla figlia: 

— Siamo due mosche ; quel che ci rimane ci basta. 
Ed era occorsa una grande insistenza da parte 

(lolla marchesa per farle accettare tanto grano e 
vino e legna da impedire che essa e Cristina do- 
vessero continuare a lavorare , come due mìsere 
donne, mentre ella viveva nella ricchezza. Parecchi 
ometti superflui di casa Roccaverdìna erano andati 
a rendere meno squallide le stanze della famiglia 
Mugnos. 

— Oh mamma! Potrei sentirmi felice pensando al 
vostro stato e a quello di Cristina? Fatelo per me, 
giacché non vi ò piaciuto di venir a convivere in casa 
nostra, come il marchese ed io avevamo desiderato. 

Ma quando il suo cuore avea cominciato a tur- 
barsi con l' ossessione dell' immagine di qu.e\\'.altra 
che aveva desinato faccia a faccia col marchese, 
nella stessa sala da pranzo e forse seduta nello 
atesso posto dove ora sedeva lei ; che aveva dor- 
mito, se non nello stesso lotto e nella stessa camera, 
e U lei tL 'lotto lo stesso tetto, e aveva toccato 
co le s e 1 stessa biancheria, e parecchi og- 

gett che le sta ani sotto gli occhi e che non po- 
tè a o non r desta e il fantasma di colei nella im- 

ng z one del n archese, la gioia di far part«ci- 

I e 1» ma in o la sorella alla mutata condizione 

Icll e sto non era più bastata a cnmpen- 

I I II prodotta ilal pi'vfido pensiero che 



— 9R5 — 
le 8i insinuava a ogni istante nel/ 
rimaneva sola, o specialmente ogni v( 
Grazia le faceva sentire il suo riton 
un po' istupidita : 

— Ora questa casa è ribenedettc 
trata davvero la grazia del Signore 

E fu una gran trafittura per lei i 
marchese, uditole ripetere quel ri 
aspramente mamma Grazia: 

— Non hai altro da dire ? Sta' zìi 
rotto le tasche con la tua ribenediz 

— Poveretta! — s'interpose ìa m 
K avrebbe voluto anche domanda 

— Perchè vi dispiace? 



Dal canto suo, nello prime settimane dopo il ma- 
trimonio, il marchese aveva avuto la dolcissima 
sensazione di un compiuto rinnovellamento della 
sua vita, vedendo animate da tre figure femminili 
quelle stanze dove egli, da più di un anno,' non ve- 
deva altra donna all' infuori della vecchia nutrice 
che andava attorno cur%'a, mal pettinata, strasci- 
cando le ciabatte, lan'a di donna più che donna. 

La signora Mugnos e Cristina avevano aiutato la 
marchesa nel dare ai mobili, agli oggetti, alle di- 
sposizioni del servizio quell' impronta che soltanto 
l'istinto, l'occhio e la mano della donna sanno im- 
primervi ; e al marchese sembrava che ora tutta la 
sua tetra casa fosse illuminata da altra luce, sorri- 
desse e quasi cantasse, tanto era insolito quel ri- 
sonar di voci femminili da stanza a stanza, a cui lo 
scoppio argentino di certe risate di Cristina dava 



— 987 — 
lina gaiezza di freschi gorgheggi che ringiovi 
ogni cosa. 

Quando però iu signora Mugno» e Cristina < 
andate via, il marchese aveva avuta la sgi 
sorpresa dì riconoscere che quella sensazione d 
novellamento proveniva principalmente dalle 
pressioni puramente materiali della presenza d 
sone quasi estranee a lui, e che niente o poco 
era mutato dentro di lui. 

Nell'intimità dei primi colloqui, Zòsima aveva 
messo l'imprudenza di parlargli del passato, di e 
anni di tristezza tr^corsì nella sua cameretta, 
il minimo luccicore d' una speranza lontana, 
trepidanze e degli scoraggiamenti ohe l'avevano 
esitare ad accorrere al richiamo di felicità qi 
egli aveva diiesto la mano di lei. 

— Saprò farvi dimenticare tutto? 

— Ho già dimenticato, poiché voi siete qui, 

— Vorrei darvi ogni felicità,,,. Mi sentivo f 
cura, più coraggiosa allora, quando attende 
giorno in giorno, di momento in momento, un 
rola che non vi usciva mai da le labbra, e ohe 
mi sembrava di leggervi chiaramente negli oc 

— Non v' ingannavate. Ero timido ; e poi, i 
vivevano mio padre e mia madre ; mi sem 
che io non avessi il diritto di manifestare un 
derio, di prendere una rifoluzione. Mi avevano 
oato a una sottomissione assoluta. Dopo, gì 



acquistai ])ioim IÌI>ortà„.. di fai'e a piacor mio, tank' 
Il Unito COSO orano miitatfì. Non vi vodovo più da 
un )>ozzo. Le nostre famiglie avevano cessato ogni 
relazione,,.. La zia perù dice bene: Matrimoni e ve- 
scovati dal cielo son destinati. È stato proprio cosi. 
Non siete contenta che sìa stato cosi? 

Oh, se era contenta! 

Egli però non poteva far a meno di rammentare, 
di paragonare; e Zòsima gii appariva troppo risor- 
i)ata, troppo fredda in confronto dell'altra a cui in- 
volontariamente correva il pensiero. Se ne adontava 
i]uasi commettesse in quel momento un sacrile- 
flio, ma non poteva distraisi, non poteva scacciar 
via il fantasma che gli si ripresentava con tanti 
particolari da cui a poco a poco gli venivano ride- 
stati nell'animo altri ricordi che egli aveva creduto 
dovessero essere annientati dal solo fatto che Zòsima 
era sua legittima moglie. 

E quando la marchesa gli ripeteva, affermativa- 
mente, con gentile carezza della voce : — Saprò far\i 
dimenticare tutto! — egli rimaneva male, si sentiva 
rimescolare, cercando di intendere ohe mai ella vo- 
lesse significare con la parola tutto. 

Pur troppo non riusciva a dimenticare ! Tornava 
anzi a sentirsi pesare addosso quell' oscura fatalità, 
quella continua, vaga minaccia di parecchi mesi 
addietro; e provava rimorso d'aver messo anche lei 
nella cìirostanaa di parleciparo alle conseguenze di 



— 289 - 
quella fatalità, agli effetti di quella ininaccia, legan- 
dola inconsideratamente alla sua vita. 

Cosi tra la marchesa e lui, sin dalle prime setti- 
mane della loro vita in comune, si era interposto 
qualche Qosa, che a lei pareva freddezza e a lui 
istintiva repulsione ; a lei naturale rifiorire di s 
saaioni e di sentimenti che lo inducevano a confrc 
nei quali ella immaginava di doversi trovare ii 
riore a queìì' altra; a lui, se non rancore, dole 
rimprovero di scoprirai immeritatamente inganni 

Nessuno dei due osava affrontare una spie 
zione ; temevano di far peggio, di apprendere t 
che avrebbero voluto ignorare e delle quah sare' 
stata pe^iore la certezza ohe il sospetto. 

Ella cercava di prevenirne ogni desiderio, fa 
scoiare che se nella di lui vita era avvenuto 
gran mutamento, era stato in meglio e non in peg] 
Egli tentava di mostrarle in ogni occasione un'af 
luta fiducia nella bontà e neil'afl'etto di lei; e metti 
in ciò una specie di ostentazione, di cui la march 
si accorgeva e che non le sembrava buon segnc 

Timidamente un giorno ella gli aveva detto : 

— La povera mamma Grazia si stanca sùbi 
non può badare a tutto. Io non vorrei darle il 
lore di veder in casa nostra un' altra persona 
servizio ; l' aiuto dove e come posso. Ma non s( 
mente le mancano lo forae, perdo ogni giorno 
la memoria. 



- Ìi90 - 

— Siete voi la padrona, marchesa. Fate come vi 
[)are, non avete bisogno di consultarmi ; tutto quel 
che voi disponete o ordinate, io lo approvo antiei- 
[)atamente. Mostratemi col fatto di sentirvi qui mar- 
chesa di Roccaverdina per davvero. 

— No — ella rispose. — Dovreste prima par- 
largliene voi. Merita questo riguardo. Non vorrei 
che ella vedesse in me una nemica. Le donne come 
lei sono sospettose. Vi ha chiamato sempre con 
l'affettuoso nome di figlio. Vive qui da tanti anni, 
quasi da parente. Ed è cosi buona, cosi affezionata! 

In quel punto mamma Grazia si era affacciata 
ali* uscio. Da qualche tempo in qua commetteva 
stranezze. Accorreva immaginandosi di essere stata 
chiamata, e spesso, pochi minuti dopo, tornava a 
presentarsi per lo stesso motivo. 

— Hai sentito, mamma Grazia, quel che dice la 
marchesa ? 

— No, figlio mio. 

— Vuoi mettere una serva a tua rti3[)OBizioiie, 
por aiutarti nelle faccende di casa. Ti strapazzi 
troppo, le sembra. 

— Non sono una signora io. 

— Sei grandetta ; le ossa ti pesano. Eh ? 

— Finché mi i-eggo in piedi, figli miei,. . 

-^ Ti tocca il ben servito. Mi farai tante e tante 
calili!; to ne stai-ai seduta nella tua cameretta, o al 
sole in un balcone, quando ò bel tempo. 



— 291 — 

— Vi dispiace, mamma Grazia? — soggiunse la 
marchesa. 

— Una serva? Per me?... Vuol dire che non sono 
più buona a niente, figli miei !... Avete ragione. Non 
son più buona a niente. La testa non mi regge.... 

— C'è bisogno di piangere? — la rimproverò il 
marchese. 

— Avrei voluto servirvi sempre io.... 

— E ci servirai sempre tu ; Taltra ti aiuterà. La 
marchesa anzi vorrà essere servita soltanto da te. 
Intanto quella farà le faccende più grossolane. 

Mamma Grazia si asciugava le lagrime col grem- 
biale, ripetendo: 

— Lo so; non sono più buona a niente! 

— Chi vi dice questo, mamma Grazia? Se vi di- 
spiace, lasciamo andare; non ne parliamo più.... 

— Hai ragione, figlia mia! Non sono più .buona 
a niente. 

— Zitta ! Cosi mi farai tante belle paia di calze ! 

— le aveva ripetuto il marchese per consolarla. 
Non aveva egli detto: — Tutto quel che voi 

disponete e ordinate io lo approvo anticipatamente? 

— E la marchesa avea creduto di potersi servire di 
quest' ampia autorizzazione compiendo un'opera di 
carità. 

Una settimana dopo, era tornata da lei la povera 
vedova di Noli Casaccio a implorare di nuovo che 
prendessero il maggiore dei suoi figliuoli a servizio. 




- 292 - 

— Eccolo : ho voluto condurlo con me perchè vo- 
scenza e il marchese si persuadano che è forte e 
svelto, quantunque abbia appena dieci anni. Ne 
facciano quel che vogliono; in città, in campagna, 
purché io sappia che non gli manca un boccone di 
pane. Non so più dove dare la testa. Non mi resta 
che andare attorno a chiedere T elemosina per me 
e pei miei poveri figliuolini !... Ma il Signore dovrà 
farmi morire avanti che io arrivi a quest'estremo, 
e portarseli tutti in paradiso prima di me. 

La marchesa non avea potuto risponderle in modo 
evasivo come Taltra volta ; e alla vista del bambino 
scalzo, coperto di stracci, pallido e macilento, ma 
che dimostrava nella faccia e specialmente negli 
occhi intelligenza precoce, si èra sentita commuovere. 

— Vuoi restare qua? — gli domandò. 

— Eccellenza, si ! 

— vuoi andare in campagna? 

— Eccellenza, si ! 

La marchesa sorrise. La povera mamma ravviava 
con le dita i capelli arruffati del bambino, sorri- 
dendo anch'essa, e le ciglia le palpitavano lascian- 
dole cascare qualche lagrima su le gote scarnite. 
Da qualche tempo in qua il marchese non si era 
più ricordato di lei; mamma Grazia non era più 
ricomparsa a portarle quel piccolo soccorso che aveva 
tenuto in vita mamma e figliuoli durante i terri- 
bili giorni della mal' annata. Ella , povera donna, 






— -ìm — 

non se ne lagnava. Si era ingegnata , come ' 
altri, andando a raccogliere cicoria, araarolla, tu 
erbe mangiabili che la pioggia aveva fatto ripui! 
per le campagne, mitrendo sé e i bambini eoi 
appena condite con un po' di aale e con qu 
stilla di olio , spesso senza neppur questo ; be 
cendo la divina Provvidenza che con tal i 
aveva impedito che tanta misera gente perif 
fame, 

— Ora m' industrio alla meglio — aoggiui 
la vedova. — Cucio, filo. Andrò anche a i-acco; 
ulive, raccomandando i bambini alla carità di 
vicina. Ma siamo cinque bocche, eccellenza! 

— Prendo il ragazzo — risolse la marchesa 
a un tratto, — Bisogna rivestirlo , provvedei 
acarpe. Pel vestito, comprate la roba e portate 
mastro Biagio, il sarto.... Lo conoscete? Le s 
bisognerà ordinarle a posta, credo. Vi dò il d 
occorrente per tutto. Quel che rimarrà lo t< 
per voi. 

E le lagrime della povera donna le avevan( 
gnato la mano, voluta baciarle per forza. 

Quella sera, il marchese, tornato tardi da i 
tello, si era messo a tavola di buon umore. 

La marchesa, seduta di faccia a lui, attendev 
egli finisse di parlare delle meraviglie delle j 
trici e degli strettoi delle uve , che agivano e- 
precisione di un orologio. 



— 294 — 

— Se iKinso, — egli continuava — che in questo 
vino qai hanno sfcuazzato 1 piodacci di un ])esta- 
tiOre, mi vien nausea (li berlo! Ai tempi di Noè iion 
si faceva altrimenti! Un mascalisono gl'osso e tar- 
chiato va su 6 giù pel palmento affondando nel- 
l'uva ammonticchiata le peloso gambacce fino alla 
caviglia, reggendosi a un bastone per non scivolare, 
apiaccicando i chicchi coi piedi mal ripuliti.... E que- 
sta incredibile porcheria dovrebbe continuare an- 
cora tra noi !... 

— Non mi agriderete — lo interruppe finalmente 
la marchesa — se vi dirò che sono contentaanch'io 
della mia giornata. Ho fatto un" opera di carità.... 
Ho preso un servitori no.... 

— Come mai? 

— Mi sono lasciata intenerire.... Un bambino dì 
dieci anni..,. Povera creatura!... Quell'orfanello,.,, ri- 
cordate? di cui vi parlai tempo fa.... figlio del dis- 
graziato Neli Casaccio.... Ho fatto male? 

Ella si era arrestata un istante, meravigliata di 

■j vederlo rannuvolare in viso e di vedergli abbassare 

gli occhi quasi volesse evitare di guardarla o sfuggire 

di essere osservato ; poi aveva ripetuto la domanda: 

— Ho fatto male? 

— No. Certamente — prosegui il marchese con, 
voce turbata — non potrà riuscirmi piacevole l'avere 
sempre dinanzi chi mi ricorderà avvenimenti che 
mi hanno contristato assai,... 



-- 295 -^ 

— Posso riparare, se ho sbagliato. 

— La marchesa di Roccaverdina, quando ha dato 
la sua parola, deve mantenerla a ogni costo. 

— Ma, infine, che tristi cose può rammentarvi 
quel ragazzetto? Se suo padre è morto in carcere, 
non ci ha colpa lui. Il male, se mai, Tha fatto quello ; 
dico cosi perchè ha ammazzata), per gelosia. Non 
era un cattivo soggetto, non rubava ; campava fa- 
cendo il cacciatore. Tutti lo proclamano anzi un 
brav'uomo. Voleva troppo bene a sua moglie; la 
gelosia lo ha perduto. In certi momenti, quando la 
passione ci offusca il cervello, noi non sappiamo più 
quel che facciamo.... Io lo avfei assolto.... 

— E.... Tucciso ? — disse il marchese.... 

Ma sùbito, quasi questa domanda gli fosse sfug- 
gita suo malgrado, si affrettò a soggiungere : 

— Che bei discorsi a tavola!... 

— Io non credevo di vedervi accigliare per un 
mio atto di carità.... — rispose Zòsima dolcemente. 
— Eppure la povera vedova non si stanca di be- 
nedirvi, gratissima di tutto quel che voi avete 
fatto per essa e pei suoi bambini , durante la ma* 
Tannata. Volevate esser solo nel beneficarla? Ah, da 
ora in poi le buone opere dobbiamo farle insieme! 

Sorrideva, tentando di scancellare la cattiva im- 
pressione da lei involontariamente prodotta; e si 
meravigliava che restasse silenzioso, e non ripren- 
desse a mangiare. 



— Non avrei mai creduto di farvi tanto dispia- 
cere! — esclamò. 

— E una mia ubbia, scusate — egli rispose. — 
Forse m'inganno.... E poi..,. Mi abituerò a vedere il 
ragazzo.... Parliamo d'altro. 

Prose dalla fruttiera un bel grappolo di uva e lo 
porse in un piatto alla marchesa, dicendole: 

— È cosa vostra, di Poggiogrande. 

Vedendo che ella, assaggiatone soltanto pochi chic- 
chi, riprendeva a picchiare distrattamente su la ta- 
vola con la punta della forchetta, il marchese, un 
po' impacciato, le doniandò : 

— Non vi piace? 

— È eccellente.... L'ucciso avete detto?... 

H marchese la guardò negli occhi, stupito di sen- 
tirle riprendere il discorso di prima. 

— L' ucciso, capisco, era persona di casa vostra, 
— ella continuò. — Lo chiamavano Rocco del mar- 
chese ! Gli volevate bene perchè abile , fedele ; non 
avete ancora trovato chi possa sostituirlo.... Ma.... 
giacché, per caso, siamo venuti a parlarne, voglio 
dirvi schiettamente la mia impressione. 

— Dite. 

— Se fosse vivo, quell'uomo mi farebbe ribrezzo. 

— Ribrezzo? 

— Sì. Uno che può sposare l'amante del padrone.... 
per interesse, non per altro.... Ohi La sua condotta 
lo prova. Se 1' avesse sposata per passione , io ora 



— 297 — 

lo compatirei.... Ma non Tamava, non si curava nem- 
meno di salvare le apparenze.... Insidiava le mogli 
degli altri. Voialtri uomini però giudicate a modo vo- 
stro.... La stessa sua moglie doveva forse disprez- 
zarlo.... Vedete ? In questo momento vi ricordo per- 
sone e fatti che vorrei dimenticati da voi; che voi mi 
avete detto più volte di ricordare appena, come fan- 
tasmi di un sogno lontano.... 

— Non mi avete creduto? 

— Se non vi avessi creduto, non ve ne parlerei ; 
quantunque di tanto in tanto.... Ecco ; ve ne parlo 
per questo. Avrei dovuto avere la franchezza, ileo- 
raggio di domandarvi.... E, invece, faccio come coloro 
che intraprendono un gran giro per arrivare a un 
punto dove temono di trovare una trista notizia, 
quasi il ritardare per via fosse un sollievo antici- 
pato.... 

— Ohe avete, Zòsima? — disse il marchese, le- 
vandosi da sedere , e avvicinandosi a lei premuro- 
samente. — Ohe vi hanno detto?... Ohe sospettate? 
Quella stupida di mamma Grazia, forse.... 

— No, poveretta!... Ho il cuore gonfio. Sappia- 
telo, Antonio : Non mi sento..., amata da voi ! 

E alcuni singhiozzi soffocarono queste ultime 
parole. 

— Perchè? Perchè? — balbettò il marchese. 

— Dovreste dirmelo voi perchè ! 



""^ 



— 298 — 



xxvn. 

Non aveva saputo dirle niente, cioè soltanto po- 
che parole stentatamente scherzose che dovevano 
rassicurarla pel tono con cui le aveva pronunciate 
e che invece la turbarono di più. 

Era rimasto turbatissimo anche lui. Gli pareva 
che la marchesa, accettando in casa loro quel ra- 
gazzo, vi introducesse qualche cosa di più che un 
malaugurio, un germe di fatalità; e pensava al modo 
con cui impedire che questo avvenisse, senza che 
ella potesse sospettare Topera di lui. 

— Ma, infine, tutto ciò non era puerile? 

Fece una scrollata di spalle. E per mostrare alla 
marchesa che egli non era uomo da lasciarsi domi- 
nare da un'ubbia, il giorno dopo, sul punto di par- 
tiro per Margitello, le diceva: 

— Dovreste ordinare una piccola livrea per quel 
ragazzo ; calzoni e giacchettina di panno scuro, fi- 



— 999 — 
lettati di giallo, colore dei Roctaverdina , con ber- 
retto gallojiato. 

— Oh! 

— AJ tempo del nonno , i nostri sei'vitori 
vnno vestire così. Mamma Grazia sa dove si 
qualcuna di quelle vecchie livree tarlate e i 
pelloni di feltro a soffietto. 

— Altri tempi, altri usi. 

— Voletfl che me n'occupi io? 

— No ; lo manderemo in campagna. H ho; 
Poggiogrande mi diceva appunto la settimana s 
che aveva bisogno di un ragazzo. 

— Porse sarà meglio pel ragazzo. 

— E per noi — soggiunse la marchesa, coi 
accento di tristezza. 

Il marchese, in piedi, sorbiva lentamente il 
mentre la marchesa, seduta vicino al tavoli 
agitava, pensosa, col cucchiaino lo zucchero in 
alla tazza che le fumava davanti. 

— Temevo di trovarvi già partito per Marg 

— disse il oavalier Pei^ola entrando all'imprc 

— Scusate, ci^ina. Capperi! Mattiniera! Vi ci 
ancora a Ietto, Buon giorno. Una tazza di 
Volentieri ; non l'ho preso in casa mia per la 
di venire qui. 

— Che cosa è accaduto? — domandò il 
chflse. 

— L'amico.... quello della Sottoprefettura 



- 1 



- 300 — 

scritto. Siet^ il primo nella terna; il colpo è riu- 
scito !... 

— E inutile ; io non voglio essere sindaco ! 

— Come? Dopo tutto quel che abbiamo fatto? 

— Ohe me n' importa ? Sbrigatevela tra voi. Io 
ho i miei affari. Ho troppe cose a cui badare. 

— Il marchese ha ragione, cugino. 

— Mah !... Ci siamo compromessi. Si è compromesso 
anche lui.... In ogni caso, basterà dare il nome, cir- 
condarsi di assessori di fiducia. 

— Ho appena fiducia in me stesso — rispose il 
marchese. 

— Questa non se l'aspettava nessuno! Riflettete 
bene, cugino ! 

— Quando ho detto no, è no!... Volete venire a 
Margitello ? Oggi imbottiamo il vino bianco.... Poco, 
ma tutto d'uva sceltissima. 

— Attenderò di assaggiarlo a suo tempo! 

E il marchese era partito lasciando là il cavaliere 
che bestemmiava internamente, per rispetto della 
cugina. 

— Ci abbandona così, nelle peste! Dovreste per- 
suaderlo voi — egli disse, rivolgendosi alla marchesa 
e giungendo le mani in atto di preghiera. — Le 
donne fanno miracoli, se vogliono. 

— Lo avete sentito: " Quando ho detto di no, è 
no ! „ E poi.... Lo conoscete meglio di me. 

— Pur troppo, e un Roccaverdina.... Preso un 



— 301 — 
dirizzone, non c'è verso di stornamelo. Bisogna la- 
sciarlo stancare. Ora è tutto oli e vini; non gli si 
può ragionare d'altro. Probabilmente, tra un anno 
o due, butterà per aria macchine, botti, coppi! Con 
quella donna — ve ne parlo perchè è cosa già pas- 
sata da un pezzo — ha fatto pure cosi. Sembrava 
ohe, dopo dicci anni, dovesse commetterò la corbel- 
leria di sposarla.... e un bel giorno la dà in moglie 
a Rocco Oriscìone.,., Gliel'ha data lui, gliel'ha im- 
posta quasi..,. Rocco non poteva dirgli di no; ai sa- 
rebbe fatto squartare pel suo padrone.... Era sua 
moglie e non ei'a sua moglie, dicevano le male lin- 
gue.... E quando Rocco fu ammazzato, tutti crede- 
vano: Ora la Solmo ritorna al padrone. Che!... Ve 
l'ho nominata per questo; non potete essere gelosa. 
Se mai, ora, dalle macchine e dalla Società Agri- 
cola.... In quanto a donne, egli è uscito di razza. 
Tutti i Roccaverduia sono stati famosi donnaioli: 
il marchese grande, il padfe del cugino, anche vec- 
chio.... È vero che, dopo, aveva la scusa della para- 
lisi della moglie.,.. Povera zial Bocconi amari ne ha 

inghiottiti parecchi Ed era bellissima,.,. L'avete 

conosciuta? No, non potete averla conosciuta. E 
per le elezioni comunah? Un altro dirizzone; ma 
si è stancato sùbito.... Paté il miracolo, cugina! 
Dobbiamo abbandonare il Comune in mano a certa 
gentaccia? Che penseranno? Che il marchese di Roc- 
caverdina ha avuto paura! Non è vero; ma cosi 



— 302 — 
penseranno e Io diranno !._ Mi mordo le ninni!,.. 
Bolla figura facciamo col Sottoprefetto! Egli lo ha 
proposto, sicuro che il marchese avrebbe accettato 
la nomina. Abbiamo lavorato tanto! Fate il mira- 
colo!... 

Ah, ella avrebbe voluto fare ben altro miracolo! 
Ma si sentiva impotente. E lo diceva quello stesso 
giorno alla sua mamma che insisteva presso di lei: 

— Clie hai dunque? Che ti accade? 

— Forac ho sbagliato, mamma! 

— Perchò? 

— Mi sento sola sola, mamma! 

— Che intendi dire? 

— Oi siamo illusi, egli ed io. Il suo cuore, è chiuso 
por me. Ila preso me come avrebbe preso qualunque 
altra.... Può darsi che il toi'to sia mio.... Non avrei 
dovuto entrare in questa casa.... C'ò ancora il fanta- 
sma doM'altra'? Lo sento, lo ve^o.... 

— Ma che cosa senti? Che cosa vedi? 

— Niente! Non so.,.. Eppure sono certa di non 
ingannarmi. /^ 

— Vergine benoctetta ! Che gusto tonnentai«ì cosi ! 

— Ah, mamma I Non avrei voluto parlartene per 
non angustiarti. Ma il cuore mi si schianterebbe 
se non potessi sfogarmi. Lasciami sfogare.... Mi ero 

"rassegnata, (la anni. Tu non hai saputo mai nulla 
fino II pocKi mesi fa. Avevi dolori assai più grandi 
dei mio; perdio avrei dovuto confidartelo? E quando. 



— 303 — 

tutt'a un tratto, quel che sembrava stoltezza spe- 
rare mi si presentò dinanzi come possibile, te ne 
rammenti? io esitai, a lungo esitai, temendo quel 
che, pur troppo, è avvenuto! Si, mamma. Tra me 
e lui sta sempre quell'afra — ricordo, vivo...! Non 
m'inganno. Sono forse una persona, sono un cuore 
qui?... Sono un mobile. 

— Che aberrazione, figlia mia ! C'è un malinteso 
tra voi; dovreste spiegarvi. Marito e moglie deb- 
bono fare così, altrimenti le cose s'ingrandiscono. 
Ognuno immagina che sotto ci sia qualche cosa di 
grave.... E non c'è nulla! 

— E se c'è peggio di quel che uno sospetta? 

— Non può essere. Dopo sei soli mesi! Il mar- 
chese ha cento cose per la testa. Gli affari assor- 
bono, danno tanti pensieri. Tu rimani a fantasti- 
care, a roderti il fegato.... Che vuoi che ne sappia 
lui? Come pretendi che indovini? 

— Gliel'ho detto: — Antonio, non mi sento amata 
da voi! — Gliel'ho detto singhiozzando.... 

— Ebbene? 

— Si è messo a ridere, mi ha risposto scherzando, 
ma rideva male, scherzava a stento. 

-^ Ti è sembrato. Ha ragione. Gli uomini non 
possono intendere certe cose di noi donne, che non 
hanno importanza per loro. E intanto tu ti logori 
la salute; tu non ti accorgi che deperisci di giorno 
in giorno. Sei pallida.... Non sei mai stata cosi. Che 



— 304 — j 

credevi, sposando? Di non dover avei-e nessuna 
croce? È un carattere strano; sopportalo come è. 
Ho sopportato peggio io! Ho fatto la volontà del 
Signore, mi sono rassegnata sempre; lo hai visto! 
Di ohe sei gelosa? 

— Del suo silenzio, mamma! 

— Il marchese non è espansivo; è fatto cosi. 
Vorresti rifarlo? 

— Ohe so? Certe volte rimane assorto, col viso 
scuro scuro; e allora, quando si riscote, mi guarda 
con occhi smarriti, quasi avesse paura che io indo- 
vinassi. E se gli domando : — Che pensate ? — ri- 
sponde, sfuggendomi: — Niente! Niente! 

— E sarà niente davvero. Vuoi che gliene parli 
io? Che gUene faccia parlare dalla baronessa? 

— No. Può darsi che io abbia torto. 

— Hai torto certamente. 

— Si, si, mamma, ho torto; lo comprendo. Non 
affliggerti per me! 

Andando via, il marchese le aveva detto : — Tor- 
nerò presto questa sera. — Ma era già un'ora di 
notte, e la marchesa, affacciata al terrazzino a pian 
terreno allato al porticino d'entrata, cominciava a 
impensierirsi del ritardo. 

Si atterri vedendo arrivare soltanto Titta a ca- 
vallo d'una mula, 

— Il marchese? 

— Non è niente, eccellenza. 



— 305 — 

Titta, saltato giù da cavallo, legata la mula a 
uno degli anelli di ferro confitti a posta nel muro 
ai due lati del portoncino, si affrettava ad entrare. 
Ella gli corse incontro nell'anticamera. 

— Stia tranquilla, voscenza, E accaduto.... 

— n marchese sta male? 

— No, eccellenza. Devo andare dal pretore e dai 
carabinieri.... Si è impiccato uno a Margitello : com- 
pare Santi Dimauro. 

— Oh, Dio!... Perchè? Come? 

— È venuto a impiccarsi nel suo fondo venduto 
al marchese due anni fa. L'aveva detto tante volte : 
" Verrò a morirvi un giorno o l'altro ! „ E finalmente 
il disgraziato ha mantenuto la parola. Si era pen- 
tito di aver venduto quel fondo.... Di tanto in tanto 
lo trovavano là, nella carraia, coi gomiti su le gi- 
nocchia e la testa tra le mani. — Che fate qui, 
compare Santi? — Guardo la mia terra, che non è 
più mia! — Avete preso un sacco di quattrini! — 
Sì, ma io vorrei la mia terra! 

— Perchè l'ha venduta? 

— Oh! Egli soleva raccontare una storia lunga. 
Pel processo di Rocco Criscione.... L'aveva col mar- 
chese, che non c'entrava.... H giudice istruttore.... 
sa, voscenza; quando si fa un processo si raccolgono 
tutte le voci.... E siccome il giudice istruttore.... Una 
storia lunga!... Ma era venuto lui stesso a dire al 
marchese: — Voscenza vuole quel pezzo di terra? 

Capuana, Il Marchese di Boccaverdina. 20 



;-t=i>dp- 



— 306 — 

Se lo prenda. — Era proprio nel cuore di Margi— 
tello, e di tratto in tratto il vecchio alterava il li- 
mite.... I contadini quando possono rubare un palmo 
di terreno, non hanno scrupoli. Compare Roc€0, buo- 
n'anima, non era omo da lasciarlo fare, nelF inte- 
resse del padrone. — E il marchese non ne troverà un 
altro eguale, eccellenza! — H vecchio si era dunque 
presentato dal marchese: — Voscenza vuole quel 
pezzo di terra? E se lo prenda! — Poi il vecchio 
si ero pentito. Veniva a piangere là, quasi ci avesse 
un morto.... Che colpa n'aveva il padrone? E ora, 
per fargli dispetto, si è impiccato a un albero.... Chi 
se n'era accorto? Spenzolava davanti la casetta.... 
Le mule della carrozza — gli animali hanno il fiuto 
meglio di noi cristiani — non volevano andare né 
avanti nò indietro. Io guardo attorno per vedere di 
che cosa s'impaurissero le povere bestie.... Ah, Ma- 
donna santa! Salto giù di cassetta, scende di car- 
rozza anche il marchese, tutti e due più pallidi del 
morto. Non lo dimenticherò finché campo!... Pavo- 
nazzo, con gli occhi e la lingua di fuori.... Lo tocco; 
era freddo!... Allora siamo tornati a Margitello.... Il 
marchese, sturbato, non poteva parlare.... Ha dovuto 
buttarsi sul letto. Ora sta meglio.... E mi ha man- 
dato per avvertire voscenza. Devo andare dal pretore 
e dai carabinieri.... Il morto è là, che spenzola an- 
cora.... Ha voluto dannarsi! 
La marchesa era stata ad ascoltare senza inter- 



— 307 — 
romperlo, corsa da brividi per tutta la 
avesse davanti il corpo del vecchio 
viso pavonazzo, con gli occhi e la lii 
che dondolava dal ramo dell'albero a > 
mente era andato a impiccarsi. 

— Il Signore lo avrà perdonato! — ■ 
mossa, — Ma il marchese perchè n 
Ditemi la verità, Titta: sta male? 

— Bccellenaa, no ! Aspetta la giust 
.binieri e ì manovali che dovranno 

morto..,. Mi ha mandato a posta.... 
permette,... 

La marchesa quella notte ebbe pau 
sola in camera sua. Disse a mamma 

— Recitiamo un rosario in suffrag 
ziato. 

A metà del rosario, mamma Grazi 
dormentata su la poltrona dove la ma 
fatta sedere ; ed ella si buttò sul lett-c 
di non chiudere occhio, con nel cuori 
bQe angoscia, un invincibile presentìm' 
simi oasi che sarebbero sopravvenuti, 
per cattiva influenaa di quel morto. 



xxvm. 

Quella notte, neppure il marchese era andato a 
letto a Margitello. Aveva mandato due uomini a 
fare la guardia all' impiccato finché non fosse arri- 
vato qualcuno dei nipoti di lui ; e riavutosi dal 
malessere prodottogli dal repugnante spettacolo, era 
sceso giù nella stanza terrena dove i garzoni, il 
massaio e gli altri uomini mangiavano la minestra 
di fave lesso, discorrendo dell'accaduto. 

La presenza del marchese li aveva fatti tacere. 

Poi uno degli uomini, presentando il piatto vuoto 
al massaio perchè glielo riempisse di nuovo, si per- 
mise dì dire : 

— Mandiamo un piatto di fave anche a compare 
Santi! 

E riso per quella facezia; parecchi risero con lui. 
Il maasaio, rivolgendosi al mai'chese, notò : 

— Era un pezao che a Ribbato non s'impiccava 



— ma —■ 

nessuno. Anni e anni fa, il Rospo, gessaio, poco 
dopo tornato dalla galera. Poi mastro Paolo il dro- 
ghiere, perr.hò gli era scappata la moglie e' "-■"- 
paio dei Pìgnataro, portandogli via gli ori ( 
trini; e non se ne seppe pili né nova né n> 
:— Compara Santi ha fatto il terzo! Ci v 
raggio a impiccarsi con le proprie mani ! - 
uno dei garzoni, 

— E ora spargeranno che si è impiccato 

— esclamò il marchese. 

— che gliel'ha detto voscema : Impiccai 
rispose il m^saio. 

— Quasi io gli avessi ruhato quei quatl 
maledetti 1 È venuto da me eoi suoi pit 
preso settant'onze, in tanti bei pezzi di do 
d'argento, uno sopra l'altro! E dopo andava 
a chi voleva saperlo e a chi non voleva 
che io gli avevo fatto violenza, con le liti, 
il vecchio ladro spostava il limite..., Que 
non Io diceva ! 

— E il destino, — diaso gravemente il 

— Il destino ci chiama. Quando il destin 
sopra.... Dicevamo del Rospo, gessaio. Me 
contava mio padra.... Quegli, si, fece ben 



— Perchè? — domandò un giovanotto co 
continiiando a mangiare. 

— Aveva rubato il pettorale della Ma 



- :-uo — 

Aiiolli, oix'cchini, Rpillo, tutti i voti cloi fwieli, o la 
corona di argouto, aiicho quella del bambino Gesù 
nella cappella di Sant'Isidoro, e calici o patene nella 
sacristia.... Erano stati quattro, e vennero acoperti 
IwiTliè il Rospo ai era presa doppia parte, e uno 
doi compagni cantò. Lì avevano condannati alia ga- 
lera a vita. Allora non ai achoraava, trattandosi di 
coso sacre. Ma nel quarantotto, la rivoluzione mise 
in libcrti'i tutti i gctieolti.... E il gessaio, trovata in 
casa una figlia di sodici anni, non volle credere 
che fosse sua, quantunque la moglie giurasse che 
egli r avesse lasciata incinta di un mese quando 
era stato arrestato. Oho doveva fare? Ammazzare 
la moglie pel tradimento e tornai-sene in galera? 
Voscema si annoia con questa storia.... Già potrebbe 
raccontarla meglio di me. 

— Continuate — rispose il marchese. — L' ho 
udita accennare una volta, ma non so tutti i par- 
ticolari. 

— Bisognava sentirla raccontare da mio padre,... 
D Rospo stava di faccia a casa nostra, dove ora 
abita don Rosario il farmacista, che vi ha fabbri- 
cato su un altro piano, coi balconi, e ha tinto in 
rosso la facciata. Diceva mìo padre che il Rospo 
era un ometto corto, segaligno, tutto nervi; parlava 
poco, e dalla galera er-a tornato con la pelle bianca. 
Sfido 1 Era stato all'ombra sedici anni. Olii si aspet- 
tava di vederlo tornare ? E la moglie e la fìgUa se 



_ 311 — 

lo videro comparire davanti corno un morto risu- 
scitato ; neppure la moglie lo riconosceva. E qui 
egli senti dirsi; — Questa è tua figliai — gu: 
la ragazza con tanto d'ocohì. — Ringraziamo Id 
— risposo secco secco. La moglie capi, e si mi 
piangere. Il Rospo era diventato verde come l'a 
raccontava mìo padre. Tutti i vicini, ohe erano 
corsi, si posero in mezzo in difesa della mogli 
il Rospo chinava la testa : — S, sì ; va bene, 
ho dotto ? Ringraziamo Iddio ! ^ Ma metteva ps 
raccontava mio padre.... Scusi, voscenza, — : 
giunse il massaio, rivolgendosi di nuovo al mare 
che sembrava ascoltasse dìstTattamente. — Io 
so raccontarla bene questa storia; non c'ero al 
non ero neppur nato ; ma la ho udita tante e t 
volte da mio padre, che posso ripoterla con le 
stesse parole.... 

— E s'impiccò pel tradimento? — domand< 
altro contadino. 

— Ma che! Tutti credevano: — Ora ammaz; 
moglie! — Niente. Dal giorno dopo, egli riprose il 
mestiere di gessaio. E con la moglie non ujia 
rola, non un gesto ; se non che, di tratto in tr 

. conduceva via la figlia alla fornace dove cuoce" 
gesso. E la moglie tremava: ^ Che farà? Si 
nera quella povera creatura? — Non osava di 
tare però. E i vicini, zitti ; avevano paura di 
tornato dalla galera, con quel viso smorto sm 



- 31? - 
l'ho iiivoitiiva sempre pesfiio dell' aglio, come se il 
solo e l'aria non riuscissero ad abbronzarlo. Per fai'la 
bi-ove.... Vcrgiiio boiiodotta ! Paro impossibile!... Or- 
mai ogli ora convinto che quella non fosse sua 
figlia; anche la disgraziata se no era convinta, in- 
dotta da lui ; o comincii'i ad odiai"o la madre. Ogni 
giorno, bisticci, parolacce, quando non andava alla 
fornace col padre... Finalmente, la madre se n'ac- 
corse. Piangeva da mattina a sera nei giorni che 
iTtstava sola. Ije vicine : — Che avole, comare ? — 
1 Io la malodizionfl 'di Dio in casa 1 — Non si spie- 
gava. Poi, la cosa divenU') ])alfìso a tutti..,. Biso- 
gnava easer ciechi por non capirò. Quella sfacciata, 
non si conteneva.... Insomma la povera madre do- 
veva vedere e tacerò. Fosse stata un'altra donna,,., 
sia! Ma la propria figlia! Uno scandalo immenso! 
E i vicini facevano finta di non avvedorei di niente, 
per pam-a del galeotto, 

— Cristo! Pece bone, giacché non ora sua figliai 

— Non parlato cosi, compare Cola — riprese il 
massaio. — Era proprio figlia sua ! Un giorno la 
moglie cado malata, arriva in punto di morte, e 
pi'ima di ricovera i sacramenti, glielo giura davanti 
al aacei-dnto con l'ostia consacrata in mano, davanti 

a tutti. — Sto per presontarmi al cospetto di Dio! — " 
Oh ! In punto di morte non si mentisce. — E due 
giorni doi)o.... Mìo padre raccontava : — Avevo bi- 
sogno di un carico di gesso, e domando alla figlia : 



— 313 — 
" Dov'6 tuo padre? „ Risponde: " Nella stalla; dà la 
pachila agli asini „. Aveva sei asini per trasportare il 
gesso. E vo nella stalla, una porta accanto, 
nessuno mi risponde. Spingo la porta, enf 
Mio padre qui si faceva sempre il segno del 
croce.... — Il Rosi» s' ^■''^ impiccato a u. 
anelli della mangiatoia con la cavezza d'un 
I sei asini mangiavano tranquillamente la 
Si era fatto giustizia con le sue proprie i 
la gente disse che era stato il castigo di Di' 
il Rospo aveva rubato gli ori -della Mad( 
calici le patene !... Fu il primo a Ràbbai 
suno si ricordava cho tm rabbatàno si fo 
mazzate da sé fino a quel giorno. 

— II Rospo ha aperto la strada e gli 
vanno dietro ! — disse compare Cola. — Io 
me ne vado a dormire. 

— Anch'io ! Anch'io ! E tardi. Santa not; 
Tre rimasero, col massaio e il marchese. 

— Pure voscetiza ha sonno. 

— No, massaio. 

— E oi"a, chi passerà più di nottfl per la 
— disse uno dei contadini iiccendendo la p 

~ Hai paura dello Spirito? Ah! Ah! 

— Voi ridete, comparo. Ma chi ha visto 
occhi, come in questo momento vedo il 
e voi.... 

— Eri ubbriaco quella volta. 



■^ 



— su — 

, col vino cho (hinno i Clrisariti ! Aceto 
Cr'odetomi, jKir strada i)on8avo a mia 
avevo lasciato malata, poveretta. C era 
luna, li cielo, sereno, con le stelle che 
no; e LI cane dei Sidoti uggiolava lassù 
a casa con la porta aperta, e gli uomini 
evano. Si udivano le voci, non le parole.... 
din'i che non era tardi ; un'ora di notte, 
più,... 

il? — disse il marchese, vedendo che il 
ìi era fermato per riaccendere la pipa, 
nto accapponare la i>elle ogni volta che 
Prima, rispondevo anche io: — Soioc— 
ntaaia alterata 1 — quando udivo parlare 
iose ; ma ora mi farei mozzare il collo, 
perchè è la verità, se volessero costrin- 
re che non è vero..,. Ero arrivato a metà 
ia qui, di Margitello, e davanti a me non 
uno. Ui si vedeva bene,,.. Via, si fosse 
uno a piedi, forse non avrei potuto ac- 
I.... Ma di uno a cavallo ! Avrei dovuto 
itire il rumore delle zampe della mula.... 
tratto 1... Come se la mula 6 l'uomo cho la 
fossero sbucati di sotto terra! La mula 
., girava a destra, a sinistra.... A una") 
passi, eccellenza, gridai: — Ohe! Ba- 
emevo che non mi venisse addosso.... Coi 
a della siepe non potevo scansarmi, e mi 



— 315 — 

fermai. E la muln saltò e girò, imbizzita, sbruffando 

dalle narici. Vidi vacillare quell'omo e aei 

tonfo per ttìrra,... Volevo accorrere.... G' 

mentato! Omo e mula se li ora iiighioti 

reno dond'enmo sbucati 1„. Se in quel me 

avessero salassato, non avrei dato una sfcii 

glie !.,. Proprio nel punto dove ammazzai 

pare Rocco Criscione, eccellenza.... Pensa' 

madre malata, non pensavo al morto 1... 

con quest'occhi, ho udito con queste oi 

non ripasserei di là, a notte avanzata, n 

mi dicessero : " Ti diamo mille onze !... „ Nor 

voscema? 

Il marchese si era alzato da sedere, pai 
la lingua inaridita, e un tremito dai piedi 
ch'egli cercava di nascondere mettendosi 
giare su e giù per la stanza, voltando le 
massaio e ai tre contadini. 

— Degli uomini io ho paura, non de 
dei morti ! — esclamò il massaio. — Una 
navo dalla campagna verso la mezzanotte, 
lume di luna che ci si vedeva come di gioì 
piano di Sant'Antonio ecco un fantasma, av\ 
lenzuolo, e in testa un arcolaio che girava, g 
fermo.... e lui si ferma; l'arcolaio però gir 
pre. Lì per li, si capisce, mi sentii gelare i 
ma siccome mi pareva che il fantasma vi 
pedirrai dì passare. — Per la Madonna! ~ 



— 816 — 

Con la chiave dì casa, e un coltelluccio dal manico 
di ferro, da due soldi, avevo fatto un rumore come 
quando viene alzato il grilletto d'una pitjtola.,,, e nii 
ero slanciato con impeto ad afferrare un lembo del 
lenzuolo. " Compare Nunzio, che fate !,.. „ Era quel 
gran boia di Tostasecca! " Voi, compare? — Zitto, 
non avete visto niente 1... „ E quel die vidi infatti 
non l' ho mai detto a nessuno.... Una persona ohe 
scendeva da un certo balcone con la scala di corda.... „ 

— Un ladro ?... 

— Già, di quelli che Fanno apuntare qualcosa su la 
test» dei mariti.... Chiunque altro sarebbe tornato in- 
dietro, e ora racconterebbe, come voi, la storiella 
del fantasma col lenzuolo e l'arcolaio in testa. 

— Ma la mula e l'uomo a cavallo, che sparirono 
in un batter d'occhio, inghiottiti dal terreno? — ri- 
prese il contadino che aveva finito di fumare e vuo- 
tava la pipa sul palmo della mano. 

— Che ne dice, voscensa ? — domandò il massaio. 
Il marchese non rispose, e continuò un bel pezzo 

ad imdare su e giù per lo stanzone, a testa bassa, 
con le mani dietro la schiena, contraendo a intervalli 
le labbra, quasi per trattenere le parole che gli si agi- 
tavano su la lingua, scrollando spesso le spalle, as- 
sorto in un ragionamento interiore che sembrava gli 
facesse fin dimenticare il luogo in cui si trovava. 

— Andiamo a dormire anche noi ! — disse uno 
dei contadini. 



— 317 — 
Anche gli altri due si alzarono 

— Buona notte, vosc^ma! 
Il marchese accennò col capo u 

luto, e si fermò in mozzo allo stanzol 

— Destino ! — esclamò il massaioj 
farci, eccellenza ^ Pietre dell aria, che 
dosso quando non ce le aspettiamo 
mi butteiò sul letto di Titta, o, 
bisogno di qualche cosa 

E prese m mano il lume per aocon 

— SI — rispose il marchese 
Il coitile eia inondato dal lume 

gran pace notturna ai sentiva, in loi 
voce che cantava 




- 318 — 



XXIX. 

Aveva trovato la casa piena di gente. La signora 
Mugnos, Cristina, il oavalier Pergola, don Aquilante 
erano accorsi alle prime notizie sparsesi per Ràb- 
bato del suicidio del vecchio Dimaura. Correvano 
stranissime voci. 

" Il vecchio, preparato il cappio, atteso al passag- 
gio il marchese, gli aveva imprecato addosso tutte 
le maledizioni del cielo e si era impiccato sotto gli 
occhi di lui. Il marchese, dallo spavento, cascato 
come morto per terra, trasportato alla Casina, era 
rinvenuto dopo due ore !... „ 

" n vecchio si era presentato al marchese con la 
corda in mano: 

" — Vi restituisco le settant'onze; datemi il mio 
fondo o, per quanto è vero Iddio, m' impicco a un 
albero, là ! 

** — Impiccatevi, se vi fa piacere. Volete un po' di 
sapone per la corda? 



' ■.L- -^ ^. l^^^-t 



— 319 — 

" E alla dura risposta del marchese, il povero com- 
pare Santi era andato davvero a impiccarsi. Il mar- 
chese lo aveva guardato dalla finestra, senza com- 
muoversi e sen^a mandare nessuno ad impedire 
quella pazzia !... „ 

" H vecchio aveva detto a im nepote: 

" — Domani il marchese troverà un frutto nuovo 
a un ramo dèi mandorlo nel mio fondo di Margi- 
tello. Gli farà stranguglioni! 

" n nepote : 

" — Ohe frutto novo? 

« — Vedrai. 

" E la mattina era andato via senza dire altro. H 
nepote lo credeva a messa.... Invece, povero diavolo, 
era corso a impiccarsi !... „ 

Titta, ripartito di buon'ora col pretore e coi ca- 
rabinieri, aveva lasciato la marchesa in grande agi- 
tazione. 

Alla vista della madre, Zòsima le si era gettata 
tra le braccia singhiozzando: 

— Ohe disgrazia, mamma, che disgrazia! 

Ma era sopraggiunto quasi sùbito il cavalier Per- 
gola: 

— Eh, via, cugina!... Ohe colpa ne ha il marchese? 

Don Aquilante Taveva poi confortata un po', rac- 
contando minutamente com'era andata la cosa ; nes- 
suno poteva saperlo meglio di lui che aveva con- 



- 320 - 
'affare. H marchese aveva tutt'altro pel capo, 
giorni, che il terreno di compare Santi! 
vecchio venne da me : — Signor avvocato, 
a! — Io alla prima non avevo capito. — 
■bìaiiio finire? — Questa storia del mio fondo 
itello. — Vi siete deciso finalmente?... 
. dunque perehè?— — aveva esclamato al- 
la marchesa strizzandosi le mani. — Ma 
perchè ? 

rchè il vecchio avaro avrebbe voluto in- 
fondo e danari. Tutti i contadini sono 
o più ladro dell' altro. Bruti ! Anime di 
in corpo umano.... 

nunziava queste parole con aria misteriosa, 
lo la testa , socchiudendo gli occhi , quasi 
jasero un concetto profondo che sarebbe 
utile spiegare; né la signora né il cavalier 
lo avrebbero capito. 

parire del marchese su 1' uscio del salotto, 
aveva osato di dire una parola, 
ì cosa e" è ? Fate il lutto ? — egli esclamò 
ente, 

i parso proprio di entrare in una di quelle 
ave i parenti di un morto vi ricevono si- 
lente le persone più intime , con costume 
Bntale tuttora vivo in Sicilia, 
no state? — gli domandò la i 



— 321 

Era pallido invece e rivelava una profonda irri-. 
tazione nel tono della voce. 

— Benisf^imo^ vi dico ! — egli replicò a un gesto 
dubitativo della marchesa. 

— Non ci mancherebbe altro — intei*venne il ca- 
valier Pergola — che il cugino dovesse star male 
perchè un imbecille si è impiccato ! 

— Mi dispiace soltanto di non aver potuto dor- 
mire la notte scorsa — soggiunse il marchese. — 
Vado subito a letto^ per un paio di ore. 

La marchesa lo seguì in camera. 

— Grazie, non ho bisogno di niente, — egli disse. 

— Prendete almeno un torlo d^iovo col caffè. 

— Niente. Lasciatemi dormire un paio d'ore. 

— So che vi siete sentito male.... 

— Male, perchè? Sono im bambino forse? 

— Lo hanno portato via? — domandò la mar- 
chesa dopo un istante di pausa. 

— Si, il diavolo se lo è portato via!... Ma non ca- 
pite che non voglio parlarne?... Che voglio.... dormire? 

La marchesa lo guardò stupita e usci di camera 
mortificatissima , quasi si fosse sentita scacciata. 
Chiuso Tuscio, e tenendo una mano sul pomo di rame 
della sen^atura, stette là alcuni secondi per ricom- 
porsi prima di tornare in salotto. 

— È già andato a letto? — le domandò lo zio 
don Tindaro, arrivato in queir intervallo. — Pec- 
cato 1... Volevo mostrargli.... 

Capuana, It Ma^'chese di Itoccav&>*dina, 21 



— 322 — 

E tolse di mano al cavalier Pergola uno strano 
idoletto di argento, il suo più bello acquisto di quel- 
l'anno, egli* diceva. 

— Eh, nepote?... Un tesoro!... Cosa egiziana !,.. Un 
Anubi, il Dio Cane.... Come è venuto qui?... Da 
quanti secoli? Era a un metro sotterra.... Lo ha 
scavato, per caso, un contadino e me lo ha portato.... 
— Ti dò due piastre, sei contento? — E non ne avevo 
ancora capito l'importanza, lo confesso. Dopo, os- 
servandolo meglio.... Argento.... non o' è dubbio..,. 
Ma quand'anche non fosse?... Il valore non consiste 
ne la materia, ma nella cosa rappresentata.... Pen- 
sate, nepote mia, che voi avete tra le dita un og- 
getto di parecchie migliaia di secoli!... Ero venuto 
a posta per farglielo vedere.... e anche per sapere 
che c'è di vero in quel che mi è stato detto. Si è 
impiccato sotto gli occhi del marchese?... Ma nes- 
suno ha pensato a tagliare la corda? Dovevano fare 
così.... 

— Ma vi pare, papà ! — lo interruppe il cavaliere 
Pergola. 

— È quel che ho risposto io: Ma vi pare! 

— Potrebbe accadere anche a voi. Figuriamoci 
che qualche maligno dicesse al contadino che vi ha 
venduto questo idoletto: " Sciocco! Ti sei lasciato ca- 
var di mano una fortuna. Quel cosettino valeva più 
di mille onze.... „ E che costui dal dispiacere.... 

— Ma io glie l'ho già detto prima : — Guarda ; ti dò 






due piastre. Se intanto c'è qualcuno che Volesse 
dartene di più.... Mostralo a chi ti pare ; solamente 
io vorrei la preferenza. C'è chi te ne dà dieci? Ed 
io ti darò dieci piastre e mezza. — Se costui però ve- 
nisse a dirmi.;., (sono cosi ignoranti i contadini ! Si 
credono sempre rubati dai galantuomini!,.,) Ma io gli 
risponderei : " Tieni ! Restituiscimi le mie due pia- 
stre. „ E mi costerebbe un grande sforzo. Mio nepote 
il marchese è di altro parere. I negozi sono negozi; 
non si fanno per disfarli. Ha ragione. Ma quando 
si combatte con ignoranti che poi sono anche sospet- 
tosi e maligni? Il meglio è non avere ohe spartire con 
essi. Tanto, possedere o non possedere quella spanna 
di terreno che dovrebbe importargli? Visto che il 
vecchio si era pentito della vendita, e che andava 
là a piangere su le zolle — a un contadino potete 
prendergli la moglie, la figlia.... sta zitto, chiude gli 
occhi ] ma un pizzico di terra no ; è come strap- 
pargli un brano di cuore — visto che il vecchio si 
era pentito della vendita, io gli avrei sùbito pro- 
posto: Sciogliamoli contratto; ecco il vostro fondo, 
qua le mie settant'onze.... e sputiamoci su, come 
suol dirsi. Glieravevo consigliato, poche settimane 
fa: — Nepote mio, levatelo di torno questo compare 
Santi Dimauro ! — Tuo marito, scusa, nepote mia.... ha 
una testa!... La testa dei Roccaverdina ! Se mi avesse 
dato retta, quel che è accaduto non sarebbe acca- 
duto, e tu non staresti ora spaventata spaventata, 



— 024 — 
gli occhi che giiardtino e non vedono.... Lo 
rvato bene il mio idoletto? Non ti sei nep- 
3orta che ha la testa di un cane! 
roprio spaventata spaventata, come diceva 
Pindaro. Ijo i-ombava nell'orecchio il tono 
nasi villano, della voce del marchese, quale 
i non le era accaduto di udirlo in pai'ole 
lei. Por giungere a questo punto, ella riflet- 
urbamento del marchese doveva essere gran- 
rimorso più ohe turbamento, se lo zio gli 
jnsigliato: — Levati di torno quel compare 
- ed egli non aveva voluto dargli retta perchè 
e quando ò coucluso.... è concluso! 
angolo del salotto, il cavaliere Pergola di- 
ad alta voce con don Aquilante intorno ai 
apitoli della Genesi. Di tratto in tratto si 
voce severa di don Aquilante che ripeteva; 
e il cui senso non è stato ancora compreso! 
replica del cavaliere : — Bisognava appunto 
e voi per sentirselo spiegare! — Come fossero 
fino alla Genesi parlando del suicidio di com- 
.nti, nessuno dei due avrebbe saputo dirlo; 
nte avevano fatto presto. Lo zio don Tindaro 
ra avvicinato ad essi, udito di che si trat- 
iiai-dato in fac(;ia suo genero e crollata la 
era allontanato borbottando: 
poi si ricorre alle reliquie dei santi! . 
lido davanti a la signora Mugnos e Cristina 



- 3-25 - 

che cercavano di confortare la marchesa^ il cavaliere 
don Tindaro fece il gesto di chi non 
bare un intimo colloquio; ma la signoi 
richiamava : 

— Dit^lielo anche voi, cavaliere; n 
prudenza pretendere che il marchese 
fondo agli eredi? 

— E senza chiedere la i-estituzione 
aggiungerei io! Settant'onze non fanno 
povero il marchese di Roccaverdina; 
spanna di terreno o senza di esso, Ma 
sempre Margitello. Marginilo ha fatto ce 
grande che ingoia il pesce piccolo; si 
Roccaverdina. Roccaverdina, che è il tit 
glia, è sparito in Margitello, dopo l'ai 
fidecommessi. Un pezzo tu, un pezzo i 
quegli.... come le spoglie dì Gesù Crisfcc 
cifisaori si giocarono ai dadi. Dico così ] 
esprimermi.... 11 marchese, d'altra parte, i 
— Perchè debbo avere quella soggeai< 
mia? Per questo ho comprato qua, ho ( 
sbarazzandomi di tutti i vicini. — Ora 
è un gran rettangolo, chiuso dai quatti 
stradone provinciale e dalle carraie comu 
tamente isolato. Ma quel vecchio testi 
star conficcato là per far dispetto al m 

— Ah!... Non posso pensarci!... Mi 
ci sia la maledizione su quo! terreno!,.. 



;,, ■'-.--ìv- --fjtl 



— 326 — 

— Ohi può dirti il contrario, cara nepote? 

— La mamma ha paura che il marchese.... 

— In questo momento non vi sembra imprudente 
prenderlo di fronte?... — la interruppe la signora 
Mugnqs. — Più tardi, forse.... Ma sarebbe sempre 
meglio lasciarlo fare a modo suo. 

— Ed è capace di continuare a fare a modo suo, 
anche per picca! — concluse ridendo don Tindaro. 

— Si, mamma ; vo' vedere se m'ama ! — esclamò 
Zòsima poco dopo, appena rimasta sola con la si- 
gnora Mugnos e Cristina. — Vo' metterlo a questa 
prova ! 

— E poi? — disse Cristina guardando con pro- 
fonda espressione di disinganno la sorella. 

— E poi?... Almeno avrò la certezza. 

— Io non la cercherei. 

— Perchè? 

Perchè.... La penso così. 

Ella pensava diversamente. 

Era entrata con molta caut/ola in camera, non vo- 
lendo svegliare il marchese, se per caso dormisse an- 
cora. Vistolo supino, con gli occhi aperti, immobile, 
come se non si fosse accorto della presenza di lei, 
la marchesa lo chiamò con un grido: 

— Antonio!... Oh, Dio!... Mi avete fatto paura! 
Vi sentite ancora male? 

Si era accostata, ansiosa, tremante, e lo aveva 
proso per una mano. 



.u'iiwitìàa:. 



— 327 — 

— Ma ohe cosa immaginate dunque? — of 
0011 voce ohe mal naaoondeva l'irritaaione. — 
hanno riferito? Che vi hanno insinuato nell'ai 

— Ah!... Sentite: — ella riprese, giungt 
mani in atto supphchevole — ve lo ohie 
grazia!... Se mi volete veramente bene.... 

— Avete bisogno di altre prove? Dopo q 
ho fatto? 

— Di altre prove no.... Mi sono eapreas 
Per la nostra tranquillità, per disperdere qii! 
mal augurio — ohe volete? Io sono supei 
come tutt« le donne. Voialtri uomini forse no] 
credere che certi sentimenti eieno si)esso prt 
ammonizioni del cuore — per la nostra tran 
sentite...! 

Esitava, non osava di esprimere con par 
schiette e più semplici il suo vivo desiderio, 
porglielo anzi con la tenerezza che in quel n 
le vibrava per tutta la persona e che ella 
voluto almeno indovinata se non acorta da 
tava,- aspettando che le accorresse spontam 
in soccorso e che la prevenisse acoordandol 
in regalo, quel che ella gli richiedeva con 
gesto di preghiera. Appena però si avvide ch( 
cheso la guaixlava diffidente e in atto di rtif 
resistenza, si senti invadere da un impeto rì 
gio e di forza e con accento l'isoluto ripres 

— Sentite: dovreste rendere quel fondo aj 



r ■ , ^ • 



— 328 — 

come vi ha consigliato lo zio don Tindaro, e senza 
volerne restituito il prezzo.... Vi pi"ego di fare così, 
per amor mio! 

— E con ciò confermare che il vecchio si è im- 
piccato per colpa del marchese di Roccaverdina ! 

Salt^ giù dal letto, buttando da lato le coperte 
sotto cui si era ficcato vestito. 

— Mio zio non capisce niente, con le sue anti- 
chità! — soggiunse. 

— Ve lo chiedo come dono.... come sacrificio; 
non vorrete rifiutarmelo. Non sarò mai tranquilla 
finché quel fondo di malaugurio farà parte di Mar- 
gitello.... 

— Che sospettate? Che vi hanno detto? Parlate! 

— Che cosa potrebbero dirmi?... Che potrei so- 
spettare?... — ella domandò lentamente, indietreg- 
giando un po' davanti a quella domanda scoppiata 
con un urlo di collera. 

— Non mi dite più niente, non mi parlate più di 
questo! — fece il marchese. 

C'erano nelFespressione della faccia e nel tono 
della voce cosi evidenti segni di terrore e di ango- 
scia, che la marchesa potè significargli soltanto con 
un dolce gesto delle due mani: 

— Farò come volete! 
E uscì di camera. 



- 339 - 



XXX. 

Infatti non gliene aveva riparlato più; ma tutti 
e due capivano ohe ognuno di essi pensava conti- 
nuamente a quel silenzio impostosi e ne soffriva 
in diversa maniera.. Egli, stizzito che la marchesa 
col rassegnato contegno^ col muto dolore gli ram- 
mentasse che attendeva una risposta, una rive- 
lazione, o un atto, quell' atto richiestogli con sup- 
plichevoli parole, come prova di amore ; ella, offesa 
dell'inesplicabile rifiuto, e dei modi chiusi e bruschi 
con cui si vedeva trattata, e che la sua vivace fan- 
tasia contribuiva a ingrandire e a renderle peno- 
sissimi. 

Durante quei tre ultimi mesi, la povera mamma 
Grazia se n'era andata all'altro mondo, senza nep- 
pure accorgersene, restando immobile con la calza 
in mano, su la seggiola dov'era seduta nel balcone 
per godersi il sole di febbraio; e la baronessa di La- 
gomorto r aveva seguita venti giorni dopo , estiri- 



— 330 - 

guendosi tranquillamente sotto il baldacchino bianco 
del suo letto, coi canini là accucciati che più non 
valevano a tenerlo ben riscaldati i piedi. 

— Li raccomando a te — ella aveva detto alla 
marchesa. — Come figliuoli 1 

E aveva soggiunto : 

— Muoio contonta — Non mi avete dato la con- 
solazione di sapore almeno che un marchesino è 
per via — Non importa ; verrà. Lo solleciterò io, di 
lassù, con le mie preghiere. 

— Ma ohe cosa dito, zia!,., 

— Oh ! Non crodore che io non capisca che questa 
volta.... è finita! — continuò la baronessa. — Che 
ci faccio più in questo mondo?... Tu non mi di- 
menticherai.... Ho contribuito un po' alla tua feli- 
cità.... Sei felice, è vero? 

— Si, zia ! 

— Come si può ossero felici in questa valle di 
lagrime,... Valle di lagi-ime dice la Salveregina.... 

È la morte.... 

non riconio più la canzonetta che comincia cosi e 
finisce: 

Un rimedio a tutti ì mali 

Per quei misoi'ì mortali 

OI16 SDII stiknchì di soffrir! 

Me la facevano recitar© quando oro bambina.... La 

ripeteva sposso la mamma,... 



— 331 - 

Con straordinaria lucidità di mente, la baronessa 
aveva provveduto in quegli ultimi due giorni a 
modificare il suo testamento. 

— Ero in collera con mio fratello e con mia ne- 
pote allora.... Non voglio che maledicano la mia me- 
moria. Tu sei ricco a bastanza — disse al marchese. 
— Tindaro ha più bisogno di te.... E Cecilia ha 
due figli.... 

Ed era morta due giorni dopo balbettando la can- 
zonetta del Metastasio, stringendo la mano di Zòsima, 
cercando con gli occhi i canini accucciati dappiè 
sul letto, e che poterono essere allontanati a stento. 
Minacjciavano di avventarsi e mordere chi si acco- 
stava alla loro padrona, stesa rigida sotto le coltri, 
col capo abbandonato sui guanciali, e tra i capelli, 
sotto la cuffia, i diavolini voluti farsi fare la sera 
avanti perchè da anni ed anni ogni sera aveva 
praticato cosi. 

La marchesa pensava ancora dopo im mese alle 
parole della baronessa: — Sei felice, è vero? — e 
alla sua risposta: — Sì, zia! — Ora la baronessa 
doveva vedere di lassù che ella le aveva mentito 
per non turbarle quegli ultimi giorni di vita. Non si 
era mai sfogata con lei, come con la mamma e la 
sorella ; la baronessa non avrebbe avuto la prudenza 
di confortarla e di tacere col nepote ; e Zòsima non 
voleva che tra il marchese e lei vi fossero interme- 
diari ; preferiva soffrire. 



Poi era stata distratta dalle cure di scartare, di 
mettere a posto i mobili, ì quadri, gli oggetti di- 
versi che il marchese aveva fatto trasportare in 
casa dal palazzotto della baronessa lasciato in ere- 
diti alla nepote maritata col cavalier Pergola, a 
cui premeva di uscir presto dal vicoletto dove ora 
gli pareva di sentirsi mancar l'aria e di non avere 
a bastanza luce. 

La marchesa aveva riposto assieme con quelle di 
&miglia le gioie antiche, di molto valore, destinate 
a lei dalla zia. E un giorno che ella ammirava, tra 
gli altri oggetti ereditati, due vestiti di broccato 
laminati in oro, della prima metà del settecento, 
conservati perfettamente con tutti gli accessori e 
le scarpino — la baronessa li mostrava raramente 
tanto n'ora gelosa — si era sentita fin prendere dalla 
curiosità dì indossarne uno che, a occhio, sembrava 
tagliato e cucito proprio per lei. 

Il marchese, tornato inattesamente da Margitello, 
l'aveva sorpresa mezza vestita, e l'aveva, con inso- 
lita compiacenza, aiutata nel travestimento. 

Quel cantmcm si adattava perfettamente alla sua 
poraona. Ma ella, appena tenninata di abbigliarsi, e 
guardatasi nello specchio, si ora vergognata della 
sua curiosità, quasi si fosse mascherata fuori sta- 
gione. 

— Vi sta benissimo ; sembrate un' altra persona 
— le disse il maj'chose. — Il marchese grande rac- 



— 333 — 

contava che, ogni volta ohe la marchesa bisnonna 
indossava questo vestito, egli soleva ripeterle : " Mar- 
chesa, approfittate della circostanza; in questo mo- 
mento non saprei negarvi niente ! „ Ma la marchesa 
— egli soggiungeva — non ne approfittò mai. 

— Da donna prudente — rispose Zòsima. 
Il marchese fece una mossa interrogativa. 

— Perchè una signora — ella spiegò — non deve 
chiedere, ma attendere che il suo desiderio sia indo- 
vinato. 

Per un istante si era illusa intomo alla intenzione 
del marchese. E vedendolo pensieroso, un po' acci- 
gliato, aveva aspettato che le dicesse: — Indovino 
il vostro desiderio. Sarà fatto come voi volete. — 
Invece egli cambiò discorso. 

— Verrete domani a Margitello? Faremo l'assaggio 
dei vini.... È la prima festa della Società Agricola. 

— Grazie — ella rispose freddamente. 

E la mattina dopo fìnse di dormire per evitare 
che il marchese ripetesse la proposta sul punto di 
andar via. 

Egli si era aggirato un po' per la camera, esi- 
tante se dovesse svegliarla o no; si era fermato a 
guardarla, e la marchesa che teneva gli occhi soc- 
chiusi fu maravigliata di vedergli fare un gesto, 
quasi volesse scacciare con le mani qualche tristo 
pensiero che lo tormentava, tanto dolorosa era stata 
Fespressione del suo viso in quell'atto. 



'-'^■w^" 



— 334 — 

Soffriva dunque anche lui? Di che cosa? Per 
quale motivo ? Aveva dunque ragione la sua mamma 
dicendo che tra marito e moglie c'era di mezzo un 
malinteso, un equivoco, e che il non tentare da 
una parte o dall' altra di chiarirli o dissiparli, ser- 
viva unicamente a prolungare quel penoso stato 
d'animo e a renderlo peggiore? 

— Come? La cugina non viene? — domandò il 
cavalier Pergola che era già montato nella carrozza 
fermata davanti al portone. 

— È un po' indisposta — rispose il marchese. 

— Gli altri ci attendono alla Oappelletta — disse 
il cavaliere dopo di aver acceso un sigaro. — Ecco 
don Aquilante ! 

Don Aquilante arrivava di corsa, scusandosi di 
essere in ritardo. 

Titta fece schioccare la frusta e le mule parti- 
rono di buon trotto. 

Il cavalier Pergola non poteva trovarsi insieme 
con l'avvocato senza cavarsi il gusto di provocarlo 
a qualche discussione. Quando la carrozza raggiunse 
le altre due coi soci dell' Agricola alla Oappel-- 
letta e passò avanti per la discesa, il cavaliere gli 
disse : 

— Oggi voglio vedervi prendere una sbornia. In 
vino veritaSy cosi ci direte la vera verità intorno 
ai vostri Spiriti.... Ma ci credete, proprio? 

— Non ho mai preso sbornie in vita mia ; né ho 



^. *' 



— 335 — 

bisogno di essere ubbriaco per dire la verità — rispose 
severamente don Aquilante. 

— Bevono vino anche gli Spiriti? 

— Potrei dirvi si ;, e vi parrebbe una sciocchezza. 
H cavaliere scoppiò in una risata: 

— Meno male. Se nel mondo di là non si dovesse 
più bere vino, mi dispiacerebbe assai. Avete udito, 
cugino? Bisogna turar bene le botti a Margitello; 
c'è il caso di trovarne qualcuna già vuotata. 

E rideva, pestando i piedi, strofinandosi le mani, 
come soleva quando era di buon umore. 

— Quel che gli Spiriti non possono vuotare, sono 
certi cervelli dove non c'è niente — replicò don Aqui- 
lante, socchiudendo gli occhi e scrollando compas- 
sionevolmente la testa. 

Il marchese non aveva risposto- sùbito. Da qual- 
che tempo in qua andava soggetto a certe inter- 
mittenze di pensiero dalle quali si riscoteva tutt'a 
un tratto quasi rinvenisse da uno sbalordimento. 
Doveva fare uno sforzo per rammentare l'idea, o il 
fatto dietro a cui si era sperduto, e qualche volta 
non riusciva a rintracciarlo. Gli sembrava di aver 
camminato, camminato in mezzo a densa nebbia 
senza distinguere niente attorno a lui, in uno spazio 
deserto, silenzioso, o su l'orlo di un abisso dove po- 
teva porre il piede in fallo, e di cui risentiva l'or- 
rore rientrando in sé. 

Aveva fatto un lieve balzo all'interrogazione del 



— asR — 

cavalioi'B, attoggiava lo labbia a un son-iao sten- 
tato indovinando a chi andasse la risposta di don 

Aquilanlo, 

— MiocupriiioèincoiTeggibilo — ^li disse mentre 
il eavaliere rideva, 

— Ila però in serbo le solite reliquie per quando 
si vede in pericolo! — i-isposo don Aquiìante senza 
scomporsi. 

— So erodete di chiudermi la bocca col rinfac- 
ciarmi una debolezza di moi-ibondo ! — esclamò il 
cavaliere. — Ecco, ora son qua in perfetta salute e 
posso tener tosta a voi e a tutti i preti della terra. 
E a Margitollo farò un bel brindisi al Diavolo davanti 
a la botte gi'ande col miglior vino della Società.,,. 

, Evviva Satana ! 
Ribellione, 
forza vindice 
Della ragione !... 

Li ho Ietti ieri in un giornale ; versi di un gi-an poeta, 
diceva il giornale. 

— Ai poeti e permesso affermare e negare nello 
stesso tempo. 

^ Affermare e negare?... 

— Se non m'intendete, è colpa mia forseV Voi vi 
figurate dì fare chi sa ohe cosa con un brindisi al 
Diavolo. Oredete in luì dunque; e vi proclamate libero 

e! 



- 337 — 

— Siete più irragionevole voi che e 
Spiriti. Almeno il Diavolo è una pottìnz 
induce al male e porta, lui solo, più ai 
femo che non tutti gli angioli e i santi 
E a questo suggerisce: " Ruba! „ A qu» 
" Ammazza ! „ A uno : " Fornica ! „ A un 
discil... „ E tutti ubbidiscono, e tutti gì 
t-ro.... se è vero che esiste!... 

— Volgarità vecchia, stantìa, caro ca 
aiete addietro di un secolo, a dir poco ! 

— E voi all'infanzia dell'umanità! 

— Intanto con questi discorsi faccii 
montare il marchese — disse don Aqui 

H marchese era ricaduto in quello sti 
mittenza di pensiero da cui si era destat 
poco prima; solamente gli risuonavano 
chi fioche, quasi indistinte, le parole del i 
quegli insinua: Aramazza! A questi ini 
mazza ! „ SI ! si ! Il diavolo gliel' aveva s 
me ! un' intera settimana la terribile i 
egli aveva ammazzato 1... Cosi, dopo, il di 
su^erito a compare Santi Dimauro: — 
Impiccati! — E quegli si era impiccato 

Non si sarebbe dunque mai sbarazza 
incubi ? Non dormiva , come diceva in 
don Aquilante. E dormiva poco da pi 
limane, nel letto, a fianco della marche 
non poteva dirsi sonno quel chiudere g 
Cafdasa, Il Jlfarckese di Roacaverdìna. 



— 338 — 

qualche quarto d' ora e destarsi dì soprassalto col 
terrore che ella, accorgendosene, gli domandasse: 
Che cosa avete? C'era già una incessante interroga- 
zione negli occhi di lei, in quella chiusa rassegnazione, 
in quelle brevi risposte, che sembravano insignificanti 
e che significavano tanto, quantunque egli fingesse 
di non prestarvi attenzione. 

Aveva un tristo significato anche il rifiuto di an- 
dare quel giorno a Margitello. E il notaio Mazza' 
gUelo rammentava scendendo dalla carrozza nella 
corte: 

— Peccato che manchi la nostra cara marchesa! 
Intanto doveva mostrarsi aUegro con gli ospiti, 

dare una cercaria solenne a quell'assaggio, batte- 
simo deir impresa per la quale aveva speso tanti 
quattrini, tante cure e tanto entusiasmo, e suscitato 
tante avidità e tante speranze. 

Fortunatamente erano allegri i soci. Il notaio 
Mazza si era quasi prostrato in ginocchio davanti 
a la botte grande, levando in alto le braccia ed 
esclamando in latino: 

— Adoramus et benedicimus te! 

Il cavalier Pergola, tra ima bestemmia e V altra, 
parlava di tipi di vini. 

— Se non si arriva a creare un tipo , tutto è 
inutile ! 

E cosi, da li a poco, anche il marchese era già 
eccitato allorché i dieci soci si trovarono coi bic- 



■fc *■- 



- 339 - 
chiari in mano, ascoltando, con qualche ini] 
le spiegazioni oh'egH dava intorno ai tagli 
e alle manipolazioni dovute fare appunto p( 
il tipo, che doveva chiamarsi Ràbbato, beilo 
nome da portare buona fortuna. 

Poi il vino sgorgò dalla cannella della t 
sima limpido, di un vivo color di rubino, et 
con lieve cerchio di spuma rosseggiante i t 
ma il notaio Mazza, assaggiatolo, nel punt 
un brindisi, si era arrestato , assaporando , 
scoppiettare lo labbra, tornando ad assi^gia 
dando negli occhi tutti gli altri che assaggiavi 
lui, senza che nessuno ai decidesse a dire il su 
quasi ognuno avesse paura di essersi ingai 

— Ebbene? — fece il marchese, 

— Cavaliere, dica lei.... 

— Oh !... Voi, caro notaio, siete assai più 
noscitore di me. 

— Allora, don Fiorenzo Mariani.... — n 
notalo. 

— Io? — lo interruppe questi, atterrito 

[ pronunziare un parere in faccia al marche 

— Parli l'avvocato, e questa volta da g 

— Dichiaro la mia incompetenza ^ s'a 
rispondere don Aquilante che aveva già ri] 
vassoio il bicchiere ancora colmo. 

— Tipo Chianti, ma più forte — disse il n 
dopo aver assaggiato. 



- 340 - 

— Troppo forte, forse! — st^giunse malizitsa- 
mente il notaio. 

— E poi, i vini si gustano a tavola. 

— Dice benissimo il cavaliere I 

Erano usciti d'imbarazzo cosi. E a tavola, con la 
scusa che 1 vini nuovi sono traditori, tutti avevano 
hevuto il vino vecchio; e il cavalier Pergola che 
voleva far prendere una aboi'nia a don Aquilaote, 
l'aveva presa invece lui, leggerina, sì, come queUa 
di don Fiorenzo Mariani che gli sedeva dirimpetto, 
ma chiassona e con la fissazione : — Don Aquilante, 
evocate gli Spiriti, o li invoco io ! — mentre don 
Fiorenzo, levato in piedi col bicchiere in mano, per 
dimostrar che la sua testa era serena, ripeteva sfi- 
dando il cavaliere: 

— Pietro ama la virtù I Qual'è il soggetto della 
proposizione ? 

Soltanto il notaio mangiava e beveva zitto zitto. 

— Tipo Chianti — rifletteva — un po' più forte!... 
Aceto addirittura !... 

— Mi sono ingannato io, o pureV... — lo inter- 
l'ogava sottovoce ìl socio che gli sedeva accanto. 

— Da condire l'insalata, volete dire? 

— Questo è il Ballato bianco. 

Il marchese andava attorno egli stesso per riempirne 



i bicchieri dei commensali 
ehe continuava a gridare; 
gli Spiriti, o li òvooo io 



i, e giunto dietro al cavaliere, 
■ Don Aquilante, evocate 
gli disse in tono severo: 



- 341 — 

— Cugino, via, finitela con questo stupido scherzo !... 

— Scherzo ? — rispose il cavaliere rosso in riso, 
con gli occhi accesi e la lingua un po' incerta. — 
Ma io parlo seriamente,... Carte in tavola!... " 
sono cotesti suoi Spiriti? Vengano, vengano ( 

vi evoco in nome.... del Diavolo; — Spiriti e. 
ohe non potete abbandonare il posto dove 
morti.... In nome del Diavolo! — Ah! Ah! I 
fa cosi?... ci vuole per forza il tavolino? < 
tavola qui pronta e c'è il vino.... e anche Tace 
il cugino ha manipolato... Cugino mio, questa 
aceto da peperoni!... Aceto RàbbatoL. 

U notaio Mazza e gli altri volevano tura 
bocca, condurlo di là. 

— Buona persona il cavaliere , ma un d 
vino di più lo mette subito in allegria..,. 

n notaio tentava di attenuare la brutta in 
sione di quella scena, vedendo il viso scuro de 
chese che scrollava le spalle e voleva far le 
di non dare importanza alle parole del cugir 

H quale, mentre don Aquilante, appoggiati 
miti su la tavola, con la testa fra le mani e 
chi socchiusi non gli dava ascolto, s^uitava 
petere: 

— Si fa cosi ? Si fa così , gran mago ? E 
compare Santi Dimauro 1... Evocate Rocco Crisc 
Devono essere in queste vicinanze.... Spiriti err 
O voi siete un mago impostorel 



— 342 — 

Il marchese, impallidito, gridò forte : 

— Cugino ! 

E quel grido di rimprovero parve che tutt'a un 
tratto gli snebbiasse il C6r\'ello; il cavaliere tacque, 
sorridendo stupidamente. 

Don Fiorenzo, dall'altra punta della tavola, ur- 
lava intanto: 

— Chi non è ubbriaco risponda: Pietro ama la 
virtù! Qual'è il soggetto della proposizione? 



XXXI. 

Maria, la nuova serva, era venuta ini 
marchese per annunziatali: 

— La signora marchesa si è messa a li 
mezzogiorno ; è un po' indisposta. Ha un 
Jore di capo. 

— Perchè non avete mandato a chian 
madre ? 

— Non ha voluto. 

— Riposa? 

— Eccellenza, no ; è sveglia. Credo che : 
che un po' di febbre. Cosa da niente.... Portt 
Ha voluto essere lasciata allo scuro. 

Maria lo precedette in camera. 

— Che cosa è stato? — egli domandò 
dosi su la giacente, 

— Non so ; mi sono sentita male tutt'a 
Ora mi pare di star meglio — rispose la i 
con voce turbata. 



— 344 — 

— Mando pel dottoi©? 

— Non occorre. 

— Lo faccio avvertire perchè venga domattina, 
di buon'ora. 

— È inutile. Mi sento raglio. 

Egli ficcò la mano sotto le coltri per tastarle il 
polso. E siccome la marchesa evitò che la toccasse, 
sforzandosi di sorridere e achermendosi, il marchese 
le posò la mano au la fronte. 

— Scottate! 

— È il calore del letto — ella rispose. 

— Non ha preso nulla? — domandò il marchese 
alla serva. 

— Nulla. Il brodo è pronto ìn cucina. 

— Bevetene almeno una tazza. Non potrà farvi 
male — egli disse con accento di preghiera, rivol- 
gendosi alla marchesa. 

— Più tardi, forse, 

— Pòrtalo — ordinò alla serva. — Sarà meglio 
che lo prendiate sùbito, — ao^unse tornando a po- 
sare la mano su la fronte della moglie. 

Ella non rispose e chiuse gli occhi. 

— Vi dà fastidio il lume? 

— Un poco. 

Il marchese tolse il lume dal posto dove la serva 
lo aveva posato, lo collocò su un tavolinetto copren- 
dolo con una ventola che quasi abbuiò la camera, 
e rimase ritto in piedi davanti a la sponda del 



— 345 — 
letto, attendendo ohe la serva recasse la tazza col 
brodo. 

— Avete avuto brividi di freddo? — domandò 
dopo lunga pausa. 

— No. 

— Avreste potuto almeno mandare a chiamare la 
mamma — egli disse dopo altra pausa. 

— Per cosi poco? 

Egli prese la tazza di mano della serva. 

— E un sorso — fece. — Bevetelo prima che si freddi. 
. La marchesa si sollevò sur un gomito e bevve 

lentamente. 

— Grazie ! — disse lasciandosi ricadere sul letto. 

Egli la guardava con grande apprensione. Oli sem- 
brava che qualche altra terribile cosa stèsse per ac- 
cadere e che quella povera creatura innocente do- 
vesse pagare per lui. L'insolita tenerezza nei suoi 
modi e nella sua voce proveniva da questo. 

E mentre egli restava là, in piedi, silenzioso con 
le mani appoggiate a la sponda del letto, un po' 
chino e con gli sguardi intenti, la marchesa pensava 
a quel gesto, a quella dolorosa espressione del viso 
di lui osservata la mattina, quando il marchese stava 
per partire per Margìtello, e che l'aveva tenuta in 
profonda agitazione. 

Pensava anche alla cesta e alla lettera arrivate 
da Modica quel giorno. L'aveva portate un giovane 
capraio spedito a posta. 



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^-i^T-i^ 



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— 846 — 

— Chi vi manda? — ella gli aveva domandato, 
quantunque già avesse capito da chi potessero pro- 
venire lettera e cesta. 

— Mia zia Spano.... Solmo la chiamavano qui. 
Bacia le mani anche a voscenza. 

La marchesa, a quel nome, si era sentita rime- 
scolare. 

— Il marchese è in campagna. Volete aspettarlo ? 
^, — ella disse. 

pX^ — Aspetterò per la risposta. Mia zia vuole la ri- 

fX sposta. Dice: Loro eccellenze devono scusare la sua 

E^',^ impertinenza; sono cacicavallo. Qui non ne fanno; 

^r.'. per questo si è presa la libertà.... 

IJ: — Va bene. Siete stanco? Mangerete un boccone. 

p., E dato Tordine alla serva perchè lo servisse in 

f^ cucina, era rimasta, con crescente turbamento, da- 

','' ' vanti a quella lettera da lei^ buttata sul tavolino 

y quasi le avesse scottato le dita. 

Che voleva costei? Perchè si faceva viva? Le 
parve di vederla, a un tratto, aggirarsi di nuovo per 
quelle stanze dov'era stata quasi dieci anni padrona 
assoluta della casa e più del cuore del marchese, 
come a lei, moglie, non era riuscito; le parve che 
quella lettera e quella cesta nascondessero un tra- 
nello per far riprendere a colei Tantioo posto, e scac- 
ciarne chi vi era divenuta legittima signora. E fis- 
sava, con sguardi diffidenti, la cesta dove poteva, 
forse, essere qualche opera di malia. Le tornavano 



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\. ,1. 






— 347 — 

in mente casi uditi raccontare da popolane 
l' avevano fatta sorridere d' incredulità) , 
malie, preparate in una torta, in una fritb 
quali erano stati prodotti o una lenta mi 
sfinimento e poi la morte, o un rinfocolai 
passione da confinare can la pazzia. No, non 
permesso ohe il marchese mangiasse di q 
cavallo, e lei non lì avrebbe neppure tocca 
sa? Tante cose che paiono fiabe, sono vei 
m^nti non sì racconterebbero. E, a poco a 
affondò talmente in questo sospetto, che ess( 
per tei evidenza di certezza. Sentiva diffo 
traverso dei vimini della costa, la maligna i 
colà rinchiusa, e invaderla e inquinarlo il ; 
attossicarle la fonte della vita. Ebbe la b 
di aprire la lettera, di strapparla anche se 
gerla, giacché fin le parole colà scritte ; 
avere qualche malefica potenza. Resistè ; ini 
dinava alla serva di mettere cesta e letter 
ripostiglio nascosto. 

— Che ti ha detto quell'uomo? — le d( 

— Dice che sua zia ha sempre su le 
nome del padrone, benedicendolo. 

— Niente altro? 

— Dice che vorrebbe venire a baciargli 
e che verrà un giorno o l'altro. E mi ha 
dato se il padrone ha già avuto un figlio. 

— Che gliene importa? 



— Goal mi ha dotto. 

— Ha un (ìglìo.... sua zia? 

— Vuole voacema che glielo domandi? 
~ No. 

Ma quando la eorva ebbe portato via cesta e let- 
tgra, la marchesa ripensò lungamente quella do- 
manda che le pareva insidiosa quanto il regalo e la 
lettera. E per tutta la mattinata non potè distrarsi^ 
con dinanzi gli occhi la figura di Agrippina Solmo 
come l'aveva veduta di sfuggita due o tre volte, 
anni addietro. L'aveva invidiata allora, sentendosi 
inferiore a lei per giovinezza e bellezza, ma senza 
sdegno e senz'odio, perchè allora stimava che non 
era colpa di colei se il marchese l'aveva voluta e 
se l'era tenuta in casa. Ne aveva avuto anzi compas- 
sione, povera giovane! La miseria, le insistenze del 
marchese.... Come non cadere in peccato ? E talvolta 
l'aveva ammirata per la devozione, per la aotto- 
missione assoluta, pel quasi incredibile disinteresse j 
lo dicevano tutti. Ma dopo? Zòsima rammentava il 
sospetto della baronessa intomo alla Solmo per 
l'uccisione di suo marito. Rammentava il respiro 
dì soddisfazione della vecchia signora quando la 
Solmo era andata via da Ràbbato col secondo ma- 
rito. — Non mi par vero, figlia miai — aveva 
esclamato. — Ti si è levata di tomo una gran ne- 
mica ! — Ma ella era piena di illusioni e di fiducia 
in quei giorni, e le parole della baronessa le erano 



— 349 — 

parse esagerazioni. Invece.... Invece oggi le ricono- 
sceva molto minori del vero. La sua gran nemica ella 
l'aveva sùbito ritrovata, invisibile, ma presente in 
quella casa dove si era lusingata di regnare sola e 
senza contrasti; Taveva ritrovata su la soglia del 
cuore del marchese, e non aveva permesso che la 
moglie vi penetrasse.... Ed eccola ora; arrivava da 
lontano, col regalo e con la lettera, per rafforzare il 
suo potere, forse creduto in punto di diminuire: 
eccola, arrivava forse per mettere in opera una mor- 
tale malìa, contro di lei certamente! 

Andando da una stanza all'altra, torcendosi le 
mani, parlando a voce alta, reprimendosi di tratto 
in tratto per timore di essere osservata, con gli oc- 
chi pieni di lagrime che non potevano sgorgare, ella 
metteva tutto questo in confronto col contegnjo del 
marchese verso di lei, e vi trovava una chiara con- 
ferma di quel che pensava e che non avrebbe vo- 
luto credere. Ma come non credere? Ah, Signore! 
Che aveva mai fatto per meritarsi tale castigo? Non 
aveva già rinunciato al bel sogno della sua giovi- 
nezza? Non si era già rassegnata a morire in quella 
sua triste casa dove ora le sembrava di non aver 
sofferto niente a paragone di quel che soffriva là, 
tra la ricchezza e il lusso che le facevano sentire 
maggiormente la desolazione del suo povero cuore? 

E un lentore l'aveva invasa, e un cerchio di ferro 
le aveva stretto le tempia e gliele stringeva ancora. 



— 350 — 
1 marchese, nella penombra della, camera, 
nani appoggiato alla eponda del letto, più 
va di interrogarla, ed ella avrebbe voluto 
: — La lettera è dì là! La cesta è di lai 

il marchese stèsse muto e chino su lei in 

tale rivelazione perchè già sapeva! 
oò gli occhi, lo fissò in viso, e con voce 
il turbamento, gli disse: 
Bte visto il capraio arrivato da Modica? 
, Che cosa vuole? 

Io dirà lui e la lettera ohe ha portato. Ha 
me he una cesta. 

! — fece il marchese accigliandosi, 
itera e cesta sono nel ripostiglio, 
'chese i-iapose con una spallucciata, 
^i pregassi.,.. — disse la marchesa quasi bai- 

dalla commozione. E arrestatasi un istante, 
ibito: — Sono una sciocca!,.. Non voglio 
mi un rifiuto! 
ò in pianto dirotto. 

ima!,.. Zosima! Che cosa è accaduto?... Non 
ondettì nulla! — esclamò stupito il mar- 

i, voi mi nascondete qualche cosa! — ella ri- 
i i singhiozzi. 

evo, si mise a sedere sul letto, e frenando 
', ripetè: 
si! Voi mi nascondete qualche cosai... Mi 



— 351 — 

trattate da moglie forse? Neppure da amica! A 
un'amica spesso si confida tutto, si chiedono con- 
forti o consigli. Ma io qui sono un'estranea che deve 
ignorare, che deve macerarsi il cuore nel buio. Oh, 
non parlo per me, non mi curo soltanto di me. An- 
che voi soffrite ; lo veggo ! Non state continuamente 
in guardia? Ogni mia doìnanda, anzi, ogni mia pa- 
rola non vi mettono in sospetto? Credete che non 
me ne sia accorta? Da un pezzo! Se non vi vo- 
lessi bene, non baderei a niente. Se non vi volessi 
bene, non mi torturerei pensando e ripensando : — È 
per cagione mia? In che ho potuto dispiacergli? — 
Involontariamente, se mai ; e dovreste dirmelo.... Se 
avete provato un gran disinganno, dovreste dirmelo 
pure.... Non ho voluto ingannarvi, io. Siete venuto 
voi a cercarmi, quando già non m'illudevo più, non 
speravo più!.., 

— Oh, marchesa! Oh, Zòsima! 

— Chiamatemi Zòsima! Marchesa di Roccaver- 
dina non son potuta divenire finora! 

— Non dite cosi! 

— Debbo dirlo per forza!... Vorreste darmi a cre- 
dere, per esempio, che la notizia di quella c^sta e 
di quella lettera non vi ha prodotto nessuna im- 
pressione? Quale, non so. Avete alzato le spalle; ma 
questo non prova nulla ; non rivela quel che avete 
pensato, né quel che pensate in questo momento.... 
Chiamate Maria, fatevi dare la lettera.... Conterrà 



— 352 — 

forse cose che potrebbero farvi molto piacere.... com- 
muovervi, distrarvi dal presente che sembra vi pesL... 
Se io fossi XML ostacolo.... Oh ! io sono im fusoellino 
che potete cacciar via con un soffio!... Voi lo sa- 
pete.... Voi lo sapete! 

La voce, vibrata im momento con dolorosa iro- 
nia, e poi diventata tremula, incarta, le si era af- 
fievolita tra i singhiozzi di nuovo irrompenti; e le 
ultime parole le erano uscite dalle labbra soffocate 
dallo scoppio di pianto che l'accasciava sui guan- 
ciali, con la faccia nascosta tra le mani. 

— Ma ditemi la verità! Che cosa vi hanno in- 
sinuato? Ditemi la verità! 

H marchese non sapeva persuadersi che unica- 
mente la cesta e la lettera avessero prodotto quel- 
l'esplosione di gelosia, quel grido d'anima tramba- 
sciata! Immaginava che, nella sua assenza, fosse 
dovuto accadere qualche cosa di inatteso, di grave, 
e per ciò insisteva a ripetere: — Ditemi la .verità! 
Ditemi la verità! — Stringendosi forte la fronte 
con le mani convulse, era andato premurosamente a 
mettere il paletto all'uscio, per impedire che Maria — 
non ancora abituata a picchiare prima d'introdursi 
in una stanza — entrasse all'improvviso; e, tornato 
davanti al letto, premendo con una mano carezzevol- 
mente la testa della marchesa, la supplicava, sot- 
tovoce, di frenarsi, di tranquillarsi, 
— Siete eccitata,... Forse avete la febbre.... Voi 



— 353 — 
IMI ostacolo V Como iivete potuto pronunwnre questa 
parolai Ostacolo a <'ho?... Oh, non voglio fat-vi 
l'olfeaa di ci-edervi gelosa di un'ombra; sarebbe in- 
degno di voi Mi ((iuflii^ate male. Quella cesta?.., 

La fai-ò buttar via, con tutto quel ohe contiene.... 
Quella lettera?... Non la leggerò; la getterò nel 
fuoco senza aprirla. Dovreste leggerla voi, per di- 
singannarvi,... Che cosa potrei nascondervi ? La mia 
vita trascorre sotto ì vostri occhi.... Non sono ga- 
lanto, !o so ; sono anzi rozzo di maniere. Marchese 
contadino mi chiamava una volta lo aio don Tin- 
«laro; e me ne glorio, ve lo confesso. Avrei potuto 
vivere in ozio come tant'altri, meglio di tant'altri.... 
e faccio il contadino ; dovreste esserne orgc^lioaa 
anche voi. Potrei avere sciocche ambizioni, come 
tant'alti-i, meglio di tant'altri.... Avete veduto; ho 
rifiutato di e8ser_ Sindaco, per continuare a fare il 
contadino. Il cugino Pergola mi tiene il broncio; il 
dottor Meccio.sparla dì me in Casino, nelle farmacie, 
dovunque; mi ha fin chiamato: — Fantoccio di cen- 
cio! Pulcinella 1 — Che me n'importa? Ma voi, voi, 
Zòsima, non dovreste giudicarmi come lo zio don Tin- 
daro, come il cugino Pergola, come il dottor Meccio!... 

SI, ho preoccupazioni di interessi.,.. Sono cose che 

non vi riguai'dano.... Si accomoderanno. Forse io do 
troppa importanza a certe difficoltà, a certi inci- 
denti... Me lo ripeteva, giorni addietro, don Aqui- 
lante,.,. Ma neppui' lui mi capisce. Ormai la mia 



— 354 — 
non poBBO st^re inoperoso, non posso 
Se verrà un figlio — e spero che verrà — 
lire che suo padre è stato un fannul- 
soltanto del suo titolo di marchese. 
irrà essere un marchese contadino, come 
i fare tutt'altro.... non potrà dire che io 
ito il nome dei Rocoaverdina ; non pò- 

parlando, con foga che maravigliava lui 
rchese sentiva di div^are, di fare uno 
ittare contro la terribile fatalità ohe si 
quando già gli era sembrata esaurita; 
fci inesorabile, quando già gli era som- 
mano respinta assai lontano ; che per 
(come quello stesso giorno a Margitello, 
della sua coscienza, allorché egli aveva 
)Oter sfuggire all' ossessione del ricordo 
a nelle lotte municipali, negli affari, 
[dizioni di vita) veniva a sconvolgerlo, 
, D tempo, le circostanze, non valevano 
te?... E la sua voce si addolciva, inte- 
Bnsiero che quella dolce creatura, sin- 
:ui guanciali perchè gli voleva bene, 
i infine altra ricompensa all' infuori di 
etto, d' una buona parola, dì un gesto 
HDco, quasi niente !... Ah 1 C'era qualcosa 
ava il cuore, che gli irrigidiva la lingua, 
duri i suoi modi, proprio nel punto 



— 355 — 

ch'egli stava per manifestarsi veramente qual'era.... 
l'opposto di quello porche appariva per la parola in- 
terdetta, per la carezza vietata,... E Zòsima doveva 
per ciò credere ch'egli non si accorgesse di nulla, 
che rimanesse indifferente alle sue smanie, alle sue 
torture, e che il passato.... Ah, se Zòsima avesse 
potuto sapere com'egli imprecava ogni giorno contro 
di esso !... So avesse potuto sapere !... 

E intanto continuava a parlare, a parlare, senza 
notare che, di mano in mano, la sua voce diveniva 
meno dolce, meno dimessa, e la parola egualmente, 
anche per lo sforzo di pensare nello stesso tempo a 
cose diverse; anche per lo sforzo, maggiore, di re- 
sistere all'improvvisa tentazione di gridai^e alla mar- 
chesa : — Vi spieghefrò.... Vi dirò. Tutto vi dirò ! — 
tentazione che cercava di sostituirgli su le labbra 
queste alle altre parole che non spiegavano e non 
rivelavano nulla. 

— Sentite, Zòsima!... Ascoltatemi bene. Io non 
posso vedervi piangere, non voglio vedervi pian- 
gere più ! Mai più, mai più non voglio vedervi pian- 
gere. Siete la marchesa di Roccaverdina.... Siate fiera 
e orgogliosa come sono io. E non mi dite mai più, 
mai più, che dubitate di me, che non vi sentite 
amata; mi fate offesa grave; non la tollero.... La 
gelosia è da donnicciuola. La gelosia del passato è 
peggio che da donnicciuola.... Io ho bisogno di tran- 
quillità, di pace ; per ciò sono venuto a cercarvi. Vi 



— 356 — 
lata d^na di questa casa, e non credo di 
i ingannato.... Gapisoo ohe non state bene ; 
veto la febbre.,,. Domani manderò a chiamare 
n-e..,. e vostra madre che è donna di molto 
3 saprà ooneigliarvi bene, ne sono oerto-.. Ma 
a avete bisogno che altri vi consigli, all' in- 
i me. Dovete avere fiducia in me.... E questa 
tima volta ohe noi ragioniamo intorno a un 
mto oosl dispiacevole. Se mi volete bene, sarà 
e non volete contristarmi, sarà cosll 
uà voce era divenuta allMtimo talmente se- 
ie la marchesa, quasi intimidita^ aveva ces- 
piangere ; e seguitolo un po' con gli occhi, 
' a testa bassa, con la fronte corrugata e 
i dietro la aohiena andava su cgiù, davanti 
<, da un punto all'altro della camera, non 
r a meno di aocennai^li di accostarsi. 
erdonatemi! — gli disse, — Mai piùJ Maipiit! 
edremol — rispose il marchese seccamente. 



— 357 — 



xxxn. 

Don Aqiiilante, venuto per parlargli delle minac- 
òidte procedure del Banco di Sicilia, si era sentito 
interrompere dal marchese con l'inattesa domanda: 

— Lo avete più riveduto? 

— Chi? 

— Lui!... E quell'altro? 

Parlava basso, quasi avesse paura di essere udito 
da qualcuno ; ed erano loro due soli nello studio, e 
l'uscio era chiuso. E dicendo : lui e quell'aZ^^o, am- 
miccava strizzando un occhio. A don Aquilante 
parve molto curioso che il marchese avesse voglia 
di scherzare sul punto di ragionare di affari seri; 
pure rispose: 

— Non me ne sono più occupato. Ma di questo 
ripairleremo un' altra volta ; per ora pensiamo al 
Baneo di Sicilia. 

— Sì, pensiamo al Banco di Sicilia»... Pensateci 
bene — soggiimse il marchese. 




— 359 — 

— Li ha un po' trascurati. I tempi sono duri; e 
il marchese non è abituato a contare i quattrini 
che spende. Quella benedetta Società Agricola ne 
ha ingoiati molti. Se mi avesse dato retta! Io so 
come vanno, disgraziatamente, queste cose tra noi. 
U marchese però vuol sempre fare di sua testa!... 

— Non si tratta di cose gravi, spero. 

— Ma che possono diventare gravi, se non si ri- 
para con prontezza. La storia della palla di neve; 
rotola, rotola e s'ingrossa e si riduce valanga. 

— Dev'essere preoccupato di questo.... 

— Non c'è motivo per ora. 

— Lo sa egli? Ve lo domando perchè, ripeto, il 
suo contegno m'impensierisco. Non l'ho mai visto 
cosi concentrato, cosi silenzioso ! Da ieri, ha detto 
appena una ventina di parole; e ho dovuto strap- 
pargUele di bocca. 

— È solido, ha salute di ferro ; potete stare tran- 
quilla intomo a questo punto. Figuratevi! Aveva 
cominciato a scherzare con me, al suo solito, ma 
era uno sforzo. 

— Ieri non ha voluto vedere lo zio Tindaro ve- 
nuto a trovarlo. 

— Sono stati sempre un po' in urto. Anche lui, 
con quelle sue antichità ! 

— Da che il marchese gli ha permesso di scavare 
a Casalicchioj oh !... nepote mio, qua ! nepote mio, là ! 
Ieri appunto veniva per regalargli una statuina di 




. I 



.<-.•'. 









^f - 

1. ' 



— 360 — 

terracotta trovata negli scavi la settimana scoi*sa. 
Guardate, quella li ; io non me ne intendo. A sen- 
tire lo zio Tindaro, vale un tesoro. 

— Bella e ben conservata. Cerere; si capisce dal 
mazzo di spighe che porta in braccio. 

— E il marchese intanto, (quando gUela mostrai, 
mi rispose: Buttatela Aia! Volete giocare con la 
bambola? Mio zio è pazzo. 

Don Aquilante sorrise. 

— Ohe vi ha detto? Che si sente? — domandò 
Ja marchesa. 

— Un po' di mal di capo, niente altro. 

Da quattro giorni, il contegno del marchese era 
cosi strano, che Zòsima noii sapeva che cosa pensare 
o fare. Ella aveva promesso : — Mai più ! Mai più ! — 
e temeva ohe le sue parole non provocassero qual- 
che scena violenta come Fai tra volta. Chi sa?. Forse 
egli intendeva di metterla al cimento. E questo dub- 
bio la rendeva timida, riguardosa in ogni atto, in ogni 
parola. 

Il massaio di Margitello aveva chiesto ordini in- 
torno a certi lavori da intraprendere. Doveva at- 
tendere il padrone? Pare di suo capo? E il mar- 
chese era entrato in furore appena Titta aveva aperto 
bocca : 

— Dice il massaio.... 

— Bestia tu e lui ! Bestie ! Bestie ! Bestie ! Do- 
vrei mandarvi via ! Bestioni ! 






— 361 — 



E, chiùsosi nello studio, sbatacchiando con impeto 
l'uscio, aveva continuato a gridare ancora : Bestie ! 
Bestie! con quel vocione che in casa'nòn si faceva 
udire cosi forte da un pezzo. 

A cena, quella sera, mangiò poco e di mala voglia. 

— Questa.«. so che vi piace — disse la marchesa 
mettendogli nel piatto un'ala di pollo arrosto. 

-r Via, imboccatemi, come un bambino ! — esclamò 
il marchese con tono sarcastico. 

E allontanò il piatto, sdegnosamente. 

Era pallido, con gli occhi torvi, che sembrava 
guardassero senza vedere, anche quando si fissa- 
vano intensamente su qualche punto , sur un og- 
getto, in viso a una persona, come faceva in quel 
momento. Allora la marchesa, turbata da quégli 
sguardi, «bbe l'impulso di dirgli: 

— Voi non state bene, Antonio.... Che vi sentite? 

— È vero — egli, rispose docilmente — non sto 
bene.... Non mi fa star bene !... Non vuole che io 
stia più bene!... 

— Chi? Chi non vuole?... 

— Ah! Nessuno, nessuno!... Questo chiodo qui! 
E fece atto di strappare stizzosamente con la 

mano il chiodo che si sentiva conficcato nella fronte. 

— Mettetevi a letto 5 il riposo vi gioverà — sog- 
giunse la marchesa. 

— Andiamo, andiamo a letto.... Venite a letto 
anche voi. 



— 362 — 

Si era rincantucciato con le ginocchia piegate, 
quasi raggomitolato, con le mani davanti agli oc- 
chi, dopo di essersi lasciato insolitamente aiutare a 
spogliarsi dalla marchesa; e parve che si fosse sù- 
bito addormentato. Ella stette a osservarlo, col cuore 
gonfio dal tristo presentimento di grave malat- 
tia. E pel timore che , entrando nel letto anche 
lei, non le accadesse di svegliarlo , si sedette su la 
seggiola dappiè, attendendo. Pregava mentalmente, 
e sussultava ogni volta che il marchese riprendeva a 
mugolare nel sonno parole incomprensibili. In im 
momento di calma del dormente, ella andò di là, 
ordinò a Titta che prevenisse il dottore per domat- 
tina e avvertisse anche la signora Mugnos. 

— Sta male il padrone? — fece Titta. 

— E un po' indisposto. Dite cosi alla mamma. 
E più tardi, ordinato a Maria di andare a letto , 

si era affrettata a tornare in camera. 

— No, no!... Non lo fate entrare!... Chiudete bene 
Tusoio ! — balbettò il marchese. — Venite qui, da- 
vanti a la sponda; così non potrà tenermi le dita su 
le pàlpebre per non farmi dormire..^ A voi non può 
nuocere.... Non siete stata voi!... 

Con gli occhi sbarrati, le mani brancolanti e un 
trèmito per tutta la persona e nella voce, il mar- 
chese si agitava sotto le coperte, voltandosi inquie- 
tamente da un fianco all'altro, alzando la testa dai 
guanciali per rivolgere attorno sguardi di sospetto 



e di terrore, fissando la marchesa quasi volesse in- 
terrogarla e non osasse. 

Ella non sapeva che cosa dirgli, un po' ìmpai 
da quelle parole di delirio che il marchese ton 
a ripetere ; e gli riaggiustava le coperte , cerei 
d'impedire così gli scomposti movimenti di sm 
con ciii egli accompagnava le parole. 

— È andato via! Va, viene,... Don Aquilant£ 
vrebbe acacciarlo.,., 

— GUelo dirò.... Lo scacoierà — rispose la r 
chesa per secondarlo ed acchetarlo. 

Tacque, senza però levarle i sospettosi aguarf 
addosso, e a bassa voce, cautamente, riprendev 

— Nessuno mi ha visto.... Con quel gran vent 
Non c'era anima viva per le vie.... E, infine.. ■■ 
confessore ha la bocca sigillata.,.. È vero? 

— Senza dubbio. 

— E, infine.... i morti non parlano.,.. E vr 
Era giallo nel cataletto, con gli occhi chiusi 
bocca chiusa, le mani incrociate. Come si chiamavi 
Ah ! Don Silvio..,. 

Che significavano quei ragionamenti? La n 
chesa non capiva a quali circostanze ac<«nna98i 
essi int-anto le facevano intravedere qualche tr 
cosa, nel buio'; e avrebbe voluto dissiparlo, spinti 
penosa curiosità. - 

Ma il marchese già taceva di nuovo o balbett 
parole che non potevano avere nessun senso per 



— 364 — 

— Si, hanno giurato?... Perchè hanno giurato? 
Volevano ridersi di me? 

Tornava ad agitarsi, a smaniare, a sconvolgere le 
coperte. Una sconcia parola gli uscì di bocca. Non 
poteva essere rivolta a lei. Egli la ripetè con ac- 
cento incalzante, quasi la sputasse in faccia a una 
donna, lontana; si capiva dall'espressione e dal gesto.... 
La marchesa ebbe una stretta al cuore. L'idea della 
malìa, che l'aveva sconvolta il giorno in cui erano 
arrivate la cesta e la lettera della Solmo, le si riaf- 
facciò alla mente, atterrendola. Ne vedeva già gli 

effetti ? 

E die' un grido, chiamando : — Maria ! Titta ! — allo 
sbalao del marchese che, saltato giù dal letto, co- 
minciava frettolosamente a rivestirsi. Aperse l'uscio, 
chiamando più forte finché non sentì rispondere; 
poi , vincendo la paura che l'atto del marchese le 
ispirava, tentò di impedirgli che finisse di vestirsi : 

— Antonio! Marchese! — pregava afferrandolo 
per le braccia , incurante dalle rudi scosse con cui 
egli la respingeva. 

Ritto, con le labbra serrate^ e gli occhi aggrot- 
tati, il marchese respingeva più vigorosamente i 
tentativi di Maria e di Titta, accorsi mezzi vestiti 
in aiuto della padrona. 

— Delira.... È la febbre.... — ella spiegava» 
Maria era stata rovesciata su la sponda del letto 

dal vigoroso movimento d'un braccio del marchese, e 



Titta, stordito da un manrovescio, non osava più 
accosiàrgìisi, 

— Antonio ! Antonio !... Per carità ! — supp 
cava la marchesa. 

Egli la guardava intento ad abbottonarsi il pa 
ciotto, e non mostrava di riconoscerla. E appe: 
ebbe finito di infilarsi la giacchetta, acostò la mr 
chesa davanti a sé con gesto violento, e usci di ( 
mera, facendo sbattere al muro Titta che cerca 
di trattenerlo. 

— OhDiorChe fare? Dove va?... Chiamate gent 
Titta, chiamate gente! 

Nella gran confusione , non sapevano dove rii 
tracciarlo; Titta, col lume in mano, la marche 
dietro e Maria che invocava ; — O Bella Mad 
Santissima! — e non sapeva dir altro. 

— Chiamate gente, Titta! — insisteva la marches 
Visto aperto l'uscio dell'anticamera , Titta si a 

faccio sul pianerottolo della scala.... 

— Hapresoilfucile! Ah, Madonna! — egli esclan" 
— Va fuori ! 

E tutti e tre furono su la via, gridando, corre 
dogli dietro, quasi senza sapere quel che facessei 
Egli scendeva affrettatamente per la strada sotto 
Castello, sordo agli appelli della marchesa e dì Titi 
coi fucile a bandoliera. 

— Vado io solo Voscenza tomi a casa.... Ec 

gente ! 



xsxm. 

La mattina, tutta Ràbbato già sapeva la 
dell'improvvisa pazzia del marchese. 

— Ma come ? Ma come ? 

Lo zio don Tindaro era accorso tardi ; 
aveva pensato di farlo avvertire; e per str 
reochi lo avevano fermato, chiedendo parti< 
ae ne dicevano tante! — meravigliandosi ci 
valiere dichiarasse dì non saper niente e d 
rere appunto per persuadersi — gli pareva i 
bile I Uno cosi equilibrato come il marchese 
potè ! — sa si trattasse di delirio febbrile] o 
pazzia. All'ultimo, nel piano di Sant'Isidorc 
andato incontro il notaio Mazza : 

— È vero? Che disgrazia! 

— Ne so meno di voi. Io abito, per dir cosi, 
polo. Voglio prima vedere coi miei occhi. 

— Ha tentato di ammazzare la marchesa 



;■■:=,■»■ ;^-vT'- «V^ 



— 368 — 

— Ah ! Questa poi !... 

— Scambiandola per la Solmo.... Fuoco che è 
covato sotto cenere. 

— Eh, via I D canonico Cipolla ne ha detto una 
più stupida: — La colpa è di don Aquilante che gU ha 
sconvolto il cervello con lo spiritismo , facendogli 
evocare Rocco Crisoione! 

— Può anche darsi, cavaliere! Può anche darsi! 
Infatti pare che il marchese si accusi di averlo am- 
mazzato lui.... 

— Nel delirio, giacché io credo che sia un caso 
di febbre maligna, si dicono tante stramberie ! 

— Dio volesse , caro cavaliere !... Ma i contadini 
che lo hanno raggiunto, con Titta il cocchiere, nella 
carraia di Margitello.... 

— Nella carraia di Margitello? 

— Già ! E scappato di casa, col fucile.... Ma dun- 
que non sapete proprio nulla! E laggiù, tra la siepe 
di fichi d'India ha sparato, nel punto preciso dove 
fu ammazzato Rocco Criscione, gridando : " Cane tra- 
ditore !... Avevi giurato ! Cane traditore ! „ Miracolo 
che ora non abbia colpito Titta I Hanno dovuto im- 
bavagliarlo, togliendosi le giacche di dosso — non 
avevano altro — per impedirgli di farsi male. Lo 
spiritismo ? Può darsi benissimo !... E vedrete che 
don Aquilante finirà pazzo anche lui 1 

. — Mi ])ar di sognare! 

— Povera marchesa ! Nemmeno un anno di felicità ! 



— 369 — 

Avevano dovuto picchiare più volte prima che 
venissero ad aprire il portoncino, chiuso perchè la 
folla dei curiosi non invadesse la casa. 

— Ma come? Ma come? — ripeteva don Tindaro, 
nel salotto dove la marchesa era svenuta per la 
terza Tolta quando egli vi entrava assieme col notaio. 

Fra tante persone, nessuno gli dava retta. La si- 
gnora Mugnos e Cristina, aiutate dal oavalier Per- 
gola, portavano in camera la marchesa che sem- 
brava un cadavere, con le braccia penzoloni, gli 
occhi chiusi, bianca bianca in viso. 

— Ma come ? Ma come ?... Dottore ! 

— È di là, nello studio, — rispose il dottor Moc- 
cio. — Pazzia furiosa! Vi ricordate, notaio, in Ca- 
sino, quella volta? Eh? Eh? Che ne dite ora? 

E segui le donne in camera per soccorrere la sve- 
nuta. 

Dal corridoio, don Tindaro e il notaio udivano gli 
urli del marchese, quantunque V uscio dello studio 
fosse chiuso ; il cavalier Pergola li aveva raggiimti. 

— Ci sarebbe voluto la camicia di forza!... Ma 
in questo porco paese dove trovarla?... Abbiamo 
dovuto legarlo su una seggiola a bracciuoli..., mani 
e piedi ! Chi poteva mai supporre...! 

Lo zio don Tindaro non osava d'inoltrarsi, inor- 
ridito dalla vista dell'infelice marchese che si dibat- 
teva urlando scomposte parole, con la bava alla 
bocca, i capelli in disordine, agitando qua e là la 

Capuana, Il Marchese di Roccaverdina. 24 



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— 370 — 

testa , stralunando gli occhi , quasi irriconoscibile ! 
Solido corde lo tenevano fermo su la seggiola, e 
Titta e mastro Vito Nocoia, il calzolaio, reggevano 
dai lati la seggiola che scricchiolava, asciugando di 
tratto in tratto la bava che dalla bocca colava sul 
mento e sul petto del demente. 

— Ma come?... Ma come? 

— All' improvviso ! — spiegava il cavalier Per- 
gola. — Da più giorni si lagnava di una trafittura 
al cervello , di un chiodò , diceva , conficcato nella 
fronte.... U male ha lavorato, lavorato sottomano.... 
Ormai, è certo.... — riprese a un gesto interroga- 
tivo del suocero. — Lo ha ammazzato lui, per ge- 
losia !... 

— Inesplicabile! — esclamò il notaio Mazza. 

— Anzi , ora tutto diventa chiaro — riprese il 
cavalier Pergola. 

E stettero un pezzo muti, a guardare il marchese 
che non cessava un minuto di agitare la testa, di 
stravolgere gli occhi, urlando con una specie di ritmo : 
" Ah! Ah!... Oh! Oh! „ mandando bava dalla bocca, 
intramezzando agli urli parole ohe rivelavano le ra- 
pide allucinazioni della mente sconvolta: 

— Eccolo ! Eccolo !.. Mandatelo via !... Ah ! Ah ! 
Oh ! Oh !... Zitto ! Siete confessore !... Voi non potete 
parlare! Siete morto!... Non potete parlare.... Nessuno 
deve parlare !... Ah ! Ah ! Oh ! Oh ! 

— Sempre così ! — disse Titta stralunato. 



— 371 — 

— Sempre cosi! — confermò mastro Vito. — E 
una settimana fa, passando davanti a la mia bottega 
qui vicino si era fermato su la soglia. — Bravo! 
Di buon'ora al lavoro, mastro Vito! — Se non si 
lavora non si mangia,, eccellenza ! — Ah Signore ! 
Che miseria siamo! 

E mentre, non ostante la terribile rivelazione che 
faceva compiangere il povero Neli Casaccio condan- 
nato a torto e morto in carcere, la gente da due 
giorni s'impietosiva in vario modo della pazzia del 
marchese, soltanto Zòsima rimaneva inesorabile, in- 
flessibile, sorda a ogni ragione. 

— No, mamma, non posso perdonare!... E stata 
un'infamia, una grande infamia !... Non capisci, dun- 
que ? L' ha amata fino a diventare assassino per 
essa !... Te lo dicevo ! Io non sono mai stata niente, 
oh niente! per lui. 

— Ma che si dirà di te? 

— Che m' importa di quel che si dirà ? Voglio 
andar via ! Non voglio restare un altro solo giorno 
in questa sua casa.... Mi fa orrore ! 

— Anche questa è pazzia ! Sei la moglie. Ora 
egli è un infelice, un malato.... 

— Ha tanti parenti, ci pensino loro! Qui c'è la 
maledizione ! Mi sento morire ! Mi vuoi morta dunque ? 

— Oh, Zòsima !... Gesù Cristo ci comanda di per- 
donare ai nostri nemici. 

— Sta zitta tu!... Non puoi intendere tu! — 



— 372 — 

— aveva risposto sdegnosamente alla sorella. — Se 
non mi volete in casa vostra.... 

— Figlia mia, che dici mai? 

— Fino a diventare assassino.... per quella! 

Non sapeva darsene pace. 11 suo cuore traboc- 
cava di odio, quanto aveva traboccato di amore 
fino a pochi giorni addietro. D sangue le si era 
cangiato in fiele. Ah! ora ella doveva, con più ragione, 
invidiare colei che poteva insuperbirsi apprendendo 
di essere stata amata tanto ! Si sentiva umiliata , 
ferita mortalmente nella più delicata parte di sé 
stessa, in quel legittifoo orgoglio di donna che si 
era formato un culto della sua prima ed unica pas- 
sione, e aveva sofferto in silenzio, nascostamente, 
senza illusioni e senza speranze, tanti anni ! Perchè 
non aveva dato ascolto air ammonimento delle sue 
esitanze ? Perchè si era lasciata indurre dalla baro- 
nessa e dalla madre? Non sarebbe stata, com'era 
stata, marchesa di Roccaverdina di nome soltanto! 
Nulla, nulla poteva più compensarla, consolarla ! E 
doveva fingere , per V occhio della gente ? Sentirsi 
compassionare ? Oh, chi sa quante in quel momento 
ridevano di lei! Tutte coloro che avrebbero voluto 
essere al posto di lei; parecchie^lo sapeva! No, no! 

Ormai era finita! Se il marchese fosse guarito, 
non guarirebbe egualmente l'atroce piaga ohe le si 
era aperta nel cuore ! Giorni fa, poteva confortarsi, 
lasciarsi lusingare dalle buone parole, dalle appa- 



— 373 — 

renze ; ora, impossibile ! Doveva stimarsi un' estra- 
nea in quella casa che neppure la sua presenza di 
moglie legittima aveva potuto ribenedire.... Mamma 
Grazia, povera vecchia, s'era ingannata! 
E, ferma nella risoluzione di andar via, rispondeva : 

— Questa sera, tardi, quando nessuno potrà accor- 
gersene, con le sole vesti che ho indosso !... E inutile, 
mamma, non potrai persuadermi ! 

— Se tu lo vedessi, ne avresti pietà ! 

— Dio è giusto ! E la mano di Dio che lo pu- 
nisce ! 

— Castigherà anche te che non avrai fatto il tuo 
dovere.... Non ti riconosco, Zòsima! Tu, cosi buona! 

— Mi ha resa cattiva lui; mi ha pervertita lui! 
Mi ha fatto diventare una creatura senza cuore ! 
Peggio per lui! 

La signora Mugnos, addoloratissima di quest'altra 
pazzia (tornava a qualificare per tale l'ostinazione 
della figlia), avea voluto parlarne allo zio don Tindaro 
e al cavai ier Pergola. 

Il vecchio rispose crudamente: 

— Lo ringrazia così del bene che le ha fatto ? 
Il cavalier Pergola alzò le spalle, borbottò una 

bestemmia e domandò : 

— La casa, in mano di chi l'abbandona la casa? 

— N'esce come vi è entrata ! — replicò fiera- 
mente la signora, che in quel pimto sentì ribollirsi 
in petto tutto l'orgoglio delle nobili famiglie Mugnos 



-^v^.;- — rjwr 



— 374 — 

e De Marco — ella era una De Marco da ragazza, 
— delle quali portava il nome. 
Ciò non ostante, tornò ad insistere presso la figlia : 

— Rifletti benej Hai tante responsabilità! 

— Ho riflettuto abbastanza! — rispose Zòsima. 

— Consigliati col tuo confessore! 

— In questo momento non posso ascoltar altro 
che il mio cuore. Non voglio essere un'ipocrita; sa- 
rebbe un^ndegnità.... Oh, mamma! 

E vestita di scuro , quasi da vedova , sotto lo 
scialle nero che le copriva la fronte, a sera avanzata 
ella scendeva assieme con la mamma, sorretta al brac- 
cio della sorella, la vecchia scala dell'atrio, e usciva 
nel vicolo buio sotto il palazzo Roccaverdina. Aveva 
voluto evitare di attraversare il corridoio e di pas- 
sare davanti a l'uscio dello studio dove il marchese 
urlava giorno e notte da quattro giorni — assistito da 
Titta e da mastro Vito che si davano lo scambio — 
agitandosi su la sedia a brachinoli, senza che mai il 
nome di Zòsima gli fosse venuto alle labbra. 

Lo zio don Tindaro e il cavalier Pergola entra- 
vano, a intervalli, dal demente che non li ricono- 
sceva, e ne uscivano atterriti. 

Ora, invece del dottor Meccio, accorso il primo giorno 
più per maligna soddisfazione che per zelo, lo visitava 
il dottor La Greca, medico di famiglia, soprannomi- 
nato il Dottorino perchè piccolo e smilzo di persona. 

Alle corde egli aveva fatto sostituire larghe fasce. 



- 375 - 
fino a che non fossero arrivati la eamicia di foraf f 
l'apparecchio per le docce mandati a comprart 
Catania. 

Con lui ai poteva ragionare. Invece quel cleri 
laccio di San Spiridione aveva fatto andare su 
furie il cavalier Pergola, ripetendogli più volte: 
Caro cavaliere, qui si vede la mano di Dio t 

— E la zia Mariangela dunque, ohe riammatt: 
a ogni gravidanza? E bestemmiava e impreca 
mentre quando ritornava in senno era la più bue 
e onesta donna? E gli altri pazzi? La mano di D 
Esquilìbri') di nervi, sconvolgimento di cervello p 
dotto dal pensiero fisso, fisso sempre su la stessa id 

U dottor La Greca andava di accordo con lui. E 
quel fanatico di don Aquilante aveva davvero i 
ziato il marchese nelle pratiche spiritiche, c^ n'i 
d'avanzo per spiegarsi perfettamente quel che a- 
vano sotto gli occhi. (ìli ospedali di Parigi, di Lond 
dì Nuova-York — egli affermava — rigui^tava 
di spiritisti ammattiti, uomini e donne. 

Per ciò il cavaliere aveva fatto capire all' av 
cato di non farsi più vedere in casa Roccaverdi 

— Insomma, dottore, non si può far nulla? Di 
biamo stare a guardare? 

Lo zio don Tindaro avrebbe voluto ordinazL 
di rimedi, tentativi almeno. Gli urli del march 
lo straziavano ; e ai desolava alla risposta del dotto 

— È assai se riusciamo a farlo mangiare ! 



— 376 — 

Dovevano imboccarlo, indurlo a inghiottire con 
minacce, ingozzarlo talvolta come una bestia. Op- 
poneva resistenza, serrava i denti, agitava furiosa- 
mente la testa — Oh! Oh! Ah! Ah! — e il ritmo 
di questi urli si udiva fin dalla spianata del Ca- 
stello, ora che il dottore aveva fatto trasportare il 
marchese in una stanza più larga e più ariosa, dove 
si era potuto rizzare comodamente l'apparecchio per 
la doccia, arrivato il giorno avanti. 

Steso sul letto, con la camicia di forza, il de- 
mente sembrava avesse intervalli di calma, allorché 
con gli occhi sbarrati, fissi in qualcuna delle sue 
continue allucinazioni, borbottava accozzaglie di suoni 
che avrebbwo voluto essere parole; ma era calma 
illusoria. La fòrza dell'allucinazione lo domava, tra- 
vagliandolo internamente, ed egli usciva da quello 
stato, scoppiando in urli più violenti, più forti, in 
esclamazioni di terrore : — Eccolo ! Eccolo !... Man- 
datelo via ! Ah ! Ah ! Oh ! Oh ! Il Crocifisso !... Ri- 
mettetelo al suo posto, giù, nel mezzanino ! Oh! Oh! 
Ah! Ah! — E i nomi di Rocco Criscione, di Neli 
Casaccio, di compare Santi di Mauro, facevano ca- 
pire il tristo cumulo di impressioni che gli aveva 
sconvolto il cervello, dove la pazzia già si mutava 
in ebetismo, senza speranza di guarigione. 

Lo zio don Tindaro, per la sua età, non resisteva 
alla tortura del miserando spettacolo; e il cavalier 
Pergola, rimasto in casa Roccaverdina , dopo quin- 
dici giorni non ne poteva più, anche perchè doveva 



— 377 — 

badare ai proprii affari, e per quelli del cugino non 
sapeva come regolarsi. La imperdonabile risoluzione 
della marchesa lo faceva uscire in escandescenze: 

— E si dicono ^cristiane! E si confessano e in- 
goiano particole 1 E...! E...! E...! 

La sfilata degli improperii non fini\ a più, se qual- 
cuno, venuto ad informarsi dello stato del marchese, 
tentava di scusare la povera signora che avea dovuto 
mettersi a letto appena giunta a casa, con febbre che 
durava ancora e faceva temere per la sua vita. 

— Qui, qui era il suo posto !... E quel che ho detto 
a voi glielo direi in faccia!... Voglio che lo sappia! 

Poteva durare più a lungo, così? 

— Non durerà molto, — gli aveva risposto una 
sera il dottore. — L'ebetismo si aggrava con terri- 
bile rapidità. 

Ed egli e il dottore che stava per accomiatarsi, 
erano rimasti stupiti e quasi non credevano ai loro 
occhi, vedendo apparire su l'uscio del salotto Agrip- 
pina Solmo, che Maria non era riuscita a far re- 
stare in anticamera. 

— Dov'è?... Lasciatemelo vedere! 

Maria teneva ancora afferrata per la falda della 
mantellina quella sconosciuta, parsale pazza quando 
le aveva aperto la porta d'entrata. 

— Dov'è?... Me lo lascino vedere.... Per carità, 
cavaliere ! 

E gli si era buttata ai piedi, ginocchioni. 

Capuana, Il Marchese di Roccaverdina. 24* 



1 r^ ' 



t^ 



— 378 - 



XXXIV. 

Il dottore si era lusingato che la vieta di quella 
donna avesse potuto produrre qualche crisi nello 
stato del demente; ma avea dovuto sùbito disin- 
gannarsi. 

Il marchese, fissatala con quegli sguardi smarriti 
dove la pupilla sembrava già coperta da un leggero 
strato di polvere, era stato zitto alcuni istanti, con- 
centrato, quasi frugasse in fondo alla memoria per 
trovarvi un lontano ricordo ; poi, indifferente, aveva 
ripreso il triste ritmo dei suoi gridi: — Ah! Ah! 
Oh ! Oh ! — agitando la testa, lasciando colare dagli 
angoli della bocca la bava che Agrippina Solmo, 
pallida come una morta, coi neri capelli in disor- 
dine, buttata per terra la mantellina, si era messa 
ad asciugargli, senza una parola, senza una la- 
grima, con un pietoso stupore negli occhi che non 



si staccavano dal viso sfigurito del suo benefattore; 
non lo chiamava altrimenti. 

Aveva pregato di restare là l'intera nottata. E Io 
avea vallato, ripulendogli le labbra, in piedi da- 
vanti al letto, non sentendo stanchezza, con un 
groppo di pianto che la soffocava e in certi momenti 
le annebbiava la vista, ma non giungeva a pro- 
rompere ; con le mani dolorosamente incrociate, e il 
petto ansante di angoscia a quel continuo agitare 
della testa con cui il marchese accompagnava gli 
Ah! Ah! Oh! Oh! quando le allucinazioni gli con- 
cedevano qualche ora di tregua. 

— Andate a iiposar\'i ; noi abbiamo dormito a 
bastanza — le disse Titta rientrando nella camera 
verso l'alba. 

— Ah, comare Pina! Chi lo avrebbe mai sospet^ 
tato! — esclamò mastro Vito, ancora un po' imba- 
lordito dal sonno.. 

— No! Lasciatemi stare qui!... — ella rispondeva 
senza neppure voltarsi. 

— E a voi, chi è venuto a rtirvelo fino a Mo- 
dica? — domandò Titta. 

— Un signore di Spaccafomo.,,. Gliel'aveva scritto 
un amico di qui. Die' la notizia a mio marito.... E sono, 
accorsa, con la morte nel cuore.,.. Due giorni di viag- 
gio, con un garzone. Mi pareva di non arrivar mai! 

— Andate a riposarvi.... C'è un Ietto nell'altra 
stanza.... 



— 380 - 

— Lasciatemi stare qui, mastro Vito. 

— Comare, — egli disse, esitante — ora è inu- 
tile fingere.... Voi già lo sapevate.... di Rocco!... 

— Ve lo giuro, mastro Vito ! Niente !... Neppure 
un sospetto !... Avevo anzi voluto andarmene da Ràb- 
bato, per levarmegli di mezzo. Il marchese non vo- 
leva più vedermi, mi trattava male.... Che colpa 
ne avevo io ? Era stato lui.... Io avm voluto morire 
(fui, anche da serva, per gratitudine.... E sua zia 
pretendeva che avessi fatto ammazzare io Rocco 
Criscione.... per tornare col marchese e farmi spo- 
sare !... Il Signore non gliene chieda conto là dove 
si trovai La colpa è dei suoi parenti, della baro- 
nessa soprattutto.... Ora non sarebbe in questo stato!... 
Che strazio, mastro Vito! 

— Potete vantarvelo !... Vi ha voluto bene ! 

— E vero ! E vero ! — ella rispose, scotendo tri- 
stamente la testa, asciugando la- bava dell'infelice 
(he aveva ammazzato per gelosia di lei e che ora 
non la riconosceva più, e smaniava: "Ah! Ah!... 
Oh! Oh!,, tenuto stretto e immobile dalla camicia 
(li forza. Vergine Santa, che pietà! 

Il cavalier don Tindaro, la mattina, apprendendo 
dal genero Tarrivo della Solmo, gli aveva detto: 

— Hai fatto male a farla entrare. 

— Per dispetto della marchesa !... E poi, dove tro- 
vare in questo momento una persona più fidata? 
Lo ha vegliato, sola, tutta la nottata. 



— 381 — 

— La marchesa può mandare a scacciarla. E lei 
la padrona. 

— Ha perduto ogni suo diritto, abbandonando 
casa e marito. Io ammiro immensamente questa po- 
vera donna che ha fatto due giorni di strada, a ca- 
vallo, quasi senza fermarsi, soltanto per vederlo. 
Ieri sera, quando si è presentata e si è buttata gi- 
nocchioni, supplicante, io.... che non sono di cuore 
tenero.... io e il dottore.... eravamo commossi come 
due ragazzi. Non abbiamo saputo dirle: — Torna- 
tevene donde siete venuta. — Sarebbe stata una gran 
crudeltà. 

— Ma ora.... 

— Ora, la lasceremo qui, fino a che non vengano 
a scacciarla via, se ne avranno il coraggio. E stata 
ramante? E voi avete tali scrupoli? 

— Non li chiamare scrupoli.... Il marchese di Roc- 
caverdina non deve morire con quella donna al ca- 
pezzale.... Sarebbe uno scandalo! 

— Deve morire come un cane, alle mani di gente 
prezzolata, di Titta e di mastro Vito !... Questo, ah! 
non vi sembra scandalo ! E poi dite che io sono 
uno scomunicato !... Ma c'è da rinnegare cento Cristi 
vedendo simiU cose!... 

Tre giorni dopo, V ebetismo aveva fatto passi da 
gigante. Il marchese, liberato dalla camicia di forza, 
restava seduto su la seggiola a bracciuoli, cupo, si- 
lenzioso, con le mani sui ginocchi. 




A',. 



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— 382 — 

Agrippina Solmo lo vestiva^ gli lavava la faccia, 
lo pettinava, gli dava da mangiare, con cura ma- 
terna. Certe volte, al suono della voce che lo chia- 
mava: — Marchese! Marchese! — che lo sgridava 
con dolcezza quando si ostinava a rifiutare il cibo, 
egU rivolgeva lentamente la testa verso di lei, la 
guardava sottecchi, con aria sospettosa, quasi quella 
voce ridestasse dentro di lui reminiscenze di lon- 
tane sensazioni, che però dileguavano rapidissime 
e lo facevano ricadere nella cupa immobilità per 
ore ed ore. 

E nella giornata gli si sedeva vicino; e mentre 
Tanimalità di quel corpo sembrava di sentire qual- 
che godimento pel tepore delF occhiata di sole che 
lo investiva presso al balcone, ella gli parlava piano, 
per sfogo, quantunque sapesse di non essere capita : 

— Perchè ha fatto così, voscenzaì Perchè non mi 
disse mai una parola?... Ah, se mi avesse detto: 
" Agrippina, bada ! „ Mezza parola sarebbe bastata ! 
Non era voscenza il padrone? Che bisogno c'era di 
ammazzare?... E stato il destino! Chi credeva di far 
male ? Ali, Signore ! Ah, Signore !... ^ 

Ella si rallegrava di vederlo tranquillo, di non più 
udirlo gridare né smaniare. Le sembrava che que- 
sto fosse miglioramento. E rimaneva dolorosamente 
maravigliata che il dottore ogni volta venisse, guar- 
dasse, scotesse la testa e andasse via alzando le spalle, 
senza risponderle nemmeno quando gli domandava: 



- 383 - 

^ Va meglio, è vero? Ora è docilo cmne un a*;ne 
lino. 

Si sentiva però stringere il cuore vedendogli vo 
tare e rivoltare lentamente le mani e osservarle 
lungo e tastare le pimte dfìUe dita a una a una qua 
volesse contarle, incurante della bava che riprondei 
a colargli. Gliela asciugava col fazzoletto e ne b 
guiva ogni movimento della testa e degli occhi jw 
scoprirvi qualche lampo di coscienza jillorchè ^ 
ripeteva: 

— Sono io! Agrippina Solmo! Non mi riconosc 
voscemaf Sono venuta a posta; non mi muovci 
più di quii- 
Poi, udendogli mugolare qualche parola, gli s'ii 

ginocehiava davanti, prendendolo per le mani ci 
brancicavano i calzoni, e tentava di farsi fissare e 
quegli ocelli che parevano inerti. 

— Sono io; Agrippina Solmo!,.. Faccia uno sfora 
voscema! Si ricordi, si ricordi !... Mi guardi Ìii visi 

Lo sollevava pel mento su cui la barba era g 
cresciuta ispida, pungente; gli scansava dalla fran 
i capelli cascatigli giù nel tenere sempre abbassa 
la testa come appesantita per la malattia del ce 
vello; e all'ultimo, rizzatasi con scatto disperai 
nascondeva la faccia tra le mani convulse, balbe 
tondo: 

— Che castigo. Signore 1 Che cascigo.I 

K intendeva di dire pure per sé, quasi gran par 




»'1-J 






— 384 — 

della colpa fosse stata sua, se il marchese aveva am- 
mazzato Rocco Criscione. 

Titta, di tratto in tratto, veniva a tenerle com- 
pagnia. 

— Voi non l'avete visto nei primi giorni. Non 
si chetava un momento! Sono stato tre giorni e 
tre notti senza chiudere occhio!... Faceva terrore. 

— E la marchesa? Con che cuore ha potuto ab- 
bandonarlo ? 

— Ringraziate Iddio!... Se ci fosse stata lei, non 
sareste qui.... 

La osservava. Era tuttavia bella, meglio della mar- 
chesa, con quel viso affilato, bianco come il latte 
e quegli occhi neri e quei folti capelli nerissimi, 
alta e snella. E parlando di lei con mastro Vito, 
Titta dichiarava che, secondo lui, la prima pazzia 
il marchese l'aveva commessa dandola per moglie 
a Rocco che non se la meritava. 

— Non sapete il patto? Non doveva toccarla nep- 
pure con un dito.... Per questo il marchese lo ha 
ammazzato. 

— Aveva messo Fesca accanto al fuoco.... Ohe 
avreste fatto voi? 

— Capriccio di gran signore!... A voi e a me non 
sarebbe passato per la testa quel patto. E n'è an- 
dato di mezzo un innocente! La marchesa non sa 
che" la Solmo è qui. Verrebbe a cavarle gli occhi. 
Maria mi ha raccontato di averle sentito dire alla 



madre ! — Non lo posao perdonare ! È divent 
sassinoper quella donnal — Ed ha voluto aiidi 

— Il marito è sempre marito! In quello sta 

— Dicono elle ha rinunziato alla dote per 
di notaio.... Il marchese le aveva assegnato F 
grande. 

— Per mano di notaio? 

— Ci credete voi? Io vorrei sapere intar 
comanderà qui e provvederà ai fatti miei. 

Lo zio don Tindaro e il cavalier Pergola 
vano tre, quattro volte nella giornata, in com] 
dei dottor La Greca. 

— Ah, dottore! Non vuole mangiare più! 
i denti, si volta di là; come fare? 

— Ci siamo! 

E dottore non die' altra rispoata ; e Agr 
Solmo, che ne comprese il aignifieato, si bu 
una s^giola, con le mani nei capelli, singhìozi 

— Piglio, figlio mio! 

La desolata tenerezza dì queste parole non 
mosse il vecchio zio del marchese, che le si 
oinò e la prese per un braccio, rignardosamen 
severo ; 

— Dovete capirlo — le disse — non potè 
stare più qui. Mastro Vito, pensateci voi.... 
retta ! 

Ella gli sfuggì per baciare e ribaciare quelle 
quasi inerti che avevano ammazzato per gelc